“Un’aquila afferra un agnello dall’ovile. Un falco cattura un passero sulla staccionata di canne… La ciotola giace capovolta, nessun latte viene versato. La coppa giace capovolta; Dumuzi non vive più”.
estratto dal primo sogno registrato nella storia, del re sumero Dumuzi, circa 2500 a.C.
“Quando, al risveglio, si ha la luna per traverso,
è inevitabile che si approdi a qualche scoperta atroce,
anche soltanto osservandosi”.
Emil M. Cioran
«L’intelligenza (artificiale) non esiste in astratto. Può esistere soltanto all’interno di una finalità» (Burroughs, 2001). Questa dichiarazione lapidaria dello scrittore americano W. Burroughs ci ricorda che nell’approcciare le tematiche inerenti l’intelligenza artificiale dovremmo sempre tenere presente l’obiettivo da raggiungere, chiedersi sempre dove ci si vuole spingere e che risultati si spera di ottenere, senza tralasciare gli effetti conseguenti. Potremmo spingerci a considerare le applicazioni che sfruttano l’intelligenza artificiale proprio come dispositivi, dalle molteplici applicazioni indubbiamente, con il carico di tutti i loro pregi e difetti. Ma siamo sicuri che sia sempre possibile avere le idee chiare quando ci troviamo a utilizzare strumenti così innovativi, complessi e in alcuni casi invasivi?
In un’intervista per il Louisiana Channel, l’artista Lawrence Weiner afferma che «l’arte non è dire qualcosa ma mostrare qualcosa, e soprattutto porre la domanda: cosa succederebbe se…?» (Weiner, 2014). In tal senso, si può affermare che le nuove tecnologie, applicazioni e programmi che sfruttano l’Intelligenza Artificiale, possono soltanto moltiplicare i “cosa accadrebbe se…” senza per questo ingenerare crisi esistenziali per gli artisti che sicuramente continueranno a produrre arte, con, attraverso, o malgrado l’inevitabile evoluzione del progresso. D’altronde «progettiamo la tecnologia e la tecnologia, a sua volta, progetta noi» (Pavliscak, cit. in Chamorro-Premuzic T., 2023). Da sempre i processi creativi mettono l’artista in relazione con uno smarrimento temporaneo del controllo e non ci sono dubbi sul fatto che l’interazione con le nuove tecnologie sviluppi oggi un’inedita e intrigante interazione tra espressione artistica, immaginario collettivo e pubblico. «Quando ascoltate qualcuno suonare il pianoforte vi chiedereste mai se l’artista è il pianoforte? No. E qui è la stessa cosa. Solo perché il meccanismo è più complicato, non vuol dire che i ruoli cambino» (Klingemann, cit. in Barale A., 2020, p.74). Questa riflessione dell’artista Mario Klingemann chiarisce molto probabilmente l’annosa questione una volta per tutte, ma probabilmente qualcosa ancora ci sfugge in merito al rapporto tra produzione interiore di immagini e i potenziali creativi delle nuove applicazioni IA, come ad esempio l’interazione tra i sogni e l’image making.
Da più di vent’anni ciclicamente mi capita di fare un sogno ricorrente. È incredibile come la situazione, il luogo e i dettagli siano sempre i medesimi anche se con leggere variazioni. Mi trovo nella casa dei miei genitori a Isola delle Femmine, un piccolo villaggio di pescatori a pochi chilometri da Palermo. Percepisco un sibilo penetrante e continuo. Salgo sulla terrazza per cercare di capirne la provenienza. Mi accorgo che il cielo di un cupo color piombo incombe elettrico, come a voler precipitare addosso, in uno scenario sfocato. Il mare si è ingrossato sommergendo buona parte delle case limitrofe, ma nonostante la marea, folle di persone sembrano vagare senza una direzione precisa, portando enormi crocifissi, maestose varette con santi, oggetti, orpelli, catene, bandiere e altre insegne misteriose, pregando e cantando litanie. Dal cielo, inoltre, piove cenere e materiale combusto. La sensazione che mi angoscia al mio risveglio è quella che scaturirebbe da un’Apocalisse in atto. Nonostante sia tutto ben definito nel sogno, è come se qualcosa rimanesse fuori fuoco, decentrato, una sorta di ombra disturbata, impercettibile che però incombe e incute paura. Lo scrittore Roberto Calasso rendeva perfettamente questa condizione in un passo del suo saggio «Il cacciatore celeste: Dove va ciò che sparisce? Va nell’invisibile. Che alla fine pullula di presenze. Non c’è nulla di più animato dell’assenza. […] L’invisibile è il luogo degli dei, dei morti, degli antenati, del passato intero. Non esige un culto, ma penetra in ogni anfratto della mente. […] L’invisibile non va cercato lontano. Anzi si può anche non incontrare perchè troppo vicino. L’invisibile finisce nella testa di ciascuno» (Calasso, 2016).
«Sì, lo so, non siamo che vane forme della materia» (Mallarmé, cit. in Blanchot M., 1975 p. 90). Ma siamo anche fatti della materia di cui sono fatti i sogni, Shakespeare, se ricordo bene. Che i sogni, manifestazioni notturne dell’attività cerebrale, influenzino le nostre vite per lo più indirettamente è stato provato da svariate ricerche scientifiche, altri studi avrebbero confermato che il processo onirico aiuterebbe la nostra mente ad allenarsi, al fine di trovare nuove strategie per affrontare le sfide della nostra vita. Il Dreamscaping, ad esempio, è una tecnica comportamentale pre-sogno per così dire, che consentirebbe di controllare anche se solo in parte i nostri sogni, aumentando il livello di coscienza e di padronanza della “trama” dei nostri processi onirici. Si tratterebbe di arrivare “preparati” al momento in cui ci si addormenta, cercare di scrivere sempre ciò che si ricorda al risveglio, pensare intensamente a ciò che si è sognato e a ciò che si vorrebbe sognare prima di addormentarsi. In alcuni esperimenti scientifici i dormienti vengono svegliati durante la fase REM, che si presenterebbe dopo circa novanta minuti dopo l’addormentamento e può durare anche una o più ore nel corso della notte, per cercare di portarli a focalizzare il sogno e metterli nelle condizioni di poter incidere sulla “trama” del sogno successivo. Il tentativo sarebbe quello di passare dal “vedere un sogno” a “fare un sogno”, nel senso di agirlo, poterci “mettere mano”. Proprio come la mano che sbuca dall’abisso della notte come nel famoso distico del poeta Hugo:
E si vide sorgere dagli abissi insondabili
Una mano lugubre che si aprì per miracolo.
Questo frammento tratto da I troni d’Occidente ci riporta ancora una volta alla profonda relazione tra linguaggio e sogno, visione e raffigurazione. Una sorta di In hoc signo vinces per inversione. Nel sogno o visione di Costantino l’immagine prefigura l’imminente vittoria dell’Imperatore, qui viceversa siamo al cospetto di un inabissamento drammatico. Siamo abitati da un linguaggio notturno che spesso ci trasmette una miscela eterogenea di stimoli che cerchiamo di sintetizzare e tradurre al nostro risveglio, in accordo con il filtro della nostra esperienza culturale e volontà. Una commistione di cui nella maggior parte dei casi ricordiamo frammenti, brandelli di sensazioni, istantanee sfocate. D’altro canto il nostro rapporto con i processi generativi notturni è forse uno degli ultimi ripari in cui l’esperienza è intima e solitaria, in cui l’emergenza e l’impressione si fanno immediate ma labili e straordinariamente evocative. Si tratta di una forma di creazione “involontaria” ma fortemente allusiva e simbolica, che presenta spiazzamenti della logica di senso e riarticola il quotidiano in nuove contorsioni linguistiche ed espressive. «Del linguaggio mi interessano i “buchi neri”, le trappole del simbolico. Mi interessa, come Lacan, indagare l’inconscio come linguaggio» (Bene, 2022). In effetti i sogni sono proprio “qualcosa che non è” in chiave identificativa, eppure emergono, ci suggestionano, a volte arrivano a condizionarci. Si tratta di potere immaginativo all’ennesima potenza, dal momento che la mano in un sogno non è una mano “in carne ed ossa”, proprio come accade in un disegno, in una poesia o in un testo narrativo.
Nel 2022, scopro Midjourney, un programma Text to Image, e decido che potrebbe essere un’ottima occasione per produrre una serie di immagini che si avvicinino il più possibile al mio incubo ricorrente, sperando che questo possa trasformare l’esperienza traumatica e passiva di un brutto sogno in un “fermo immagine”, così da poterlo per certi versi padroneggiare ed esorcizzare. Imparo un linguaggio nuovo attraverso la pratica e qualche scambio di informazioni, confrontandomi con alcuni artisti e studiosi. Scopro così le potenzialità del Prompt: testo indicativo in linguaggio naturale per richiedere all’IA generativa di eseguire un’attività specifica. Nel caso dei programmi TTI, Midjourney, rispetto al prompt fornito, presenta un set di quattro immagini che si vanno definendo in pochi secondi. Un indistinto rumore visivo di forme confuse e colori metamorfici lentamente si agglutinano in quattro immagini ben definite. A seguire si possono scegliere varie opzioni per altrettante variazioni. Un processo infinito volendo, ma con una costante non da poco, alla fine a decidere è sempre l’essere umano che sceglie quale direzione prendere dando l’input al sistema per generare nuove immagini. Il tempo passa e qualcosa accade, dopo vari tentativi e scoperte, attraverso parametri base, versioni, stili e un tocco di sperimentazione, ma soprattutto giornate intere passate a promptare, approdo a qualche risultato soddisfacente.
Foto di Fabrizio Ajello
Questa opportunità di trasformare immagini mentali prodotte da sogni in vere e proprie raffigurazioni, passando dal frammento di memoria attraverso una riduzione narrativa, completata da alcune informazioni chiave per l’applicazione, risulta una svolta. La pratica mi prende la mano e nuovi sogni alimentano il processo produttivo, così la quantità, ma soprattutto la qualità delle immagini inizia a produrre un fenomeno interessante. Alcune varianti visive non previste fornite dall’applicazione, su cui non mi ero soffermato in un primo momento, cominciano a emergere nel sogno ricorrente, modificando di fatto alcuni dettagli e alterando il contesto e lo svolgimento della trama. In alcuni casi strane creature vagano e si contorcono in uno spazio funereo e indefinito, in altri l’intero orizzonte, comprese le processioni sono state fagocitate da una gigantesca montagna filamentosa che sembra avvicinarsi minacciosa, e in una terza variante le figure umane sembrano essere in adorazione di un capro demoniaco inghiottiti da dense nubi nere e fiamme. Il mio incubo ricorrente ha preso vita sviluppando una sorta di struttura narrativa inattesa. È come se la mia mente e Midjourney avessero dato vita a un laboratorio creativo automatico, un dispositivo interagente, d’altronde la cultura procede per sistemi ed è essa stessa un sistema. Provo a elaborare queste nuove versioni del sogno con Midjourney e dopo diverse sessioni e varianti, ecco le immagini che si avvicinano maggiormente ai miei ricordi dei sogni.
Foto di Fabrizio Ajello
Risulta evidente che s’impara attraverso un dialogo, attraverso un confronto continuo e l’allenamento delle macchine (machine learning) che consente lo sviluppo dei sistemi IA comporta anche un addestramento della nostra mente. L’interazione è inevitabile. Siamo nell’epoca del transumanesimo e della ipermedialità, ma cosa accade quando le trame che prendono corpo in visioni notturne si traducono in testi narrativi che le applicazioni trasformano a loro volta in immagini? Come funzionano le influenze e le sollecitazioni dei due processi, quello interiore e quello esterno in dialogo con la “macchina”? Come e quanto incide il processo di memorizzazione, focalizzazione e trascrizione dei sogni nella trasposizione immaginativa delle applicazioni utilizzate? Come si influenzano i sistemi di image making interni, quello neuronale e quello algoritmico? Una rete neuronale artificiale in grado di riconoscere, selezionare e combinare centinaia di migliaia di archivi per produrre una risultante in forma di immagine, può sognare? E in tal caso come funzionerebbe e cosa ne risulterebbe?
L’unica certezza, rispetto a tante domande, è che ci troviamo sulla soglia di un cambiamento epocale che al tempo stesso spaventa e richiama, ma siamo anche sul crinale di un ennesimo passaggio cruciale della metacreatività che al momento è ancora la preistoria di una trasformazione epocale che ha come radice l’immaginario profondo. Il filosofo francese Gaston Bachelard sosteneva nel suo La poetica dello spazio: «Le grandi immagini hanno insieme una storia e una preistoria, sono sempre allo stesso tempo ricordo e leggenda» (Bachelard, 1975).
Nella parte conclusiva del film di Wim Wenders Fino alla fine del mondo del 1991, uno scienziato scopre che il misterioso dispositivo su cui ruota buona parte della trama è in grado di registrare direttamente i sogni. Nasce così una nuova forma di dipendenza: lo scienziato e la sua famiglia si lasciano ossessionare dal bisogno compulsivo di visionare i propri sogni registrati dalla macchina su supporto digitale. Il fidanzato della protagonista, uno scrittore, assistendo al deteriorarsi della situazione decide di narrare il tutto attraverso la composizione di romanzo, ed è grazie al potere della narrazione che la protagonista riesce a liberarsi dalla dipendenza del circolo vizioso che la ossessionava. Narrare, soprattutto attraverso la scrittura risulterebbe in tal senso una via di fuga, ma allo stesso tempo una strategia di imbrigliamento e potenziale rimodulazione di paure, traumi e perché no inquietanti visioni notturne. Gli egizi ritenevano che i sogni venissero inviati dalle divinità e per cercare di placare gli incubi ricorrenti avevano ideato una serie di complessi rituali tra i quali la realizzazione di talismani e papiri con frasi magico-rituali da posizionare sotto i poggiatesta prima di addontermarsi. Anche in questo caso la scrittura avrebbe dovuto interagire con la produzione di immagini, cercando di deviarne l’angosciosa memoria del risveglio. Il mondo onirico rivestiva un ambito fondamentale nella loro vita, ne sono testimonianza il Libro dei Sogni o il Libro dei Sogni del Fayoum.
Lo stesso Sigmund Freud affermava: «l’interpretazione dei sogni è del tutto analoga alla decifrazione di un’antica scrittura pittografica come i geroglifici egiziani» (Freud, cit. in Bresciani E., 2005). Potremmo anche spingerci ad affermare che il rapporto tra immagini tratte da sogni e rappresentazione geroglifica fosse una sorta di antenato invertito del prompt. La parola geroglifico proviene dal latino tardo hieroglyphĭcus, gr. ἱερογλυϕικός nella locuz. ἱερογλυϕικὰ γράμματα «lettere sacre incise» (Vocabolario Treccani) e conseguentemente le parole sacre incise dovevano avere un’attinenza tra mondo reale e mondo onirico, dal quale venivano tratti fermo-immagine da riassumere in raffigurazioni simboliche di riferimento. «Nella lingua egiziana la parola “sogno” è reset, “risveglio” dal verbo res “essere svegli, vegliare, svegliarsi”; il sonno è dunque sentito come una porta che conduce al sogno, come un risveglio a un’altra realtà, coincidendo in modo sorprendente con il concetto moderno della veglia cerebrale nel sonno» (Bresciani, 2005 p.13), difficile non pensare in tal senso al sogno lucido e alle antiche pratiche tibetane dello yoga del sonno e del sogno. Nelle pratiche tibetane, come ad esempio nel Buddhismo Mahāyāna il sogno è la metafora dell’esistenza e il sogno lucido rappresenta la più perfetta metafora della bodhi (risveglio). Nuovamente il carattere di una specifica modalità di produzione onirica emerge come veglia e visione alternativa, a un livello di coscienza superiore, anche a carattere di rivelazione.
Il primo testo fondamentale in Occidente per la comprensione del fenomeno del sogno lucido è senza ombra di dubbio Les Rêves et les moyens de les diriger, observations pratiques di Marie-Jean-Léon Le Coq, pubblicato nel 1867. Il linguista e sinologo francese oltre ad analizzare il sogno lucido, riportava esperienze pratiche di azione, per poter interagire con i propri sogni, come ad esempio attraverso la “solidarietà rimemorativa” che metteva a frutto proprio la stretta relazione tra scrittura, processo onirico e produzione d’immagini. La ricerca sui possibili ambiti di relazione tra sogni e IA sta sviluppando nuove tecnologie di straordinario interesse, come il modello Halo Morpheus 1 della Prophetic, un trasformatore ultrasonico multimediale che indurrebbe e stabilizzerebbe i cosiddetti sogni lucidi. Gli impulsi cerebrali sarebbero in grado di generare ologrammi ultrasonici per stimolare i neuroni. In pratica il cervello verrebbe sollecitato da onde sonore in grado di produrre stati di sogno lucido in cui il soggetto potrebbe interagire attivamente con i propri sogni. Possiamo considerare il superamento di questa frontiera come un evento che cambierà la nostra mutevole influenza con il mondo onirico e la produzione di immagini in tutti i sensi, anche sul piano artistico, oppure sarà solo un’ennesima evoluzione di un nuovo entertaining video game system? In effetti, entrambe le vie potrebbero essere valide e integrarsi. Infatti l’evoluzione connessa ai videogiochi di ultima generazione e i nuovi sistemi di realtà virtuale potenziati dai recenti visori, stanno rimescolando le carte del vivere/creare/giocare in potenziali nuovi contesti spazio-temporali che potrebbero in breve tempo alterare completamente quello che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare realtà. Indefinibile e inattendibile saranno termini sempre più utilizzati nel futuro prossimo, ma allo stesso tempo arriveremo a sviluppare una coscienza aperta a un’esperienza del vivere assolutamente riadattata a flussi metacognitivi e dimensioni transculturali. Diverremo i prosumer perfetti di un tempo senza tempo (definitivo) in uno spazio senza spazio (definito).
Recentemente il Prof. Stephen Aizenstat ha sviluppato un metodo di approccio ai sogni, il Dream Tending (vegliare il sogno), che comporta un rapporto attivo nei confronti della produzione onirica. Non sarebbero quindi i sogni ad abitare noi ma noi ad abitare i sogni. Insomma, si potrebbe approcciare l’image making notturno con il «metodo di un filologo, come se fosse un testo di difficile interpretazione, per esempio in latino, in greco o in sanscrito, di cui ignori certe parole, oppure come se fosse un testo frammentario, e (limitandosi) ad applicare il metodo che qualsiasi filologo applicherebbe nel leggerlo (Jung), ma anche attraverso una pratica che istituisca un vero spazio di conversazione e dialogo, di rappresentazione e interpretazione non ermeneutica bensì, prima di tutto, scenica» (Bernardini e Quaglino, in Aizenstat S., 2013, p. 13). Torna anche in questa metodologia di approccio al sogno la scrittura, la messa in scena, la questione della trasposizione e della rappresentazione. I sogni in effetti è come se mostrassero una via quando siamo preda dell’oscurità. Ma si tratta di una via incerta, opaca, oracolare. Il regista Federico Fellini ha tenuto per buona parte della sua vita un diario dei sogni con tanto di illustrazioni dei medesimi e molti di questi sono confluiti in una straordinaria pubblicazione dal titolo Il Libro dei Sogni. Sfogliare le pagine di questo fantasmagorico album è come sprofondare in vero e proprio laboratorio intimo da cui emergono ossessioni, riferimenti, suggestioni che sono anche le pietre angolari del cinema del grande maestro, ma allo stesso tempo un tentativo estenuante di imbrigliare e tradurre in immagini il sogno, che è uno dei grandi enigmi che ci abita e che ci sfugge. In effetti il cinema ha avuto fin dalla sua nascita una relazione radicale con la dimensione onirica e potremmo definire l’evoluzione dei processi generativi di immagini attraverso le IA come un’ennesima mutazione del processo creativo dell’essere umano. «Il sogno si distingue dalla visione onirica, in quanto il primo è un indizio di ciò che accadrà, la seconda di ciò che esiste al momento» (Artemidoro, 2006), sosteneva il filosofo greco, ma oggi ci troviamo in una condizione in cui visione onirica, sogno e ridefinizione del reale potrebbero coincidere grazie ad avveniristiche dimensioni immersive che ridefiniranno coscienza e responsabilità, ingenuità e consapevolezza. Siamo al cospetto di un futuro prossimo di simulacri e sconfinamenti inevitabili, ma soprattutto di opportunità per mettersi alla prova e ridefinirsi, per arrivare a una «costruzione artificiale mancante di un modello originario – il simulacro (dato) come esistente per sé. (che) Non copia necessariamente un oggetto del mondo, ma vi si proietta. Esiste» (Platone, cit. in Pinotti A., 2021 p.81).
Bibliografia
Artemidoro, Il libro dei sogni, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2006.
Aizenstat S., Vegliare il mondo, Moretti & Vitali, Bergamo, 2013.
Bachelard G., La poetica dello spazio, Edizione Dedalo, Bari, 1975.
Barale A., Arte e Intelligenza Artificiale, Jacca Book, Milano, 2020.
Bene C., Si può solo dire nulla, a cura di Luca Buoncristiano e Federico Primosig, Il Saggiatore, Milano, 2022.
Blanchot M., Lo spazio letterario, Reprints Einaudi, Torino, 1975.
Bresciani E., La porta dei sogni, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2005.
Burroughs W., Interviste, a cura di Sylvère Lotringer, Il Saggiatore, Milano, 2018.
Caillois R., L’incertezza del sogno, SE Editore, Milano, 2021.
Castaneda C., L’arte di sognare,Rizzoli, Milano, 1999.
Calasso R., Il cacciatore celeste, Adelphi Edizioni, Milano, 2016.
Chamorro-Premuzic T., Il narcisismo del You, Apogeo, Idee Editoriali Feltrinelli, Milano, 2023
Freud S., L’interpretazione dei sogni, Bollati Boringhieri, Torino, 2019.
Guidorizzi G., Il sogno in Grecia, Laterza Editori, Roma, 1988.
Katz M., Il sogno lucido, Ubaldini Editore, Roma, 2017.
Pinotti A., Alla soglia dell’immagine, Einaudi, Torino, 2021
Vincenzi M., Casa L., Fellini Onirico, Armando Editore, Roma, 2020.
Sitografia
Lawrence Weiner Interview: The Means to Answer Questions
Halo Morpheus 1
Stephen Aizenstat
Fabrizio Ajello (Palermo, 1973) è un artista e ricercatore che riflette e interviene attraverso diversi media sulle dinamiche dei modelli culturali, investigando in particolare i temi del sacro, delle Vanitas, della memoria individuale/collettiva e del rapporto tra spazio materiale e virtuale. Nel corso degli anni, ha reinventato l’uso di mezzi tradizionali come disegno, fotografia, scultura, per produrre interventi site-specific e installazioni. Attualmente, la sua attenzione è focalizzata sul rapporto tra processi onirici e modelli di interazione e rimediazione attraverso le applicazioni T.T.I. (Text to Image software).