“Una grande fragola dietro una modella e persone con abiti a righe” è il prompt che ha generato una delle più affascinanti immagini dell’editoriale Ars Artificialis pubblicato su Vogue Italia nel maggio 2023, frutto della collaborazione tra la fotografa Carlijn Jacobs e il programma di intelligenza artificiale Dall-E. L’insolito servizio fotografico presenta 14 fotografie in cui la modella Bella Hadid è ritratta in scatti “irreali”. Le immagini sono infatti il risultato di un collage della figura della modella, precedentemente e realmente fotografata in studio, posta poi su sfondi generati dal programma Dall-E. Scenari inesistenti, del tutto immaginati e spiccatamente surreali scorrono senza soluzione di continuità tra le pagine di Vogue Italia: uno sbarco alieno dal sapore retrofuturista, tigri bianche, pavoni in una vecchia camera d’albergo, un incontro di boxe, una città in miniatura illuminata nella notte.
A differenza dai tradizionali editoriali di moda, il fil rouge che lega queste immagini non è una narrazione o un’estetica comune, bensì il processo stesso che le ha generate. Il concept dell’editoriale è una sfida all’immaginazione e al lavoro creativo rimodulato secondo le regole dell’IA, ovvero quelle dell’algoritmo data-oriented opposto alla regola umana dei sensi, essenza dell’estetica stessa. L’emergere di questo nuovo tipo di immagini mette in discussione il rapporto tra realtà e finzione, presupposto problematico di qualsiasi tipo di rappresentazione, illustrata o fotografica che sia. Ormai alla portata di tutti, l’intelligenza artificiale si colloca nell’orizzonte del mediascape, ovvero l’ecosistema culturale in cui i media si sviluppano e interagiscono come e con altri organismi viventi, plasmando e rimodulando costantemente la nostra percezione (Casetti, 2018). È nel solco di questo passaggio mediale a cui corrisponde un differente paradigma creativo che Ars Artificialis prefigura una nuova frontiera dell’immagine di moda, mettendo in discussione l’“effetto di realtà” della fotografia a partire dal processo tecnico e seguendo quella che è la “naturale” evoluzione mediale della moda.
La riflessione sullo spazio latente – lo spazio astratto proprio delle immagini generate dall’intelligenza artificiale – non può che articolarsi a partire tra il rapporto tra l’immagine tecnica e l’uomo, ovvero «il problema centrale di ogni futura critica culturale» (Flusser, [1984] 2009, p.70) come profetizzato negli anni ’80 da Vilém Flusser. Come mai prima d’ora si può dire che il futuro sia già presente. Le “immagini tecniche” identificate da Flusser sono «il frutto del calcolare e del computare, nascono grazie a degli apparati e dall’atto (molto concreto) del premere un tasto per dare luogo a una concretizzazione, perché partono dalla più estrema astrazione, dai bit informatici per raggiungere al rappresentabile» (Mignano, 2022, p.304). La questione della rappresentazione in termini estetici, tecnici ed etici, nella fotografia di moda è fondamentale, se non proprio una questione di sopravvivenza: «La Moda, cioè, si fa tale grazie all’immaginario che si costruisce, si comunica e si consolida nelle sue rappresentazioni, che sono, soprattutto di tipo fotografico» (Muzzarelli, 2009, p. 3). Fotografia e moda si intrecciano in un oggetto complesso che Federica Muzzarelli chiama “immagine del desiderio”, individuando la desiderabilità come caratteristica specifica della fotografia di moda, fondata su un delicato equilibrio tra la finzione immaginaria e la realtà credibile. Per la sua natura “documentaristica” inerente al processo meccanico, la fotografia possiede un grado di credibilità che rende possibile un “effetto di realtà” che permette all’osservatore di proiettarsi nel sogno offerto dalla moda, nutrendo il desiderio di farne parte.
Se questa “indicalità fotografica” non è stata messa in discussione dalla tecnologia digitale, forse lo sarà con l’entrata in gioco delle immagini algoritmiche, detentrici di una nuova visualità senza più alcun legame col reale, probabilmente causa di una ennesima crisi dell’immaginazione.
Ogni storia parte dal suo nome e il titolo Ars artificialis è, in questo senso, piuttosto eloquente. La lingua latina non solo suggerisce la comune etimologia dei termini “arte” e “artificiale” svelando la natura profondamente mediale di ogni espressione artistica, ma soprattutto fa eco al nodo concettuale ars e techne, al centro della filosofia classica e da cui deriva la disciplina estetica.
In tal senso, ad aprire l’editoriale è un’immagine alquanto evocativa, in cui la modella distesa su un tavolo digita su una tastiera con indosso un top di JW Anderson realizzato con tastiere riciclate. L’AI ha riconosciuto questi elementi e li ha estesi, generando piccoli cavi e quadrati di colore giallo, interpretando in maniera autonoma l’abito, col risultato che la figura sia perfettamente integrata allo sfondo e ci apra all’universo che scorrerà nelle pagine successive. Un’immagine-emblema del legame simbiotico tra moda e tecnologia, soprattutto se si considera che Charles Babbage, il matematico inglese che progettò l’Analytical Engine, antenato dei moderni computer, si ispirò al sistema di schede perforate dei telai automatici Jacquard per programmare il suo dispositivo.
Dalla lunga intervista che correda l’editoriale Ars Artificialis, emerge che l’applicazione dell’intelligenza artificiale nella fotografia di moda rende necessario soprattutto un ripensamento delle modalità del lavoro creativo. L’operazione è presentata come «una collaborazione impegnativa, costellata di momenti frustranti, ma anche di sorpresa e colpi di scena» (Fossi, 2023, p.140). La lapidaria descrizione coglie appieno i tratti che caratterizzano l’utilizzo dell’IA nelle pratiche artistiche, a partire dalla frustrazione di non riuscire a creare un’immagine coerente e realistica e la conseguente necessità di mettere a punto una strategia di lavoro ad hoc, costantemente rivista in corso d’opera. Se inizialmente si era proceduto a ideare un concept di massima per ciascuna foto sulla base del quale sono stati realizzati gli scatti in studi, Jacobs con il supporto dell’AI artist Chad Nelson ha invertito il processo, fornendo al programma le foto della modella come punto di partenza per l’indicazione su luci e ombre. La più grande difficoltà riscontrata è stata quella di formulare istruzioni precise, vale a dire, tradurre la visione mentale della fotografa nelle poche parole del prompt, «un’impresa ardua tutt’altro facile per chi è abituato a lavorare per immagini più che con le parole. […] Bisogna avere insieme le doti di un artista visivo, un poeta e un AI artist, raramente concentrate nella stessa persona» (Fossi, 2023, p.140).
Questa modalità di funzionamento dei programmi di intelligenza artificiale porta alla luce il problematico rapporto tra testo e immagine, questione centrale nella cultura visuale. Parola e immagine corrispondono a due modi diversi di pensare e rappresentare che, per esempio, nell’ekphrasis trovano una felice sinergia. L’ekphrasis è una vivida descrizione artistica di un’opera d’arte per mano di un’altra forma d’arte (una poesia che descrive un dipinto o viceversa) che ha la duplice funzione di ispirare e descrivere. La logica del prompt sembra proprio recuperare la tradizione dell’ekphrasis in chiave tecnologica-algoritmica, con la differenza che non è più solo l’artista “il tramite” tra le due forme d’arte, bensì la macchina, dotata di una creatività data-oriented per rielaborare l’ispirazione-intuizione verbale in immagine.
Per esempio, nella curiosa fotografia che dà il titolo a questo articolo, l’AI fornisce una rielaborazione tutta propria delle parole suggerite. L’immagine, a doppia pagina e in bianco e in nero, presenta uno scenario particolarmente suggestivo: Bella Hadid, in primo piano, carponi su un prato è accompagnata dietro di sé da una compagnia di persone dal volto pesantemente truccato e con abiti a righe come l’abito in jersey stretch di Burberry indossato dalla modella. Dall-E ha trasformato le persone in clown e la grande fragola in una grande struttura a pois. La messa in scena, in realtà, ha l’apparenza di uno sbarco alieno avvenuto con una navicella spaziale dalla vaga forma di una fragola, più che del vero frutto in versione gigante. Dall’intervista sappiamo che la fotografa aveva suggerito parole come “Teletubbies” e “Pierre Cardin”, suggerimenti che l’AI, si può ipotizzare, abbia introiettato e restituito attraverso un’immagine dall’estetica da Retrofuturismo in chiave Op Art, attingendo dunque all’immaginario degli anni ’60, il periodo ricordato come “L’era Spaziale” in cui l’entusiasmo per la corsa allo spazio si riflesse nella moda, soprattutto nelle creazioni minimali e avanguardiste del couturier Pierre Cardin.
Jacobs e Nelson hanno così dato avvio a un lavoro paragonabile a quello di «una slot machine visiva» in cui si inseriscono delle parole chiave, si tira la leva e si attende l’immagine e anche «se il più delle volte il risultato è deludente, altre ti trovi davanti a immagini che mai ti sarebbero venute in mente e che ti lasciano a bocca aperta». (Fossi, 2023, p.146). Altra caratteristica che emerge dall’interfacciarsi con l’IA è l’effetto sorpresa. Una volta attivato, il programma di IA fa tutto da solo e per quanto possa essere dettagliato il prompt, c’è sempre qualcosa che nell’immagine viene fuori, che non era richiesto né previsto. Tornando indietro di cento anni, l’associazione inaspettata di elementi estranei e l’effetto di spaesamento si ritrovano nell’ideale surrealista di bellezza «Bello come l’incontro fortuito, su un tavolo operatorio, di una macchina da cucire e un ombrello» che produce l’esperienza del meraviglioso «il meraviglioso è sempre bello, anzi, solo il meraviglioso è bello» (Breton, [1924] 2020, p. 25). Un’immagine meravigliosa in questo senso è “Camera d’albergo ripresa su pellicola in un hotel stile Art Decò con un letto inquadrato in un angolo basso e pavoni”. Jacobs aveva ben in mente l’angolazione che doveva assumere l’ipotetico obiettivo del fotografo – appoggiato allo schienale del letto – ma nell’immagine il cavallo, inizialmente previsto, non entrava più nell’inquadratura. Così, avendo scelto il pavone – ignorando, forse, che il pavone fu l’animale emblema di “Vogue” negli anni Dieci – il programma ha deciso di integrare l’animale all’abito della modella: le piume del pavone si integrano perfettamente ai fantasiosi pantaloni jacquard di Louis Vuitton. La figura femminile è distesa sul letto con lo sguardo fisso sull’obiettivo, diventata una creatura ibrida, tra umano e animale, travestita con questi colori brillanti di abiti che le ridisegnano le forme del corpo, come gli stravaganti costumi di piume e foglie della pittrice surrealista Leonor Fini. La stanza di hotel appare spoglia, un perfetto non-luogo hopperiano che contribuisce all’equilibrio formale della foto. Sulla parete un piccolo quadro di un paesaggio al tramonto, il cliché della pittura “finestra aperta sul mondo”. Sopra, lo scorcio di un vecchio obsoleto condizionatore, punctum di tutta la fotografia e che riporta un senso concreto di realtà.
Tuttavia, la rielaborazione degli elementi imprevisti non è affatto casuale, anzi. Così come i surrealisti facevano risalire l’esperienza del meraviglioso a una sorta di appagamento di un desiderio inconscio, anche l’AI attinge da un suo inconscio algoritmico, quello dell’immensità di dati che noi tutti abbiamo caricato sul web. L’AI non inventa nulla, bensì apprende e sempre più con autonomia, sennonché «il problema non è l’autonomia di apprendimento, ma il bacino dei dati su cui questo si esercita» (Glaviano, Bocchiola, 2023, p.55). È a partire da questa considerazione che Alessia Glaviano, direttrice del PhotoVogue Festival, e Andrea Bocchiola pongono la questione etica del rischio di reiterare standard di bellezza e stereotipi culturali – di una cultura che è bianca ed eteronormativa – un rischio che nell’ambito pubblicitario assume un valore non di poco conto. «Nel momento in cui questi sistemi pescano nell’immenso bacino di immagini del web non potranno che riprodurre quindi rinforzare gli stereotipi e i pregiudizi che affliggono il materiale di partenza. Per non parlare dei pregiudizi depositati nei criteri stessi che regolano i processi di “autoapprendimento” dell’AI che possono essere molte cose ma difficilmente saranno eticamente neutri» (Bocchiola, Glaviano, 2023, p. 55). È chiaro che non è solo colpa dell’AI, il cui modo di agire è prettamente informativo e derivativo, a differenza di quello emozionale dell’uomo. L’IA fornisce una rielaborazione delle immagini che abbiamo introiettato senza saperlo, operando una sorta di psicoanalisi del nostro immaginario collettivo sotto forma di immagine. Cosa l’intelligenza ne farà degli archetipi del nostro pensiero visuale è difficile da prevedere, ma l’uso che ne faremo noi, sarà decisivo.
L’IA ci costringerà a ripensare il nostro rapporto con l’archivio delle immagini web “originali” e le sue generazioni artificiali e le categorie di vero e falso. I limiti di Dall-E sono ancora molti e, tra i più evidenti, la difficoltà di rendere realistici i volti (le leggi esistenti vietano l’uso del volto di una persona reale) e gli arti umani come si può notare ancora una volta, nell’immagine della grande fragola o della finestra stile Courrèges dove, oltre il volto illeggibile, il braccio del riflesso della modella non finisce con una mano, bensì con un piede che indossa una scarpa. «Allo stato attuale, utilizzare l’intelligenza artificiale per generare immagini di alto livello è ancora un’impresa faticosa» (Fossi, 2023). La valutazione della fotografa Carlijn Jacobs è, alla fine, piuttosto propositiva e si scosta dall’impronta apocalittica che caratterizza gran parte delle previsioni sull’utilizzo dell’AI nelle pratiche artistiche. «Confesso che inizialmente temevo che AI come Dall-E e MidJourney potessero costituire una minaccia al mio lavoro di fotografa. Ma mi sono resa conto che questi potenti nuovi strumenti, lungi dal rendere il mio talento superfluo e obsoleto, sono uno straordinario stimolo alla mia fantasia» (Fossi, 2023, p.146). In questa dinamica, l’artista assume il ruolo di “curatore” che assiste la macchina nel suo processo creativo, poiché essa (ancora) non sa cosa sia esteticamente gradevole o meno; dunque, tocca all’umano indicarle cosa funziona a livello visivo. Vale a dire, è la capacità del tutto umana di dubitare delle nostre stesse creazioni che l’IA non possiede e non può replicare del tutto, capacità che l’uomo non deve perdere.
Nel Punto di vista che introduce il numero di Vogue Italia di Maggio 2023, la caporedattrice Francesca Ragazzi scrive «Questo mese la nostra storia di copertina narra di una nuova alleanza, quella tra l’intelligenza artificiale e creatività» (Ragazzi, 2023, p.30). Per quanto si tratti di un servizio fotografico (al momento) unico nel suo genere, il connubio tra la più evoluta tecnologia e la creatività umana nel campo della moda è tutto fuorché “nuova”. La nascita della fotografia di moda stessa è dipesa da un’invenzione tecnica, la stampa a mezzatinta sviluppata tra il 1881 e il 1886, che permise la pubblicazione di testo e immagine nella medesima pagina. Ars artificialis assume una portata significativa perché rappresenta un primo tentativo di impiego di un nuovo strumento nella fotografia di moda; tuttavia, si tratta di una storia che si ripete nella genealogia dei media. Nei primi anni del Novecento si assistette a un radicale cambiamento nelle riviste di moda con il passaggio mediale dall’illustrazione alla fotografia, a vantaggio di quest’ultima, e adesso, è partendo proprio dalla fotografia «madre di tutti i moderni media» (Enzensberger, 2012, p.25) che la linea evolutiva approda alle immagini algoritmiche. Da quanto emerge dall’intervista a Carlijn Jacobs, la grande impresa della fotografa e del suo team è stata quella di ricreare, di fatto, un tradizionale servizio fotografico di moda, sia dal punto di vista formale – le angolazioni, le pose, le retoriche visuali – e sia dal punto di vista lavoro pratico, cioè, progettando prima un’idea e cercando di tradurla alla macchina. Un approccio, come si è visto, che si è rivelato problematico e che ha richiesto un cambio di strategia in progress aperta all’imprevisto, dagli esiti deludenti o meravigliosi.
La sperimentazione di Ars Artificialis replica ai primi tentativi di legittimare la fotografia di moda, nei primi anni Dieci, quando veniva impiegata come mera sostituzione delle figure illustrate, prima di scoprirla come mezzo espressivo autonomo. Se nel 1964 McLuhan affermava che il contenuto di ogni medium è sempre un altro medium, Jay David Bolter e Richard Grusin precisano che «What is new about new media comes from the particular ways in which they refashion older media and the ways in which older media refashion themselves to answer the challenges of new media» (Bolter, Grusin, 2000, p.15). In questo processo definito “rimediazione”, i nuovi e i vecchi media si rappresentano e rimodellano a vicenda, all’interno del complesso e dinamico panorama del mediascape. Con l’entrata in gioco dell’IA in questo orizzonte, l’editoriale di moda Ars artificialis, dunque, non rappresenta che l’ultimo – solo in ordine di tempo – gradino evolutivo di una storia dei media che non procede in maniera sincrona, ma asincrona e affatto lineare, bensì che scorre “a nastri paralleli”, sulla scorta di quella che Michele Cometa chiama «svolta ecomediale» (Cometa, 2023). Ars Artificialis è la prova che la nuova rivoluzione antropologica dell’AI passerà anche attraverso l’immagine di moda, seppur l’operazione di “Vogue Italia”, in sé per sé, ne è solo la fase embrionale, lo “stadio mimetico” per cui programmi come Dall-E vengono impiegati “come la fotografia”. Il vero potenziale dell’intelligenza artificiale, in quanto medium, deve essere ancora scoperto e la rivista di moda, probabilmente come in passato, sarà uno dei luoghi in cui la rivelazione apparirà prima.
Se ogni storia parte dal suo nome, anche il titolo del numero di Vogue Italia in questione, Beyond your wildest dreams, è particolarmente efficace nel recuperare le due ragioni profonde della fotografia di moda: la dimensione onirica e il continuo superamento dei confini di realtà, finzione, estetica ed etica, che è la specificità di una pratica artistica così trasversale, «caso limite ed emblematico di finzione credibile» (Marra, 2010, p.19). «Fashion itself is a way of seeing» scriveva Susan Sontag su Vogue US nel 1978, e riguardo la fotografia di moda: «It is about the appreciation, or connoisseurship, based on the recognition of the profundity of surfaces. A superior way to appear becomes what people understand as a style. Its destiny is to be seen through» (Sontag, 1978, p.461).
E attraverso la fotografia di moda si può vedere il modo in cui cambia la vita del mondo, ma se a vedere non è un essere umano?
Bibliografia
Bocchiola A. e A. Glaviano, Una nuova rivoluzione antropologica in «Vogue Italia» n.872, Maggio, 2023.
Bolter J. D. e R. Grusin, Remediation: Understanding New Media, MIT Press, Cambridge (MA), 2000.
Breton A., Manifesti del surrealismo, Abscondita, Milano, 2020.
Casetti F., Mediascape: un decalogo in Montani P., Cecchi D., Feyles M. (a cura di), Ambienti mediali, Meltemi, Milano, 2018.
Cometa M., La svolta ecomediale. La mediazione come forma di vita, Meltemi, Milano, 2024.
Enzensberger H.M., Panopticon. Venti saggi da leggere in dieci minuti, Einaudi, Torino, 2012.
Flusser V., Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la nostra percezione, Fazi, Roma, 2009.
Fossi M., Ars Artificialis in «Vogue Italia» n.872, Maggio, 2023.
Marra C., Nelle ombre di un sogno. Storia e idee della fotografia di moda, Mondadori, Milano, 2010.
Mignano V., L’oscena ubiquità dell’immagine proliferante in Cometa M., Coglitore R., Cammarata V. (a cura di), Cultura visuale in Italia. Immagini, sguardi, dispositivi, Meltemi, Milano, 2022.
Muzzarelli F., L’immagine del desiderio. Fotografia di moda tra arte e comunicazione, Mondadori, Milano, 2009.
Ragazzi F., Punto di vista in «Vogue Italia» n.872, Maggio, 2023.
Sontag S., The Avedon Eye: Looking with Avedon in «Vogue US» n. 461, Settembre, 1978.
Doriana Bruccoleri è dottoranda in Cultura Visuale all’Università degli Studi di Palermo con una tesi sulla fotografia di moda surrealista. Il suo studio si incentra sul rapporto tra estetica, storia dell’arte e teoria dell’immagine con un interesse particolare per la fotografia, il cinema e la moda. Il suo campo di indagine specifico è il Surrealismo e i movimenti delle Avanguardie Storiche. Alla ricerca teorica affianca un’attività da curatrice indipendente.