SPECIALE 55ma BIENNALE DI VENEZIA
Madeleine. Fabio Mauri e Flavio Favelli alla 55ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia
di Emanuela Murro

Alla 55ma Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, nel Padiglione Italia, curato da Bartolomeo Pietromarchi, quattordici artisti dialogano in un percorso tematico articolato in sette ambienti.
Il rapporto con la Storia – e con il Corpo – è affidato alle opere di Fabio Mauri e Francesco Arena.
L’opera di Francesco Arena (quattro “torri” alte sette metri circa e riempite con una quantità di terra pari al numero di cadaveri sepolti nelle fosse comuni di quattro località in Spagna, Italia, Serbia e Kosovo, moltiplicato per il peso dello stesso Arena), fa da cornice alla ri-presentazione di Ideologia e Natura di Fabio Mauri.

Fabio Mauri, Ideologia e Natura (1973)
performance
Photo: Emanuela Murro

Fabio Mauri, Ideologia e Natura (1973)
performance
Photo: Emanuela Murro

Fabio Mauri, Ideologia e Natura (1973) – Francesco Arena, La massa sepolta (2013)
performance e installazione (terra, legno, cemento, metallo)
Photo: Emanuela Murro

Nella performance, presentata per la prima volta nel 1973 alla Galleria Duemila di Bologna, una ragazza che indossa la divisa di Piccola Italiana si spoglia e si riveste lentamente. La ritualità dei gesti, per l’intera durata dell’azione, sembra non seguire un ordine logico, mostrando i paradossi e l’assurdità di un’ideologia (come quella fascista) che attraverso la drammatizzazione della politica rappresentata nei culti di massa, costruiva l’immagine di una nazione gerarchicamente organizzata.
L’opera di Fabio Mauri è attraversata da una riflessione sul passato, in cui si intrecciano memoria storica e vicende personali, spesso dolorose. Il Secondo Conflitto Mondiale, il Fascismo, la follia Nazista hanno influito sulla sua poetica, rivelandosi nella sua pratica artistica. “La memoria sa, ma non ricorda di sé il tracciato per cui si costituisce memoria
di senso. E si autorizza infine quale memoria di coscienza
1.
Fin dalle sue prime installazioni,(Che cos’è il fascismo, presentata il 2 aprile 1971 presso gli studi Safa Palatino a Roma o Ebrea presentata per la prima volta nell’ottobre del 1971 alla galleria Barozzi di Venezia) Mauri intende attivare la coscienza del fruitore, di provocare in esso cioè non un semplice rifiuto, ma soprattutto una re-azione critica nei confronti di false ideologie, le quali danno un’idea mistificata del mondo e ne mascherano le potenzialità distruttive. Fabio Mauri si confronta con l’urgenza della memoria, e con la curiosità che lo caratterizzava, con la Storia, nella sua opera tenace di sollevare il “velo di Maia”, che il tempo usa per coprire le proprie nefandezze e ritrovare, così, la possibilità di riscatto.
Nella sala adiacente, dialogano sul binomio familiare/estraneo (e sul rapporto tra cultura popolare e autobiografia) due delle dodici opere realizzate site specific: l’installazione di Marcello Maloberti (composta da un monolite di marmo di Carrara su cui quattro figuranti alzano ed abbassano dei teli da mare, intorno a cui circa cinquanta figuranti indossano altrettanti tavoli di legno) e La Cupola di Flavio Favelli.
Accompagnata da Rome Bone China (undici piatti decorati dall’artista con decalcomanie ricavate da vecchie cartoline raffiguranti la cupola della basilica di San Pietro realizzate su piatti di ceramica), La Cupola è una monumentale costruzione in legno, lamine metalliche, vetro e neon, ricavata da una vecchia cassa armonica – gazebo trovata in Salento, attraverso cui l’artista condivide uno dei propri ricordi d’infanzia.


Flavio Favelli, La Cupola (2013)
lamine metalliche, legno, vetri, neon
Photo: Emanuela Murro

Flavio Favelli, Rome bone China (2013)
decalcomanie su piatti trovati
Photo: Emanuela Murro

Al centro dell’opera di Flavio Favelli c’è soprattutto il suo passato, la sua storia, attraverso la sperimentazione di linguaggi e materiali: “[…]oggetti che assemblo e risistemo, oggetti di un mio mondo borghese occidentale che sta finendo. Ho pensato che posso rallentare questo processo con le mie opere, ma è una questione personale. Spesso mi accusano di voltarmi sempre indietro, ma qualcuno lo deve pure fare, questo sporco lavoro, e poi sono già in tanti a guardare dannatamente all’oggi.2.
Tracce della propria memoria che vengono materializzate attraverso arredi capaci di raccontare un tempo che è, però, soprattutto privato. Flavio Favelli cresce negli anni Settanta e dunque attraversa gli anni più cupi della Repubblica Italiana, ma non è il fatto politico, l’evento storico a smuovere il suo interesse, quanto piuttosto l’impressione che questo ha prodotto sulla sua formazione. Lo sguardo di Favelli verso il passato è dunque sempre solitario.
Proustianamente, il nucleo di tale manipolazione di oggetti e di linguaggi è la volontà di analizzare l’ingranaggio della memoria, della forza dei ricordi e il loro rapporto con la storia collettiva.

Ricordare è ri-creare.

Anche Flavio Favelli non ci fornisce nessuna chiave di lettura delle sue installazione e/o dei suoi ambienti, poiché entrano in gioco le logiche private dei ricordi e della sensibilità di ciascuno.
Entrambi – Fabio Mauri e Flavio Favelli – ci dicono come, probabilmente, senza scavare nel nostro orrido (banale e quotidiano) non c’è storia, né futuro.

“Ciò che rammentiamo della nostra condotta resta ignorato dal nostro vicino più prossimo; ciò che dimentichiamo di aver detto, anzi ciò che non abbiamo detto, provocherà l’ilarità addirittura in un altro pianeta, e l’immagine che gli altri si fanno delle nostre azioni e dei nostri gesti non assomiglia a quella che ce ne facciamo noi stessi, più di quanto non assomigli a un disegno un qualche ricalco mal fatto in cui talvolta a un tratto nero corrisponde uno spazio vuoto, e a una parte bianca, un contorno inesplicabile.3

A ben guardare anche Tzvetan Todorov, ne “Gli abusi della memoria” sottolinea come la memoria non rappresenti la dimenticanza, bensì un insieme di ricordo e oblio: “I due termini in contrasto sono la cancellazione (l’oblio) e la conservazione; la memoria, sempre e necessariamente, è un’interazione fra i due. La resa integrale del passato è una cosa impossibile (ma che un Borges ha immaginato nella sua storia di Funes el memorioso) e, d’altronde, spaventosa; quanto alla memoria, è giocoforza una selezione: alcuni aspetti dell’avvenimento saranno conservati, altri immediatamente o progressivamente scartati, e quindi dimenticati”4.
In questo saggio egli distingue, inoltre, un uso letterale e uso esemplare della memoria. Nel primo caso, l’avvenimento doloroso viene conservato nitidamente e questo lo rende “inenarrabile”. Come per il mnemonista di Borges che simbolicamente muore sopraffatto dal peso dei suoi ricordi, questa condizione conduce all’isolamento e all’incomunicabilità.
Il secondo, invece, consente di appropriarsi del passato e servirsene in funzione del presente.
Bisogna raccontare per ricordare.
Parlare di questi due artisti non è affatto semplice.
Una bizzarra conversazione sulla sovraesposizione dei due artisti, ascoltata per caso camminando attraverso l’Arsenale mi ha portato ad una riflessione.
Può davvero giovare la riscoperta tardiva di un artista come Fabio Mauri, “ormai esposto ovunque”– e l’opera di Flavio Favelli che – continuando a citare dalla conversazione suddetta – “fa troppe mostre”?
Herbert Marcuse scrive: “Come strumento di opposizione, l’arte dipende dalla forza alienante della creazione estetica; dal suo potere di rimanere insolita, antagonistica, trascendente rispetto alla normalità e, nello stesso tempo, di costituire la riserva dei bisogni umani soppressi, delle sue facoltà  e dei suoi desideri, di rimanere più reale della realtà.5
Personalmente credo che l’arte debba ri-appropriarsi della sua funzione di demiurgo, facendo da collegamento tra la società e le coscienze, riacquistando una direzione etica, tralasciata troppo spesso a favore di un estetismo fine a se stesso ( “quando tutto è arte, niente è arte”).6
Chi scrive è fermamente – e forse utopisticamente – convinta  che essa (e chiunque si muova in questo ambito) debba essere responsabile, e in quanto tale, facilitare cambiamenti culturali. Attraversiamo un momento di profondo disincanto e, a mio avviso, si percepisce una forte necessità di un’arte che fornisca impulsi, che stimoli riflessioni e che metta in luce tematiche spesso rimosse. Negli ultimi anni, siamo stati spettatori delle più disparate strategie di omissione, spostamento, revisione, strumentalizzazione degli avvenimenti più tragici della nostra storia e in questo senso i lavori di Fabio Mauri e di Flavio Favelli rappresentano, secondo me, una decisiva presa di coscienza delle trame importanti della memoria collettiva, costringendoci a ri-pensare la storia: “[…] riaffrontare il rimosso, dunque, è la mia tecnica o tendenza, confidando che una memoria di idee del tempo risulti efficace per la storia dei fatti, più lacunosi in genere, dei motivi che sul serio li generano.”7


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1 F. Mauri  – “Scritti in mostra. L’avanguardia come zona 1958-2008”, Ed. Il Saggiatore, Milano 2008.
2 F. Favelli, “Flavio Favelli” in La Repubblica, 13 Marzo 2013.
3 M. Proust; “ Le Côté de Guermantes” in “À la recherche du temps perdu”; trad.N.Ginzburg, “I Guermantes” in “Alla ricerca del tempo perduto”, Giulio Einaudi Ed. Torino 1991.
4 T. Todorov- “Les abus de la mémoire” ; trad. A. Cavicchia Scalamonti, “Gli abusi della memoria”, Ipermedium Libri, Napoli 1996.
5 H. Marcuse – “Some remarks on Aragon: Art and Politics in the totalitarian era.” (1945); trad. R. Laudani, “Note su Aragon. Arte e politica nell’Era totalitaria” in “Davanti al nazismo. Scritti di teoria critica 1940-1948”,  Laterza, Bari  2001.
6 Cfr. Bruno Munari – Munari 80: a un millimetro da me. Teoremi, brustoline e disegni al telefono, Ed. V. Scheiwiller, Milano 1987.
7 F. Mauri; Ibidem.

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Emanuela Murro si forma a L’Aquila dove studia Lingue e Letterature Straniere. Ha fatto numerose esperienze lavorative all’estero, specialmente nell’organizzazione di eventi. Si occupa da tempo, assieme all’archeologo Giovanni Murro, di Storia della Seconda Guerra Mondiale, con particolare attenzione a quella del II Corpo d’Armata Polacco (cosiddetta Anders’ Army) dal periodo formativo all’arrivo in Italia, e dei movimenti di Resistenza in Italia e in Europa. Coltiva la tara genetica della Fotografia, l’interesse per gli aspetti antropologici del Teatro Contemporaneo. La sua ricerca nell’Arte Contemporanea verte particolarmente sull’aspetto rappresentativo e performativo, e sulla sua documentazione.