Sfera è un film del 1998 diretto da Barry Levinson: Dustin Hoffman impersona il dottor Norman Goodman, psicologo chiamato a far parte di una squadra preparata all’evenienza di un contatto con una civiltà extraterrestre.
ET è un film del 1982 diretto da Steven Spielberg: racconta di un alieno ‘dimenticato’ sulla Terra dai suoi compagni e del suo tentativo di ritorno.
Alien è un film del 1979 diretto da Ridley Scott: tratta delle vicende della specie aliena assassina xenomorfa che si riproduce parassitando altri esseri viventi.
La cinematografia pullula di supposizioni di come potrebbe essere il nostro contatto con altre forme di vita e di come potremmo comunicare con loro. La NASA – National Aeronautics and Space Administration ha rilasciato nel 2014 un ebook intitolato “Archeology, Anthropology and Interstellar Communication”, una sorta di manuale per essere preparati al contatto con la civiltà aliena.
Gli autori si interrogano su come stabilire una comunicazione con un’intelligenza extraterrestre, e paragonano la difficoltà dell’operazione a quella incontrata nel decifrare i geroglifici egiziani o ipotizzare l’utilizzo di antichi manufatti. Per centinaia di anni i geroglifici sono stati considerati linguaggi astratti provvisti di un qualche significato superiore, e alcuni casi esemplari sono stati affrontati con costrutto solo quando gli studiosi si sono emancipati dall’assunto che li teneva bloccati: il comune concetto di lingua. La nostra cultura e le teorie periodicamente in voga tra gli intellettuali spesso funzionano come lenti deformanti, facendoci fraintendere quello che stiamo osservando poiché guardato dal punto di vista sbagliato. La consapevolezza di questo pericolo è di importanza fondamentale nel ridurre il rischio di distorcere e incorrere in errori di interpretazione. Molti scienziati sono concordi nel sostenere che il primo messaggio che formuleremo dovrà essere espresso tramite immagini, essendo il linguaggio iconico l’approccio più diretto che consente di svelare contemporaneamente la ricchezza della nostra cultura. Per promuovere la narrazione interstellare sono state sviluppate narrazioni pittoriche, una sorta di storyboard, destinate ad esprimere concetti, massime e principi capaci di descrivere l’essenza dell’essere umano.
I partecipanti al progetto The Blank TR – Transit Message sono chiamati a considerare cosa significhi oggi “comunicare”, “mandare un messaggio”. La maggior parte delle persone interpellate ha scelto, inconsapevole delle altre risposte che erano state fornite, di esplicitare tramite immagini il suo messaggio.
The Blank TR – Transit Message è un progetto ideato dall’associazione The Blank basato sulla riflessione attorno alla comunicazione contemporanea. TR è un’abbreviazione comunemente usata nel codice morse per indicare Transit Message: – .-.
Mai come nella nostra epoca la comunicazione è stata fluida: si può essere in contatto con l’altro capo del mondo in modalità istantanea attraverso una molteplicità di dispositivi. Eppure, non esiste traccia tangibile di tutta questa incessante serie di conversazioni e contenuti trasferiti e transitati, se non nascosta all’interno delle memorie dei dispositivi o fra i cristalli liquidi dei display.
La diffusione delle informazioni corrisponde a una sua dispersione; l’espansione della potenzialità comunicativa equivale alla sua parcellizzazione.
Precursore delle forme di comunicazioni digitali contemporanee è stato il codice morse, che nella prima metà dell’Ottocento divenne lo standard per la codifica delle informazioni. Il costo di un messaggio telegrafato dipendeva dalla sua lunghezza, per cui vennero escogitati dei codici che sintetizzavano interi messaggi – strategie che hanno continuato ad interessare la nostra contemporaneità fino all’avvento della gratuità della comunicazione.
Si dice che Whatsapp abbia rivoluzionato il modo di scrivere e comunicare: non solo testo, ma anche immagini. Rivoluzionare non è però forse il vocabolo giusto, perché si tratta piuttosto di un ripristino alla comunicazione visuale. Justin H. Smith, docente di filosofia all’università Denis Diderot di Parigi, ha osservato che sembriamo muoverci verso un’era post alfabetica; il linguista britannico Vyv Evans esamina come il fenomeno globale (scatenatosi in Giappone) dell’uso degli emoji sia raffrontabile ad una sorta di ritorno ai geroglifici. Ma un emoji, può veramente essere una parola?
L’Oxford Dictionaries ha eletto come parola dell’anno 2015 “tears of joy”, l’emoji con le lacrime agli occhi dall’ilarità.
La parola dell’anno 2015, quindi, non è una parola.
L’utilizzo delle semplificazioni iconiche impoverisce le nostre capacità linguistiche? Sul lungo periodo, questa tendenza assottiglierà il vocabolario medio dell’individuo?
Ci stiamo disabituando alla ricerca della parola perfetta?
La parola è l’espressione autentica del sentimento: Giacomo Leopardi né lo Zibaldone, officina filosofica e linguistica, raccoglie la distinzione modernissima tra parole e termini. Leopardi oppone i termini che “determinano e definiscono” alle parole che “esprimono un’idea composta di molte parti”. Nella nostra quotidianità gli emoji adempiono un’attività para-linguistica: succedono i gesti e il tono di voce che non possono essere resi a parole. Oggi che le interazioni digitali infuriano, assistiamo ad un ritorno della comunicazione non-verbale che era regnante nella preistoria. Va altresì considerato che la ricerca di simboli universali che permettano di superare le barriere linguistiche è storicamente la chimera di matematici e filosofi. Nel corso dei secoli gli intellettuali si sono cimentati con l’impresa di creare un’ “ideografia”, ovvero un linguaggio pittorico composto da simboli che rappresentino idee (Giuseppe Peano ideò la “Lingua ausiliaria internazionale”, una lingua artificiale creata per la comunicazione tra persone di differenti nazioni. Ausiliaria implica che si tratti di una lingua addizionale, proposta come seconda lingua di tutte le persone al mondo).
Nel 1969 lo scrittore e saggista Vladimir Nabokov, celebre per il romanzo Lolita, venne intervistato per il New York Times. Nel corso dell’intervista il giornalista domandò a che punto avrebbe collocato se stesso all’interno di un’ipotetica classifica di scrittori (viventi e del passato recente). Come risposta, ricevette questa semplice ed elegante spiegazione:
“Spesso penso che dovrebbe esistere un segno tipografico speciale per indicare il sorriso: una sorta di marchio concavo, come una parentesi curva supina, con cui mi piacerebbe ora rispondere alla sua domanda”
Nabokov in quel dialogo intravide un emoticon sorridente che aveva a fare con un sorriso di condiscendenza: una sorta di “sorriso retorico” che ci si dipinge sul volto come risposta chiara a qualche domanda fuori luogo.
L’invadente proliferazione del visuale è liberazione dalla logica della struttura linguistica in favore di una più complessa e sfuggente stratificazione di emozioni, gesti fatti e non mostrati, sentimenti accennati e non adeguatamente comunicati.
Questa visuale stratificazione di contenuti è estremamente vivace, talvolta incomprensibile, per la velocità con cui cambia, ed a tratti irriducibile a definizioni e strutture. E’ una nuova lingua che porta all’estremo una caratteristica fondamentale di ogni lingua che sia contemporaneamente parlata e scritta: essere viva, quindi capace di cambiare, adattarsi, inventare.
La malleabile proliferazione del visuale diventa smisurata ed ingannevole espressione dell’emotività, personale e collettiva, ed anche manipolazione dell’informazione, dando vita ad un ambito grigio che si configura come post-realtà.
Al di là di ogni valutazione positiva o negativa, le modalità di comunicazione contemporanee sono incentrate sul processo piuttosto che sul risultato, sulla produzione piuttosto che sul prodotto, sull’estemporaneità piuttosto che sulla struttura, sul “Transit” piu’ che sul “Message”, in un flusso abnorme che perde traccia e quasi senso di sé stesso. Come perdere sé stessi, trasformarsi e non riconoscersi, dimenticare il proprio nome, diventare qualcosa d’altro che non si conosce ancora.
Il progetto The Blank TR – Transit Message si basa su un protocollo semplice, ma fisso.
E’ stato chiesto ad alcune persone del mondo della cultura internazionale di rispondere alla domanda “What is a Transit Message?”.
La domanda è scritta su un supporto cartaceo, lo stesso su cui va impressa la risposta.
I partecipanti rispediscono il foglio al mittente, provvedendo al suggerimento di un altro partecipante possibile.
I primi partecipanti sono stati individuati fra chi, secondo le curatrici, poteva offrire un punto di vista interessante sull’argomento, un’opinione inusuale su cosa significhi oggi comunicare.
La seconda tranche di partecipanti si è invece venuta a costituire fortuitamente, sulla base di scelte indipendenti dalla volontà delle curatrici. Il materiale raccolto è stato convogliato in una catalogo, disponibile per il download e in un numero limitato di copie cartacee, tutte realizzate con una copertina differente.
Il connubio tra ambito analogico e contesto digitale è decisivo nella collettività venutasi a creare attorno a The Blank TR – Transit Message. Dietro le pagine del catalogo ci sono fiumi di inchiostro virtuale, minuti e minuti di conversazioni skype, chiacchiere telefoniche, incontri virtuali e fisici con persone invitate a partecipare e molto altro che ora è svanito. È un bene realizzare un catalogo a fine di qualcosa, perché in seguito tutto quello che è successo comincia a rarefarsi.
Si assottiglia pian piano la memoria di tutto il lavoro: i dettagli, le sfumature, le minuzie più delicate che avvengono in fieri, durante lo svolgimento.
Questa è l’epoca degli ultimi accessi in cui il ritardo di una risposta diventa una palude e la mancata risposta un abisso, come nota Ambra Ferrari nella sua answer.
Come si poteva vivere senza telefoni?
Che genere di fede si doveva avere nell’altro quando ti separavi sapendo che non ci si sarebbe sentiti per settimane, mesi o addirittura anni?
L’attesa oggi ci affligge: in Matrix Neo e Trinity si servono delle cabine del telefono per delocalizzarsi dalla realtà alla realtà virtuale. Noi nel telefono non scompariamo, ma è come se lo facessimo, immergendoci in schermi di telefoni, tablet e pc per essere connessi all’altro.
L’Eletto è lo strumento di cui ci serviamo, non definito dalle sua qualità reali, ma dal suo ruolo straordinario di transfert. La persona che vediamo nello schermo durante una chiamata skype non è la persona, eppure è il più potente surrogato possibile della fisicità, ben oltre i limiti statici e bidimensionali della fotografia o della cullante voce del nostro caro attraverso la cornetta. È l’inganno surrealista di “Ceci n’est pas un pipe”.
Gian Antonio Gilli nella sua risposta propone la definizione “patologia del messaggio” a fronte della sua riflessione sulla leggenda-mito di Palamede: “La domanda ‘What is a Transit Message?’ suscita oggi, quasi inevitabilmente, risposte ottimistiche che fanno riferimento all’azzeramento delle distanze e alla fluidità e velocità del sistema comunicativo. Ci si può chiedere, tuttavia, se sia sempre stato così, se non vi siano stati sospetti o cautele sul messaggio, sul suo contenuto, sulla possibile ambiguità dei destinatari”
È vero che oggi si ha una rocciosa fiducia nella comunicazione e nelle piattaforme di cui possiamo servirci per trasmettere ed informarci. È generazionale: nella stragrande maggioranza dove una madre pensa di chiedere un consiglio o di consultare l’enciclopedia, il figlio impugna il telefono.
Ad un bambino nato nel 2010 risulta automatico toccare uno schermo per ingrandire un’immagine: è la differenza dibattuta tra nativi digitali e immigrati digitali, che per quanto controversa è una teoria che offre notevoli spunti di riflessione.
“L’unica salvezza è che le dita battano su superfici vuote, prive di lettere da picchiettare. Solo il gesto, fuori dal codice” dichiara nella sua risposta Antonio Rezza alludendo, forse, ad un ripristino della fisicità senza il condizionamento del mezzo.
E da questo si potrebbe dipanare un testo infinito, che dalla collaborazione tra due amiche ha portato alla creazione di una piccola comunità, prima digitale, poi trasferita su carta e di seguito nuovamente transitata per una piattaforma virtuale. Ad ogni passaggio la collettività raccoglie e perde adesioni, esemplificando come il network sia non il messaggio, bensì il Transit Message.
The Blank TR – Transit Message è un progetto a cura di Claudia Santeroni e Olga Vanoncini strutturato tramite l’associazione culturale The Blank Contemporary Art, di base a Bergamo (www.theblank.it). I partecipanti al progetto sono stati, sino ad oggi: Enrico Ghezzi, Nadeem Karkabi, Vincenzo Latronico, Claudia Losi, Davide Luca, Flavia Mastrella, Danni Meyerson, Neve Mazzoleni, Nirith Nelson, Liliana Orbach, Antonio Rezza, Noam Segal, Gabriela Vainsencher, Chiara Vecchiarelli, Sarah Victoria Barberis, Noa Charuvi, Matteo Di Napoli, Ambra Ferrari, Doron Furman, Talia Hassid Furman, Gian Antonio Gilli, Jennifer Muñoz, Michele Napoli e Petra Aprile, David Nguyen, David Reimondo, Saverio Tonoli Adamo.
The Blank TR – Transit Message è realizzato con l’indispensabile collaborazione di Eva Rota, assistente di Coordinamento di The Blank Contemporary Art. L’immagine coordinata del progetta è stata ideata da Studio Temp (www.madeintemp.com).
The Blank Contemporary Art è stato premiato nella sezione i7 – independent spaces di ArtVerona 2016 presentando il progetto The Blank TR – Transit Message.
Durante The Blank ArtDate 2017, a Bergamo, è stata realizzata presso l’ex-libreria ARS una mostra con le risposte ottenute dal progetto The Blank TR – Transit Message, comprendente un’installazione site-specific di Flavia Mastrella, ed è stato presentato il catalogo “What is a Transit Message – The Blank TR”.
Claudia Santeroni è una curatrice nata nel 1985 a Roma, Italia. Vive a lavora a Bergamo. Laurea magistrale in DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e laurea specialistica in Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Coordinatrice di The Blank Contemporary Art e manager di OG Studio, Bergamo.
Olga Vanoncini è un’artista visiva ed una specialista d’arte contemporanea nata nel 1978 a Bergamo, Italia. Vive e lavora a Tel Aviv, Israele, dal 2014, ed a Bergamo. Laurea magistrale in Belle Arti all’Accademia di Belle Arti Carrara, Bergamo, e laurea triennale in Filosofia all’Università degli Studi di Milano. Ex professore all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia, Brescia. Artista al largo ed ex coordinatrice di The Blank Contemporary Art, Bergamo. Il suo progetto Crossing the Blue/Live viene realizzato a Tel Aviv dal 2015 (Salon Talks ad Artspace Tel Aviv ed Elifelet ONG per bambini rifugiati).