§afrofuturismo
Soul of the sea:
le ibridazioni postumane e l’immaginario sommerso dei Drexciya
di Michele Di Stasi

Could it be possible for humans to breath underwater? (…) Are Drexciyans water breathing, aquatically mutated descendants of those unfortunate victims of human greed? Have they been spared by God to teach us or terrorise us? Did they migrate from the Gulf of Mexico to the Mississippi river basin and on to the great lakes of Michigan? Do they walk among us? Are they more advanced than us and why do they make their strange music? What is their Quest? These are many of the questions that you don’t know and never will. The end of one thing… and the beginning of another.
Out – The Unknown Writer
Drexciya, Note di copertina di The Quest, 1997

Nel vasto bacino dell’immaginario afrofuturista, un posto di riguardo è occupato dalla figura di due abitanti delle acque profonde, i Drexciya, progetto musicale formato da Gerald Donald e James Stinson [1], riconducibili alla cosiddetta “second wave of Detroit techno”.
Attraverso un grande lavoro di produzione su più piani, il duo è stato capace di creare, alla luce della definizione di sonic fiction (Eshun, 1998/a), quella che possiamo chiamare mitologia sonica, ovvero un corpus di codici, linguaggi e segni che, dallo spazio sonoro, si dirama verso altri territori, creando zone d’intensità e concatenamenti con questi [2], rompendo e dissolvendo semiotiche già cristallizzate e incapaci di produrre nuove forme di narrazione e di significazione.
Lo ricorda lo stesso Stinson in un’intervista con Andrew Duke quando afferma che: «Devi avere tutte le dimensioni, quella visuale, quella sonica e devi avere una proposta – un concept – per renderlo reale. Così, appena trasportati nel mondo di Drexciya e della sua gente e di come vivono le loro vite a Drexciya, sai, inserisci l’elemento acquatico, che è l’elemento base per la vita in qualsiasi epoca»[3] (Duke, 1999).
Se l’acqua, è effettivamente l’elemento che accomuna e contraddistingue tutta la produzione drexciyana, non è però semplice ricostruire una cartografia del loro immaginario in quanto, oltre alla scelta – non casuale – di apparire il meno possibile e sempre attraverso canali ben selezionati, vi è una penuria di informazioni relativa a numerose zone di questa mappa che, nel tempo, stanno venendo colmate dal lavoro di ricerca svolto dal Drexciya Research Lab[4] o dalla produzione visuale di collaboratori di lunga data della scena techno detroitiana come Abdul Qadim Haqq con il suo The Book of Drexciya (in uscita alla fine del 2019).
È possibile però iniziare questo lavoro di ricognizione dell’immaginario afrofuturista drexciyano attraverso le tracce che sono state oculatamente lasciate nella dimensione che più di altre, come ben ricordato da Attimonelli, rappresenta il cuore pulsante del genere e che è a sua volta condensata nel medium e oggetto di culto sul quale vengono impressi messaggi e codici rinvenibili dai suoi fan: il vinile e la sua copertina, supporti «a due dimensioni […] che, in realtà, se osservati dall’alto o di lato, rivelano l’assemblaggio di strati di segni e suoni provenienti da infinite fonti» (Attimonelli 2018, p. 244).

Sin dalla loro prima produzione, l’EP Deep Sea Dweller (1992), è possibile individuare una profonda differenza che separa i Drexciya dall’immaginario afrofuturista precedentemente elaborato da altri artisti – da Sun-Ra, passando per Herbie Hancock, sino a George Clinton – e che apre nuove possibilità nel campo sonico-visuale. L’oceano, il tópos in cui ha avuto origine la florida civiltà drexciyana, rappresenta una decisa inversione rispetto al precedente escapismo spaziale afrofuturista, in quanto l’oceano diviene – almeno nei primi anni della produzione drexciyana – il luogo fondativo di questa civiltà mitologica e, allo stesso tempo, la meta da raggiungere, un’utopia atlantica e sommersa [5].
Ciò che sancisce questa scelta è il tipo di narrazione delle origini e, dunque, della diversa tensione verso lo scenario futuro della blackness: l’operazione e la scelta del concept fatta da Donald e Stinson è orientata al recupero e alla diramazione di una storia-altra o, ancor meglio, di una contro-storia, quella del continente sommerso dallo stesso nome del duo, popolato dalla genia di tutte le schiave nere cadute in mare durante il Middle Passage, la tratta di deportazione di donne e uomini dal continente Africano verso l’America del Nord.
«Attraverso l’invenzione di un altro esito […], questa sonic fiction apre una biforcazione nel tempo che altera il presente retroagendo attraverso la sua audience»[6] (Eshun, 1998). Il modo in cui questa contro-narrazione va a re-inscriversi nella sequenza temporale e storica è oscuro e fa leva su meccanismi non razionali ma, bensì, iniziatici e technomagici (Les Cahiers Européens de l’Imaginaire, 2011).
Questa prospettiva è una decisa presa di coscienza dell’importanza di fornire una rappresentazione al trauma della rimozione della blackness dall’orizzonte storico: l’esclusione di questa soggettività (Attimonelli, 2018, Dery, 1994, Sinker, 1992) oltre a testimoniare della mancanza di questa voce nell’ordine del discorso, non è altro che la condizione di partenza per la narrazione afrofuturista. È infatti dal rifiuto della categoria umanistica, dovuto all’annichilimento subito, che il progetto di costruzione di un nuovo immaginario è divenuto possibile.
Inoltre, in linea con quanto discusso nell’ormai seminale saggio di Paul Gilroy The Black Atlantic: Modernity and Double Consciousness (1993), il quale ha messo ben in evidenza come proprio il fenomeno della tratta degli schiavi implichi la possibilità di situare nell’Oceano Atlantico, in un luogo di passaggio, la nascita della coscienza moderna per la popolazione africano-americana, l’alienazione della propria origine e l’avvento della soggettività diasporica possono essere a loro volta ricondotte alla narrazione afrofuturista della popolazione drexciyana.
Nelle parole di Kodwo Eshun «i soggetti Africani che hanno esperito la cattura, il furto, il rapimento, la mutilazione e la schiavitù sono stati i primi moderni. Hanno vissuto in una reale condizione esistenziale di ‘homelessness’, alienazione, dislocamento e deumanizzazione che filosofi come Nietzsche definiranno successivamente come la quintessenza del moderno»[7] (Eshun 2003, p. 288).
Da questa affermazione è possibile ipotizzare una grande differenza dell’immaginario drexciyano rispetto alla costituzione dell’identità black così come elaborata da Gilroy: se è vero che il fenomeno della doppia coscienza, dovuto al trauma dell’alienazione dalla propria terra, implica questa eterna opposizione che non potrebbe mai riconciliarsi nella costruzione dell’identità africano-americana, la “sonic fiction” costituisce lo strumento attraverso il quale questa opposizione viene, forse, superata. Proprio discutendo di come attraverso la musica sia possibile evincere il modo in cui questa cultura diasporica abbia elaborato detto trauma, Eshun afferma che, a differenza di Paul Gilroy, il quale individuava nella hit dei Soul II Soul Keep on Movin’ (1993) lo spirito di questa forma di vissuto, «nel 1997, la comunicazione tonale drexciyana è decisamente lontana da questo messaggio semplice e carino contenuto nel testo. L’elettronica volatilizza il soul con la pressione di un pulsante: non v’è un cantante, nessuna redenzione, nessun afflato umano. Più che reumanizzare l’elettronica, la fiction drexciyana esacerba questa deumanizzazione, popolando il globo con delle allucinazioni impalpabili che incidono sui tuoi nervi»[8] (Eshun, 1998).

In un terzo spazio, quello dell’immaginazione sonica, si aprono le visioni ibride e ibridanti della mitologia drexciyana, decisamente distanti da una visione nostalgica che rimpiange l’identità perduta o che continua a ricercare di recuperare quanto d’umano v’era prima della Slave Trade.
La popolazione del continente sommerso è infatti nata dall’alleanza simbiotica con le creature degli abissi marini: questa genia non ha nulla a che vedere con un eventuale ricerca della “purezza della razza” o di un’“identità forte” ma, anzi, ha individuato un punto di forza proprio nelle alleanze genomico-ibridative e comunitarie tra esseri umani e esseri non-umani, così come negli innesti macchinici, le possibilità di sviluppo di una nuova specie le cui origini sono rinvenibili nella diaspora e nell’elemento acquatico, luogo di morte ma anche di rinascita.
Questa particolare strutturazione dell’immaginario riconduce il mito drexciyano verso quelle possibilità aperte dal pensiero postumano (Braidotti, 2014) e della cyber-theory (Haraway, 2019) che vedono proprio nel superamento del conflitto sull’identità forte e nella proposta di concepire la soggettività come porosa e in divenire il punto di svolta per le teorie sul soggetto contemporaneo.
Proprio questi apparati corporei ibridati degli abitanti di Drexciya mettono in luce come non si possa più effettivamente parlare di identità fisse ma, in linea con quanto affermato da Simon Frith, per il quale «l’identità non è un oggetto ma un processo – un processo esperienziale il quale è, in maniera più rilevante, da intendersi come musica»[9] (Frith 1996, p. 100), la popolazione drexciyana rappresenta in pieno questo perpetuo mutamento del divenire-altro: superando le dicotomie della specie (umano-animale) e della differenza tra organico e inorganico, approdano a quell’evoluzione che trova un punto di contatto nella teoria del soggetto cyborg della Haraway, in seguito poi nell’immaginario afrofuturista e, in particolar modo, nell’immaginario techno (Attimonelli, 2018).
Gli Hightech Nomads sono i soggetti che si oppongono alla sedentarietà monolitica della modernità e che fanno della diaspora partita dal Black Atlantic e del divenire della musica il punto di forza della loro costruzione di soggettività-altre, fluide, in continuo movimento – così come la forza delle onde del mare e del loro continuo frangersi contro le coste di qualsiasi continente.

A partire da queste premesse è possibile comprendere i riferimenti alle alleanze con numerose creature dei fondali oceanici presenti nella discografia di Drexciya e visualizzati nelle tavole e copertine di Abdul Qadim Haqq. Pensiamo ad esempio a Sea Snake, Mantaray, Darthouven Fish Men o il calamaro su cui sono state innestate protesi macchiniche, chiamato Drexciyan Cruiser, le sperimentazioni genetiche e tecnologiche del Dr. Blowfin, sino ai meravigliosi guerrieri che sono raffigurati sulla copertina di Neptune’s Lair (1999).
Se da un lato la popolazione di questa civiltà sommersa rappresenta il superamento di barriere culturali e di suddivisioni di specie, non si può però affermare che non vi siano fronti di tensione e opposizione. Sia Stinson che Donald hanno infatti individuato, sin dall’origine di questo viaggio sonico, degli obiettivi contro cui rivolgere il proprio sound, fornendo così un altro elemento che ha caratterizzato le estetiche degli abitanti degli abissi.

Nell’epopea di Drexciya infatti v’è un altro elemento rilevante, costitutivo di buona parte dell’immaginario techno degli anni ’90: la dicotomia tra underground e mainstream. Il sotterraneo (o il sommerso, in questo caso) e la superficie hanno caratterizzato la produzione drexciyana, anche in riferimento alla stretta collaborazione con uno dei collettivi più importanti e dalla postura militante della scena techno di Detroit, l’Underground Resistance. Se da un lato è possibile ricondurre questo discorso alla diatriba nata sulle sorti e sullo sbiancamento del genere che stava verificandosi in quegli anni [10], d’altro canto v’era una battaglia portata avanti da quasi tutte le scene che la frequentavano affinché la techno rimanesse un genere non mainstream, così come dimostrabile dallo slogan che sia i fan che i musicisti conoscono bene, ovvero stay underground!
La questione della militarizzazione dell’estetica dei Drexciya non è risolvibile in maniera esaustiva, ma possiamo provare a delineare alcune ipotesi che possono mettere in luce le intuizioni del duo e la coerenza rispetto al loro percorso artistico. Se da un lato bisogna riconoscere l’influenza che il collettivo fondato da “Mad” Mike Banks ha avuto su Stinson e Donald [11], è pur vero però che i due hanno da sempre concepito la musica come un settore altamente politicizzato.
Se come abbiamo potuto evincere nei paragrafi precedenti, la lotta per il riconoscimento della blackness è stata una delle matrici della mitologia drexciyana, non è difficile intuire come, considerato ciò che la cultura musicale detroitiana aveva vissuto sino a quel momento, la battaglia per la rappresentazione della soggettività nera potesse essere sin dalle origini di Drexciya un riferimento importante per la costituzione del loro immaginario.
Possiamo così paragonare la dinamica tra underground e mainstream alle dimensioni geografiche delle profondità oceaniche e della superficie terrestre: lo spazio fisico può essere qui inteso come spazio di rappresentazione culturale. Da qui passa il progetto della Surface Terrestrial Colonization: attraverso rapide incursioni e strategie di guerriglia sonica accanto agli alleati dell’Underground Resistance, i Drexciya mirano a colonizzare questo spazio attraverso la scelta dell’anonimato e dell’oscuramento da qualsiasi forma di rappresentazione della propria immagine, permettendoci di paragonare la loro produzione al concetto di “macchina da guerra sonica” (Deleuze, Guattari, 2014), dietro la quale non c’è un viso, non c’è un essere da decifrare, ma solo un puro divenire fatto di strategie audiovisuali e assalti alla narrazione egemonica.

Oltre ai comunicati incisi all’interno di numerosi dischi, come Aquatic Invasion (1995), o nei documenti allegati a The Journey Home (1995) e The Return Of Drexciya (1996), possiamo intuire il progetto celato dietro la Surface Terrestrial Colonization attraverso la mappa allegata all’album The Quest (1997). Il progetto drexciyano segue 4 momenti epocali: i primi due corrispondono a due grandi movimenti di massa – la già citata Slave Trade e la Migration Route dei neri dal Sud degli Stati Uniti verso le città del Nord alla ricerca di lavoro. Tra queste città, Detroit è stata quella che, oltre ad aver dato i natali alla musica e al movimento techno, ha permesso – con i suoi scenari distopici e posturbani che hanno generato una tensione verso un futuro ipertecnologico – la realizzazione del terzo momento evocato della mappa: ovvero la diffusione globale – la suddetta Surface Terrestrial Colonization – del messaggio techno.
Un’indagine approfondita del mondo drexciyano, del loro modello di civiltà e della formazione delle loro città – la Bubble Metropolis – così come delle zone sommerse o più oscure di questa cartografia dell’immaginario, rivela inoltre la connessione tra il sostrato industriale e macchinico di Detroit e ciò che è il nucleo teleologico dell’universo sommerso.
Il principio R.E.S.T. (Ricerca, Sperimentazione, Scienza, Tecnologia) rappresenta infatti il punto cardine di tutta l’indagine sonico-artistica del duo: il loro telos scientifico è però ben lontano dall’inumana e asettica visione della razionalità tecnoscientifica occidentale. La ricerca drexciyana, che passa attraverso le macchine, riporta alle affermazioni di Eshun per cui queste «non ti allontanano dalle tue emozioni, piuttosto fanno il contrario. Le macchine sonore le fanno percepire più intensamente, lungo uno spettro emozionale più ampio di quanto non lo sia mai stato nel ventesimo secolo»[12] (Eshun, 2013, p. 159).

Si rivela così la quarta fase epocale dopo che la techno ha raggiunto ogni angolo del globo. La ricerca tecnologica infatti ha concesso agli abitanti dei fondali oceanici– in linea con la possibilità di riscrivere la storia e il tempo – l’opportunità di connettere le profondità degli abissi marini alle stelle, così come è possibile intuire dalla copertina di Grava 4 (2002).
Il Journey Home, la quarta fase dell’epopea drexciyana, si conclude proprio in Africa, ma sembra essere qualcosa di diverso da un semplice ritorno al continente africano. Sembra infatti che proprio qui vi sia il punto di connessione tra la Drexciyen Star Chamber e il punto da cui è iniziato questo lungo viaggio. «In Africa, milioni di anni fa, dei nomadi high-tech sono emersi da un buco spazio-dimensionale. Venivano da Ociya Sindor, distante 700 milioni di anni luce dalla terra. Per quelli che sanno, questi hanno lasciato la loro impronta in tutto il mondo, ma specialmente in Africa […]. Un giorno la loro Storia verrà riscoperta, per la quale essi hanno inscritto il proprio percorso di viaggio nella Drexciyen Star Chamber. È collocata in una città sotterranea, nelle profondità del fondo oceanico. Qui è dove gli Africani furono portati quando vennero lanciati dalle navi per la tratta degli schiavi. […] Un giorno, quando i bisogni della Terra saranno al suo limite, i poteri degli abissi saranno noti al mondo della superficie»[13] (Stephen, 2005).

Note
[1] Il duo ha smesso di produrre in seguito alla morte di uno dei suoi due componenti, James Stinson, avvenuta il 3 settembre del 2002. L’altro componente, Gerald Donald, ha continuato a produrre musica in altri progetti e con altri moniker, smettendo però di utilizzare quello di Drexciya.
[2] La teoria della sonic fiction, definibile a sua volta attraverso la sperimentazione linguistica che Kodwo Eshun mette in atto nel suo concatenamento con la forma macchinica della scrittura, risente profondamente della concezione teorica del suono e della significazione sonora elaborata da Gilles Deleuze e Félix Guattari in Millepiani. Capitalismo e Schizofrenia II (2014). Il testo di Kodwo Eshun a cui si fa riferimento, ovvero More Brilliant Than the Sun. Adventures in Sonic Fiction (1988), è infatti un tentativo di forzatura della macchina linguistica atto a decodificare linee di fuga dal piano dell’immaginazione del sé attraverso la riflessione sulla pratica della produzione e dell’ascolto musicale.
[3] «You have to have all the dimensions, you have to have the visual, the sonic side of things, and you have to have a purpose–a concept–to make it real. So once you bring in the world of Drexciya and the people and how they’re living their lives in Drexciya, you know, you put the element of water, which is the basic element of life for anyone-period». Traduzione a cura dell’autore, così come d’ora in avanti se non indicato diversamente.
[4] Il Drexciya Research Lab è un fan-made blog realizzato da Stephen Rennicks che, attualmente, ha anche una sua estensione su altri social network come, ad esempio, Facebook. Il blog è diventato negli anni la piattaforma su cui vengono diffuse notizie riguardanti l’universo drexciyano e ciò che è ancora capace di generare e al suo interno vengono spesso proposte teorie e speculazioni sulle diramazioni e sulle origini della mitologia del duo. La piattaforma ha inoltre promosso un’iniziativa dal nome Drexciya Day, una giornata dedicata alla commemorazione della scomparsa di Stinson, durante la quale, in più location del globo, vengono organizzati dj set e live set electro.
[5] È possibile individuare dei precedenti riferimenti al mondo acquatico nel bacino afrofuturista, come ad esempio il brano di Jimi Hendrix 1983… (A Merman I Should Turn to Be) contenuto nell’album Electric Ladyland (1968), così come l’album Motor Booty Affair (1978) dei Parliament o, ancora, al progetto Atlantis (1993) del duo composto da Jeff Mills e Robert Hood a nome X-103 ma, a differenza degli artisti qui citati, i Drexciya non hanno mai utilizzato riferimenti all’escapismo spaziale nella descrizione del loro immaginario, basandolo invece sui fondali oceanici. È pur vero però che il duo chiuderà la propria narrazione mitografica proprio con lo spazio, ma con dei contenuti peculiari e non ancora rinvenuti in altri casi, così come verrà successivamente esposto.
[6] «By inventing another outcome […], this sonic fiction opens a bifurcation in time which alters the present by feeding back through its audience».
[7] «African subjects that experienced capture, theft, abduction, mutilation and slavery, were the first moderns. They underwent real conditions of existential homelessness, alienation, dislocation, and dehumanization that philosophers like Nietzsche would later define as quintessentially modern».
[8] «In 1997, Drexciyan tonal communication is worlds away from this nice ‘n’ easy lyrical message. Electronics volatises the soul at the push of a button: there’s no singer, no redemption, no human touch. Far from rehumanising electronics, Drexciyan fiction exacerbates this dehumanisation, populating the world with impalpable hallucinations that get on your nerves».
[9] «Identity is not a thing but a process – an experiential process which is most vividly grasped as music».
[10] A tal proposito, è possibile ricordare un’accesa polemica che vide coinvolti Richie Hawtin, pioniere della minimal techno e di un certo sound al confine tra acid techno e ambient con il moniker Plastikman, e proprio uno dei due componenti dei Drexciya, James Stinson, il quale accusò il producer canadese di non rispettare i fondatori del sound techno né di riconoscerne la matrice nera – così come accaduto per altri generi, come ad esempio il jazz -, dando al fenomeno il nome di caucasian persuasion (Mothersole, 1995).
[11] Per una più ampia trattazione dell’importanza di questo leggendario collettivo musicale è possibile consultare i testi Techno Rebels. The renegades of funk (2010) e Techno. Ritmi afrofuturisti (2018).
[12] «Machines don’t distance you from your emotions, in fact quite the opposite. Sound machines make you feel more intensely, along a broader band of emotional spectra than ever before in the 20th century».
[13] «In Africa, thousand of years ago, high-tech nomads began to emerge from an dimensional jump-hole. They were coming from Ociya Syndor, 700 million light years from Earth. To those that know, they have left their mark all over the world, but especially in Africa where their traces can be found in the famous Dogon tribe. One day their story will be rediscovered, for they carved forever in stone their journeys path in the Drexcyen Star Chamber. Its location is a subterranean city, deep on the ocean floor. This is where the Africans were brought to when they were thrown off the slave ships. […] One day, when the need of Earth will be at its greatest, the powers of the deep will be made known to the surface world».

Bibliografia
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Braidotti R. (2013), Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma 2014.
Deleuze G., Guattari F. (1980), Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2014.
Dery M. (1994), Black to the Future: Interviews with Samuel R. Delany, Greg Tate and Tricia Rose, in Flame Wars. The Discourse of Cyberculture, Duke University Press, Durham 1997.
Duke A., 1999, Drexciya (Interview with James Stinson)
Eshun K., Drexciya: Fear Of A Wet Planet, in The Wire, n° 168, 1998.
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Stephen, 2005, Grava 4, Drexciya Research Lab

Discografia
Drexciya, 1992, Deep Sea Dweller, Shockwave Records.
Drexciya, 1993, Bubble Metropolis, Underground Resistance.
Drexciya, 1994, Molecular Enhancement, Rephlex.
Drexciya, 1994, The Unknown Aquazone, Submerge.
Drexciya, 1995, Aquatic Invasion, Underground Resistance.
Drexciya, 1995, The Journey Home, Warp Records.
Drexciya, 1996, The Return of Drexciya, Underground Resistance.
Drexciya, 1997, The Quest, Submerge.
Drexciya, 1999, Neptune’s Lair, Tresor.
Drexciya, 2000, Hydro Doorways, Tresor.
Drexciya, 2002, Drexciyen R.E.S.T. Principle (Research. Experimentation. Science. Technology.), Clone Records.
Drexciya, 2002, Grava 4, Clone Records.
Parliament, 1978, Motor Booty Affair, Casablanca.
Soul II Soul, 1989, Keep On Movin’, Virgin.
The Jimi Hendrix Experience, 1968, 1983… (A Merman I Should Turn To Be) in Electric Ladyland (Part 1), Polydor.
X-103, 1993, Atlantis, Tresor.

Sitografia
Drexciya Research Lab

Michele Di Stasi, studente di Scienze Sociali Applicate presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. La sua ricerca attuale verte sui modi in cui l’immaginario sociale e le distopie della science-fiction influenzano la realtà, con un focus su alcune opere di Philip K. Dick. Fa parte del Gruppo di Ricerca MEM (fondato da Claudia Attimonelli Petraglione dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”) e collabora con Nomas Foundation, una fondazione indipendente, creata da Raffaella Frascarelli, che promuove e sostiene l’arte contemporanea.