TO PLAY
Fun-damentals
Note non fondamentali a margine della Biennale
di Clara Mogno

Si rende oggi necessaria un’opera di demolizione
del mito dell’artista-divo che produce
soltanto capolavori per le persone più intelligenti.
Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai
problemi della vita, interessa solo a poche persone1.

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La Biennale Architettura, curata quest’anno dall’architetto Rem Koolhas, è intitolata Fundamentals, ovvero fondamenti. La riflessione che opera alla base della sua creazione ruota attorno agli elementi fondamentali dell’architettura, presi sia nella loro singolarità e nella contestualità che tradizionalmente è a loro propria, sia estrapolati dall’ambiente in cui sono inseriti solitamente. Per questo motivo il padiglione centrale è suddiviso in aree tematiche, nelle quali si sviluppano sperimentazioni e analisi di singoli elementi. È possibile quindi trovare pareti ricoperte da maniglie, finestre di tutti i tipi, immagini di scale, muri, colonne e pareti ricoperte da barbecue e candele, come delle info-grafiche sui sistemi di riscaldamento.
Quello che ci proponiamo di fare è un’analisi che prenda in considerazione gli spazi ed i dispositivi ludici che si aprono al fruitore della Biennale. In questo senso quindi il titolo dell’articolo: fun-damentals, dove ciò che ci interessa principalmente di questa scomposizione, anch’essa ludica e volontariamente ingiustificata, è il divertimento, ciò che è fun ma anche funny, quello che stupisce e coinvolge anche i non addetti ai lavori.
In questo senso proponiamo quindi un tour della Biennale che prenda in considerazione le installazioni e gli spazi che maggiormente si prestano ad un utilizzo giocoso sia degli spazi sia delle installazioni stesse. Con questo non vogliamo proporre certo una modalità di consumo dell’esposizione che sia esclusivamente ludica ma vedere come, in determinati casi, ciò che diverte o semplicemente fa sorridere può coinvolgere maggiormente chi passa per i padiglioni della Biennale.
Seguendo il Vocadecario di questo numero di Roots§Routes proporremo quindi un padiglione o un’installazione per ogni voce, cercando non solo di descrivere la costruzione e gli spazi ma le interazioni ludiche, collettive e individuali, che si esperiscono e che prendono forma all’interno di questi differenti luoghi.

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[A. Padiglione Ungherese]
Building

A come Azione – Come l’opera di quell’artista che tende a creare un dispositivo ludico in cui attraverso l’interazione si crea un coinvolgimento con un dato gruppo di persone. Quell’attività sottoposta a un’organizzazione di regole che crea possibilità di relazioni e occasioni di incontro.
Il padiglione ungherese, curato da Csaba Jakab e László Attila Márton si presta perfettamente a questa definizione. Per i curatori infatti l’architettura è concepita come servizio per la collettività e come esperienza necessariamente in comune.
Obiettivo dei curatori è infatti il coinvolgimento dei visitatori del padiglione al processo di costruzione del padiglione stesso. Come si legge nella brochure informativa, «i visitatori riceveranno delle mollette di legno da decorare liberamente anche con messaggi e da attaccare all’installazione. La molletta ha la funzione tradizionale di fissare il bucato pulito, lavato. In Ungheria esiste la credenza che la casa circondata dal bucato pulito sia piena di vita. I panni fissati con la molletta non sono solo simboli del candore ma anche dell’intimità familiare. La molletta, che fissa l’oggetto alla corda, mantiene, impedisce lo smarrimento delle cose possedute. Ecco perché la molletta installata su una struttura architettonica diventa elemento simbolico della costruzione come creazione dell’intimità familiare». Il coinvolgimento delle soggettività che attraversano lo spazio di questo padiglione sembra avvenire attraverso un dispositivo ludico, attraverso il disegno e la decorazione delle mollette appunto. Come è facile immaginare, e come si vede sia all’interno del padiglione sia nelle sue immediate vicinanze, l’idea di Jakab e di Márton ha riscosso tra i fruitori della Biennale un discreto successo. La possibilità di partecipare attivamente attraverso la propria creatività si manifesta quindi in un’invasione di mollette colorate, grazie alla quale il concetto di azione collettiva ed il legame tra azione e costruzione diventa palpabile e materialmente espresso dai soggetti che attraversano il padiglione.
Giocare è una cosa seria, come afferma Bruno Munari. E attraverso questo gioco colorato i visitatori possono sentirsi davvero compartecipi di un progetto serissimo, come è lo studio del modello del bacino dei Carpazi.

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Le mollette di Building

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[E. Padiglione Estone]
Interspace

E come Educare – La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata. Ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici.
Con Interspace i curatori Johanna Jóekalda, Johan Tali e Siim Tuksam propongono una riflessione sull’interazione tra spazio fisico e spazio digitale. I visitatori infatti, per raggiungere gli schermi situati sulle pareti del padiglione, devono camminare su di un pavimento che registra i loro movimenti e che li rende visibili attraverso l’inscurirsi dei pixel. Allo stesso tempo si può accedere al sito del padiglione, interagire con i pixel del suolo e scegliere i video che vengono proiettati. In questo modo i filmati, che sono di carattere educativo e si focalizzano sulla relazione tra diverse dominazioni nazionali e spazio pubblico in Estonia, sono proposti da utenti ad altri utenti. Questa porzione di spazialità della Biennale viene trasformata da questa configurazione in uno spazio che si situa tra il pubblico e l’individuale, tra il fisico e il digitale. Lo scambio di dati tra il luogo fisico del padiglione e il blog al quale è legato e la riflessione sulla spazialità virtuale e reale vengono interpretati dai visitatori come un gioco ma anche come fonti di informazioni. Lo scambio di dati tra lo spazio del padiglione e il suo correlato virtuale si apre quindi alla possibilità di una relazione tra gli utenti che si configura come ludica. Non è raro infatti vedere qualcuno che corre per testare la velocità di reazione dei pixel o gruppi di persone che cercano di creare dei disegni insieme attraverso le loro promenades, allo stesso tempo reali e virtuali.

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Movimenti reali/movimenti virtuali

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[I. Padiglione Francese]
La modernité, promesse ou menace?

I come ImmaginazioneCome le pratiche surrealiste vedevano nel gioco una potenza primaria d’improvvisazione e casualità. L’entrare in uno stato onirico, l’affidarsi al caso, rivelano un atteggiamento verso la vita, e verso l’arte, che perde la sua aureola di sacralità e diviene ironia, invenzione, configura un gioco a-simbolico, non informale ma libero nella forma.
Il Padiglione Francese, intitolato La modernité, promesse ou menace?, propone una riflessione sugli spazi eterotopici ed i progetti residenziali, spesso luoghi di reclusione urbana. Al centro del padiglione è presente una riproduzione in scala della villa Arpel, la celebre ambientazione del film Mon Oncle di Jacques Tati, del quale alcuni estratti sono proiettati sulla parete. Monsieur Houlot, protagonista del film, è ossessionato dalla modernità e in molte scene sembra non riuscire a gestire l’architettura della villa, che è allo stesso una macchina ridicola e un gioco infernale, ingestibile dalle persone che vi vivono. Attraverso l’immaginazione di Tati e grazie alla sua capacità di regista onirico, l’architettura perde quel senso di sacralità e ridiviene vissuta e risignificata proprio dall’incapacità dell’utente medio di relazionarsi con le forme e le soluzioni architettoniche più all’avanguardia. Lo sguardo ironico, le gag dei personaggi e l’umorismo di Mon Oncle permettono quindi una desacralizzazione dell’architettura stessa e l’emersione di un discorso politico sui quartieri residenziali, spesso progettati affinché siano massimamente funzionali ma che sovente risultano essere lontani dalle esigenze di chi quegli spazi li vive e li attraversa, diventando così macchine infernali come la villa Arpel. È quindi attraverso una pratica degli spazi che si fa ironica come quella di Monsieur Houlot che si può ottenere una messa in crisi delle eterotopie urbane, luoghi che la Francia contemporanea vive e di cui conosce le contraddizioni.

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La villa Arpel e dettaglio della parete del padiglione

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[O. Padiglione Centrale]

O come Oggetto – «Giocare è una cosa seria» afferma Bruno Munari. L’oggetto del gioco è il gioco stesso e il soggetto del gioco non è il giocatore ma il gioco stesso.
All’interno del Padiglione Centrale ai Giardini sono due le installazioni che rientrano in questa definizione, ovvero Realtime synthetic environment (2000) e Energy floor (2008). Con Realtime synthetic environment il visitatore della biennale entra virtualmente in una delle metropolitane più affollate del mondo, quella di Hong Kong. Con un joystick ci si avventura per i corridoi e le scale mobili della stazione della metro e l’obiettivo è compiere il tragitto nel minor tempo possibile. I risultati sono memorizzati e viene stilata una classifica dei tempi migliori. Il percorso realizzato dagli utenti viene inoltre registrato dal software e i dati utilizzati per migliorare la struttura stessa dell’ambiente metropolitano. In questo senso quindi il gioco è estremamente serio e funzionale a implementare le prestazioni del trasporto pubblico. È facilmente intuibile la reazione degli utenti, soprattutto di quelli più giovani: difficilmente si riesce a impossessarsi del joystick, che diventa monopolio dei ragazzini che visitano la Biennale. L’istallazione Energy floor, sempre nel Padiglione Centrale ai Giardini propone invece una riflessione sull’energia rinnovabile e sulla possibilità di un intervento urbanistico e architettonico che coinvolga in maniera giocosa e interattiva l’utente. Attraverso la pressione esercitata dai visitatori sui pannelli viene prodotta l’energia necessaria affinché il pavimento si illumini e, come si vede nella foto, gli utenti rispondono esattamente nella maniera desiderata, ovvero saltando e ballando sull’installazione creando così energia.

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Realtime synthetic environment e Energy floor

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[U. Padiglione Danese]
Empowerment of Aesthetics

U come Umore – Il gioco è anche visto come un qualcosa che assume una funzione sospensiva dalle solite attività quotidiane e che diventa dunque un’azione distensiva dalle tensioni che ognuno accumula. «Il gioco è lo spontaneo svilupparsi e arricchirsi della vita quotidiana.»
Entrando nel Padiglione Danese, Empowerment of Aesthetics, il visitatore è chiamato a riflettere sulle diverse esperienze sensoriali. Viene proposto un arricchimento della vita quotidiana attraverso la distensione ed il recupero del contatto con la natura, resa possibile dall’esplorazione giocosa che l’utente è chiamato a fare dell’ambiente del padiglione. Obiettivo del curatore Andersson è proporre una riflessione sull’estetica stessa, focalizzando l’attenzione su come vengono esperiti elementi naturali e semplici che in realtà sono nella loro struttura estremamente complessi. All’ingresso del padiglione viene infatti ricordato al visitatore che tutto ciò che lo circonda è il risultato di complesse articolazioni e combinazioni di elementi semplici, quali l’idrogeno e l’ossigeno. In questo senso quindi il visitatore è invitato ad una sospensione riflessiva e all’apertura alla meraviglia degli elementi collocati all’interno dello spazio danese: la stanza ricoperta di corteccia, materia allo stesso tempo viva e morta che stimola il tatto, la luce bianca accecante, l’odore dolce degli aghi di pino ed il suono del bosco. La riflessione sulla complessità del mondo che ci circonda è strutturata in un modo per cui attraverso una riscoperta ludica degli elementi naturali vi sia anche una sospensione sia dello statuto stesso di soggetto sia delle tensioni che quotidianamente lo attraversano.

 

Foto di Jens Lindhe, Press Material.

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1B. Munari, Arte come mestiere, Bari, Laterza, 2008, p. 19.

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Per maggiori informazioni:
Ungheria: http://2014.biennale.hu/en/
Francia: http://www.institutfrancais.com/sites/default/files/press_kit_international_exhibition.pdf
Danimarca: http://www.dac.dk/en/dac-life/exhibitions/2014/empowerment-of-aesthetics/
http://www.sustainabledanceclub.com/products/sustainable_energy_floor/

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Clara Mogno, dottoranda in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova. Si occupa del pensiero di Pierre Clastres e i suoi interessi principali sono orientati verso lo studio del pensiero di Michel Foucault, i queer studies ed il rapporto tra visual studies e storia della filosofia politica.