Playgrounds, 2002
“Questo testo è stato scritto da Viviana Gravano con la contaminazione di alcune frasi (in corsivo) di Simone Zaugg nel 2002.
In questo libro si parla dello spazio, del linguaggio e della morte; si parla dello sguardo”1. In questo spazio si parla del passaggio del tempo, della possibilità di raccontarsi, della necessità di rinascere ogni minuto: si parla dello sguardo. Si gioca sempre nella speranza di poter violare le regole. Il gioco, come ogni sistema, è una struttura normativa che esiste solo in quanto regola. Mettersi in gioco. Provare a entrare nel gioco mettendo subito in contraddizione la legge di base: i bambini giocano nei parchi per i bambini. Se sei piccolo puoi giocare. Tu sei troppo grande per giocare. Forse è possibile raggiungere la normalità soltanto trasgredendo la norma. Una donna, adulta, grande, in mezzo a giochi per bambini piccoli, se ne sta beatamente fuori luogo. Sta in piedi su un cerchio che gira come il mondo e, come sul pianeta del Piccolo Principe, sa che le basta girare la sedia per poter vedere tutto il mondo sotto i suoi piedi. Piccole immagini che invertono la percezione, in una straniante e fastidiosa sproporzione tra piccolo e grande. “L’intruso non è nessun altro se non me stesso e l’essere umano stesso. Non è nessun altro se non lo stesso che non smette mai di alterarsi, insieme acuito e fiaccato, denudato e bardato, intruso nel mondo come in se stesso, inquietante spinta dello strano, conatus di un’infinità escrescente”2. La mia unica consolazione è di essere una straniera. Sentirsi straniera nei luoghi del proprio presente/passato, provare a stare fuori posto per sentirsi nel giusto posto. Camminare nel Parco Giochi della propria mente e lasciare che la percezione, il pensiero, tutta la propria esistenza, sperimentino giochi fine a se stessi in grandi spazi inventati per perdersi. Case di bambola dove una bambina cresciuta cerca ancora di infilarsi in giochi che le stanno stretti. Ho scoperto un nuovo sentimento tra bambina e adulta, tra gioco e realtà, tra passato e presente. Tutto si manifesta in un sottile, fastidioso e ironico spostamento tra realtà e “miniatura”. Alice nel suo Paese delle Meraviglie, alternativamente diviene troppo grande e troppo piccola. Entra da porte dalle quali non può più uscire, e si addentra e salta fuori dal suo corpo/mente che diviene abnorme e minuscolo all’occorrenza. Una bambina/grande in un mondo per piccoli/bambini. Simone Zaugg fa un gioco senza scopo: unica regola del suo gioco non seguire le regole del gioco.. Provare costantemente a mettere in crisi il proprio senso delle proporzioni. “Proprio così. Ella non era più che di una ventina di centimetri d’altezza, e il suo grazioso visino s’irradiò tutto pensando che finalmente ella era ridotta alla giusta statura per passare per quell’uscio, ed uscire in giardino. Prima attese qualche minuto per vedere se mai diventasse più piccola ancora (…) in un modo o nell’altro arriverò nel giardino, e poi sarà quel che sarà”3. Simone ingradisce e rimpicciolisce a suo piacimento, e poi sarà quel che sarà. Rottura delle dita. Rotture dei luoghi. Rotture dei pensieri. Simone guarda indietro a quando era bambina, poi si gira, e si guarda ora bambina. L’altra metà è tua.
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1 Michel Foucault, Nascita della clinica, Einaudi, Torino 1969, p.3.
2 Jean-Luc Nancy, L’intruso, Cronopio, Napoli 2000, p.37.
3 Lewis Carroll. Nel Paese dello specchio, Istituto Editoriale Italiano, 1914, p.7.