Assalto Delle Gole Al Cielo
Transfeminist Rhapsody
di Francesco Piluso

Montaggio libera tutt*

Un montaggio audio si presenta come qualcosa di diverso rispetto alla somma delle voci che lo compongono. È una traduzione che trova nelle singole tracce la forza significante per la creazione di nuovo senso. Come un archivio che diventa repertorio da rimodulare e performare, la parola incarnata da una singola soggettività ha così la potenza di amplificarsi e di ritrovare nuovi corpi da abitare, da trasformare e far esistere.
La forza incorporata e soggettiva delle voci di donne in lotta, dagli anni 60 ad oggi, di parole al di fuori degli schemi, è prova, mezzo e potenza di una moltitudine irriducibile a quegli stessi schemi e a se stessa. È stato questo il potere, e talvolta la difficoltà dei movimenti delle minoranze, e in particolare modo del femminismo: non identificarsi nell’individualità della soggettività parlante, ma di cogliere in quella voce l’evidenza di una forza che può nascere e può riprodursi solo al di fuori di schemi identitari, come moltitudine, massaia critica.
Attraverso questo contributo si vuole ripercorrere il percorso di voci, traduzioni e trasformazioni dei movimenti per la lotta al genere, e delle soggettività coinvolte in essa. L’intersezionalità delle lotte è forse proprio il valore aggiunto di quel montaggio di voci delle femministe, dei minorati, delle tossiche e degli sfruttati in ogni forma, in una comune lotta anale contro il capitale. Non si vuole far di questo movimento un processo storico verso un’unità razionale. Piuttosto mettere in luce la singolarità di tracce che si concatenano in svariati modi proprio grazie alla loro parzialità: prospettive che lasciano sempre spazio e voce a nuove rimodulazioni e creazioni.
Oggi, all’archiviazione razionale e messa a valore di queste tracce si è risposto pluralizzando i modi di essere voce “Veniamo ovunque!”- anche facendosi mute “Se le nostre vite non valgono non produciamo”. Parole che mostrano tutta la loro materialità. È questa la chiave di lettura dello sciopero de lotto marzo – una sottrazione rispetto all’appropriazione e standardizzazione del nostro lavoro e tempo, delle nostre vite e delle nostre voci. Lottare riconfigurando queste ultime in un montaggio libero, variegato e dai toni improvvisi: rapsodia!

Auctor in fabula, Soggettività in lotta

Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
in lega ci mettiamo

E la libertà non viene
perché non c’è l’unione
crumiri col padrone
crumiri col padrone

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori
vogliam la libertà

Coro delle mondine

Sebben che siamo frocie,
paura non abbiamo
non abbiamo un euro in tasca,
na non ci rassegnamo

E la libertà non viene
senza la ribellione
froce trans e femministe
contro il maschio padrone

 A oili ioli oilà – con Atlantide siam qua
Perchè Atlantide resiste
froce queer transfemministe

Corale di Atlantide

Corale atlantidea

Spesso è difficile se non impossibile stabilire con certezza l’autrice o l’autore di una frase, di una canzone, di un coro. Di chi è la voce? Con questa domanda non mi sto riferendo né all’ideologico dibattito su copyright e diritti d’autore1, né più di tanto, perlomeno negli stessi termini, alla questione della riproducibilità dell’opera (d’arte e non) che attraversa la filosofia e altre discipline critiche da Benjamin (1966) sino alle più svariate teorie del contenuto web2 – a mio parere, lungo tutto questo arco discorsivo, il ruolo della tecnologia non è stato quello di creare, ma di esemplificare e svelare il valore simulacrale e ideologico della nozione di autore/autrice.
L’autore c’è, ma solo in quanto inesistente, come spettro, simulacro. Ogni enunciazione individuale si presenta come nodo all’interno di una rete più ampia, che potenzialmente coinvolge quell’intero archivio di tutto ciò che è stato detto, o repertorio di tutto quello che ancora si potrà dire – enciclopedia in termini echiani (Eco, 1984) o più semplicemente cultura. Per sciogliere in parte la maglia complessa della cultura è necessario sciogliere il nodo dell’enunciazione individuale, il suo valore ideologico cristallizzato nel concetto di autore.
Se l’operazione appare qui e ora proibitiva, il tentativo è perlomeno quello di cambiare prospettiva e ricollocare il nodo lungo il piano della rete, leggendolo come crocevia di relazioni multiple, senza un’identità vera e propria. Il valore positivo (non differenziale) che viene attribuito al nodo dell’autore è frutto di una profondità simulata e ideologica. Come ci mostra Caleo (2017), ne è un esempio il terreno dell’economia creativa che estrae e (an)estetizza il valore dal lavoro relazionale e sociale attorno al culto di un Autore-Idolo, di un prodotto-creazione, di un marchio. Proprio come una bolla speculativa, questo dispositivo autoriale astratto è fatto “esplodere per saturazione”, essendo ogni esperienza “raccontata, socializzata, ri-trasformata in parola” (ibid.). Questa trasformazione comporta una privatizzazione di ciò che è comune, spesso restituitoci “come allestimento di esperienze private … in modalità sicura e senza conflitto. Imitando il politico. Ricostruendolo in laboratorio.” (ibid.) È restituendoci il comune, il conflitto e il politico in forma di simulacro, che il dispositivo autoriale, il privato si smarca dallo stesso statuto simulacrale che lo costituisce.

Spazi corpi desideri non convenzionali – Il genere secondo Atlantide: presentazione performativa in Piazza di Porta Ravegnana (Bologna) del libro Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo.
Ph: Michele Lapini.

Per contrastare questa autenticità artificiale e al contempo trascendentale, è necessario un processo di “dis-individuazione, di scardinamento dell’identità.” (ibid.) Con questa operazione e ricollocamento non si vuole gettare nell’abisso della superficie (Baudrillard, 1980) qualsiasi possibilità di profondità del soggetto e di esistenza di un’istanza soggettiva. Piuttosto di ricollocarla e in un certo senso arricchirla di un portato culturale e sociale da cui è inscindibile. Parliamo di un autore collettivo che si attualizza nell’atto dell’enunciazione e da rintracciare nello stesso enunciato. Sostituendo il concetto di autore alla riflessione di Eco sull’entità del lettore, “Ecco, ora si rompono gli indugi e questo autore, sempre accanto, sempre addosso alle calcagna del testo, lo si colloca nel testo. Un modo di dargli credito ma, al tempo stesso, di limitarlo e di controllarlo” (Eco 1979, 11)

Non si vuole fare di questa riflessione un vezzo teorico o un gioco intertestuale. Piuttosto fare dell’intertestualità una prospettiva politica e una pratica collettiva, a cui ridare una profondità materiale di cui apparentemente sembra privarci. Ecco nuove complessità e ambivalenze. Il ragionamento che ci ha portato sinora a decostruire un’istanza di enunciazione individuale lungo la superficie astratta di una rete sociale sembra avere come corollario il superamento di un soggetto concreto, fisico e materiale. Non è del tutto così. Le limitazioni e il controllo del soggetto all’interno della rete, dell’intertestualità culturale, in realtà aprono alle più svariate eccedenze. L’archivio che si porta dietro qualsiasi enunciato diviene repertorio da rimodulare ad ogni enunciazione. Non vi è staticità impersonale, ma piuttosto pratica collettiva e allo stesso tempo incarnata. È proprio in questo modo che non solo il soggetto, ma lo stesso comune è smarcato dallo statuto simulacrale e (an)estetizzato impostogli dal dispositivo autoriale.

La propagazione di quest’onda è ancora più ampia quando se ne considerano gli effetti. La parola incarnata da una singola soggettività ha difatti la potenza di amplificarsi e di ritrovare nuovi corpi da abitare, da trasformare e far esistere. I limiti e le potenzialità della parola si giocano lungo questo continuo concatenamento che riporta ciascuna soggettività all’interno di una rete più ampia, ma allo stesso tempo la fa riemergere dando profondità alla struttura culturale e corpo alle voci. Le nostre parole e le nostri voci sono sempre situate in una rete ma anche in un corpo, nella dialettica senza sintesi tra repertorio e performance.

Di questa performance si vuole evidenziare non la connotazione di artificio in opposizione a qualcosa di vero, ma piuttosto la componente di azione pragmatica che porta con sé l’intero codice (repertorio) all’interno del quale il senso della performance è inserito. È un po’ questo una delle chiavi di lettura della semiotica pragmatica di Eco (1984). Tuttavia, la ricchezza di questa dinamica non è esauribile in un concatenamento enciclopedico tra atto e codice linguistico sempre coerente e privo di conflitto. In tal senso, si vuole recuperare la nozione di performance di Judith Butler (2013), volta sì a precisare l’immanenza del gesto performativo alle forme e ai codici di appartenenza, ma soprattutto a sottolineare la capacità decostruttiva e sovversiva dello stesso gesto nei confronti del codice egemone.

Abbiamo parlato di dialettica senza sintesi proprio per evitare uno svuotamento dell’importanza del momento negativo come mero operatore formale ai fini del raggiungimento di una sintesi felice e unitaria. La performance è un momento incorporato e dialettico nel senso di negativo, relazionale e conflittuale. È di questa dinamica fondamentale di lotta e alterità che ci vogliamo occupare, attraverso un montaggio non autoriale di tante voci3.

Massaia Critica (o Lotta Anale contro il Capitale)

La singolarità della voce in lotta non è mai stata un limite fisico delineato lungo l’individualità della soggettività parlante, ma prova della possibilità di dare corpo alle proprie istanze materiali subalterne. E in questo senso potenza, perché la voce è libera di raggiungere altre soggettività e incorporarsi in queste. In questa sua dinamica aleatoria e allo stesso tempo incorporata, la voce in lotta rimane fuori dalle logiche identitarie ed egemoni all’interno e contro le quali è emersa – un’irriducibilità essenziale, senza la quale diventerebbe strumento linguistico e ideologico.

Trovare nella soggettività della voce il terreno fertile della lotta comune è stata una delle chiavi di apertura al trans-femminismo: capace di raccogliere nella stessa lotta al maschile egemonico non solo bio-femmine, ma soggettività in contrasto con i dettami egemonici del genere. La rimodulazione di un repertorio femminista da parte di frocie, lesbiche, trans, drag attraverso nuove voci e corpi è stata capace di sovvertire e decostruire le norme e la stessa naturalità del genere e del sesso. Una performance tutt’altro che astratta, perché in grado di liberare i desideri e le pratiche subalterne e eccentriche dalla violenza di un maschile incorporato, e gli stessi corpi delle donne dalla gabbia del sesso: “il corpo è mio e decido io!” e ancora, “lotta dura contro natura!”. Si tratta spesso di prese di parola soggettive e collettive, volte a rinvendicare gli insulti subiti e farne voce sovversiva che manifesta tutta la propria materialità: “siamo frocie, siamo tutte puttane4, siamo cagne”5, “in culo sì ma non così”, “veniamo ovunque!6

Spazi corpi desideri non convenzionali – Il genere secondo Atlantide: presentazione performativa in Piazza di Porta Ravegnana (Bologna) del libro Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo.
Ph: Michele Lapini.

Questa sovversione e riappropiazione performativa del genere e del sesso non raccoglierebbe tutta la sua profondità e potenza senza una rimessa in discussione di altri assi di potere quali la classe e la razza, in una prospettiva intersezionale7. E anche qui, non si tratta di una banale somma delle sfighe, o di un’intersezione astratta, ma di comprendere come questi assi di potere si riproducono reciprocamente lungo le nostre esistenze e i nostri corpi. Da qui nasce l’esigenza di concatenare più voci parziali e subalterne, costituire moltitudine, massa o massaia critica8 in una comune “lotta anale contro il capitale!9

Le figure della donna e dei soggetti lgbt sono usate ideologicamente per ribadire confini identitari e rapporti di egemonia a scapito delle soggettività subalterne, tra le quali le stesse donne e le stesse frocie. Gli esempi sono svariati ma coerenti: la strumentalizzazione del corpo delle donne per la propagazione di politiche securitarie e razziste, che limitano l’autodeterminazione delle donne, e ripristinano schemi sessisti, identitari e nazionalisti (D’Elia, Serughetti 2017); la questione dei diritti civili si inserisce all’interno di un quadro omonazionalista che riducono le frocie a gentlemen portatori di mascolinità egemone, consumatori voraci, e gatekeeper del gusto e della civilità (Acquistapace, Arfini, De Vivo, Ferrante e Polizzi, 2016); il mito neoliberale della donna in carriera che mistifica la delega del lavoro di cura alle migranti dal terzo mondo; il bigotto moralismo sul lavoro sessuale che allo stesso tempo chiude un occhio sulla questione della tratta.

Proprio la sessualizzazione del corpo della donna, cruciale questione nel dibattito femminista, non può essere svuotata e avulsa dalla relazione con questioni materiali e di razza che la rendono ambivalente. Di per sé la sessualizzazione del proprio corpo può essere momento di riappropriazione e autodeterminazione contro il bigottismo sessista, o mezzo di sussistenza contro la schiavitù del lavoro precario e gratuito. Altre volte invece, strumento determinato dalla costruzione e dalla fruizione di figure egemoni per la riproduzione del loro stesso privilegio.

A tale proposito, mi viene in mente il fenomeno della blaxploitation, parola coniata dalle stesse lavoratrici nere dell’industria cinematografica degli anni ’70. La visibilità della soggettività nera all’interno del panorama mainstream era ottenuto attraverso lo sfruttamento del lavoro e della stessa sessualizzazione della figura nera (specialmente di quella femminile). Pur nella sua ambiguità, La blaxploitation si presentava come performance delle soggettività nere, perlopiù di quelle femminili, della/nella loro precarietà materiale, razziale e di genere, ma anche della loro resistenza. Tutto questo prima che Tarantino con Jackie Brown10 ne facesse un fenomeno di culto perlopiù borghese e bianco, meramente lungo la superficie mediatica, svuotato di ogni sua complessità e valenza politica.

 Falce e rossetto (e antirazzismo) – Il genere secondo Atlantide: presentazione performativa in Piazza di Porta Ravegnana (Bologna) del libro Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo.
Ph: Michele Lapini.

Pratiche come questa di Tarantino, o di Madonna in relazione al voguing11, e molte altre, sono esemplificative di quei meccanismi di sfruttamento e svuotamento politico di voci e performance subalterne ai fini di una riproduzione degli assi di potere del genere, della razza e della classe, proprio attraverso la mistificazione della complessità che l’intersezionalità comporta. È come se lo sfruttamento (black e non solo) riconosciuto e urlato dai soggetti sfruttati venga mitizzato, privato della sua storicità e complessità, disincarnato sino al culto di simulacri mediatici – sfruttato in potenza. È questa l’operazione della riduzione ad una struttura superficiale, che annichilisce ogni contraddizione reale in una differenza di gusti e di consumo, che non riconosce il valore situato e incorporato del conflitto, ma lo proietta come simulacro su un piano trascendentale, naturalizzando le diverse identità.

Sciopero dai generi: oltre lotto marzo

Come prendere parola di fronte a questa messa a valore ideologica della differenza? Quale voce concatenare al montaggio per contrastare la costruzione identitaria e trascendentale che si fa delle nostre voci parziali, collettive e incorporate? “Se le nostre vite non valgono, noi non produciamo!” (Non Una di Meno, 2018) è questo lo slogan, l’urlo dello sciopero internazionale delle donne contro la violenza maschile de lotto marzo – o meglio, uno sciopero permanente dai generi che coinvolge tutte le soggettività messe a valore e a lavoro per la loro differenza di genere e sesso. Un mutismo assordate. Non si tratta di annullare le specificità, favorendo tra l’altro così i meccanismi di omologazione prodotti dalla messa a valore e dal conseguente svuotamento delle differenze. Piuttosto di condividere collettivamente bisogni, desideri e pratiche eccentriche, di creare spazi autonomi di mutualismo contro l’individualizzazione, la commercializzazione e lo sfruttamento a cui siamo soggetti.

Ne è un esempio la pratica della consultoria – uno spazio di soggettivazione politica in cui parlare orizzontalmente di salute partendo dai nostri piaceri e corpi fuori norma12, rifiutando il controllo biomedico sulle nostre vite volto al ripristino della funzionalità produttiva e riproduttiva dei corpi. È questo un modo per “(dis)educarci alle differenze, alle identità gerarchizzate e naturalizzate” (Consultoria, 2017). È questo un modo per agire uno sciopero dai generi e dal genere come matrice della produzione e riproduzione di valore attraverso i nostri corpi e sulla nostra stessa salute.

 Consultoria transfemminista queer di Bologna

Nel progetto di consultoria è evidente la prospettiva intersezionale, che lega la questione della salute alla “necessità di partire dalla materialità delle vite queer e di affrontare da questa prospettiva la nuova fase neoliberista, che vede una progressiva riduzione del welfare, una generalizzazione della precarietà che rende a sua volta generalizzabile anche la condizione queer/precaria.”(ibid.) La dimensione biopolitica non si esaurisce infatti all’ambito della salute, e “occorre tenere presente come una serie di dispositivi finalizzati al controllo dei corpi e delle popolazioni sono fortemente individualizzati e specifici e al contempo interconnessi tra loro” (ibid.). Basti pensare a un discorso pubblico neomoralista sulle condotte sessuali, a come questo si affianchi a un forte incitamento a una sessualità compulsiva e consumistica. O a come, alla medicalizzazione di donne e soggettività lgtq si accompagni un’ampia valorizzazione in senso capitalistico, attraverso il diversity management (Busarello, 2016).

È qui che ai processi di messa a valore identitaria e individualista delle soggettività diverse si vuole rispondere attraverso la costruzione di processi di autodeterminazione situati nelle condizioni materiali, attraverso lo scambio collettivo di pratiche resistenti. In questo senso si rompono le dicotomie verticali e autoriali/autoritarie tra soggetto e oggetto, tra medico-esperto e paziente, tra erogatore del servizio e utente, per favorire un concatenamento orizzontale di voci e saperi parziali e dal basso. “La consultoria, dunque, non presuppone un soggetto specifico. Al contrario, si propone di adottare come punto di partenza i bisogni e i desideri che caratterizzano l’accesso alla salute delle molteplici soggettività eccentriche.” (Consultoria 2017)

La necessità allora è di trovare uno spazio autonomo e liberato dalle norme identitarie che si riproducono lungo tutti gli assi di potere. Un’autonomia che si ripristina attraverso nuovi immaginari istituenti: “vogliamo orientare il nostro agire politico verso la costruzione di relazioni mutualistiche nella lotta e nella resistenza, per reinventare e continuare a costruire insieme nuove istituzioni. In questo senso, anche la consultoria è una macchina per la produzione e la riproduzione dello sciopero dai generi.” (ibid.) Non si tratta di organizzare solo momenti puntuali e simultanei di sottrazione come nello sciopero tradizionale, ma, piuttosto, veri e propri spazi autonomi in cui riappropriarci della nostra “eccedenza queer” (ibid.).

È in questa produzione e riproduzione costante di uno scarto, in contrasto alla sistematizzazione del valore-differenza, che consiste l’istituzione dello sciopero dai generi – una sottrazione e un mutismo solo apparente. Nessun piano queerquennale, piuttosto un modo per lasciare sempre aperto e imprevedibile il concatenamento di voci, all’interno di un montaggio che crea nuovo senso, eccedenza, rispetto alla somma astratta e sistematica delle singole individualità/differenze. Come un repertorio musicale che si apre e si rimodula a ogni nuova performance, in questo concatenamento senza sintesi, la rapsodia transfemminista continua a far emergere i nostri corpi e le nostre voci.

1 Per una breve ed efficacie lettura del ruolo ideologico del dibattito sul copyright confronta Pasquinelli (2009)
2 Un riferimento è al lavoro di Lolli (2017) sui meme, che riprende il lavoro di Barthes (1988), in un concatenamento  di riferimenti difficile da sciogliere linearmente.
3 A tale proposito mi sembra doveroso e esemplificativo riportare un passaggio dell* compagn* Renato Busarello (2016), di cui condivido intenti soggettivi e riferimenti collettivi: “La mia ricostruzione è soggettiva, ma al tempo stesso rende conto di ampi processi di messa in comune di pratiche e saperi negli ultimi diciotto anni di movimente Glbtqi e transfemministaa queer in Italia e dei suoi transiti transnazionali. Utilizzo materiali, spesso inediti, prodotti dalle realtà che ho attraversato, da antagonismogay a Facciamo Breccia al Laboratorio Smaschieramenti e al Sommovimento nazioAnale, ai quali siti rimando, laddove ancora visitabili. Questa ricostruzione, di cui mi prendo tutta la responsabilità politica e mi assumo la parzialità, non è un’opera autoriale, ma la restituzione di teorie critiche dal basso, assemblaggi e concatenamenti situati, prodotti e praticati collettivamente da tant* compagn* che ringrazio, ricordo e amo tutt* a una a una, a branchi, a mucchi e a brandelli. Proverò, laddove possibile, a riconoscere comunque gli apporti individuali di analisi. Sarò spesso costretto me stesso, che cita il Laboratorio Smaschieramenti, che cita antagonismogay – realtà nelle quali si è svolto e si svolge il mio attivismo – sperando in questo di contribuire alla sovversione parodica del meccanismo della citabilità”. Proprio per questi motivi, questo contributo vuole essere un montaggio più o meno libero, che riproduce e, allo stesso tempo, riverbera il concatenamento rapsodico di voci dal basso descritto finora. Proprio per questo sarà costellato di slogan sparsi, che tuttavia conservano e producono nuovo senso e valore, non tanto nel riferimento formale al proprio autore inesistente, ma nella relazione che intrattengono tra loro dentro e fuori questo montaggio.
4 In particolare, il collettivo di sex workers, ombre rosse, mostra le ipocrisie legate al tema del lavoro sessuale, mettendo in luce l’intersezione con le condizioni materiali e portando avanti la lotta per l’autodeterminazione delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali.
5 Il riferimento è al collettivo transfemminista cagne sciolte di Roma, che già dal nome rivendica in maniera parodica e sovversiva la necessità dell’autodeterminazione del proprio corpo e della propria sessualità contro qualsiasi strumentalizzazione.
6 È stato lo slogan titolo della manifestazione transfemminista del 21 maggio 2016 a Bologna organizzata dalla rete di collettivi e singol* tfq Sommovimento Nazioanale https://sommovimentonazioanale.noblogs.org/post/2016/05/05/veniamo-ovunque-manifestazione-nazioanale-transfemminista-queer-bologna-21-mag-2016/
7 Una bibliografia sulla questione dell’intersezionalità sarebbe troppo ricca da riportare e forse non coglierebbe nemmeno il senso di questo contributo e dell’intersezionalità stessa. Come nel caso delle voci-slogan, le analisi un po’ più esplicative sono frutto dello stesso concatenamento di pensieri e riflessioni dal basso. Così, accanto ai pochi riferimenti bibliografici più formali, le prospettive sulla questione dell’intersezionalità sono rimontaggio di una condivisioni di saperi all’interno di gruppi e movimenti di lotta citati in maniera sparsa lungo questo contributo.
8 Anche in questo caso si tratta di una categoria/slogan trans-femminista che mette in luce l’intersezionalità delle lotte attraverso una rimodulazione parodica della categoria (forse troppo inflazionata) di massa critica
https://atlantideresiste.noblogs.org/page/2/
9 È il dispiegamento più esplicitamente intersezionale del “veniamo ovunque!
https://sommovimentonazioanale.noblogs.org/post/category/lotta-anale-contro-il-capitale-verso-la-prima-manifestazione-nazioanale-transfemministaqueer-bologna-21-maggio-2016/
10 Jackie Brown (1997) è un film diretto da Tarantino con attrice protagonista Pam Grier, con esplicito riferimento al film Foxy Brown (1974) diretto da Jack Hill e interpretato dalla stessa Pam Grier.
11 Il voguing è un tipo di ballo-performance sviluppatosi sin dagli sessanta da soggettività perlopiù frocie, trans e razzializzate. L’intento era quello di parodiare lo stile plastico e iconico delle copertine della rivista Vogue come forma di riappropriazione di uno scenario egemonico e escludente. L’operazione di Madonna, con l’omonimo brano del 1990, è stata quella di riprodurre un pastiche sbiancato del voguing, svuotato delle contraddizioni intersezionali che ne emergevano dalla parodia incarnata, e celebrativo della stessa superficie mediatica bianca e classista riproduttrice e mistificatrice di tali contraddizioni.
12 È importante sottolineare come l’allargamento di prospettiva dalla differenza sessuale alla griglia del genere, che caratterizza il discorso transfemminista della consultoria non è un’operazione astratta, ma volta a considerare gli effetti incorporati di tale matrice discorsiva. A tale riguardo l’inclusione delle soggettività intersex è sottolineata più volte, “Pensiamo, infatti, la consultoria queer anche come spazio per la presa di parola delle soggettività intersex/DSD, per una riorganizzazione politica delle lotte transfemministe queer tanto su questo fronte, quanto sul fronte della violenza di genere e del genere.” (Consultoria, 2017). Cfr. anche Busi (2016).

Bibliografia

Acquistapace A., Arfini AG., De Vivo B., Ferrante AA., Polizzi G. (2016) Tempo di essere incivili. Una riflessione terrona sull’omonazionalismo in Italia al tempo dell’austerity In Zappino F. Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Verona: Ombre Corte. 61-73.
Barthes, R. (1988) Il brusio della lingua, Torino: Einaudi.
Baudrillard, J. (1980) Della seduzione, Milano: SE.
Benjamin W. (1966) L’opera d’arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, Torino: Einaudi.
Busarello, R. (2016) Diversity management, pinkwashing aziendale e omo-neoliberismo In Zappino F. Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Verona: Ombre Corte. 74-85.
Busi B. (2016) Fare e disfare il sesso. Oltre il binarismo dei generi In Zappino F. Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, Verona: Ombre Corte. 175-185.
Butler, J. (2013) Questioni di genere, Roma-Bari: Laterza.
Caleo, I. (2017) “Crepino gli artisti*/ Ovvero: Crush your comfort zone” Operaviva.
D’Elia, C., Serughetti G. (2017) Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio, Roma: minimum fax.
Eco, U. (1979) Lector in fabula, Milano: Bompiani.
Eco, U. (1984) Semiotica e filosofia del linguaggio, Milano: Bompiani.
Lolli, A. (2017) La guerra dei meme. Fenomenologia di uno scherzo infinito, Orbetello: Effequ.
Pasquinelli, M. (2009) L’algoritmo PageRank di Google: Diagramma del capitalismo cognitivo e rentier dell’intelletto comune In Chicchi F., Roggero G. Sociologia del lavoro, 115. Milano: Franco Angeli. 153-166.

 

Sitografia

antagonismogay: http://www.ecn.org/agaybologna/
Atlantide R-esiste 2.0: https://atlantideresiste.noblogs.org/
Atlantide Corale: https://www.youtube.com/watch?v=zHnLZbM3IuY
Cagne Sciolte: https://cagnesciolte.noblogs.org/
Consultoria: https://consultoriaqueerbologna.noblogs.org/
Laboratorio Smaschieramenti: https://smaschieramenti.noblogs.org/
Non Una di Meno: https://nonunadimeno.wordpress.com/
Ombre Rosse: https://ombrerosse.noblogs.org/
SomMovimentonazioAnale: https://sommovimentonazioanale.noblogs.org/

Francesco Piluso è un dottorando di semiotica presso l’Università di Bologna e ricercatore indipendente presso CRAAAZI (Centro di Ricerca e Archivio Autonomo Alessandro Zijno). Si occupa del rapporto tra potere e conoscenza e dei meccanismi semiotici e materiali di riappropriazione del sapere nella società neoliberale e nella cultura dei consumi. È un attivista transfemminista e partecipa ai percorsi politici de Laboratorio Smaschieramenti, Sommovimento Nazionale, e Non Una Di Meno. A partire dal periodo di ricerca presso UCLA si occupa della relazione tra genere e capitalismo, in linea con i temi trattati nei percorsi di ricerca accademica e attivismo. Ha curato seminari sul rapporto tra produzione e riproduzione (ottobre 2017) e sulla sussunzione mediatica dei saperi transfemministi (Gennaio e Marzo 2018) presso Unibo. Relatore e curatore del tavolo “Donne migranti” al Ri-Festival della Comunicazione (Aprile 2018).