§Perturbare lo spazio latente
Intelligenze artificiali e pratiche artistiche
Residenze digitali.
Ripensare la residenza in relazione al digitale
di Laura Gemini, Marta Meroni e Federica Patti

Residenze Digitali è un progetto promosso da una rete di 10 enti italiani, tra centri di residenza, di produzione e circuiti multidisciplinari, con l’intento di stimolare l’esplorazione dello spazio digitale nelle performing arts. RD nasce dal Centro di residenza della Regione Toscana Armunia – CapoTrave/Kilowatt (Toscana). I partner dell’anno 2024 sono AMAT (Marche), l’Arboreto Teatro Dimora e la Corte Ospitale (Emilia Romagna), ZONA K (Milano), Fondazione Piemonte dal Vivo/Lavanderia a Vapore, C.U.R.A. (Umbria), Fuorimargine (Cagliari) e Associazione 4704 (Gorizia). Grazie a questo osservatorio e luogo di dibattito privilegiato emergono tematiche, interrogativi e sguardi di uno scenario complessificato, di nuovi ecosistemi la cui generatività è legata alle alleanze in grado di costruire, in un dialogo tra artiste/i, operatrici/ori, curatrici/ori e pubblici che avviene nel e include il digitale e le IA. 

Still image da Humanverse (2023), di Martin Romeo

RD attiva un meccanismo di mappatura tramite una open call annuale che porta all’emersione di pratiche che si collocano tra lo spettacolo dal vivo e l’esplorazione digitale e ne promuove la sperimentazione incentivando le possibilità di incontro e incubazione tra digital e performing artists, curatrici/ori e operatrici/ori. I progetti selezionati beneficiano di percorsi di tutoraggio individuali, grazie all’ingaggio di esperte ed esperti (nel 2024 i tutor sono Marcello Cualbu, Laura Gemini, Anna Maria Monteverdi, Federica Patti) e di incontri di review che coinvolgono tutta la rete, occasioni di apprendimento trasversale di nuove competenze e costruzione di una collettività intorno ai progetti artistici. RD sostiene proposte che mettono al centro la performatività nella relazione con il digitale e che possano rafforzare e questionare il dialogo con il sistema dello spettacolo dal vivo e i suoi pubblici, tutelando l’equilibrio tra forme di innovazione e accessibilità. 

Marta: Il progetto nasce nel 2020 dall’urgenza di utilizzare le potenzialità dello spazio digitale come luogo di incontro tra artiste/i, operatrici/ori e pubblico. Nelle successive 4 edizioni RD si trasforma in uno strumento di indagine del panorama italiano volto a cogliere sfide e opportunità che nascono dalla contaminazione tra innovazioni digitali, arti performative e sistema dello spettacolo dal vivo, con un’attenzione al ruolo che al suo interno rivestono le residenze. Quali sono i fenomeni più rilevanti che – dal punto di vista della ricerca e della curatela – continuano a farci scegliere di proseguire questo percorso, adattandolo ad ogni edizione, anche grazie alla maggiore conspevolezza acquisita oltre alle contingenze che ne hanno costretto una relazione forzata durante la pandemia? Dal panorama dei progetti incontrati e sostenuti, che tipo di relazioni si innestano tra ricerca, produzione artistica e la sfera digitale, e quali sono le forme di collaborazione con le IA? 

Laura: Nel suo insieme il progetto delle RD colloca non solo la sperimentazione artistica ma tutta la dimensione di ideazione, organizzativa e di fruizione della performance online nel contesto della mediatizzazione (Livingstone, Lundt, 2014; Boccia Artieri, 2015). Questo concetto, ormai centrale nel campo dei media studies e delle scienze sociali, permette di comprendere le trasformazioni socio-tecnologiche in atto perché spiega come la comunicazione mediata tecnologicamente permei e trasformi i contesti in cui viviamo (Krotz, 2019). Non è un approccio deterministico ma una prospettiva di analisi dell’impatto sociale dei media, un meta-processo simile a quelli della globalizzazione, della modernizzazione, ecc. Se fino ad ora anche gli studi interessati al rapporto fra arte e tecnologie si sono concentrati sulle dinamiche della mediazione, cioè su come le arti si sono approcciate ai diversi linguaggi e hanno usato le tecnologie mediali, la mediatizzazione concerne le trasformazioni strutturali. 

Dalla nostra prospettiva di analisi, sappiamo che l’interesse per le combinazioni intermediali del teatro si è sviluppato contestualmente alla nascita di queste pratiche. Ma ancora oggi, tendenzialmente, le logiche mediali vengono osservate in relazione all’evento scenico o alla sua documentazione (Salter 2010). Meno scontata l’attenzione verso la costruzione mediatizzata del senso comune su cui poggiano le routine produttive, distributive, promozionali e ricettive delle performance (Georgi 2014). Se quindi gli stessi Theatre e Performance Studies utilizzano un’ottica della mediatizzazione incentrata sulle trasformazioni del “prodotto” performativo, quindi su quanto avviene sulla scena o nelle sue riproduzioni, questi, seppur fondamentali, faticano a comprendere il ruolo della performance dal vivo nella società contemporanea e, parallelamente, il modo in cui la categoria del “live” mostra il mutamento della comunicazione e delle aspettative di relazione degli individui. Diversamente, il contributo di un concetto sociologico come quello di mediatizzazione può accompagnare le analisi sullo specifico mediale e sulle ecologie intermediali della liveness (Auslander, 1999; Gemini, Brilli, 2023). Di cui i lavori costruiti nel contesto delle RD sono sempre un esempio particolarmente esplicativo (Monteverdi 2023) e rientrano nella categoria degli OTONI, cioè di quegli oggetti teatrali online non identificati che si strutturano sulla base delle logiche mediali (Boccia Artieri 2023). Intanto perché, come accennato poco sopra, la mediatizzazione pone l’accento su come l’influenza dei media non riguardi solo il loro impiego materiale ma l’utilizzo di formati, pratiche e protocolli sviluppati in altri ambiti mediali. Inoltre, le logiche mediali influenzano il complesso delle routine produttive, distributive, archivistiche e promozionali di artiste e artisti, che tendono sempre di più ad essere fra loro collegate senza necessariamente confondersi. Infine, la mediatizzazione intesa in questo modo permette di uscire dalla logica, sicuramente “comoda”, dell’ibridazione e della permeabilità dei confini per osservare i media come elementi che servono per costruire nuove e più interessanti distinzioni all’interno del contesto complesso delle arti performative. Anche nella gestione di nuovi confini relazionali tra partecipanti alla comunicazione performativa. 

In questo senso la mediatizzazione nelle arti performative interviene a tre livelli principali. Sul piano del testo performativo, perché l’assimilazione delle logiche tecno-mediali interviene sulla drammaturgia dei lavori. Pensiamo ad esempio il progetto selezionato per RD nel 2022 “Teatro Postaggio” di Giacomo Lilliù – MALTE/Collettivo ØNAR: definibile come un “fotoromanzo memetico” per Telegram, questo lavoro si sviluppa drammaturgicamente sulla base della specificità di una piattaforma come Telegram e delle sue modalità linguistiche. Interroga le dinamiche dello ‘shitposting’ e del meme con la sua dialettica tra immagine e testo per assimilarla a quella tra palco e parola (Giuliani 2023). 

Spettacolo ‘Teatropostaggio’ di Giacomo Liliù - MALTE/Collettivo ØNAR, presso il Teatro alla Misericordia, Sansepolcro, 30 novembre 2024, nell’ambito dell’Incontro nazionale dei Centri di Residenza Artistica. Crediti: Luca del Pia

Ma questa dimensione riguarda anche il modo in cui si traccia il confine tra inizio e fine della performance ovvero nella tendenza ad estendere una performance in senso transmediale, inserendola in una rete di contenuti su altri media che ne espandono l’esistenza. Si può pensare anche all’assunzione dei formati seriali che – sviluppatisi nei contesti post-televisivi – vengono utilizzati per espandere il confine narrativo online, come ad esempio nel caso di “Drone Tragico” di Teatrino Giullare selezionato per RD nel 2022. La compagnia lavora sull’Orestea di Eschilo nella traduzione di Pier Paolo Pasolini per realizzare una serie di 5 puntate video realizzate con un drone e una videocamera 360 gradi per dare allo spettatore la possibilità di guardarsi attorno e di scegliere il proprio punto di vista. Sebbene conti oggi anche su una versione in presenza, ‘Drone Tragico’ per le RD è realizzato come una serie pubblicata su YouTube, fruibile su smartphone e su computer o con il visore per godere appieno dell’immagine in 3D. 

Still image da Drone Tragico. Volo sull’Orestea da Eschilo a Pasolini di Teatrino Giullare

Sicuramente interessante dal punto di vista di un progetto come quello delle RD è mettere a tema una seconda dimensione della mediatizzazione che riguarda la presenza, cioè la liveness dell’evento performativo online. In che modo la performance online, ma più in generale i media, impattano sul confine tra presenza e assenza delle e dei partecipanti (performer e pubblico)? Dalle forme della telepresenza, già indagate dalle arti tecnologiche novecentesche, alla definizione di forme della comunicazione artificiale che prevedono la creazione di un nuovo tipo di agenti performativi (avatar, attori robotici, algoritmici e olografici), fino all’osservazione di come cambi la fenomenologia spettatoriale, di come cioè spettatrici e spettatori “si pensino in presenza” negli eventi mediatizzati (Gemini, Brilli, 2023). 

Qui entra in gioco il terzo livello della mediatizzazione, quello relativo ai ruoli comunicativi. Il confine tra performer e pubblico va visto nei modi in cui i media cambiano i canali e le aspettative relazionali tra i due poli. L’aumento del relational labour utile per coltivare il proprio pubblico attraverso i social media, e per gestire le regole dell’interazione (Baym 2018) è uno degli aspetti più evidenti di questo processo. Ma riguarda anche la sempre più ricercata «condizione partecipativa» (Barney et al. 2016) legata alle esperienze culturali interattive e di co-creazione che è alla base dei lavori performativi online. 

Questi tre livelli della mediatizzazione performativa collassano in lavori come quello realizzato da Mara Oscar Cassiani nell’edizione 2023 di RD. Come artista naturalizzata nell’ambiente online porta avanti una ricerca che sul piano drammaturgico e della presenza incorpora le logiche del digitale. È appunto il caso di un progetto come AI LOVE, GHOSTS AND UNCANNY VALLEYS <3 I broke up with my AI and will never download them again, che si sostanzia nella performance incentrata sul racconto di un suo percorso biografico nel cosiddetto deep web e, in particolare, in ambienti come i forum online frequentati dagli incel – acronimo che indica una specifica subcultura online formata da maschi “involontariamente celibi” (O’Malley et. al 2022) – che che nel tentativo di sostituire le relazioni con donne umane con avatar AI finiscono per adottare comportamenti abusanti verso gli stessi avatar. La prospettiva di Cassiani, come user e artista web-based, rivela l’altra faccia della medaglia dell’hype creata intorno alle intelligenze artificiali e soprattutto sull’uso comunicativo distorto che se ne può fare. Su questi presupposti il lavoro tratta la solitudine dei rapporti sociali e dei rapporti usa e getta cui la società contemporanea ci espone nonostante l’iperconnessione, da cui “neanche l’AI riesce a salvarsi e salvarci”. Perciò, come spiega la stessa MOC, “mentre ci si aspetta che la performance ci parli di una storia d’amore tra AI e umani il processo del lavoro scoperchia un mondo in cui i nostri dati, immagini personali e pensieri, vengono utilizzati dagli utenti attraverso l’AI, oltrepassando il consenso etico e morale, per creare nuove versioni della nostra umanità e dei nostri corpi. Corpi AI che poi finiscono per essere a loro volta violati e distrutti, capovolgendo l’ancestrale paura per l’intelligenza artificiale, umanizzandola e riconfermando l’oscura natura umana e il suo potenziale distruttivo”. 

Su questi presupposti il progetto si compone di un’installazione – che ricostruisce la “tipica” cameretta da youtuber disegnata sugli archetipi dell’iconografia di internet e del suo folklore: i colori pastello, gli sticker, i cuscini stampati, ecc. – e della performance in streaming pensata come storytelling di un viaggio da utente nelle comunità incell online. Una navigazione ghost, nascosta, fra forum, podcast, streaming su Twitch in cui gli effetti stranianti del rapporto “reale” con le proprie avatar – l’uncanny valley appunto (Mori, 2012) – diventano parte di un monologo-testimonianza affascinante e commovente. 

Performance AI LOVE, GHOSTS AND UNCANNY VALLEYS <3 I broke up with my AI and will never download them again, di Mara Oscar Cassiani, presso il Teatro alla Misericordia, Sansepolcro, 30 novembre 2024, nell’ambito dell’Incontro nazionale dei Centri di Residenza Artistica.

Marta: Riprendendo in particolare il terzo livello di mediatizzazione citato da Laura, la liveness e il confine tra performer e pubblico – che si manifesta in termini di interazione, partecipazione e grado di co-autorialità dell’opera – alcuni dei progetti selezionati per RD ci aprono interessanti prospettive di riflessione a partire dalla relazione con AI messe a punto. Da un lato la performatività viene ridisegnata proprio a partire dall’esperienza dell’utente, aprendo allo spettatore la possibilità di costruire l’esperienza all’interno di una cornice creata dagli artisti, che spesso ribalta i modelli prestabiliti delle tecnologie impiegate, e dall’altro, l’AI interviene attivamente nel processo creativo… 

Federica: Il sostantivo “esperienza dell’utente” (User Experience – UX) si riferisce al modo in cui le persone vivono l’incontro con un sistema; estende la tradizionale progettazione dell’interazione uomo-computer affrontando tutti gli aspetti del prodotto o del servizio così come vengono percepiti dall’utente. Il sistema di classificazione UX si basa sulle sensazioni, le preferenze, gli atteggiamenti e le risposte emotive dell’utente (Diefenbach et al., 2014).
Dalla metà degli anni Novanta, l’utente è stato sempre più spesso invitato a vivere un’esperienza insolita in cui digitale e materiale, artificiale e naturale si fondono. Negli ultimi trent’anni e più, l’interattività (concepita come relazione bidirezionale tra uomo e macchina) ha dato agli utenti il potere di manipolare e trasformare l’oggetto artistico con cui interagiscono. Internet e la digitalizzazione sono stati finora al centro di questa evoluzione; hanno permesso e continuano a permettere un’attivazione efficace e automatica dell’utente nei confronti di prodotti e servizi customizzabili, consentendo un’autorialità collettiva e innescando dinamiche comunitarie. Lo sviluppo di sistemi di interfaccia uomo-macchina sempre più complessi e reattivi ha visto crescere forme artistiche e oggetti che incoraggiano o richiedono allo spettatore partecipante di costruire i propri percorsi di espressione e attivare circuiti di significato. A loro volta, gli utenti sono stati in grado di influenzare queste dinamiche, assumendo un ruolo attivo nel processo di comunicazione. L’importanza drammaturgica dell’interazione e della UX nella performance digitale non è ancora stata riconosciuta.
Prima e dopo la pandemia, gli ambienti virtuali online avanzati sono emersi come luoghi cruciali per le esperienze sociali e culturali, strutturando e facilitando conversazioni, progetti creativi, sforzi collettivi e scambi commerciali. Alcune recenti performance digitali su piattaforme online costringono a rivalutare la natura dell’essere online, insieme a una ricontestualizzazione dei concetti di realtà, simulazione, liveness e comunità (Patti, 2023).
Toxic Garden – Dance Dance Dance” (TGDDD) di Kamilia Kard, per esempio, è stato creato su Roblox [1]  nel 2020, ed è stato selezionato per partecipare a RD nel 2022.
L’ambiente spaziale modellato da Kard ricorda un giardino velenoso, metafora di relazioni umane tossiche. In una mappa “tossica” creata ad hoc dall’artista, la prima parte dell’esperienza permette allo spettatore di esplorare lo spazio. Nella seconda parte, improvvisate crew di avatar si cimentano in danze di gruppo (con coreografie tratte da librerie di mocap di danza contemporanea), automaticamente sincronizzate con i movimenti dell’avatar di Kard, KKlovesU4E. L’associazione tra avatar, comunicazione e danza combina la testualità della chat con l’espressività del corpo – sebbene digitale e spesso stilizzata – in tempo reale. Il risultato è condensato intorno alla virtualizzazione dei passi di danza come singole unità simboliche di sentimenti e atteggiamenti legati alle relazioni tossiche. TGDDD si concentra sull’affordance di Roblox (van Dijck et al., 2018), che mira a coinvolgere bambini e adolescenti in interazioni sociali e virtuali di massa attraverso una UX edonica. La danza, l’interazione sociale e la musica sono elementi centrali in Roblox e TGDDD. A differenza di Roblox, però, TGDDD non permette di personalizzare gli avatar. Entrando nell’ambiente progettato da Kard, gli utenti “perdono la loro unicità” e ricevono un avatar comune, assegnato in modo casuale. TGDDD può essere visto come un dispositivo che incoraggia la condivisione delle proprie esperienze all’interno di un ambiente regolamentato e a priori, dove avviene il confronto con le esperienze altrui sul tema delle relazioni tossiche, espresso attraverso l’interfaccia grafica dei passi di danza.
Kard impedisce al gioco di funzionare in modo naturale, assegnando ai partecipanti skin predefinite e casuali da lei progettate. Limitando le caratteristiche di personalizzazione tipiche della UX di Roblox, ne limita gli effetti piacevoli ed emotivi, facendoli ricadere più chiaramente in dimensioni più vicine alla trovabilità, ovvero quegli aspetti pensati per rendere la UX più orientata al brand e al marketing. L’UX di TGDDD mina il modello mentale alla base dell’UX di Roblox; questa inversione contribuisce alla metafora delle relazioni tossiche. Pertanto, Kard ha seguito un design UX edonico associato a emozioni altamente positive. In questi casi, la filosofia UX edonica corrisponde a una visione artistica “dadaista”, alternativa e propositiva dell’interazione con il sistema, cruciale per immaginare forme non commerciali di narrazione, interazione e partecipazione e per costruire comunità diverse al di fuori delle dinamiche del marketing e dell’hype (Patti, 2024).
Per comporre l’esperienza, oltre alla creazione degli ambienti, Kard ha modellato i movimenti e le interazioni fra avatar utilizzando diversi sistemi, dalla motion capture all’AI: ha coinvolto quattro danzatrici del Balletto Teatro di Torino e della Fondazione Egri per creare i passi di danza che compongono la coreografia. Accompagnate da Chiara Organtini, le ragazze hanno ragionato ed estrapolato ripetizioni di comportamenti ed emozioni che si provano durante il coinvolgimento – attivo e passivo – in una relazione manipolatoria o tossica. Riflettendo su questi patterns comportamentali, sono emerse parole chiave, diventate poi trigger per la composizione del singolo passo. Il risultato si è condensato attorno alla virtualizzazione di passi di danza come singole unità di sentimento, attitudini e atteggiamenti legati alle relazioni tossiche. Al di fuori della performance, questi gesti restano a disposizione sulla mappa, nel menù dei passi di danza, e possono essere utilizzati dagli utenti come unità singole di espressione.
Sul piano tecnico, i passi sono stati ripresi con una camera e poi elaborati da un’intelligenza artificiale che li ha trasformati in animazioni 3D. Per riuscire bene nella cattura dati dei video, le danzatrici dovevano muoversi dentro un’area specifica, evitare determinati movimenti, essere vestite in un modo specifico che aiutasse l’occhio della macchina a leggere i loro gesti in maniera più fluida. Uno dei riscontri più interessanti che Kard ha avuto dalle danzatrici è che tutti i limiti imposti dalla AI – per esempio, non fare giri troppo complessi con il corpo, non cercare troppo le profondità con i movimenti delle gambe e delle braccia e via dicendo – hanno in realtà dato loro modo di mettere alla prova la loro creatività e autorialità. Dal canto suo, l’intelligenza artificiale ha contribuito all’assetto coreografico fornendo talvolta delle interpretazioni particolari (aggiungendo dei piccoli scatti o delle rotazioni di arti al passo originale, oppure inserendo degli slittamenti delle gambe etc.) storpiando i singoli passi. Di nuovo: un’ ispirazione di partenza in ambito vegetale è stata tradotta in corpo umano e in movimento, poi rivisto e rivisitato da un sistema algoritmico; un passaggio fluido, naturale tra vegetali, umani, avatar e intelligenza artificiale. 

Il prosieguo di Toxic Garden è HERbarium-Dancing for an AI, nato questa volta come performance tecnologica solo su palcoscenico. Qui l’intelligenza artificiale incontra l’intelligenza vegetale: scandagliando e comparando l’anatomia vegetale a quella umana, la Kard provoca un interessante cortocircuito di sperimentazione visiva e performativa che non trascura un riferimento agli studi di botanica di Leonardo e alla visione unificata del mondo della sua scienza. Anche qui, per creare i movimenti da assegnare alla AI, le danzatrici si sono orientate sia sul concept principale del progetto che sulle drammaturgie dedicate alle singole porzioni che compongono la drammaturgia: Amore, Morte, Sogno. La componente dell’errore della AI nell’interpretazione del movimento diventa una opportunità di apprendimento o di interpretazione di un passo innaturale, un’espressione del corpo che non esiste in natura. Oltre a questo, gli errori che la AI ha inserito nei passi di danza possono essere letti come una forma di autorialità e libertà della AI stessa. 

Still image da Toxic Garden - Dance Dance Dance (2022) di Kamilia Kard

Marta: I processi di ricerca e le opere presentate sono alcuni degli strumenti che abbiamo per mettere la riflessione sulla sperimentazione nelle digital performing arts in relazione con la fondamentale discussione intorno all’etica del digitale. Quali traiettorie si intravedono rispetto a una possibile grammatica del digitale tra le arti performative? 

Federica: Poiché il Metaverso e la bolla dell’intelligenza artificiale sono le parole d’ordine del momento, è fondamentale aumentare la consapevolezza degli utenti quando interagiscono con questi sistemi. La pressione economica per entrare nel metaverso è enorme e deve essere affrontata in modo ponderato e critico. Gli esempi citati suggeriscono che il metaverso è altamente performativo e interattivo. Gli artisti stanno progettando performance digitali che possono essere intese come fondali teatrali in cui l’utente può intrecciare esperienze che creano una maggiore consapevolezza delle dinamiche che stanno dietro all’essere online. Ciò solleva questioni estetiche ed etiche di inclusione, collettività, sostenibilità e giustizia. 

L’opportunità per lo spettatore/utente di confrontarsi con una esperienza diversa da quella standardizzata dalle piattaforme può essere visto come propedeutico all’acquisizione di una maggiore consapevolezza. L3 artist3 possono sviluppare e proporre esperienze definibili come “palestre di comunità” dove l’utente può “allenarsi” e acquisire maggiore consapevolezza rispetto alle tecnologie, grazie alla mediazione di un modello mentale artistico, alternativo.
Il Metaverso, la generazione automatizzata (IA), i chatbot, la collaborazione uomo-macchina, sono concetti che spesso sfuggono alla comprensione: TGDDD e molti altri spettacoli sviluppati durante le Residenze Digitali tentano di rielaborarli in una prospettiva umana, più vicina, persino intima nella sua vastità, che si manifesta attraverso il potente impatto della restituzione dello spazio virtuale, le sue estetiche e linguaggi multisensoriali. Non si tratta di un allontanamento dell’agency umana, bensì di una presa di posizione, di un ancoraggio. Gli spazi tridimensionali online devono ancora svelare le loro potenzialità; forse non è solo una questione di tecnologie pronte, ma manca una conoscenza generale, una praticità complessiva e un utilizzo diverso da quello ludico. Qualcosa che arricchisca, che alimenti il corpo e la mente, che lavori sulle emozioni per diventare più tangibile però rimanendo immaginifico e onirico. 

Laura: Anche dal punto di vista sociologico il dibattito intorno alle questioni etiche sollevate dal digitale e, come si diceva poco sopra, da un meta-processo come quello della mediatizzazione è sempre aperto. L’annosa dialettica fra apocalittici e integrati sembra non superarsi mai, nonostante la ricerca mostri un livello di complessità ben superiore a questa polarizzazione.
Oltre quanto mette in evidenza Federica, vanno tenute in conto altre due questioni. La prima riguarda lo stato attuale e futuro del rapporto del sistema delle arti performative con le affordance dell’online. Sebbene progetti come RD dimostrino come la fase della ‘sperimentazione di emergenza’ che ha portato alla creazione di una nuova generazione di OTONI durante la pandemia possa essere superata, il ritorno negli spazi ha fatto emergere contestualmente un atteggiamento tendenzialmente restaurativo. Mentre la conoscenza e la consapevolezza delle caratteristiche degli ambienti in cui viviamo, anche e per molti versi online, dovrebbero essere potenziate utilizzando l’esperienza che si è costruita in questi anni. Il piacere di riprendersi luoghi, relazioni e corpi non inficia le potenzialità di esperienze di intrattenimento qualitativamente elevate della performance online. Si tratta di tenere conto di come la comunicazione sia sempre più artificiale (Esposito 2023) e pertanto le questioni etiche che ne derivano riguardano – come hanno sempre riguardato – i modi del nostro stare insieme e di come si costruisce l’intelligenza sociale. 

Note 

[1] Lanciato nel 2006, Roblox è diventato in breve tempo uno dei giochi più popolari al mondo, con milioni di utenti attivi quotidianamente il cui scopo è creare liberamente ambientazioni e attività correlate di tutti i generi, dall’avventura al gioco di ruolo, dal simulatore al multiplayer di massa, utilizzando gli strumenti forniti da Roblox Studio, un software di sviluppo gratuito “in house”. In Roblox, l’esperienza dell’utente si concentra innanzitutto sulla personalizzazione dell’avatar, poi sulla promozione e la facilitazione della componente comunicativa attraverso le emotes – piccole animazioni dell’avatar – e la personalizzazione di movimenti, ambienti e oggetti, sia gratuiti che a pagamento, che permettono all’utente di esprimersi attraverso gesti ed espressioni facciali più complesse. Roblox è attualmente considerato una delle piattaforme che più si avvicina al concetto di Metaverso ideale, che rappresenta l’ultima frontiera di un cambiamento fondamentale nella nozione odierna di presenza digitale verso un’interconnessione massiccia, l’interoperabilità universale e una sincronicità persistente. Oggi il Metaverso è una rete scalata e interoperabile di ambienti virtuali 3D renderizzati in tempo reale che possono essere vissuti in modo sincrono e persistente online da un numero effettivamente finito di utenti con un senso individuale di presenza e continuità di dati come identità, storia, credenziali, oggetti, comunicazioni e pagamenti. L’esperienza del Metaverso è rappresentata al meglio dai suoi gateway 3D online; comunemente confusi con il Metaverso stesso, queste piattaforme di collaborazione che permettono agli utenti di esplorare l’architettura, il paesaggio, l’immersione e il movimento nello spazio-tempo attraverso la tecnologia VR, XR e AR. Aziende leader nel settore dei giochi, come Epic e Roblox, hanno delineato esplicitamente una visione in cui il Metaverso sarà guidato principalmente dai contenuti creati dagli utenti (Ball, 2022).

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Laura Gemini. Professoressa Ordinaria in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso il Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali (DISCUI) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo dove insegna Linguaggi mediali e forme della performance e Sociologia dell’immaginario e culture visuali. I suoi interessi di ricerca riguardano prevalentemente il campo dei performance studies dal punto di vista della relazione fra performance e mediatizzazione con particolare attenzione all’analisi degli immaginari, delle dinamiche creative e spettatoriali. In questo ambito il focus della sua ricerca riguarda i processi della liveness e della liveness digitale.

Marta Meroni. Antropologa culturale di formazione, consolida le proprie competenze nell’ambito della ricerca sociale (Dynamoscopio – Milano), approfondendo le metodologie dell’etnografia partecipata e della ricerca-azione indagando le culture della progettazione e della produzione in ambito artistico e culturale. Partecipa come direttrice organizzativa, di produzione e co-curatrice in diversi progetti (Milano Mediterranea, Neutopica), coniugando la ricerca antropologica all’ideazione di progetti artistici multidisciplinari in dialogo con i contesti territoriali di riferimento e con una particolare attenzione alle dimensioni di innovazione e inclusione sociale. Dal 2023 è responsabile di produzione di Capotrave/Kilowatt. 

Federica Patti. Storica dell’arte, docente e curatrice indipendente. La sua ricerca si concentra intorno alle pratiche transmediali, con particolare interesse verso la digital performance, i temi del postumano e le dinamiche del Metaverso. Attualmente è dottoranda presso l’Università di Torino con una ricerca intorno alle pratiche performative e all’esperienza estesa in ambiente virtuale. È membro di IKT – International Association of Curators of Contemporary Art e di ADV – Arti Digitali dal Vivo; dal 2020 è tutor del progetto ‘Residenze digitali’. Crea la newsletter LUNARIO – segnali dal Metaverso, ad ogni plenilunio.