Quando Bregtje Van Der Haak e Lodovica Guarnieri, curatrici della biennale di arte contemporanea Manifesta, invitarono il collettivo Fare Ala di cui faccio parte a collaborare con Wu Ming 2 a Palermo, nessuno di noi avrebbe pensato che da quell’esperienza sarebbe iniziata una lunga fase di guerriglia odonomastica per le strade e le piazze siciliane. Sin dai primi incontri con Wu Ming 2, agli esordi di quel processo collettivo e multiforme che ha preso il nome di Viva Menilicchi!, era speranza comune a tutti i promotori del progetto che le azioni di guerriglia odonomastica, allora pensate per Palermo, si moltiplicassero e si propagassero oltre i luoghi e i tempi concordati con le curatrici di Manifesta 12. L’uso frequente di tecniche e materiali facilmente riproducibili in molti interventi di guerriglia odonomastica – sticker adesivi e semplici scritte – non era che un riflesso tecnico di una scelta precisa: seguire una modalità di azione realizzabile da chiunque e in qualsiasi città.
A distanza di più di due anni dal Grande Rituale Ambulante del 20 ottobre 2018, momento collettivo e intensamente partecipato con cui si concludeva Viva Menilicchi!, l’ondata di guerriglia odonomastica iniziata in Sicilia con il progetto non si è ancora arrestata, andando ben oltre i prevedibili strascichi e le nostre speranze iniziali. Il rizoma “innescato” dal “collettivo di collettivi” che ha animato Viva Menilicchi! a Palermo, non ha smesso, infatti, di produrre nuove diramazioni ed emettere nuovi germogli che non si sono fermati nemmeno durante la fase pandemica.
A dire il vero non è per nulla facile parlare di un “post-Viva Menilicchi!” perché non vi è mai stato un vero e proprio momento di interruzione delle azioni di guerriglia dopo l’ultima tappa del progetto. Già alcuni giorni dopo il Grande Rituale Ambulante, infatti, si erano manifestati quelli che Wu Ming 2, nel Prontuario di Guerriglia Odonomastica, ha chiamato incantesimi. È il caso della scritta adesiva «Esploratore e pluriomicida» che, scomparsa da Piazza Vittorio Bottego a Palermo, è ricomparsa magicamente a Bologna, oltre 700 km più a nord, nella via dedicata allo stesso odioso personaggio del primo colonialismo. Quel 25 ottobre la magia anticoloniale avveniva proprio nella città in cui era nata la guerriglia odonomastica nell’ambito di Resistenze in Cirenaica, esperienza importantissima che aveva preparato il terreno per la nascita di Viva Menilicchi!. All’indomani dell’incantesimo bolognese in Via Bottego ha inizio un periodo costellato da una serie di contagi, azioni, interventi urbani e necromanzie che avrebbero dato filo da torcere agli spettri del colonialismo, del fascismo e del post-fascismo che infestano le strade delle città siciliane. Per essi, già ripetutamente disturbati con Viva Menilicchi!, non iniziava un periodo di pace e riposo ma, al contrario, un’ulteriore fase turbolenta che avrebbe loro impedito, ancora a lungo, di riprendere sonno. Ma anche alcuni personaggi della politica di oggi, non meno fascisti di quegli spettri, avrebbero mostrato una certa agitazione e irritazione, in qualche caso perfino scagliandosi apertamente contro alcuni autori di questa nuova ondata di guerriglia.
Alcuni interventi di guerriglia dal novembre 2018 ad oggi
Prima di presentare nel dettaglio alcuni degli interventi realizzati in Sicilia negli ultimi anni è bene sottolineare che uno dei loro tratti costanti, a ulteriore dimostrazione del diretto rapporto di continuità/filiazione con la guerriglia odonomastica iniziata con Viva Menilicchi!, è senz’altro il modo di operare nello spazio urbano: anziché cancellare o imbrattare con scritte violente monumenti o targhe di strade e piazze intitolate a personaggi legati alla storia coloniale e fascista, vengono riportati fatti storici inoppugnabili che ci ricordano le infami biografie di personaggi che non vorremmo mai vedere celebrati nelle nostre città. La carrellata di interventi e azioni che introdurrò di seguito non può considerarsi esaustiva: è una selezione di alcuni dei momenti a mio avviso più significativi.
Il 2 novembre 2018, poco dopo la citata ricomparsa a Bologna della chiosa in Via Bottego, un nuovo intervento del tutto simile, contro l’esploratore e pluriomicida, appare di nuovo in Sicilia, a Ficarazzi, vicino a Palermo. In quell’occasione sul profilo Twitter di Wu Ming appare la foto dell’intervento e la frase: “Bòtte a Bòttego senza pietà”. Due giorni dopo, a Ragusa, i militanti No MUOS intervengono sulla targa di Via Generale Cadorna aggiungendo la scritta: “Macellaio di carne umana”. All’inizio del 2019 è ancora lo spettro di Bottego il bersaglio di un attacco, questa volta a Catania. A metà gennaio è la volta di Francesco Crispi a Palermo. In vari punti della via dedicata al grande promotore del colonialismo italiano e feroce repressore del movimento dei Fasci Siciliani, appaiono quattro scritte in vernice rossa che riportano altrettante definizioni dategli da Antonio Gramsci: “Prospettò il miraggio della terre coloniali da sfruttare”; “Stabilì lo stato d’assedio e i tribunali marziali in Sicilia contro il movimento dei Fasci”; “La sua figura fu caratterizzata dalla sproporzione tra i fatti e le parole”; “Ha creato quel fanatismo unitario che ha determinato una permanente atmosfera di sospetto contro tutto ciò che può arieggiare a separatismo”.
La figura di Crispi, ulteriormente celebrata a Palermo con una grande statua collocata in una piazza che porta il suo nome (benché i palermitani sembrano per fortuna rifiutarsi di chiamarla piazza Crispi e preferiscano il nome piazza Croci), era stata già attaccata dal collettivo Fare Ala durante Viva Menilicchi!. In particolare, avevamo creato un’immagine provocatoria dove la statua di Crispi veniva abbattuta. Apriti cielo! Alcuni personaggi, specialmente dell’ambiente accademico, ci fecero notare sui social network che Crispi è una figura “multisfaccettata” e che quindi nessuno può permettersi di condannarlo per alcuni tratti del suo operato né pensare, nemmeno per scherzo, a un abbattimento della sua statua. Se ben ricordo, rispondemmo che, seguendo e portando alle estreme conseguenze questa idea del “multisfaccettato”, si potrebbe facilmente arrivare a rivalutare moltissime altre infami figure storiche, inclusi gerarchi fascisti e nazisti.
A marzo, a Castellamare del Golfo e Capaci, rispettivamente nella piazza e nella via dedicate al fascista Giorgio Almirante, comparivano le definizioni: «Segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” (1938-1942)» e «Capo di gabinetto del ministero della cultura popolare della repubblica di Salò». Questo primo intervento contro Almirante è il preludio di nuove azioni in estate e di una lunga serie di polemiche, censure, reazioni e botta e risposta che meritano un approfondimento in una sezione dedicata: la prossima. Qui ricorderò soltanto che, pochi giorni dopo questa prima azione, le stesse parole, per effetto di un incantesimo, si manifestavano su un cartello sotto alla targa di Via Almirante a Ladispoli. In quel caso il cartello venne rimosso da qualche nostalgico ma la targa di Almirante, rimasta senza la chiosa che ne descriveva bene l’infame figura, venne poco dopo spaccata. Spostiamoci ora a Messina, dove il 2 giugno i soliti ignoti colpiscono il monumento ai caduti delle batterie siciliane nella battaglia di Adua del 1896, meglio conosciuto come “Batteria Masotto”, in quanto a capo di una delle due batterie vi era il capitano Umberto Masotto, volontario durante l’invasione italiana del Corno d’Africa. Al monumento viene appeso un cartello con la scritta “Vittime del colonialismo italiano in Africa”, con riferimento ai caduti che, con l’aggiunta della scritta non sono più figure eroiche da celebrare ma vittime della vergognosa campagna coloniale italiana. Il cartello veniva apposto proprio nel giorno in cui, con decisione del prefetto, si celebrava davanti al monumento il 73° anniversario della Repubblica italiana con sfilate di carabinieri, marinai e militari. Sull’inquietante scelta di celebrare la Repubblica nel luogo che rievoca una delle pagine più odiose e vergognose della storia italiana si legga quanto ha scritto Wu Ming 2 su Giap. Ogni 1° marzo, inoltre, si celebra qui l’anniversario della battaglia di Adua con una cerimonia militare che vede partecipare anche autorità civili. Una settimana prima dell’anniversario della battaglia, è apparsa sulla base del monumento, ad opera di anarchici, la scritta nera “Fanculo la patria”.
A metà ottobre per le strade di Palermo sono apparsi dei manifesti di grandi dimensioni firmati Fare Ala e Wu Ming 2 per il Festival delle Letterature Migranti. Se da lontano era possibile leggere soltanto la scritta “Italiani brava gente”, avvicinandosi appariva una lista di alcuni crimini e violenze italiane legate al passato coloniale e fascista e anche a fatti più recenti.
Il 21 ottobre, sempre a Palermo, al Foro Italico, nascono i Giardini Lorenzo Orsetti, come già in precedenza accaduto a Roma, Firenze e altre città. L’intervento, in memoria del giovane fiorentino morto a Bāghūz mentre combatteva al fianco dei ribelli curdi per cacciare l’Isis dal Rojava, è firmato dai collettivi Fare Ala e Bendicò.
Il 21 febbraio si ricorda il terribile massacro di Addis Abeba, uno dei crimini più efferati e brutali perpetrati dagli italiani durante l’aggressione fascista dell’Etiopia che ricorre il 19-20-21 febbraio 1937. Sull’ingresso della Casa del Mutilato di Palermo, edificio fascista riportante iscrizioni di frasi roboanti di Mussolini sulle conquiste coloniali, il collettivo Fare Ala e altre attiviste e attivisti, hanno apposto una scritta che riporta il nome etiope con il quale viene ricordata la strage: Yekatit 12 (il 19 febbraio del calendario etiopico).
Ancora a Palermo, pochi giorni prima dell’8 marzo, Fare Ala, il Collettivo H e Crvena Association for Culture and Art (Sarajevo) trasformano via Montanelli in via Destà, la schiava bambina comprata da Indro Montanelli durante l’aggressione fascista dell’Etiopia. I tre collettivi avevano dichiarato in un comunicato stampa: «Re-intitolare via Indro Montanelli a Destà, la schiava bambina che acquistò nel 1936, è un gesto che vuole mettere in discussione le figure, quasi esclusivamente maschili, celebrate nella toponomastica, che di fatto rispecchia una ben precisa versione della storia, che lascia ai margini e inascoltate le voci e le storie delle minoranze, degli oppressi, dei colonizzati e delle donne».
Oltre all’intervento contro Montanelli l’incontro tra guerriglia odonomastica e lotta femminista aveva portato alla realizzazione di ben altri due interventi in luoghi della città segnati da violenze razziste e patriarcali. Uno è quello in Cortile Barcellona, che un cartello ha trasformato in “Cortile Loveth Edward”, in memoria della ragazza di origine nigeriana trovata senza vita proprio all’incrocio tra quel cortile e Via Juvara, il 6 febbraio 2012. Un’altra targa, invece, è stata apposta nel parco della Favorita per commemorare Favour Nike Adekunle, rapita nel parco il 15 dicembre 2012. Il suo corpo venne trovato bruciato tre giorni dopo nelle campagne di Misilmeri. Veniva inoltre aperta una raccolta firme allo scopo di supportare la richiesta ufficiale al Comune di Palermo per la sostituzione di Via Montanelli in Via Destà e successivamente per la creazione di targhe permanenti dedicate a Loveth Edward e Favour Nike Adekunle. Cortile Barcellona era già stato incluso tra le tappe del Grande Rituale Ambulante di Viva Menilicchi! con un importante e partecipato momento commemorativo di Loveth Edward al quale aveva contribuito anche l’associazione Donne di Benin City. In quell’occasione, in un’aiuola deserta del cortile, erano state interrate sei piantine, una per ogni anno trascorso dalla sua morte.
Anche in fase pandemica, durante il primo lockdown, la guerriglia non si arresta e il giorno della Liberazione viene lanciata a Palermo l’idea di apporre un drappo rosso nei luoghi fascisti della città. In tanti rispondono alla proposta e numerosi luoghi vengono sanzionati, in alcuni casi con rivendicazioni: dalla casamatta del Molo Sud all’edificio delle Poste Centrali e alla Casa del Mutilato (“colorata” dall’Assemblea anarchica palermitana) fino a una casamatta vicino Menfi. Nelle locandine affisse ai muri gli organizzatori scrivevano: «Vogliamo ricordare il 25 aprile di sei anni fa, quando a Castellammare del Golfo una cittadina ricopriva con un drappo rosso la targa di piazza Giorgio Almirante. Riprendiamo questo gesto antifascista chiedendo a tutti, nel rispetto delle norme di sicurezza sull’emergenza coronavirus, di tracciare e ritrovare i segni dei fascismi che ancora continuano a invadere le nostre vite».
Ancora a Palermo, a inizio giugno, appare un graffito in memoria di George Floyd e in solidarietà alle proteste in USA. L’artista Mr. Cens realizza al Foro Italico un grande intervento scrivendo “I can’t breathe”, la frase pronunciata da Floyd, ucciso il 25 maggio da un agente di polizia.
Il 16 giugno un nuovo attacco contro Indro Montanelli: a Palermo, in Vicolo Valguarnera, gli artisti Mr. Cens, Betty Macaluso e Ulrike H realizzano un murales che ritrae Destà e la statua di Montanelli cosparsa di vernice rossa. L’opera è stata poi deturpata con simboli massonici e satanici.
Il 24 giugno la guerriglia va a caccia di “spettri viventi”. Sotto la targa dell’assessorato regionale ai Beni culturali di Palermo qualche buontempone ne aggiunge un’altra: “Assessorato alla difesa della razza. Your happy fascists”, con i colori e i caratteri che riprendono il nuovo logo scelto da Palazzo d’Orleans per promuovere la Sicilia. Viene modificato anche il logo della regione: alla trinacria viene aggiunta un’altra gamba per ricordare la svastica nazista. Il bersaglio è il nuovo assessore alla cultura Alberto Samonà, lo stesso che, fra le altre cose, aveva proposto, in un articolo di alcuni mesi prima, di dedicare in ogni comune italiano una via al fascista Giorgio Almirante.
Da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni: Castellammare del Golfo e il passato fascista che non passa
Il 5 marzo 2019, nella piazza dedicata a Giorgio Almirante a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani e nella via che lo celebra a Capaci, apparivano le scritte: «Segretario di redazione della rivista “La difesa della razza” (1938-1942)» e «Capo di gabinetto del ministero della cultura popolare della repubblica di Salò». Le chiose definivano puntualmente alcune delle numerose nefandezze di cui è particolarmente ricca la biografia di Almirante: il suo ruolo nella vergognosa rivista fascista diretta da Telesio Interlandi e quello ricoperto nel MinCulPop della RSI. Alcuni mesi dopo, il 26 agosto 2019, la scritta viene cancellata e ricoperta con vernice grigia. Pensammo, ovviamente, alla mano di fascisti ma non potevamo immaginare, allora, che la cancellazione sarebbe stata di lì a poco rivendicata da una figura istituzionale.
La risposta alla cancellazione non si fa attendere e nello spazio rimasto vuoto appare una nuova scritta: “Fascista, repubblichino e fucilatore di partigiani”. Lo strato di vernice che aveva censurato l’intervento diviene dunque carta bianca per continuare a raccontare le vili imprese del fascista Almirante.
Anche questo intervento, rivendicato dal collettivo Fare Ala, ha però vita breve perché il 1° settembre la scritta viene coperta, di nuovo con la stessa modalità e la stessa vernice.
La nuova nota sulla biografia di Almirante, benché riportasse fatti inoppugnabili, fa nel frattempo infuriare Giorgia Meloni che sui profili Instagram e Facebook dà dei “soliti imbecilli” agli autori della scritta e difende la memoria del “padre della Destra italiana”. Il collettivo Fare Ala rispondeva così alla leader di Fratelli d’Italia: «crediamo che sia triste e naturale che gli imbecilli e i fascisti di oggi si scelgano padri altrettanti imbecilli, fascisti e criminali».
All’indomani della dichiarazione di Meloni, mentre montava la polemica sui giornali, il vice sindaco di Castellammare del Golfo, Giuseppe Cruciata, rivendica in una nota trasmessa alla stampa di aver ordinato la cancellazione della scritta realizzata da Fare Ala perché “ingiuriosa nei confronti di un grande statista italiano” e aggiunge che «nei luoghi pubblici è consentito apporre scritte, denominazioni ed interventi di street art, solo se autorizzati». Ma non è finita: dopo queste affermazioni si lascia andare a un’imbarazzante e verbosa apologia di Almirante.
Circa un mese dopo la fiera rivendicazione di censura e le esternazioni fasciste del vicesindaco, appare nella notte, di fronte al palazzo del municipio, una sagoma in bianco e nero a grandezza reale di Giorgio Almirante. Disturbato dai precedenti interventi di guerriglia odonomastica e dal clamore da essi provocato, lo spettro di Almirante lasciava la piazza a lui dedicata e cominciava a vagare per la città, facendo una piccola sosta per salutare i suoi amici e sostenitori nel palazzo del municipio. Come dichiarammo in quella circostanza alla stampa: «La nostra azione vuole mostrare come gli spettri e i fantasmi del fascismo e del post-fascismo siano vivi più che mai: la reazione da parte dell’amministrazione di Castellammare per le precedenti azioni e la posizione di Giorgia Meloni sulla vicenda dimostra questa continuità e la vitalità politica di questo ambiguo personaggio nel presente».
Il nuovo intervento di guerriglia odonomastica di Fare Ala – una “necromanzia” nella tassonomia di Wu Ming 2 – riaccende le polemiche e sui social si scatena un acceso dibattito. Uno degli effetti dell’intervento che ricordo con maggiore piacere è che, spesso su richiesta dei bambini, si cominciava a parlare della presenza di piazza Almirante anche nelle scuole. Un amico insegnante e attivista castellammarese mi raccontò che la notizia dell’apparizione del fantasma di Almirante aveva colpito i più piccoli che ora erano molto incuriositi e volevano sapere da genitori e insegnanti chi fosse quel fantasma e perché si aggirasse di notte per le vie della città.
Il 2 ottobre, dopo l’apparizione della sagoma di Almirante e in risposta alle polemiche che ne erano scaturite, il sindaco di Castellammare del Golfo, Nicola Rizzo, fino a quel momento rimasto in silenzio, scrive una nota ufficiale dove si dice disponibile ad aprire un dialogo che coinvolga cittadini e gruppi per una revisione generale delle denominazioni “di alcune vie che possono non essere condivise”. Pensammo subito che da quella (seppur tardiva e moderata) presa di posizione potesse prendere avvio per Castellammare un processo partecipato, in grado di generare nuove forme di revisione e nuove possibilità di ri-narrazione collettiva della toponomastica. Iniziamo dunque a dialogare intensamente con associazioni e attivisti locali e arriviamo, già una settimana dopo, a programmare un incontro pubblico sulla toponomastica della città. L’idea di farci promotori, a partire da quel primo incontro, di un tavolo di revisione generale e concertata che coinvolgesse cittadini, associazioni, artisti e attivisti ci sembrava una bella quanto inaspettata prospettiva. Purtroppo, proprio quelle associazioni che avevano promosso il nascente processo cominciano di lì a poco a manifestare paure e perplessità che si traducono in ripetuti tentativi di procrastinare l’incontro pubblico. Messe alle strette dalla nostra richiesta di trovare una data condivisa, una delle argomentazioni che ci fu data fu quella relativa a un presunto rischio di scontri e violenze a causa di possibili attacchi di fascisti durante un incontro pubblico. Percepito come troppo pericoloso, l’incontro viene dunque rimandato sempre più in là, fino a trasformarsi in una chimera. Nel frattempo, però, contro Piazza Almirante si schierano molti movimenti civili locali e l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, alcuni cittadini annunciano una raccolta firme per chiedere la rimozione dell’intitolazione. Lo scorso 10 febbraio è il circolo Metropolis di Castellammare del Golfo a chiedere ufficialmente al sindaco e alla Commissione toponomastica di valutare la rimozione dell’intitolazione avvenuta nel 2013.
Un’ultima nota va proprio allo strano processo di intitolazione della piazza, che forse aggiunge dei dettagli utili per comprendere meglio l’intero processo. La proposta fu presentata nel febbraio 2013 dal partito La Destra, durante l’amministrazione dal sindaco Marzio Bresciani. L’intitolazione, avvenuta lo stesso anno, si svolge in sordina, quasi di nascosto, senza cerimonia e senza avvisi ufficiali. Inoltre viene usata direttamente della vernice sul muro: un caso unico nel suo genere che si discosta dalle targhe di marmo scritte in modo univoco nel resto della città. Questa vicenda richiama, in qualche modo, le modalità oscure con cui l’amministrazione comunale in carica l’anno successivo, avrebbe negato l’esistenza di un’altra infame strada, quella dedicata a Telesio Interlandi: fascista, uomo di fiducia del duce, fondatore della più volte citata rivista La difesa della razza e preso ad esempio dai nazisti per la sua propaganda antisemita. L’11 luglio 2014, Umberto Eco, nella Bustina di Minerva, sua storica rubrica su L’espresso, denunciava la presenza, a Castellammare del Golfo della via in questione. Il sindaco Nicola Coppola, con una lettera a L’Espresso, dichiarava che a Castellammare non vi era nessuna via dedicata a Telesio Interlandi e che l’Interlandi in questione era invece il principe Pompeo di Castelvetrano. Per tentare di fugare definitivamente ogni dubbio decide addirittura di aggiungere alla targa il nome proprio “Pompeo”.
I dubbi, tuttavia, permangono fino ad oggi. Come permane, intatta nonostante le polemiche, l’intitolazione della piazza al fascista, repubblichino e fucilatore di partigiani Giorgio Almirante.
Luca Cinquemani è artista, attivista e filosofo. Fa parte del collettivo artistico Fare Ala, del duo /siː/ e dell’associazione Pizzo Sella Viva. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Studi Culturali Europei all’Università di Palermo e ha pubblicato diversi saggi e un libro sulla forma di vita e la potenza destituente nella filosofia di Giorgio Agamben. Attualmente si occupa di varie forme di vita e delle loro interazioni.