§Memorie di Famiglia
Recuperare le tracce del passato:
i progetti 'Riscatti' e 'Archivio RAMI'
di Ornella Vaiani

“Sono venuta ad esplorare il relitto
le parole sono intenzioni
le parole sono mappe
Sono venuta a vedere il danno compiuto
e i tesori che trionfano
Passo il raggio della torcia
lentamente sui fianchi
di una cosa più eterna
dei pesci e delle alghe
La cosa per cui sono venuta
il relitto e non la storia del relitto
la cosa in sé non la leggenda”
Adrienne Rich

Studiando due progetti artistici sul recupero delle memorie di famiglia, un pensiero di John Berger, presente nel saggio Sul guardare sembra imporre una riflessione su un preciso dato di fatto: «Le fotografie sono relitti del passato, tracce di ciò che è avvenuto. Se i viventi prendessero su di sé il passato, se il passato diventasse parte integrante del processo attraverso cui le persone fanno la propria storia allora tutte le fotografie riacquisterebbero un contesto vivo continuerebbero ad esistere nel tempo invece di essere momenti congelati» (Berger, 2017, p. 85).

Se è vero che molti storici si sono occupati delle memorie di famiglia, è altrettanto sicuro che molti artisti hanno affondato le loro ricerche in interi archivi fotografici, diari o lettere. Se spesso i progetti sono nati per “distrazione”, “ozio” o “curiosità”, molti fra loro hanno capito poi che vi era celata una vera opportunità di ricerca ed approfondimento personale, ma non solo: si tratta anche e soprattutto di un riscatto per le famiglie, una nuova storia da scrivere, da reinterpretare, una traccia da rispolverare. Dare una continuità ad un passato che non è stato il nostro: ecco una chiave di lettura per i progetti artistici di Ivana Marrone e Sabrina Ramacci.

Nel 2015, all’inizio dell’autunno, Ivana Marrone imbocca la strada dei ricordi e della memoria: in un mercatino delle pulci di Montesacro acquista una serie di fotografie. Relitti o superstiti del tempo e dell’oblio. È l’inizio di Riscatti, archivio romantico delle foto perdute, un progetto che vede protagoniste centinaia di fotografie. Ivana opta decisamente per un loro riscatto reinventando una storia per ciascuna fotografia e chiamando poi i rinforzi: giornalisti, scrittori, artisti. Ognuno inventerà una microstoria per le 74 fotografie che entreranno a far parte del libro. Il progetto, infatti, è nato come sito internet, riscatti.net, ma grazie a Rvm Hub si è tramutato in un libro fotografico che riproduce tra l’altro le sembianze di un vecchio album di famiglia. Riscatti evolve, si arricchisce ed esiste anche attraverso presentazioni e talk in cui viene spiegata l’essenza del progetto o attraverso performance live in cui musica e reading danno una nuova linfa al supporto cartaceo.

“Riscatti”, progetto di Ivana Marrone

Nell’Enciclopedia dei morti, lo scrittore serbo Danilo Kiš, immagina – nel racconto che dà il titolo alla raccolta – una biblioteca in cui le enciclopedie presenti sviscerano le vite passate di persone comuni. L’unica regola per essere inseriti nel volume consiste nell’ordinarietà: Non essere stati famosi, non aver compiuto nulla da consegnare alla storia. La vita comune, ma perché? Semplicemente per documentare – con informazioni minuziose – e mantenere viva la memoria collettiva, l’unicità e l’irripetibilità delle persone e delle loro memorie: «Giacché nulla si ripete mai nella storia degli esseri umani, tutto ciò che a prima vista sembra identico è tutt’al più solo simile; ogni uomo è un mondo a sé, tutto accade sempre e mai, tutto si ripete all’infinito e irripetibilmente. (Perciò i compilatori dell’Enciclopedia dei morti, questo grandioso monumento alla diversità, insistono sul particolare, perché per loro ogni creatura umana è sacra)» (Kiš, 1988, p. 55).

La narrazione di Danilo Kiš appartiene alla finzione ma in realtà l’idea non è così stravagante né tantomeno inattuabile. Nell’introdurre il libro di Ivana, Valerio Millefoglie ci spiega che in Svizzera, a Surrein, un paesino di circa 250 abitanti dove la luce è arrivata soltanto nel 2016, il comune aveva adibito una sala ad “Archivio dei morti”. Uno spazio che albergava gli effetti personali delle persone scomparse: foto, quaderni, libri. Talvolta la finzione si trasforma in realtà e la realtà può fare parte della finzione come nelle didascalie brevi che accompagnano ogni ri-scatto scelto da Ivana. Questi mini-racconti, frutto dell’immaginazione di scrittori e artisti, sono infatti una specie di mise en abyme della fotografia. Riprendono il particolare di cui parlava Kiš, tuttavia, ne danno una nuova chiave di lettura rispetto a quella originaria.
Qualcuno potrebbe chiedersi se sia giusto o meno: arrogarsi una fotografia altrui per dare luce ad una verità alternativa. Ma ancora una volta, potrebbe essere Kiš a darci una risposta: «Perché sa è sempre così con i ricordi non si è mai sicuri» (Kiš, 1993, p. 15). Non è detto che i nostri ricordi siano portatori di verità ad ogni modo.

Come è stato spesso formulato da Ivana, il passato incontra il presente, epoche apparentemente lontane possono riunirsi lungo il tunnel temporale che viene creato. Lungo questo “tunnel”, gli eventi ed i significati si trasformano e le connessioni diventano relazioni.
Ogni scatto è già in partenza un modo per relazionarsi con gli altri, un’attività corale, proiettando fuori qualcosa che ci appartiene, mentre l’idea di accostare un racconto di qualche battuta sembra chiudere un cerchio perfetto: le immagini ma anche la scrittura richiamano lo stesso meccanismo ossia il riconoscimento dell’altro; vedere e scrivere con.
Avere la possibilità di relazionarsi con persone ed eventi del passato ci consente di non far morire il ricordo.
Valerio Millefoglie espone chiaramente il concetto in Riscatti: “Dopo la morte c’è la morte. C’è ancora dell’altra, a piccole porzioni si continua a sparire. Muore chi si ricorda di noi, muoiono le cose, i manufatti e le idee che abbiamo pensato e realizzato”.

I progetti che si interessano al recupero delle vecchie fotografie o delle vecchie “tracce” – scritti, cartoline – creano un cortocircuito nel consueto destino di questi oggetti.
Nel cuore di queste pratiche di recupero, la nostalgia è un punto cardine. Uno dei poteri della fotografia è proprio quello di attrarre le persone a sé, creando una specie di attaccamento che sfocia nel tunnel temporale evocato qualche riga più in alto. La nostalgia è un sentimento legato al tempo e provarla significa vivere la logica dell’inconscio nella quale tempo e spazio possono disgregarsi. Una logica ben diversa da quella che siamo soliti usare quotidianamente; un’emozione che riguarda il passato, il presente e il futuro e si condensa in un attimo. 

La nostalgia trova un suo corollario e qualche sfumatura nella pratica dell’hauntology, neologismo coniato dal filosofo Jacques Derrida. L’hauntology accomuna le opere o pratiche che lavorano una traccia del passato. Agiscono come medium permettendo agli spettri del passato di potersi esprimere. Nel riscatto, ciò che viene recuperato o salvato, non è la vita o la storia di ogni singola fotografia (“il relitto non la storia del relitto, la cosa in sé, non la leggenda”) bensì ancora una volta la nostra relazione alla fotografia in quanto medium.
A questa confraternita di medium, appartiene Ivana ma appartiene anche Sabrina Ramacci, ideatrice e artefice del progetto Archivio RAMI: Rescued Archive Memories Initiative.

Sabrina Ramacci, progetto Archivio RAMI, Acqua Alta Fanzine
Sabrina Ramacci, progetto Archivio RAMI, Acqua Alta Fanzine

Gli oggetti del passato non registrano dunque sempre un significato ma ne restituiscono sempre una traccia. Trame di memorie lontane, bagagli culturali diversi, emozioni diverse, si ricongiungono in dimensioni alternative che si attivano nel momento in cui entriamo in contatto o ci impossessiamo di questi oggetti o fotografie senza radici. Sabrina, giornalista e grafologa, svolge un lavoro di ricerca artistica e di recupero della memoria e lo fa esplorando il modo in cui vediamo il passato attraverso le nostre memorie private. Il suo intento è quello di far intendere alle persone quanto possano essere importanti le memorie di famiglia. RAMI trascrive diari, trasforma – anche attraverso la tecnica del collage e della fanzine – lettere, cartoline, francobolli, liste della spesa, pagine di riviste e fotografie: scorci del passato, momenti di intimità rielaborati attraverso il concetto di Hauntology e nostalgia. Come Ivana, Sabrina organizza talk e presentazioni, svolge laboratori in particolare nelle scuole e con i ragazzi. Si rivolge ad un pubblico che ha perso o non ha mai conosciuto l’abitudine di tenere un diario, di scrivere cartoline, ancora meno lettere.
Ridare vita ai diari altrui è qualcosa che va oltre il riscatto. Si tratta anche di un pensiero critico.

Sabrina Ramacci, progetto Archivio RAMI, Artwork
Sabrina Ramacci, progetto Archivio RAMI, Artwork

Quando evochiamo la pratica del diario, è difficile non pensare ad uno dei quattro racconti-reportage che compongono Reality, libricino straordinario ad opera della giornalista Mariusz Szczygiel [1]. La storia che apre il volume ci narra di Janina Turek e del suo gigantesco diario: 748 quaderni ritrovati dalla figlia all’interno dei quali Janina annotava le colazioni, i pranzi e le cene, le visite – a sorpresa e non – i regali, i programmi visti in televisione, le lettere ricevute, le letture, le gite o serate danzanti e così via per mezzo secolo. Spontaneamente, ci chiediamo se fosse per noia. Un’ipotesi che possiamo allontanare subito. Si trattava molto probabilmente di nobilitare la routine quotidiana.
Jolanta Brach-Czaina, filosofa polacca che si è occupata della dimensione metafisica del quotidiano, è subito chiamata in causa riportando che: «Non dobbiamo accettare il ruolo di ignari galoppini al servizio delle incombenze esistenziali. Ai fini della propria autodifesa occorre inseguire il senso della quotidianità quasi fosse un delinquente che ci attende sempre al varco» (Szczygiel, 2011, pp 12-13).

All’inizio del racconto, Mariusz Szczygiel esordisce dicendo che siamo soliti sbrigare le faccende del quotidiano senza aspettarci che lascino una traccia nella nostra memoria e ancora meno in quella degli altri. Le incombenze quotidiane sono eseguite per necessità e molto spesso consegnate all’oblio.
E lo diceva anche Berger per la fotografia: se non esiste una fotografia, quel preciso momento non è mai avvenuto oppure è stato solo inghiottito nell’oblio del quotidiano.

Tralasciando per un attimo il mezzo fotografico e la letteratura, entriamo nel territorio del cinema con una pellicola che tramite l’iterazione ci narra della ripetizione ineluttabile dei giorni. Paterson (2016) di Jim Jarmusch è un equilibrio costante tra ripetizione e variazione nel susseguirsi dei giorni. Il regista sceglie di svelarci i pensieri e di farci entrare nell’anima di un autista di Paterson, New Jersey. Paterson, che è anche il nome del protagonista, prende appunti ogni giorno su un taccuino. Sono poesie, positive, semplici, la prosa è sensibile, talvolta metafisica. Vengono evocate molecole e particelle, i fiammiferi di casa.  La metafisica del quotidiano al quale alludeva la filosofa Brach-Czaina. Notare le variazioni nella ripetizione sempre uguale dei giorni, trasformare in qualcosa di mistico e quasi sacro faccende ed incombenze. Descrivendo meticolosamente i gesti “insignificanti” del quotidiano si arriva a trascenderli. Viverli controcorrente significa in fondo infonderci una nuova scintilla.

Janina nei suoi quaderni, Paterson nella finzione delle sue poesie, entrambi rendono conto di esperienze, sensazioni, percezioni concrete. Sono il punto d’appoggio da trasformare. La trasformazione avviene anche grazie allo sguardo della persona che avrà successivamente fra le mani le fotografie, i taccuini o le cartoline. Sabrina con la rielaborazione nostalgica le trascrive in un presente-futuro.
Ma anche noi ci trasformiamo: da osservatori passivi diventiamo soggetti attivi attraverso la facoltà di giudizio – che per Berger era strettamente legato alla memoria –  ma emerge anche la necessità di penetrare un segreto. Mariusz Szczygiel diceva infatti che Janina annotava ogni singolo evento del quotidiano, ma che i suoi segreti più intimi non trasparivano da nessuna riga del suo lungo diario.
I progetti sui quali abbiamo fatto luce, in qualche modo, fanno pendant o sono le realizzazioni tangibili della fittizia Enciclopedia dei morti o del timido ma concreto Archivio dei morti. Cercano di tirare fuori dall’oblio una quotidianità che ancora oggi ha qualcosa da raccontarci ed insegnarci: un tempo in cui riflettere sul passato e prevedere il futuro.

Sabrina Ramacci, progetto Archivio RAMI

Note
[1] Reality è composto di quattro racconti-cronache, tutti costruiti intorno a figure femminili. Mariusz Szczygieł indaga, racconta fatti veri ed insoliti che assumono sotto il suo sguardo acuto una sfumatura di “eccezionalità”


Bibliografia
Marrone I., Riscatti, RVM hub, L’Aquila, 2020
Rich A., Cartografie del silenzio, Crocetti Editore, 2020
Berger J., Sul guardare, Il saggiatore, Milano 2017
Szczygiel M., Reality, Nottetempo, Roma 2011
Kiš D., Enciclopedia dei morti, Adelphi, Milano 1988
Kiš D., Dolori precoci, Adelphi, Milano 1993


Sitografia

Il progetto di Ivana Marrone: RISCATTI 
Il progetto di Sabrina Ramacci: RAMI 

Ornella Vaiani, italo-francese, vive tra Milano e Roma. Laureata in Storia dell’Arte, si occupa di didattica museale, teatro in lingua, laboratori creativi e traduzione. Riguardo alle città, è particolarmente interessata alle periferie, alle categorie isolate e alle soluzioni concrete che possono essere messe in atto per dare una nuova linfa a questi ambienti. Ascolta quello che le persone, le strade, i muri hanno da raccontare.