Premessa
Benevolenza e rispetto ai diritti degli uomini sono doverosi; ma l’una è dovere solamente condizionale, l’altro è incondizionale e imperativo. Bisogna assicurarsi di non aver mancato al secondo per potersi abbandonare al dolce sentimento del beneficare.
Immanuel Kant, Per la Pace Perpetua
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“Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Queste norme sono contenute nella vigente Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, creata per riparare e prevenire le atrocità del secondo conflitto mondiale.
Dopo il fallimento dell’ideologia di Stato-Nazione, nata sull’onda delle lotte per le indipendenze nazionali e degenerata nei totalitarismi, si è cercato nel diritto internazionale la soluzione per garantire i diritti inalienabili degli individui.
Nel 2015 internazionale è un termine agevolato dalla globalizzazione e dal progressivo indebolimento del concetto di Stato-Nazione, ma è forse il concetto di diritto difficile da definire a causa di questo territorio ampliato. Un territorio esteso basato su logiche economico-capitalistiche, per cui l’abbattimento delle frontiere causa instabilità nei Paesi in via di sviluppo, spesso ex-colonie, che in modo subordinato vengono definite il Terzo e Quarto Mondo.
È la presenza di 21 conflitti mondiali attivi, situati esattamente in questi ‘ultimi’ due ‘Mondi’, a rappresentare in modo lampante il fallimento delle politiche statali interne e di quelle internazionali.
Come basi per una ‘pace perpetua’, Kant proponeva l’adozione da parte di ogni Stato di una Costituzione Repubblicana che fosse conforme “al diritto pubblico nazionale di un popolo (jus civitatis), al diritto internazionale dei popoli in rapporto gli uni agli altri (jus gentium), al diritto cosmopolitico, in quanto uomini e Stati che stanno in relazione di vicendevole influenza gli uni sugli altri vengono considerati quali membri di una società umana universale (jus cosmopoliticum)”.
Universale è connesso con il termine Kantiano di ‘cittadino del mondo’ e di ‘possesso comune della superficie terrestre’, in quanto, essendo la terra sferica e finita, gli uomini sono destinati a rincontrarsi e a condividerla.
Pertanto la superficie terrestre è un diritto, così come la circolazione e l’ospitalità.
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Il Progetto
Fotografare il presente in materia di diritti dell’uomo e di mobilità significa prendere atto di 59,5 milioni di persone rifugiate a livello mondiale (fonte Global Trends 2015, UNHCR), a cui è stato impedito di vivere nella propria casa o nel proprio Paese a causa di conflitti e discriminazioni etniche e di pensiero politico e religioso. Se considerati una Nazione, sarebbero la 25° (-1) Nazione del mondo per demografia. 25 (-1) ovvero 24 perché quando abbiamo iniziato il progetto nel 2014 i rifugiati nel mondo erano 51,5 milioni, rappresentando quindi la 25 Nazione.
Nation25 ha adottato un nome che possa evidenziare la variazione del dato a cui si riferisce. Ha deciso di provocare usando quegli stessi numeri con cui si definiscono persone e storie di vita, per una riflessione che spinga oltre al mero dato e a una pericolosa azione di concentrazione.
Il progetto riunisce sotto un’immaginaria comunità nazionale coloro che l’hanno persa proprio per riflettere su conseguenze e possibilità. Una nazione liquida nello spazio e nel tempo significa occasione, non emarginazione.
Coloro che la abitano stanno fuggendo, non migrando, anche se condizioni simili riguardano i migranti economici, i profughi, i clandestini, gli espropriati, i dislocati, ecc.
La moltitudine dei termini per definirli è sintomatica sia della mancanza di leggi proprie alla loro condizione, sia della volontà di nominare, differenziare e quindi legiferare ciò che è inerente ai diritti inalienabili dell’uomo, di fatto non assoggettabili a tale logica.
Rifugiato è una definizione notevolmente flessibile e pertanto opinabile. I motivi che danno origine allo status di rifugiato possono essere alternativamente riconosciuti, soppressi o manipolati a seconda dei luoghi e dei periodi storici. Un individuo in fuga dai gruppi armati di opposizione in Somalia è un rifugiato. Un individuo che cerca la libertà dalle persecuzioni delle bande criminali in America Centrale è considerato dalle autorità come un immigrato. Riconoscere, ascoltare e rendere visibile una moltitudine è fondamentale per far tornare gli individui singole molteplicità.
Nation 25 vuole essere l’occasione per ripensare al concetto di Stato-Nazione, di coincidenza tra geofisica e geopolitica, di identità come logica di inclusione/esclusione, di confine come strumento generativo di sapere, di immigrazione come sinonimo di sincretismo e crescita.
Il progetto è un momento per indagare queste possibilità e uscire da una generazione astratta di sapere (dati e immagini) che accompagna la questione dei flussi migratori. I media stanno rinforzando il concetto dell’altro e del diverso attraverso un’operazione intrusiva e superficiale da una parte e pericolosamente satura e distaccata dall’altra. Anche per questo nasce la volontà di indagare la problematica attraverso l’arte, applicando il détournement di cui l’arte è capace alla retorica che ruota attorno ai flussi migratori, soprattutto oggi.
L’argomento migratorio è il nostro soggetto di indagine perché simbolo di straordinarie possibilità di ripensamento: esigenze comuni e tratti distintivi sono simultaneamente presenti per una sfida alle rigidità sociali, politiche ed economiche della società contemporanea.
Nation25 ci ha permesso di compiere un gesto paradossale ed utopico che è immaginare una nazione liquida, in divenire, nomade. Le qualità immaginative possono essere salvifiche, e se l’arte concorre ad accendere nuove sensibilità e verità attraverso altre pratiche di pensiero e di contesti relazionali, allora adempie al suo fondamentale ruolo. Noi stiamo provando a ricercare, procedendo nelle pieghe del tessuto emotivo identitario e sociale di persone che devono nascere una seconda volta. Ci stiamo muovendo, sperimentando altre forme di pratica e produzione artistica, svincolate dai contesti espositivi tradizionali, ma che agiscono sul loro stesso territorio, come quello di una Biennale.
Il nostro primo obiettivo era ed è quello di costituire/istituire la Nazione 25, finora invisibile, e di farlo durante la Biennale d’Arte di Venezia 2015, per la volontà di essere presenti tra i Padiglioni Nazionali come un Padiglione di coloro che non hanno Nazione: il Nationless Pavilion, un gesto critico e fondativo al contempo.
Il Nationless Pavilion
Gli aborigeni non sono radicati in un territorio o in una rappresentazione convenzionale di esso. Occupano una soglia; interpretano il principio di trasgressione che è quello di occupare un “fra”, creare un terzo spazio come interfaccia fra due mondi. Disegnano un mondo possibile che si declina al plurale, mentre il mondo dei bianchi, congelato in una rappresentazione unica ed ideale, declina al singolare. Polivoco contro inequivocabile. Pluriverso contro universo
Bertrand Westphal, Le Monde plausible.
Il Nationless Pavilion sta conoscendo una serie di momenti collettivi ed inclusivi di pubblico, artisti, migranti e professionisti attivi sul fronte dell’integrazione socio-culturale. Abbiamo presentato il Padiglione durante i giorni di opening della 56ma Biennale d’Arte di Venezia, al S.a.L.E. Docks con una Round Table che ha cercato di approfondire il nome del progetto Nation25| The Nationless Pavillion.
PAVILION – Cosa rappresentano oggi i Padiglioni Nazionali in Biennale? Cosa significa mantenere una separazione identitaria nazionale quando è in gioco la sfida ai confini? Come rimettere in discussione questa formula dal suo interno.
NATIONLESS – Nazione, dal latino natio ovvero ‘nascita’. Cosa significa nascere in un luogo e avere una nazionalità? Può una Nazione fondarsi su esigenze comuni e non sull’appartenenza allo stesso territorio? Come perderla spinge a ripensare i concetti di identità, frontiera, norma. E’ possibile essere cittadini del mondo?
25 – sono i 51,5 milioni di rifugiati riconosciuti come tali, il cui numero potrebbe essere molto più ampio se allargato ai migranti, profughi, clandesini, che lottano per una vita migliore. Chi sono oggi e per quali motivi partono? Corpi che attraversano confini e barriere, menti che immaginano possibilità per il futuro.
Partecipanti: Jowan Akkash (giornalista, rifugiato siriano) – Mohamad Al Husain (medico, rifugiato) – Federica Araco (giornalista, BabelMed)– Marco Baravalle (Sale Docks) – Anna Irma Battino (Melting Pot) – Gregory Beals (fotografo, giornalista) – Elena Bellantoni (artista) – Giorgio de Finis (MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove) – Nathalie Galesne (giornalista, caporedattrice BabelMed) – Rosa Jijon (artista) – Francesco Martone (attivista, Comitato Verità e Giustizia per i nuovi Desaparecidos nel Mediterraneo) – Anya Medvedeva (IZOLYATSIA, Kiev) – Costanza Meli (Associazione Isole) – Cesare Pietroiusti (artista) – Alessandra Pomarico (curatrice, Free Home University) – Lorenzo Romito (architetto-artista, Stalker/Osservatorio Nomade) – Federico Simonti (scrittore) – Don Mussie Zerai (presidente Agenzia Habeshia per la Cooperazione allo Sviluppo (A.H.C.S).
Contributi visivi: Gregory Beals, Elena Bellantoni, Shady El Noshokaty, Rosa Jijon, Stalker/Osservatorio Nomade, Calixto Ramirez Correa, Emanuele Satolli.
Dall’inizio della Biennale abbiamo anche attivato un’azione, Square Tape, una richiesta di asilo simbolica inviata a tutti i curatori dei Padiglioni Nazionali, un’incursione nel loro spazio attraverso il posizionamento di un quadrato di scotch per mappare/visualizzare la presenza di una nazione invisibile che vive all’interno delle altre nazioni, quella dei rifugiati. La richiesta suona un po’ come un permesso di soggiorno e di abitazione in terra straniera, con l’intento di affrontare permessi e rifiuti, tolleranze e chiusure delle diverse Nazioni. Fino ad ora ci hanno accolto: Ungheria, Estonia, Armenia, Romania, Macedonia, Sud Africa, Brasile, Seychelles.
Il tracciato delle conversazioni con i curatori sarà visibile all’interno del Sale Docks mentre gli Square Tape saranno fisicamente presenti nei padiglioni Nazionali che ci hanno accolto per tutta la durata della Biennale.
Square Tape è anche un gesto collettivo, una finestra aperta, tracciabile da chiunque e in qualsiasi luogo, un elemento di connessione oltre lo spazio e il tempo.
Square Tape Nationless Pavilion at Hungary Pavilion
Il prossimo appuntamento è a partire dal 20 ottobre 2015 quando attiveremo su Venezia dei laboratori allo scopo di dar vita ad un’installazione collettiva, che possa visualizzare Nation25 con le sue problematiche e possibilità.
Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche – ha scritto Zygmunt Bauman – sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte di vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano i semi di forme future di umanità.
Si tratta di tre laboratori condotti ciascuno da uno o più artisti e i cui partecipanti sono selezionati tramite sottoscrizione, dove è incentivata la presenza dei migranti e di professionisti legati alle tematiche migratorie e post-coloniali. I gruppi di lavoro si svilupperanno sia nella città di Venezia, attraversando quei luoghi difficili da definire, interstiziali, sinonimo di rifugio e abbandono al tempo stesso, e saranno inoltre ospitati al Sale Docks.
Infine abbiamo attivato una Open Call aperta a tutti per raccogliere materiali da utilizzare durante i workshop e connessi ai temi dei laboratori, pensati a partire dagli aspetti che accomunano il popolo migrante. Le tematiche:
Perché?
Quali le ragioni che spingono a partire? Discriminazioni politiche, religiose o razziali del paese di provenienza. Analisi delle motivazioni della partenza in particolare soffermandosi sulla condizione di rifugiato politico.
E’ in gioco il dibattito fra libero arbitrio e predestinazione?
L’Orizzonte
L’immaginazione di un’aspettativa migliore guida la realtà o la ricrea? L’orizzonte come meta sognata e desiderata, che è altro dal paese di sbarco e poi dal paese di soggiorno. Possono mai orizzonti e arrivi coincidere?
Attraversamenti/ Derive
Nella tappa degli attraversamenti, via mare e via terra, si mettono in gioco: le difficoltà, le carestie alimentari, le incertezze dei mezzi di trasporto, mentre i desideri si intrecciano con le speranze, la disperazione e la fine. Il mare, le montagne, il deserto divengono luogo di nascita e morte, passaggio o sparizione. È il momento dell’esplorazione, della resistenza, della scoperta, di dolore e alterità, di spazi altri, di attesa, di richieste. È l’imprevisto del viaggio. È lo scarto fra la partenza e il luogo di arrivo. Tra l’immaginato e il reale. La meta non prescelta, ma raggiunta.
Il Confine
La frontiera come luogo che divide, come barriera emotiva, economica, giuridica; come momento di estraniazione umana. Che cosa rappresenta la frontiera, non è forse la separazione in due segmenti di una linea in origine unita? Frontiera come occasione di condensazione di molti pieni o territorio vuoto e freddo per sorvegliare e punire?
La Ricerca del Tempo/ Vivere l’Eterotopia
Il viaggio dei rifugiati politici è un viaggio dell’attesa. Attesa come aspettativa, attesa come speranza. Attese accompagnate dall’ansia del dubbio del domani e insieme dalla gioia dell’affrancamento da una catastrofe, per una nuova liberazione di energia. Territorio d’attesa come territorio di instabilità. E non è un tipo di attesa che preannuncia qualcosa di certo. Attendere senza sapere né cosa né quando diventa un atto di fede o di disperazione. Ricordando Paul Virilio ne L’estetica della sparizione: “Il viaggio diviene l’attesa per una meta che non arriva mai. Seguendo un luogo, il viandante sta solo seguendo il tempo. Quindi la ricerca di un luogo diventa la ricerca del tempo, in un sistema privo di qualsiasi stabilità logistica e temporale.” Possiamo pensare ad una misura legislativa che ponga fine a questo perpetuo “En attendant Godot”? Come vivere negli espaces autres, nelle eterotopie?
Abitare
Dal latino habitare, ossia “tenere”, verbo iterativo di habere ovvero “avere”. Ovvero avere un abito. Lo stanziarsi in un territorio straniero comporta la costruzione di una nuova identità, un’integrazione linguistica, culturale, di pensiero e religiosa. Quanto si può o si vuole conservare delle proprie origini e quanto cambiamento è richiesto? Viene questo cambiamento accettato, rifiutato, obbligato? Come abitare questa nuova identità? Come si sviluppa una molteplicità rizomatica, un “Terzo spazio” (E. Soja), quello dell’alterità, dell’ identità meticciata, dove il reale si accoppia con l’immaginario e oltrepassa le frontiere di classe, razza, genere?
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Nation25 è una piattaforma artistica con sede tra Roma e Bruxelles, nata nel 2014 per volontà di un gruppo di curatori, artisti, e professionisti in campo umanitario. Il suo campo di indagine sono gli studi post-coloniali e in particolare il flusso migratorio che sta caratterizzando la scena europea da alcuni anni. Le forme con cui questa indagine viene condotta sono esse stesse nomadi, ibride, e privilegiano lo scambio, il dibattito e il laboratorio rispetto alla soluzione espositiva. Il gesto con cui abbiamo avviato questa discussione è paradossale e immaginativo al tempo stesso: una Nazione liquida, dislocata nello spazio e nel tempo, che porta con sé tutte le possibilità di cui il suo status è capace.
Nation 25 | The Nationless Pavillion
Curatela: Sara Alberani, Elena Abbiatici, Caterina Pecchioli
Comitato scientifico: Gregory Beals, Francesco Martone
da un’idea di: Sara Alberani, Gregory Beals
Partners: Archivio Memorie Migranti, Associazione Isole, BabelMed, Comitato giudizia per i nuovi Desaparacidos nel Mediterraneo, Free Home University, Habeshia Agency per la cooperazione allo sviluppo (A.H.C.S), MAAM Museo dell’altro e dell’altrove, Sale Docks.
Contatti: www.nation25.com – nazione25@gmail.com
Indirizzo S.a.L.E. Docks: Magazzini del Sale, Dorsoduro 265, vicino a Punta della Dogana, Venezia.