Un luogo è dunque una configurazione istantanea di posizioni1.
È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente di programmi conflittuali o di prossimità contrattuale. […] In breve: lo spazio è un luogo praticato2.
Lo spazio vuoto non esiste / non c’è spazio senza movimento / non c’è movimento senza spazio.
La perdita di verticalità ha effetti dinamici. I limiti di equilibrio si superano, la caduta è imminente perché qualcosa sta per fallire, forse è proprio il senso di equilibrio.
L’estensione dei movimenti delle danzatrici, il loro blocco, il loro ritmo, sono anche i nostri, in un crescendo che segue i vari momenti della scena.
Parafrasando Georges Perec «Questi sono spazi fragili: il tempo li consumerà, li distruggerà, poiché esistono solo grazie alla nostra azione, che in ogni momento li individua e li designa. Non sono i miei spazi, ma posso conquistarli di volta in volta».
Silvia Calvarese
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Più che presente, continuamente attuale è il tempo scelto dal progetto coreografico di sistemi dinamici altamente instabili.
Il momento dello spettacolo è l’occasione per lasciare riemergere il percorso di ricerca, la faticosa selezione delle materie corporee e dei materiali coreografici. Il danzatore prepara la propria condizione alla scena nell’ottica di rivivere le necessità creative e i presupposti poetici nel momento presente, nell’attimo di ogni azione per lanciarsi alla scoperta di nuove dinamiche fisiche ed emotive in mutazione. Il corpo è al centro della ricerca, diventa il luogo dell’indagine dinamica che trascende le possibilità fisiologiche e organiche per addentrarsi fra materie estranee. Il tempo futuro del possibile è l’incognita attesa alla quale si arrende la consapevolezza per lasciare spazio all’eccesso di una sensorialità che diventa conoscenza.
Calpestare la scena significa spingere in avanti la ricerca coreografica che prima d’ogni altra cosa è esperienza, sperimentazione e gestione di stimoli e variabili inattese. Imperdibile momento in cui corpo e pensiero sono esposti, ceduti allo sguardo. La qualità della presenza del corpo che si offre allo sguardo sulla scena e la mutazione necessaria di questo corpo che perde la quotidianità elementare per trasformarsi e generare la realtà altra che è coreografica, delineano il campo d’azione di sistemi dinamici altamente instabili.
Il singolo si percepisce parte dell’intero e l’opera svela il senso delle relazioni fra ogni elemento ammesso. Il corpo si lascia attraversare dalla danza aprendo la propria percezione al di là dei propri limiti, verso l’altro, verso uno spazio di relazione che allerta la sensibilità e la coscienza. E’ difficile parlare nel nostro lavoro di rappresentazione dello spettacolo, di esecuzione della coreografia, non c’è un contenuto drammaturgico di senso da comunicare, tutto ruota intorno all’atto, all’azione attuale della danza. La scelta è per una coreografia non narrativa, la partitura segna un preciso tracciato cui attenersi per realizzare l’apparire dell’ambiente della danza che resta astratta. Il corpo resta libero, nella fiducia che possa rigenerare con sorpresa ed onestà intime, i mondi di riferimento indagati e scelti per il processo coreografico che si presenta in scena (lo spettacolo).
L’improvvisazione ha un ruolo preponderante non solo nella ricerca dei materiali dinamici e coreografici ma anche perché è compresa fra le possibilità della partitura coreografica, una griglia ritmica serrata che garantisce i cambi di ambiente e di materia senza fissare strutture o sequenze di movimento. Il segno o il gesto sono spostati nel campo dell’azione. Agire costruendo le coordinate di lettura per questa dinamica astratta che precipita l’osservatore per immersione in un luogo altro, è compito del corpo.
L’urgenza, in questo momento, è quella di accettare nella pratica della scena, proprio nel momento della (rap)presentazione, questo principio di immediata valutazione delle variabili senza operare delle scelte obbligate. La realizzazione coreografica trova nuovi modi di esporre l’evoluzione della ricerca, scoprendone di volta in volta modalità e operatività differenti, per permanere nella dinamica del mutamento, senza bloccare arbitrariamente il processo in trasformazione.
La dilatazione dei tempi, la visione per piani giustapposti lasciano spazio a ciò che sta fra il mobile e l’immobile, alla distanza che ne separa le differenti peculiarità (per il corpo agente e per la percezione dell’osservatore) e al gesto di transizione che qualifica il passaggio da una all’altra condizione.
L’interesse per l’invisibile percorre tutta l’arte contemporanea e la coreografia oggi s’interroga sui modi per evidenziare ciò che sta al margine, l’aspetto residuale delle azioni in rapporto agli spazi fra i corpi e alle modalità di percezione. Il corpo è irrinunciabile, lo spettacolo dal vivo è l’emozione della condivisione di un momento indimenticabile. La comunicazione, quindi l’esperienza, passano attraverso l’energia che il corpo libera nel momento presente dell’azione attuale. Bisogna esserci per poterne godere.
Se chi guarda cerca di conoscere e non di riconoscere, se l’occhio dell’osservatore riesce a lasciarsi impressionare per scoprirsi nuovo, trasformato e contaminato dalla visione, allora appare chiaro il mondo e le regole in cui si muovono i nuovi (nostri) corpi.
Resta fondamentale la magia propria del teatro, non nel senso di sfruttarne le convenzioni costruttive o percettive, ma nel senso di costruire un extraquotidiano che sposta altrove, in una extraterritorialità dalla quale si torna trasformati una volta che si riaccendono le luci di sala.
Il gruppo lavora a Roma da più di dieci anni, animato da Alessandra Sini e Antonella Sini. Nel tempo si sono susseguite diverse collaborazioni. La formazione attuale per lo spettacolo Cruor_errore, l’ultima produzione in scena al Teatro India di Roma per il Festival Short Theatre il 12 settembre, include Pamela Caschetto, Simona Lobefaro, Laura Lupi e Valeria Pediglieri. Il lavoro di ricerca si svolge in sala prove e coinvolge oltre ai danzatori anche altri collaboratori: il suono, rigorosamente elettronico ed originale, da qualche anno è eseguito live da Stefano Montinaro; gli abiti sono creati con Francesca Sassi; le luci sono disegnate per quest’occasione da Martin Beeretz.