«Sotto l’apparente disordine delle vecchie città esiste un meraviglioso ordine che può mantenere sicure le strade e al tempo stesso rendere libera la città. […] Quest’ordine fatto di movimento e mutamento, è vita e non arte ma con un po’ di fantasia potrebbe essere chiamata la forma d’arte tipica della città e assimilato alla danza; non ad una banale danza preordinata, in cui tutti compiono lo stesso movimento nello stesso istante ma ad un complicato balletto in cui le parti dei singoli danzatori e gruppi si esaltano mirabilmente l’un l’altra, componendo un tutto organico. Lo spettacolo offerto dalle strade di un quartiere urbano vitale cambia continuamente da un posto all’altro e in ciascun posto è sempre ricco di nuove improvvisazioni»
Jane Jacobs, Vita e Morte delle grandi città
Ho ereditato un quartiere
Di Jane Jacobs sono famose le passeggiate [1]. L’antropologa era un’osservatrice attenta della vita sociale del suo quartiere. Alla maniera di Jane, ho posato gli occhi sul quartiere Baggio di Milano. La citazione in esergo era la definizione più giusta, sentita e calzante che potevo utilizzare per riassumere ciò che ho visto, studiato e analizzato. Ma ora faccio il percorso a ritroso: a Baggio, mi sono interessata alla peculiarità delle relazioni, all’attivismo culturale, ai progetti di comunità in atto e alla rigenerazione di alcuni spazi.
Quando pensiamo di lasciare un posto in eredità a qualcuno, molto spesso pensiamo alla terra o a una casa. Ma quando pensiamo di lasciare qualcosa alle generazioni future, cosa abbiamo in mente esattamente? Come sarebbe, concretamente, ereditare un quartiere?
Di cosa siamo veramente eredi dunque? E dato che la questione dell’eredità è strettamente legata a quella della conservazione, cosa vogliamo conservare e come lo vogliamo conservare?
Di cosa parliamo quando parliamo di patrimonio?
Chiunque risponderebbe “un insieme di beni di prezzo straordinariamente grande che viene talvolta ereditato” oppure possiamo parlare di un ambito specifico legato ad esempio alla cultura e alle esperienze presenti e passate di una collettività, varcando allora i confini del patrimonio culturale immateriale e/o vivente.
Possiamo mettere ancora più a fuoco e parlare di comunità patrimoniale. A cosa facciamo riferimento quando accostiamo questi due termini?
Per Letizia Bindi [2], «la “comunità patrimoniale” è un insieme di persone che attribuiscono valore a tratti particolari e identificativi del patrimonio culturale che si ritengono rilevanti e si impegnano, nel quadro di un’azione pubblica, a sostenere e trasmettere i contenuti e le espressioni patrimoniali alle generazioni future. L’appartenenza a una comunità patrimoniale è, pertanto, connessa con il fatto che tutte le persone che ne fanno parte riconoscano un valore al patrimonio culturale che esse stesse hanno contribuito a definire e salvaguardare. In ragione di questo valore riconosciuto del patrimonio culturale, materiale, ambientale e immateriale, le comunità patrimoniali si impegnano a rappresentarlo, trasmetterlo e valorizzarlo fuori da logiche discriminatorie o selettive su base etnica, di ceto o di appartenenza geografica con tutte le forme espressive e i canali comunicativi che sono nelle loro disponibilità» (Bindi).
Il nostro quartiere appartiene a una comunità patrimoniale, è patrimonio e lo si può ereditare.
Cosa succede esattamente a Baggio?
Baggio attira l’attenzione per la peculiarità delle relazioni che osserviamo per le sue vie. A Baggio la gente si saluta per strada e i negozi sono dei punti d’incontro, non solo d’acquisto, per scambiare idee, ricevere consigli, fare amicizia e sentirsi parte di una comunità unita. Sono tutti diversi fra di loro ma coesi nell’offrire qualcosa in più rispetto allo scambio di beni e servizi. Perché è importante? È sempre Jane Jacobs a spiegarlo: «Il risultato di questi contatti pubblici occasionali, a livello locale – nati di solito fortuitamente durante i giri di compere e in ogni caso regolati dagli stessi interessati, al di fuori di ogni costrizione esterna – è la formazione di una sensibilità per il carattere “pubblico” degli individui, di un tessuto connettivo di rispetto e fiducia che costituisce una risorsa nei momenti di bisogno individuale o collettivo» (Jacobs, 1969).
A Baggio trapela la volontà di preservare un’identità, recuperarla per trasmetterla. Nel 1923, Baggio è stato annesso alla grande città diventando – come testimonia Pietro Basile, presidente dell’associazione Il Balzo – «un luogo di identità un po’ sospese tra il vecchio borgo che è stato fino al 1922 e poi è stato fagocitato dalla grande Milano per diventare un quartiere» (Cioffi, 2020). Ma è ancora difficile definirlo “quartiere” in quanto la sua fisionomia anche geografica è rimasta quella del borgo.
Abbiamo menzionato il Balzo [3], una delle numerose associazioni che caratterizzano Baggio e che probabilmente spiegano la quantità e preziosità delle iniziative presenti all’interno del quartiere. Sono un centinaio e agiscono all’unisono per migliorarlo, lavorano sull’inclusione delle persone e organizzano momenti di condivisione per strada. Le associazioni di Baggio sono state fondamentali e decisive quando il quartiere offriva ancora poco o quando il comune era assente. Sono state un deterrente alla malavita e allo spaccio che per anni comandavano la zona [4] e hanno avuto, ancora una volta, un ruolo centrale nel recupero del parco della Cave [5].
Ribattezzato poi “il central park” della città, il parco della Cave è effettivamente un polmone verde che si è visto conferire il titolo Tesoro del mondo dall’Unesco. A queste associazioni, si aggiungono le attività commerciali, per la maggior parte, piccole botteghe e osterie, che fanno rete anche quando si tratta di sostenere il progetto di un residente e le singole iniziative.
Una delle ultime, molto significativa, è una raccolta fondi per il finanziamento di uno spettacolo teatrale che si svolgerà nell’autunno 2021 per le strade del quartiere affinché, dopo questo lungo periodo di chiusure e privazioni culturali, si possa ripartire dalla felicità [6]. Lo spettacolo ideato dalla compagnia ArteVox, si propone come specchio dei desideri dei bambini di zona ma anche di tutta la comunità. Anna Maini, una delle ideatrici residente a Baggio, ha raccolto la partecipazione e l’aiuto concreto delle botteghe e varie attività commerciali del quartiere: Carta da Zucchero [7], la storica libreria Linea di Confine, la Pucceria di Mary e Vito, la sartoria creativa, la macelleria o ancora l’erboristeria. Ognuno di loro ha proposto un prodotto ad hoc per fare in modo che il ricavo della singola vendita fosse destinato alla raccolta fondi dello spettacolo. Una prima performance dello spettacolo è andata in scena al parco delle Cave e rappresentava l’evento conclusivo di un laboratorio di costruzione di maschere e pupazzi.
A Baggio, il bisogno di sentirsi partecipi in qualcosa di culturale, che unisce nello stesso tempo la comunità, è forte. Un progetto culturale comunitario, dunque, che fa perno sul recupero della relazione, la condivisione delle emozioni e la valorizzazione dei negozi di prossimità come punti di riferimento di un tessuto sociale relazionale tra le persone. Attraverso lo strumento artistico e creativo, i legami che vengono creati sono, a breve termine, un motore di ripartenza per un quartiere che non ha mai perso di visto il suo scopo, ma anche qualcosa da conservare e trasmettere.
D’altronde il legame col teatro è sempre stato un filo conduttore a Baggio. Ne parla Roberto Rognoni, direttore del mensile Il Diciotto, narrando i tempi della fondazione del giornale: «Dei burattini che allestivo per mio figlio e per i ragazzi del cortile, ricordo che presto i ragazzi sostituirono i burattini e recitarono in dei racconti sempre ambientati a Baggio. In poco tempo, la compagnia teatrale si arricchì anche di falegnami, pittori, macchinista di scena, costumi realizzati dalle nonne. Le nostre recite divennero delle feste» (Cioffi, 2020).
A Baggio di feste importanti ce ne sono due. Scandiscono l’anno e mantengono vivi la coesione, il senso di appartenenza e la condivisione. Il primo è la Primavera di Baggio, ideata da Tatiana Larinova e Davide Cabassi. Un festival pianistico che negli anni e nelle edizioni è cresciuto diventando un evento di rilievo per l’intera città di Milano. Dagli iniziali 8, i concerti sono poi diventati 13 e infine 30. L’idea era nata perché Tatiana, trovandosi a insegnare in una scuola del quartiere, avevo notato che nessun bambino era mai stato a un concerto in centro né tantomeno poteva considerarne l’idea. I concerti sono rimasti gratuiti e hanno creato aggregazione: persone che si fermavano tornando dal lavoro e persone che si sono avvicinate alla musica tramite l’iniziativa. Il valore sociale dell’evento nonché il forte legame con la zona sono gli elementi che hanno forgiato il carattere del festival.
Il secondo evento vede protagonista l’autunno e una corsa di asini. Si svolge la terza domenica di ottobre e si tratta di una manifestazione secolare (391 edizioni). È l’occasione perfetta per riscoprire alcune tradizioni antiche, culinarie e di artigianato e di saperne di più sugli usi e costumi del passato. La prima sagra di Baggio ebbe luogo nel 1628. Se Baggio guarda al futuro è sempre ricordando e conservando. È nel suo passato che trova anche gli elementi per leggere meglio il presente e anticipare il futuro.
Ma la cosa più preziosa della storia di Baggio si trova sui muri, nel cuore del quartiere. Sono più di trenta i racconti di ceramica. Narrano dei contadini che divennero operai e delle cascine che diventarono fabbriche ma anche di un paese che rimase sempre paese. Non è un mero progetto decorativo bensì un aggancio per raccontare passato e presente, una testimonianza concreta delle esperienze vissute, delle trasformazioni e delle origini e tradizioni. Le ceramiche non sono mai state deturpate né vandalizzate.
Grazie alla generosità dei cittadini, il 14 aprile 2018, è stata inaugurata la trentaduesima ceramica parietale dedicata alle donne della resistenza e al loro eroismo. Quel giorno, i ragazzi della scuola elementare Pascoli lessero alcune parti della biografia di Gianna Beltramini. Queste ceramiche sono come un libro a disposizione di tutti, un’opportunità che rende un’area socializzabile e socializzante ed è probabilmente il modo più originale che si possa trovare per conservare e tramandare la storia di un posto. Baggio, nella memoria degli uomini, non si perderà.
Mappa e valore
«Creare, conservare ed ereditare. Sembra semplice la strada per “salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più”»
(Ernaux, 2008).
Ha senso dare seguito alla parte più cospicua di questo studio con una citazione della scrittrice Annie Ernaux.
Nelle storie della Ernaux, l’impronta sociologica genera dei percorsi, quelli delle narrazioni ma anche quelli dei personaggi che vengono racchiusi all’interno di mappe. Essi tracciano traiettorie, come fanno gli abitanti di Baggio. Partendo da un singolo elemento possiamo creare una comunità, un patrimonio ed è questa la storia che stiamo raccontando.
Dunque, occorre fare una piccola deviazione: quella della preziosità delle mappe, o meglio della “virtù delle mappe” per riprendere le parole di Josè Saramago: «É proprio questa la virtù delle mappe, mostrare la riduttibile disponibilità dello spazio e di pronosticare che tutto vi può succedere. E vi succede» (Saramago, 2010).
Il quartiere forse è semplicemente riuscito a sfruttare il potenziale del suo piccolo cuore. Quel territorio dove si sono evinti dei punti di forza i cui fili sarebbero stati legati tra di loro e maneggiati dagli attori del luogo.
Il rapporto tra la mappa e il senso di appartenenza allo spazio non è anodino, anzi. In un capitolo di Un appartamento su Urano, Paul B Preciado, sociologo, parla del suo amore per tre città. Secondo lui il primo stadio dell’amore urbano – che noi interpretiamo anche come un senso di appartenenza al tessuto urbano che sprona gli individui ad attivarsi concretamente, a creare un tesoro destinato a diventare un patrimonio in eredità – è l’amore cartografico. L’amore cartografico avviene quando la mappa della città si sovrappone a qualsiasi altra mappa. Amare una città, quindi, è sentire mentre la si percorre che i confini materiali tra strade e corpo si dissolvono. La mappa, oltre a diventare uno spazio di progettazione di idee e azioni possibili, diventa anatomia. La mappa di Baggio è un nucleo che ti accoglie, un cuore che si apre.
L’osservatorio dal quale abbiamo analizzato Baggio ha voluto mettere in luce, nonché a fuoco, le azioni partecipate, le pratiche di incontro che rafforzano i legami sociali e promuovono un (rinnovato) senso di appartenenza ai luoghi, quel senso di appartenenza che permette di conservare e trasmettere e dunque di ereditare. Ma rimane forse una domanda alla quale non abbiamo ancora dato risposta: da dove nasce il bisogno di questo riconoscimento? Molto semplicemente dalla necessità di individuare il valore ma spostandosi dalla parte di chi lo detiene e ne è in possesso. Letizia Bindi risponde a questo ultimo quesito in modo chiaro: «Si ha coscienza del proprio valore quando si viene guardati. Come si apprende che si è amati, belli, che si ha valore? Quando si è guardati. Ha a che fare con la presa di coscienza che ciò che si ha e ciò che si maneggia è connotato di valore» (Bindi, 2021).
Note
[1] Jane Jacobs è stata un’antropologa e attivista statunitense naturalizzata canadese. Le sue teorie hanno influito profondamente sui modelli di sviluppo urbano delle città nordamericane.
[2] Professore associato di Antropologia Culturale presso l’Università del Molise.
[3] Il Balzo è una cooperativa che dal 2010 si dedica ai minori e disabili con un doposcuola gratuito e la formazione di cuochi e camerieri disabili. La sede si trasforma in ristorante tutti i sabati del mese.
[4] “Vieni a Baggio se hai coraggio”, il detto nasceva dalla fama negativa del quartiere periferico e affonda le sue radici negli anni Settanta/Ottanta. All’epoca Baggio, come molti dei quartieri periferici, non era ancora stato riqualificato, c’erano vaste aree lasciate all’incuria. A causa del degrado spesso queste aree diventarono scenari di delinquenza, di malavita e di droga.
[5] Il parco, per anni, non era altro che un cumulo di sterpaglie e rifiuti che circondavano le cave d’acqua. Agli inizi degli anni 70, si fece strada l’idea di tutelare l’area verde. Oggi è un’oasi di 120mila metri quadrati fatta di pioppi, robinie, olmi, salici, querce, abeti e castagni e dove è possibile trovare molte specie ittiche: trota, storione, anguilla, carpa, tinca, luccio, persico, pesce gatto). Le associazioni di quartiere e i comitati di cittadini (Aurora, in primis, e successivamente Il Bersagliere) hanno fatto da apripista ai sostegni successivi ricevuti dalla Regione, dalla Provincia, dal Comune di Milano e dall’associazione Italia Nostra.
[6] Spettacolo nato dall’incontro con il libro Il venditore di Felicità di Davide Cali con illustrazioni di Marco Somà (Kite Edizioni) che si propone di aiutare i bambini a elaborare la sofferenza, metabolizzarla, superarla, facendoli sentire parte di una comunità attenta ai loro bisogni. Al centro di tutto: la potenza curatrice dell’arte e della bellezza, la forza della comunità contro l’individualismo.
[7] Carta da Zucchero fa parte della “nuova generazione” delle attività commerciali presenti nel quartiere. Chiara C. e Chiara P., le due proprietarie, hanno vinto un bando del comune di Milano per la riqualificazione delle periferie e hanno dato luce a un posto, che oltre a servire colazioni, organizza laboratori per bambini e serate musicali.
Bibliografia
Jacobs J., Vita et morte delle grandi città, Einaudi, Torino 1969.
Preciado P. B., Un appartamento su Urano, Fandango libri, Roma 2020.
Cioffi P. M., a cura di, Baggio: Periferia a chi? StraEdizioni, Asti 2020.
Ernaux A., Les années, Gallimard Folio, Paris 2008.
Saramago J., La zattera di pietra, Feltrinelli, Milano 2010.
Sitografia
Bindi L., Comunità Patrimoniale, in www.diculther.it The digital culture heritage, arts, and humanities school
Bindi L., intervento al convegno Living Heritage – Resilient Communities del 29 maggio 2021 e organizzato dall’AIGU-Associazione Italiana Giovani per l’Unesco, Accessibile QUI
Ornella Vaiani, italo-francese, vive tra Milano e Roma. Laureata in Storia dell’Arte, si occupa di didattica museale, teatro in lingua, laboratori creativi e traduzione. Riguardo alle città, è particolarmente interessata alle periferie, alle categorie isolate e alle soluzioni concrete che possono essere messe in atto per dare una nuova linfa a questi ambienti. Ascolta quello che le persone, le strade, i muri hanno da raccontare.