TO PLAY
Wanna play the Game?
di Carolina Farina

Teatro Sotterraneo e Valters Sīlis, WAR NOW!
Santarcangelo •14
photo by Noemi Bruschi

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Questa domanda grava su di noi, comunità estemporanea di spettatori, sin dal momento in cui ci riuniamo davanti al Lavatoio di Sant’Arcangelo di Romagna. Siamo in attesa di WAR NOW!, spettacolo nato da una collaborazione tra il regista lettone Valters Sīlis e la compagnia toscana Teatro Sotterraneo1.
Formiamo una piccola coda in attesa che le ragazze all’ingresso scrivano i nostri nomi su un registro. Alla mia richiesta di spiegazioni rispondono vagamente, dicendo che saranno necessari durante lo spettacolo.
Acconsento. Lasciare il proprio nome prima di uno spettacolo teatrale non può che sembrarmi un’azione innocua: l’informatizzazione contemporanea mi porta già a cedere i miei dati personali di continuo.
É il primo abbandono, il primo, incosciente, gesto di partecipazione.
Ho iniziato a giocare e neanche me ne sono accorta.
Mi siedo in prima fila, con i piedi praticamente sul palcoscenico. Questo confine labile tra lo spazio del pubblico e quello della scena, é la prima cosa a colpirmi. Mi sento esposta.
Le luci restano accese quando lo spettacolo inizia, e i tre attori (in arrangiati abiti militari), iniziano la loro intervista al pubblico, creando una scottante situazione da talk show televisivo.
L’atmosfera cambia, il brusio eccitato presente in sala si trasforma in imbarazzo nel momento in cui queste persone in divisa si fanno strada tra di noi, rivolgendoci quel genere di domande, scomode, che stanno come latenti nell’angolo della “probabilità remota” nella coscienza di ciascuno.
“Hai mai ucciso?” La prima domanda mi sfiora, a rispondere è l’amica di fianco a me.
Violenza, paura, sete di potere, non riconoscimento della reciproca umanità, mancanza di empatia nei confronti dell’altrui alterità (solo alcune delle scintille alla base di una guerra), ci riguardano e vengono dissodate attraverso domande sulla nostra vita quotidiana.
Intercettando qualche sguardo nelle file dietro di me, mi accorgo che siamo tutti in allerta, in attesa, incuriositi, intimoriti, cercando di prevedere le mosse degli attori e pensando a come reagirvi.
Il contributo che ci viene richiesto, la nostra opinione su temi caldi, archetipici, sembra necessario allo svolgimento dello spettacolo.
L’ironia con la quale incalzano le domande crea tante situazioni di divertimento, nelle quali il riso alterna il passo alla tensione, canalizzando le nostre risposte funzionalmente ad un discorso persuasivo, erede delle pratiche comunicative subliminali diffusesi con la nascita dei mass media.
Si tratta di un meccanismo partecipativo: le strategie propagandistiche inaugurate con la Prima Guerra Mondiale (il cui centesimo anniversario è proprio la sollecitazione fondante dello spettacolo) vanno a pizzicare corde emotive che portano ad immedesimarci in ruoli che via via diventano più scomodi e soffocanti.
Nessuno, per quanto in difficoltà, si rifiuta di rispondere, tutti stiamo al gioco, per vedere come continua.
Questo susseguirsi di domande subisce man mano un cambio di rotta quasi impercettibile.
Se inizialmente sembrano, infatti, volte ad una presa di coscienza della superficialità con la quale ci convinciamo di non essere coinvolti dalla violenza e dai conflitti, procedendo si trasformano in un’indagine di mercato volta a venderci l’inevitabilità di una Terza Guerra Mondiale.
Veniamo, perciò, arruolati e sottoposti ad un addestramento al conflitto imminente.
La guerra inizia, le luci si spengono e io mi sento finalmente sollevata.
Questa sensazione, però, dura solo un istante perché il ritorno al ruolo confortante di spettatore passivo viene utilizzato dagli autori del gioco come una trappola in cui siamo sottoposti ad un continuo ribaltamento di sguardo.
Un momento siamo vittime e un momento carnefici, militari e civili, alleati e nemici, siamo costretti a posizionarci, nell’immobilità dei nostri posti, e a partecipare alla carneficina e al degrado dell’umanità.
Le situazioni messe in scena ci sono famigliari poiché attingono al repertorio variegato del nostro immaginario di spettatori. Arricchite dai toni epici dei kolossal hollywoodiani, sono state confezionate espressamente per golosi occhi di voyeurs.
Quella a cui assistiamo è la rappresentazione della finzione massmediatica che viviamo ogni giorno, talmente integrata nel sostrato della ritualità quotidiana da essere divenuta banale.
Lo spettacolo dal vivo recupera la prossimità dei corpi. Annullata dalla mediazione di tecnologie come radio, televisione e internet, la ritrovata vicinanza genera un cortocircuito percettivo, dato dall’essere co-partecipi di una realtà che racconta una finzione che, a sua volta, racconta una realtà.
La rivivificazione di una realtà immaginifica svela, attraverso la compresenza degli attori e del pubblico, la struttura che la messinscena teatrale condivide con queste tecnologie dell’intrattenimento, un gioco di ruolo del quale siamo persuasi di essere i giocatori e del quale, invece, ci scopriamo oggetti/assoggettati.
Il gioco, sotto forma di rappresentazione teatrale racconta quella “società dello spettacolo” definita come “inversione concreta della vita,  movimento autonomo del non-vivente”, dove i feticci visuali e culturali hanno il predominio nella riprogrammazione società, e le immagini, sviluppatesi ed accumulatesi fino al parossismo, hanno perso qualsiasi legame con la vita2.

Il processo di “oggettificazione” dello spettatore si conclude nell’ultima parte del gioco, che coincide con la fine della guerra. Allora applaudiamo, attoniti, alla grottesca sequela di celebrazioni del trionfo della disumanizzazione dell’individuo. Non possiamo fare altrimenti perché, come  sottolinea Giorgio Agamben, ci troviamo nella condizione di essere separati dalla nostra impotenza, abbiamo perso la nostra capacità di resistere3.
I nostri nomi vengono commemorati nella lista dei caduti. Siamo stati giocati, siamo tutti morti.
Il disagio insinuato da questo doppio gioco, a cui abbiamo accettato irresponsabilmente di prendere parte, evidenzia il bisogno di una partecipazione più consapevole, l’assunzione di uno sguardo critico verso l’apparente oggettività di ogni spettacolarizzazione, non solo della guerra, ma della vita quotidiana.

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WAR NOW!
Daimon Project
concept e regia Valters Sīlis, Teatro Sotterraneo

in scena Matteo Angius, Sara Bonaventura, Claudio Cirri
scrittura Valters Sīlis, Daniele Villa
set design Ieva Kauliņa
luci Marco Santambrogio
consulenza marketing per la Terza Guerra Mondiale Mali Weil, Virginia Sommadossi
produzione Associazione Teatrale Pistoiese
collaborazione alla produzione Santarcangelo •12 •13 •14 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, Teatro Sotterraneo
da una proposta di Santarcangelo •14 Festival Internazionale del Teatro in Piazza
sostegno alla produzione Ministero per i Beni e le Attività Culturali Spettacolo dal vivo, Regione Toscana
in collaborazione con Centrale Fies/Provincia Autonoma di Trento
residenze artistiche Associazione Teatrale Pistoiese, Santarcangelo •12 •13 •14 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, Centrale Fies, Dirty Deal (Riga – LV)
Teatro Sotterraneo fa parte di Fies Factory ed è residente presso l’Associazione Teatrale Pistoiese
produzione e amministrazione Monica Paperetti
segretaria di produzione Sara Bruni con la collaborazione di Marianna Caruso
ufficio stampa Francesca Marchiani

http://www.teatrosotterraneo.it/?s=produzioni&ids=192&s2=WAR-NOW!

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1 Valters Sīlis/Teatro Sotterraneo, WAR NOW!, (1h20′, italiano), Lavatoio, Santarcangelo •14 Festival Internazionale del Teatro in Piazza, Santarcangelo di Romagna (RN) 19/07/2014 http://santarcangelofestival.com/sa14/valters-silis-teatro-sotterraneo-4/.
2 “Les images qui se sont détachées de chaque aspect de la vie fusionnent dans un cours commun, où l’unité de cette vie ne peut plus être rétablie. La réalité considérée partiellement se déploie dans sa propre unité générale en tant que pseudo-monde à part, objet de la seule contemplation. La spécialisation des images du monde se retrouve, accomplie, dans le monde de l’image autonomisé, où le mensonger s’est menti à lui même. Le spectacle en général, comme inversion concrète de la vie, est le mouvement autonome du non-vivant.” G. Debord, La société du spectacle, Gallimard, Paris 1992 p.10.
3 “È su quest’altra e più oscura faccia della potenza che oggi preferisce agire il potere che si definisce ironicamente “democratico”. Esso separa gli uomini non solo e non tanto da ciò che possono fare, ma innanzitutto e per lo più da ciò che possono non fare. Separato dalla sua impotenza, privato dell’esperienza di ciò che può non fare, l’uomo odierno si crede capace di tutto e ripete il suo gioviale non c’è problema e il suo irresponsabile “si può fare”, proprio quando dovrebbe invece rendersi conto di essere consegnato in misura inaudita a forze e processi su cui ha perduto ogni controllo. Egli è diventato cieco non alle sue capacità, ma alle sue incapacità, non a ciò che può fare, ma a ciò che non può o può non fare.” G. Agamben, Su ciò che possiamo non fare in Nudità, Nottetempo, Roma 2009 pp.68-69.

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Bibliografia

G. Agamben, Nudità, Nottetempo, Roma 2009
L-F. Céline, Voyage au bout de la nuit, (1952); trad. Viaggio al termine della notte, Corbaccio, Milano 2012
G. Debord, La société du spectacle, Gallimard, Paris 1992
K. Kraus, Die letzten Tage der Menschheit: Tragödie in fünf Akten mit Vorspiel und Epilog (1922); trad. Gli ultimi giorni dell’umanità: Tragedia in cinque atti con preambolo ed epilogo, Adelphi; Milano 1980
M. McLuhan, The Mechanical Bride: Folklore of Industrial Man (1951); trad. La sposa meccanica. Il folclore dell’uomo industriale, SugarCo, 1984
M. McLuhan, Understanding Media: The Extensions of Man (1964); trad. Gli strumenti del comunicare, Net, 2002
J-L. Nancy, Corps théâtre, Après la tragédie, (2010); trad. Corpo teatro, a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2011
V. Packard, The Hidden Persuaders, (1957); trad. I persuasori occulti, Einaudi, Torino 1989

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Carolina Farina (Cremona, 1987) é una fotografa free-lance, vive e lavora a Roma. Diplomata in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano con una tesi sul rapporto tra fotografia e immaginario visuale della cultura di massa, attualmente frequenta il Master di alta formazione in Curatore Museale e di Eventi Performativi presso lo IED (Istituto Europeo del Design) di Roma.