La cartella stampa della 55 Esposizione Internazionale d’Arte, la Biennale di Venezia contiene un allegato che riporta “Le superfici utilizzate dalla Biennale di Venezia”: dai 46.000 mq (tra superfici coperte e scoperte) dell’Arsenale ai 50.000 mq dei Giardini. Una biennale in cui i numeri contano e si fanno contare: delle 88 partecipazioni nazionali della 55 Esposizione Internazionale d’Arte, 28 sono state collocate nei giardini, 24 in Arsenale, 36 nella città di Venezia a cui si aggiungono 47 Eventi Collaterali in città. E ancora leggiamo all’interno del comunicato stampa: “Il palazzo Enciclopedico forma un unico percorso espositivo che si articola dal padiglione Centrale (Giardini) all’Arsenale, con opere che spaziano dall’inizio del secolo scorso ad oggi, e con molte nuove produzioni, includendo più di 150 artisti provenienti da 38 nazioni.” Sono 10 i Paesi presenti per la prima volta in Biennale: Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Repubblica della Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Paraguay e Tuvalu. A questi occorre aggiungere il Padiglione della Santa Sede, dunque l’undicesimo.
La Biennale di Venezia, inutile dirlo, continua ad essere nell’immaginario uno degli eventi internazionali con maggiore ripercussione a livello internazionale nel sistema dell’arte contemporanea. A caratterizzarla è soprattutto la storicità in essa racchiusa: è la prima Esposizione Biennale d’Arte nel mondo, a partire da quel lontano 1893 in cui il sindaco Riccardo Selvatico e la sua amministrazione diede avvio all’iniziativa.
Attraverso una processualità ed una metodologia del tutto differente, Lara Almarcegui, selezionata dal curatore Octavio Zaya per il Padiglione della Spagna, e Alfredo Jaar, rappresentante indiscusso del padiglione cileno, attivano una riflessione intorno a tale storicità, punto fermo ormai da circa 150 anni. Una storia fatta di rigide inclusioni e quindi implicitamente esclusioni nazionali, evoluzioni, traguardi: la Biennale come un traguardo al quale “arrivare” per essere collocati in un presente e conseguentemente in una storicità implicita nel circuito dell’arte contemporanea.
Alfredo Jaar, attraverso l’installazione Venezia, Venezia, riflette e fa riflettere sulla storia della Biennale di Venezia, un organizzato sistema di esposizioni basato su criteri esclusivamente nazionalistici e geografici.
Scrive Adriana Valdés, curatrice del catalogo Venezia, Venezia1 nell’apparato dal titolo Questo non è il Cile da cui trae ispirazione il titolo di questo articolo: “Venezia, Venezia inizia con l’Esposizione della fotografia di Lucio Fontana nelle rovine del suo studio nel 1947: bombardato durante la guerra, l’edificio che ospitava lo studio dell’artista non esiste più. I Giardini, al contrario, sono ancora pronti per le foto, incolumi: non furono distrutti dalle bombe, non riflettono né la sconfitta dell’Italia, né quella dei suoi alleati e in essi, ad esempio, i Padiglioni della Germania, del Regno Unito e degli Stati Uniti D’America si trovano su uno stesso piano, tanto vicini come prima della guerra e ugualmente dominanti, senza sbilanciamenti.”
Gallery Cartella AJ
Alfredo Jaar
Pavilion of Chile
55th International Art Exhibition
La Biennale di Venezia
Alfredo Jaar
Venezia, Venezia 2013
Lightbox whit black and white transparency
Photograph: Milan, 1946: Lucio Fontana visits his studio
on his return from Argentina Archivi Farabola
244 cm x 244 cm x 18 cm
Metal pool, 1:60 resin model of Giardini, hydraulic system
100 cm x 500 cm x 500 cm
Wood structure, metal
100 cm x 1600 cm x 1400 cm
Photography: Agostino Osio
Il Padiglione del Cile è ospitato nelle Artiglierie dell’Arsenale, non “possiede” infatti alcun padiglione storico. E’ una vera sorpresa per lo spettatore che si imbatte dapprima nella fotografia di Lucio Fontana sospesa al soffitto, per poi arrivare attraverso un piano rialzato, una sorta di piccolo ponte, al cuore dell’opera: una vasca metallica di 5 metri per 5 metri, piena d’acqua. Per circa tre minuti l’acqua è ferma e non si vede nulla, poi lentamente emerge un plastico architettonico in scala 1:60 dei 28 padiglioni nazionali dei Giardini della Biennale. Nel corso dell’esposizione, il modellino dei Giardini salirà e scenderà 24.860 volte.
L’acqua ha una strana sfumatura di verde, che rimanda subito a quella del canale veneziano. La vista dei modellini dei vari padiglioni suggerisce un effetto di spiazzamento. Vengono immersi nell’acqua per poi riemergere con grande sorpresa in un susseguirsi di vortici e piccoli tornanti. L’acqua è l’elemento predominante e caratterizzante della città di Venezia. L’acqua che ingloba e nasconde, ma successivamente restituisce. Alfredo Jaar annega il sistema costituente della biennale per poi restituircelo, ma non dopo aver attivato nello spettatore una riflessione sulla sua costruzione ormai inattuale, sulla sua immobile presenza “stazionaria” da oltre un secolo. Nella zona dei Giardini sono infatti presenti i padiglioni delle nazioni che avevano un ruolo decisivo prima del conflitto mondiale. Ciascun padiglione ha il suo stile e rivendica la sua presenza non solo estetica ma anche politica e sociale, oggi come allora. Il punto focale e di origine della riflessione è la fotografia di Lucio Fontana immortalato in un momento di transizione di un’Italia distrutta dal conflitto mondiale, ma poi rinata grazie all’attività di alcuni intellettuali fra cui in prima linea vi è proprio lo stesso artista2.
E’ dunque un’operazione concettuale e artistica che resiste nonostante un disfacimento culturale, che sorpassa a grande velocità ciò che istintivamente fanno altri padiglioni utilizzando lo spazio per mettere in mostra l’apice del proprio sistema culturale contemporaneo con artisti di punta senza alcuna declinazione critica. Per Alfredo Jaar, architetto di formazione e film-maker, l’arte è prima di tutto un ambito di riflessione politico. Lo è sempre stato già dagli anni della sua formazione durante la dittatura militare di Pinochet, che lo porterà a produrre diversi lavori esplicitamente critici rispetto al regime. Basti pensare al progetto pubblico Domande, Domande parallelo alla mostra It is difficult, allestita presso l’Hangar Bicocca nel 2009 e calibrato sulla città di Milano a partire dal più vasto progetto Questions, Questions. Utilizzando l’affissione pubblica e adottando modalità e supporti della pubblicità, Alfredo Jaar “insinuerà” nella città una serie di domande su sistema culturale italiano: Cos’è la cultura? Cultura dove sei? La cultura è critica sociale? La cultura è necessaria? La cultura è politica? La religione è cultura? La cultura dell’emergenza. Abbiamo dimenticato la cultura? Alla ricerca della cultura a Milano. Alla ricerca di Gramsci a Milano. Alla ricerca di Pasolini a Milano. Quali sono le responsabilità della cultura? L’intellettuale è inutile? La politica ha bisogno della cultura? La cultura fa volare l’Italia?
L’arte può e deve sfruttare tali spazi di visibilità massima per attivare una riflessione intorno a ciò che può risultare problematico all’interno del suo stesso sistema. Come il padiglione del Cile, anche il Padiglione Spagnolo sceglie di utilizzare il proprio spazio all’insegna della riflessione su e intorno a Venezia e alla Biennale. L’artista Lara Almarcegui, come Alfredo Jaar, non parla direttamente della Spagna e non mette in conto di farlo. Sceglie di non declinare in alcun modo la propria “nazionalità”, ma di dare il proprio punto di vista, ancora una volta, raccontando la storia di quei padiglioni nati circa 150 anni fa con la prima esposizione nazionale.
Laura Almarcegui, Spanish Pavilion.
La Biennale di Venezia, May 2013
Accedendo al Padiglione della Spagna, una grande installazione ostruisce il passaggio dei fruitori all’interno dello spazio. L’artista negozia questo spazio realizzando un site specific di un’operazione artistica già messa in atto in altre città come Londra, Beirut o Vienna. Nel caso dell’intervento in Biennale possiamo ben parlare di uso di Materiali Costruttivi: lo spazio del padiglione è de-costruito e restituito attraverso cumuli di diversi materiali edilizi, corrispondenti per tipologia e misura agli stessi che furono impiegati per erigere l’edificio originale. L’installazione interagisce e riprende quindi i materiali dell’architettura del padiglione costruito da Javier de Luque nel 1922.
L’accesso diretto allo spazio è infatti quasi impossibile in quanto la sala centrale è una grande montagna composta da detriti di cemento, tegole e mattoni trasformati in ghiaia. Nelle sale perimetrali sono posizionate altre montagne più piccole, composte viceversa da un solo materiale (segatura, vetro e una miscela di scorie e cenere d’acciaio). Il fruitore può solo girare intorno a tutto ciò, alla ricerca di un passaggio, interrogandosi sulla provenienza degli scarti. Spiega l’artista: “I materiali provengono da resti di demolizioni che, dopo essere stati sottoposti a un processo di riciclaggio, sono stati trasformati in ghiaia attraverso il sistema di trattamento dei materiali attualmente utilizzato a Venezia”. Si scopre così che, parallelamente, Almarcegui ha svolto una ricerca su uno spazio inutilizzato adiacente all’isola di Murano, ovvero l’isola artificiale chiamata Sacca San Mattia, formatasi attraverso l’accumulo di materiali dell’attività edilizia e da scarti di produzione del vetro dell’isola di Murano. Il progetto consiste nella realizzazione ultima di una Guida di Sacca San Mattia, l’isola abbandonata di Murano, Venezia, una ricerca che interessa lo studio del terreno e la formazione dell’anomala isola, un’antica discarica abbandonata creata nella prima metà del ‘900 con una superficie di 26 ettari non edificati (lo spazio vuoto disponibile più esteso di Venezia, caratteristica che dà luogo a speculazioni di ogni genere).
L’artista riflette, in un processo di conoscenza e di inclusioni fra interno ed esterno, su elementi e aree marginali nell’ambito della complessità della nostra realtà urbana. Una visione dell’architettura e dell’urbanistica, come per Alfredo Jaar che, all’interno della propria dimensione storica, assume una dimensione politica e sociale.
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1 Il catalogo è pubblicato da Actar (Barcellona), 2013.
2 Per un approfondimento, consiglio la lettura dell’intervista Biennale Venezia, il cileno Alfredo Jaar: <<Immaginiamo un mondo diverso>>, a cura di Valentina Bruschi pubblicato su Il Messaggero.it al seguente link:
http://www.ilmessaggero.it/cultura/mostre/alfredo_jaar_biennale_venezia_cile/notizie/287442.shtml