Forse è solo una curiosità che ci fa guardare una donna anziana e immaginarla com’era da bambina. Che poi, per me, è vero anche il contrario, guardare una bambina e immaginarla come sarà da vecchia. Un salto, un volo, un desiderio di perdere vincoli terreni, andare nel tempo, nel suo tempo, forse è solo voglia di danzare dentro un volto, aprire strade all’immaginazione che nessuno in quel momento può negare, negarmi. Senza corpo e senza tempo.
Mi capita soprattutto davanti a una fotografia, ma non solo. Tutto in un breve arco di tempo che riguarda solo me che osservo. Non è immaginare il mutamento fisico ciò che mi intriga e lì mi trattiene, ma un movimento, come un saltare ripetutamente nel vuoto, con il ritmo di una nostalgia che ti si aggrappa allo stomaco. Non sai da dove venga, non sai quando se ne andrà. Ma soprattutto, è una nostalgia che non governi, è lei che governa te. E allora ci entri e danzi.
AMICHE
Ho chiesto ad alcune donne, di “una certa età”, se avessero voglia di rispondere ad alcune domande sulla vecchiaia, la loro vecchiaia. Mi interessava il loro incontro, personale, privato, con la condizione dell’invecchiare. Donne che conosco per la loro vivacità o inquietudine, forza e fragilità, per quello che hanno realizzato e creato negli anni.
Mi piaceva l’idea, da regista, di portare su questa scena una polifonia. E loro, con generosità, mi hanno donato pensieri, confessioni e confidenze, fragilità, convinzioni, riflessioni. Ho raccolto le loro voci tra le virgolette, indicando i nomi, in mezzo e sopra e sotto ci sono io. Insieme diamo vita e forma a questo racconto.
Ho pensato tante volte che mia madre non volesse arrendersi alla vecchiaia. Espressioni, posture, un costume due pezzi, seppur portato con sobrietà, mi sembravano a volte eccessivi. Come se mamma non riuscisse a provare quella “vergogna naturale” che a una certa età è, sembra, necessaria.
Da tanti anni vivo in campagna, l’immagine di un trattore che spezza e sbriciola le spine e i rami secchi mi fa sentire bene. I rami secchi, oggi, sono per me quei pensieri che hanno segretamente segnato le distanze tra il mio amore e il corpo di mia madre.
Quando ti sei detta “quanto sono invecchiata”
“Un giorno, molti anni fa, notai che mia madre si preparava per uscire senza tingersi le labbra, come d’abitudine. Pensai: ha deciso di essere vecchia. Per questo continuo a mettere il rossetto ogni volta che esco.” Gianna
“La vecchiaia vera arriva quando non puoi più rimandare cose che vorresti fare ad un non-definito domani. Quando ti dicono in continuazione che dopo i 65 sei “anziana”, cominci a smettere di fare programmi. Mantieni la routine e ti annoi a morte. Assistere una madre molto vecchia e ormai non autosufficente senza una compensazione di figli che danno la speranza in un futuro, è triste. L’unico futuro che vedi è il tuo in tua madre”. Stefania
“In realtà non mi sento vecchia, mi sembra incredibile essere vicina agli 80 anni… Mi percepisco però vecchia ogni volta che il mio corpo non asseconda la mia mente (la mia onnipotenza mentale!). Percepisco la vecchiaia nella mia mente che perde colpi, nella memoria specialmente. NON mi sento vecchia quando continuo a progettare e desiderare come fossi giovane. Non sentirsi vecchia, temo, è forse il problema?” Nadia
“Non ricordo un momento preciso, qualche volta lo penso guardando le mie rughe, ma poi mi dico che per la mia età non sono neanche male”. Alessandra
Con i 67 anni sento di essere veramente entrata in un’altra fase della mia vita. Sento che non ho più tempo da sprecare, nel fare cose che non mi va di fare, nel perdere tempo con persone che non mi interessano. Desidero profondamente lavorare sul cambiamento e sull’impermanenza, sul lasciare andare. Quando sento dire ‘tra vent’anni’, penso che forse non ci sarò più. Quanti viaggi ancora, quanto mondo potrò vedere? Il senso della finitezza della mia vita si fa chiaro e presente. Antonella
“Non ricordo di essermi mai detta sto invecchiando ma di aver cominciato a sentirmi più vecchia per come affronto le cose: se da una parte sono diventata meno irruente e impulsiva, dall’altro sono più insofferente e indisponibile verso tutto ciò che disperde energie positive, cose, persone, comportamenti.” Magda
“Avevo 46 anni e non pensavo di essere vecchia. In missione con una ingegnera ventottenne eravamo ad un meeting. Un contractor croato sbavava dietro alla giovane ingegnera. Ad un certo punto, si rende conto della mia presenza, e mi dice: ‘certo Stefania anche tu da giovane devi essere stata molto bella’ L’inizio della fine” Stefania
“Non ricordo un momento preciso nel quale ho preso atto della mia età. La consapevolezza dello scorrere inesorabile del tempo è sempre stata presente nei miei pensieri. Mi viene da ridere, ma ricordo che il mio diciassettesimo compleanno si consumò in un mare di lacrime al pensiero che ormai avevo perso chissà quali tesori adolescenziali.” Gianna
“Non è che mi sento vecchia, Non è tra i miei pensieri. Ma ricordo una sera, ero con Tommaso e mi sono sentita proprio piccola. Era un bel pò che non ci vedevamo, e lui mi ha detto: ‘ma sei diventata più piccola?” Ecco, lì mi sono detta “sono diventata più vecchia”. E ho anche capito in quel momento che sarebbe finita la nostra collaborazione, perché non corrispondevo più ai loro canoni, della Compagnia insomma. Penso di essere vecchia anche quando mi guardo allo specchio e vedo trasformazioni che non mi piacciono. Però non c’è niente di brutto, sono trasformazioni.” Antonia
“Io adesso ne ho 61 e non mi sono detta finora – quanto sei invecchiata! – ho semplicemente avvertito una diminuzione di forze e di capacità di reagire, di fare più cose insieme, cosa che noi donne facciamo costantemente. Non ho pensato alla vecchiaia neanche dopo la malattia, quegli anni sono stati … insomma, tutto il resto è venuto dopo” Beatrice
“Tutto ci ha rese orgogliose di nostra madre. Il suo rifiuto delle convenzioni, delle banalità, delle imposizioni. Non lo sapeva, resisteva, ma non lo sapeva. Era certo causa di profonda sofferenza. Forse quella che se l’è portata via, in vecchiaia, con quella cosa che cresce dentro e mette le distanze dal mondo reale. Perché la malattia è reale, ma ti fa vivere in un altro mondo.” Magda e Rossella
Dai, alzate le mani, chi ha il cancro al seno destro? Sono curiosa e impertinente, così in una sala d’aspetto per un controllo pre operatorio, ascoltando i racconti, chiedo. In tante parlano del seno destro. Perché a destra? E che c’entra con la femminilità? Offesa, impedita, punita?
Spesso mi chiedo se certi segni del corpo diano fastidio, disturbino la sensibilità, magari in piscina, dove spogliarsi è un po’ rivelarsi, la tua età, la tua malattia, le tue avventure. Eppure quei segni non sono altro che la mappa delle strade che hai percorso, del tempo vissuto, e non un tuo difetto. Ma ognuna ci vede quel che può, per entusiasmo, per paura.
Cosa ci hanno insegnato a ‘guardare’ veramente?
Davanti allo specchio
Da tempo ho smesso di guardarmi allo specchio con la paura di veder salire un mattino quelle creature, gli Animali degli specchi, incarcerate sul fondo degli specchi, che «romperanno un giorno le barriere di vetro o di metallo, e questa volta non saranno vinte … e prima dell’invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi» (Borges 1984).
La leggenda del Pesce vuole che i due regni, dello specchio e dell’umano, una volta vivevano in pace, e insieme si prendevano un tè, o una cioccolata calda. Ma erano altri tempi, la gioventù.
“Ho 71 anni e credo di aver avuto una bella vita. Non mi sono fatta mancare nulla del bello e nulla del brutto, ho conosciuto, visto, so tanto, ma diventare vecchia per me vuol dire che di tutto questo non importa più a nessuno. Eppure sono una donna che ha ancora scritte sul corpo le esperienze, può raccontare e rivivere cose importanti, partecipa ancora a quello che succede nel mondo, legge, scrive e capisce… Certo, ho nella testa un’immagine di me e invece trovo sempre uno specchio, una vetrina, un paio d’occhi che mi restituiscono il mio ritratto di Dorian Gray”. Serena
“Involontariamente ho comprato tutti specchi Ikea e tutti sono snellenti. Una grande consolazione ma quando esco da casa e mi vedo in altri specchi non mi riconosco”. Stefania
“Ho visto il mio fisico che cambiava e la taglia, ho visto aumentare le rughe sul viso, insomma una serie di cose. Però non ho un rapporto conflittuale con lo specchio, non l’ho mai avuto, è cambiato il mio viso, le mie mani, però io la vita l’ho vissuta e la sto vivendo, non ho rimpianti.” Beatrice
“L’immagine mentale che ho di me non sempre corrisponde a quella dello specchio, specialmente quando la mia percezione è più positiva di quella che mi rimanda allo specchio. Ma è accaduto anche il contrario.” Magda
“Il rapporto con lo specchio non è cambiato, nel senso che è sempre veloce. Mi serve più per guardare, prima di uscire, se sono in ordine o se mi sono spettinata, oppure se magari ho indossato una cosa che può essere macchiata o che mi sta male o che non combacia come colori. Ma non ce l’ho per altri motivi”. Beatrice
“Mi sono sempre sentita non bella – e penso soprattutto nel confronto con mia madre, che era perfettamente bella – per tutta la vita, il rapporto con lo specchio è sempre stato difficile. Paradossalmente, invecchiando è migliorato, sono riuscita ad apprezzare i miei occhi “vivi” e una certa clemenza del mio DNA nell’avanzamento delle rughe”. Nadia
“Il mio rapporto con lo specchio è buono e quando non mi piaccio proprio cerco di migliorare, di evitare cose che possono farmi peggiorare, cerco di aiutarmi a mantenere, anche da un punto di vista fisico, estetico, un’immagine che sia bella per me. Non che risponda a canoni esterni, assolutamente non mi interessa.” Antonia
“L’estetica purtroppo conta molto per una donna. Vengo da una famiglia di donne belle. Mia nonna e mia madre erano davvero belle ed hanno sofferto moltissimo quando la bellezza se n’e’ andata. Quando diventi invisibile ti rendi conto di essere irrimediabilmente invecchiata. Il resto viene dopo”. Stefania
“Quando ho deciso di lasciarmi i capelli bianchi sono stata molto felice, mi trovo molto più luminosa e più ‘giovane’! Le rughe aumentano e basta un po’ di sonno saltato che mi vedo a 80 anni. Ma ci sono rughe d’espressione che mi sono simpatiche, rughe in cui mi ci trovo bene!” Antonella
Limiti e vecchiaia: autocostruzioni o questione socio-culturale?
L’età certo non è uno spartiacque che separa la vita allo scadere di un compleanno. Era ieri, è oggi.
Ma quello che il corpo non può più fare diventa subito il limite concreto e tremendo. Però il corpo è diversamente impegnato, come è diversamente abile quel corpo che trova altri spazi nella realtà di tutti i giorni. Noi non comprendiamo, non siamo pronte e preparate. Non conviene a nessuno che lo siamo. A noi si però.
Diversamente abile è il mondo che non conosciamo e la paura di esserne toccate è enorme. Eppure ci accompagna tutta la vita, il tempo ‘diverso’, che preme, che spalanca un vuoto tra te e te stessa e diventa filo che si fa sempre più sottile.
Sotto i piedi di una brava equilibrista il filo è più robusto, un’equilibrista sente e vede in modo diverso, con tutto il corpo. Fidarsi. Andare insieme in cordata, e la strada si presenta più luminosa anche quando è incerta.
“So di avere dei limiti, ma non mi pongo molti limiti, finché sono in grado di fare le cose. Forse li sento negli sguardi o nei discorsi degli altri.” Alessandra
“No, non mi sento di avere dei limiti autocostruiti. Ce l’ho i limiti, me li sento con gli anni, ma sono dovuti al fatto che comunque il fisico è stato in qualche modo usurato logorato … ho meno forze, però non li sento come limiti autocostruiti, non ho assolutamente queste forme mentali di pensieri no assolutamente no.” Beatrice
“Alla festa dei miei 70 anni ho invitato tutti gli uomini della mia vita. Un incontro con tanti amori, che quel giorno erano tutti lì, coi capelli bianchi, a ridere, brindare, mangiare, ballare. Ero felice in mezzo a tanti testimoni della mia gioventù, giocando innumerevoli ruoli: figlia, madre, moglie, nonna, amica, maestra, attrice, ex fidanzata, ex moglie, ex amante. Poi è scoppiato un temporale furibondo ed un fulmine è caduto sulla casa. L’allegria è continuata anche senza luce, ma quando tutti sono andati via ho scoperto che le parti elettroniche della casa erano fulminate, compreso il computer con la sua memoria. Come una punizione per aver voluto sfidare il tempo risalendone la corrente. Il mio Orixas, santa Barbara dei fulmini e delle tempeste, mi ha lasciata esposta e vulnerabile. In quel momento ho percepito i danni anche in me, i miei limiti. Dolori alle ossa, occhiaie, caviglie gonfie, un corpo troppo pesante e la consapevolezza che non sarei mai più stata in grado di ballare una pizzica senza farmi venire il fiatone.” Maurizia
“Tutto un processo interiore, che riguarda sempre più il tempo “sprecato”, perché l’ho sempre considerato infinito, e che potessi recuperare tutte le cose che in altre epoche ho trascurato perché presa da altro, che oggi non mi sembra più così importante come allora. Anche con l’esterno, il rapporto con la vecchiaia riguarda la difficoltà di manifestare quell’altra me stessa, che sta emergendo con fatica, nell’accettare i limiti dell’invecchiamento. Il tempo che viviamo non accetta limiti, specialmente noi donne tutte pimpanti fino a 90 anni … sento che non è giusto, sento che vivere bene la vecchiaia sarebbe fare dei limiti una risorsa.” Nadia
“Mi rendo conto che sentendomi fuori tempo ho rinunciato a fare cose, pensando che ormai fosse troppo tardi, ma non era proprio così. Direi che i limiti molte volte li ho posti io. La mia vecchiaia, ora, mi fa sentire più libera di essere quella che sono, più sicura di quello che penso, più serena in quello che faccio. Nonostante il tempo diminuisca, sento che non ci può più essere fretta. Voglio godere delle cose vecchie e nuove.” Magda
“Confesso di detestare la mia vecchiaia, e di nutrire al contempo pena per quella altrui. I limiti che sento insopportabili sono quelli oggettivi, la difficoltà nel camminare,i malanni più o meno invalidanti, il riconoscere l’inutilità di progetti a lungo termine. Insomma, il tempo di una fine che si avvicina e che mi riempie di sgomento. Vorrei vivere per sempre… So di essere ridicola, ma convivo quietamente con queste sensazioni da quando ho iniziato a ragionare, non nutro rabbia, solo profonda tristezza. Nel quotidiano tutto ciò si traduce in abitudini non sempre comprensibili per chi non mi conosca a fondo. Se leggo un libro o seguo una serie tv, un film, molto spesso interrompo prima della fine, rinvio al giorno dopo, a volte anche sine die.” Gianna
“C’ho pensato mentre stavo lavorando in un paese abbandonato per l’installazione sonora e dovevo fare 45 minuti ogni giorno di sentiero, e al terzo giorno è arrivata l’infiammazione alle ginocchia. Il dolore aumentava via via e mi sono detta: “come farò a fare il mio lavoro? Non funziono più” Antonella
La bisnonna Claretta doveva essere una tipa simpatica. La vedi là in mezzo alla sua gente, fiera di un sorriso timido e ironico, una maestrina di altri tempi. Meravigliosa conferma di una famiglia che non ho mai conosciuto, la foto mi arriva tra le mani, girandola scopro la firma del famoso fotoreporter romano Porry Pastorel! La mostro a mia sorella esclamando – Guarda che bella la bisnonna Claretta! –
In quella piazza la piccola Claretta, vicina al parroco e al vescovo, non è né bella né giovane, ma il valore di quell’immagine, sociale, storico, simbolico, la rende bella, con buona pace dell’età e degli specchi.
Penso spesso che mia madre non è stata mai nonna, che non le abbiamo dato questa ‘soddisfazione’, né mia sorella né io. Ma soddisfazione di che? Lo sarebbe stata per lei, un nipote, una nipotina? le sarebbe servito questo ruolo per sentirsi meno triste, inquieta, segretamente disperata? Non lo so, e non riconosco questa colpa, non essere stata mamma e non aver permesso a mia madre di collocarsi nonna, nell’età giusta per esserlo.
L’età giusta, il lavoro giusto
“Nel mio lavoro l’età è un valore aggiunto (sono formatore in sicurezza ambienti di lavoro) …..dovrebbe esserlo anche in ambito teatrale … In sicurezza l’esperienza sul campo conta molto (aver visto casi concreti e conosciuto lavoratori che hanno subito infortuni permette una consapevolezza che va oltre la lettura della normativa)”. Antonia
“Non ho mai avuto problemi di emarginazione al lavoro. Trovo però che l’esperienza non sia un valore acquisito nel mondo attuale, piuttosto c’è la valorizzazione dei giovani e giovanissimi. Mi pare che all’estero, per esempio in Francia, nel privato si dia maggior valore alle donne dai “capelli bianchi” e anche una riconosciuta maggior libertà”. Nadia
“Mai far vedere la ricrescita sul luogo di lavoro! I capelli bianchi, malgrado tacchi e taillerini sono la prima spia della tua età. ‘Che belli i capelli grigi, che bello mostrare la propria età senza complessi, libere.” Ma libere di che? Lo scanner dei colleghi ti individua come: “manca poco e mi prendo la sua stanza e il suo ruolo”. Ho lavorato 37 anni in Rai e conosco bene, ahimé il meccanismo. Non si salva nessuna. Non importa la tua esperienza o la tua bravura … la scusa è ‘largo alle giovani!’. Ma è che i maschi non cresciuti, in loro vedono la donna e in te solo la mamma.” Serena
“In ambito teatrale ma anche nella formazione di insegnanti, lavorando prevalentemente con giovani, risento molto dei limiti fisici che via via nel tempo si sono accentuati, non solo a causa degli anni ma per via dell’artrite reumatoide. Però c’è un aspetto positivo, a me, alla mia età, è riconosciuto il valore dell’esperienza. E ti senti dire “ci metterei la firma a invecchiare come te!” Maurizia
“Nel mio lavoro, il restauro, viene valutata positivamente una lunga esperienza e mi è capitato anche di avere richieste di lavoro dall’estero. Però in alcune situazioni ho sentito che alcune persone giovani mi consideravano con un po’ di sufficienza, come un po’ datata. Questo l’ho sentito più da parte delle donne che da parte degli uomini.” Alessandra
“Lavorando come docente di scienze motorie, ora in pensione, la difficoltà è iniziata con i miei numerosi infortuni. Non sempre ho potuto essere presente nel modo in cui avrei voluto, muovendomi e giocando insieme agli studenti. Negli ultimi periodi è stato molto, molto faticoso perché i problemi fisici hanno condizionato anche l’umore, la vivacità e la disponibilità nei loro confronti. Aperta ai loro cambiamenti ma bloccata nel corpo. Non è l’età a fare la differenza, ma spesso per gli adolescenti, se hai i capelli bianchi, sei una nonna” Magda
“Considera che io non vado in pensione, quel momento fondamentale che ti dà il senso del cambiamento definitivo di funzione sociale io non l’ho passato e non lo passerò. Un’artista lavora finché la mente, il corpo e il cuore la sostengono. Non c’è una data di scadenza.” Antonella
“Mi occupo dell’archivio fotografico di Sandro Becchetti, e ciò mi impegna in diverse attività, creative e organizzative, per proporre e allestire mostre in giro per l’Italia. E’ un’attività che mi è consona, per aver lavorato tanti anni come curatrice di programmi televisivi, e non mi sento ora penalizzata dall’età. Semmai noto all’inizio dei rapporti una curiosità negli interlocutori, una sorpresa, come se da una anziana donna ci si aspettasse soltanto un prudente conservatorismo.
Così scorre la mia vecchiaia, tra progetti e impegni condivisi con famiglia e amici, circondata da persone che stimo tantissimo, in un luogo di cui amo le singole pietre. Cosa posso volere ancora?” Gianna
L’album delle fotografie, questa ero io?
E per quello che riguarda il rapporto fotografico con me stessa, non ce l’ho. Nel senso che non sono fotogenica e non mi piace essere fotografata. Sai quelle tipiche ‘sorridi!’ Io non riesco a mettermi in posa, vengo sempre con delle espressioni poco intelligenti e anche Luciano, che si ostinava a farmi le foto, alla fine si è arreso, perché lo vede, per me è solo sofferenza!”Beatrice
“Le fotografie le valuto per quel che sono. Adesso mi compiaccio di guardare le mie foto da giovane, perché ero bella! Di una bellezza non “perfetta” secondo certi canoni, ma mi piaccio molto e capisco perché sono stata corteggiata tanto, sin da quando ero poco più che bambina.” Nadia
“Fotografie di me da giovane? Se mi capita le guardo ma non le cerco. Perchè farsi male?” Stefania
“Ho vissuto una vita con un fotografo, ritenuto maestro nel ritratto, ma detestavo essere fotografata, mi sembrava di non riconoscermi. Ma oggi, di fronte alla perdita di qualunque attrattiva nel mio viso, mi fa piacere constatare che tutto sommato avevo un volto non sgradevole e quindi sì, ti affido una mia foto da ragazza.” Gianna
“A volte le guardo e se sono venute bene, penso che ero carina. Quelle in cui sono bambina mi piacciono sempre, mi fanno tenerezza.” Alessandra
“Non guardo di proposito le foto di quando ero più giovane, se capita mi fa piacere e certamente provo un pò d’invidia per quella giovane che ero! Il confronto però preferisco farlo su quello che sono ora e cosa posso fare, allo stato dei fatti, per migliorare.” Magda
“Ero carina, ora cosa ci faccio in questo corpo da gabbianella, con pancia grande e gambe fini? Anni di occhiali appannano lo sguardo e qualsiasi ammiccamento è ormai patetico, qualsiasi pensiero di seduzione mi riconduce alla Bette Davis di “Che fine ha fatto Baby Jane”. Sono felicemente sposata da quasi quarant’anni, ma piacere mi piaceva. Che peccato esser diventate invisibili!” Serena
Le foto sì, le guardo e però non le guardo. Se confronto quelle di quando ero giovane con quelle di adesso, noto che ora mi vedo più bella di come mi vedevo allora. Non mi sono mai sentita tanto bella, invece ora dico, però, ero una bella donna, e anche alcune foto di adesso mi piacciono. In alcune il viso è molto segnato, in altre meno, ma questo non è drammatico, è all’interno di una visione di consapevolezza del cambiamento.” Antonia
Tante fotografie, tre immagini, diverse me stesse che tuttora convivono: una guarda il mondo con la meraviglia dei 4 anni, una con l’entusiasmo dei vent’anni. Direi che ho lo spirito di una ventenne in un corpo che ha fatto tante esperienze. Un’altra è antica e guarda con secoli sulle spalle. Antonella
Intanto …
Emergono dalle voci le immagini, e viceversa, lasciando affiorare pian piano volti antichi, mostrando le impronte che legano la bambina alla donna, la giovane alla vecchia. In un ciclo continuo.
Latente resta la nostra vecchiaia fino a che non lambiamo le sue coste, latente cammina con noi, non arriva all’improvviso. Siamo noi che dilatiamo il momento in cui vogliamo vederla, metterla in luce. Latente come il suo pensiero, che ha bisogno di maturare e crescere ed essere accettato.
E intanto una creatura aspetta di nascere e ri-nascere. Perché il tempo non si ferma, ma ogni tempo è una nuova vita.
“Da un’asse all’altra avanzavo
Così lenta, prudente.
Sentivo le stelle sul capo,
E sotto i piedi il mare.
Questo solo sapevo: che un altro
Passo sarebbe stato irrevocabile.
Ed avevo quell’andatura incerta
Che chiamiamo esperienza.”
(Dickinson E. c. 1864)
Ringraziamenti
Grazie alle amiche ‘di una certa età’ che hanno risposto con lucida e tenera sincerità: Gianna Bellavia, Antonia Bertagnon, Alessandra De Vita, Maurizia Di Stefano, Serena Iannicelli, Stefania Pace, Beatrice Possenti, Antonella Talamonti, Nadia Tarantini, Magda Viti.
Grazie a Michele Pascarella, che mi ha fatto conoscere Barbara Voghera, attrice diversamente abile di cui scrive: “attrice monumentale e lieta, furiosa e delicatissima”, e grazie a Lucia Manghi, che l’ha fotografata nel Teatro Comunale di Russi, prima di uno spettacolo.
Bibliografia
Borges J. L. e Guerrero M., Manuale di zoologia fantastica, Einaudi, Torino, 1984.
Dickinson E., Poesie, Rizzoli, 1986.
Rossella Viti. Roma 13/01/1957, è regista-attrice, autrice e artista multimediale, si nutre della ricerca multidisciplinare in campo performativo e visivo. Vive in umbria dove realizza con Associazione Ippocampo produzioni teatrali e creazioni itineranti, mostre installazioni e percorsi partecipativi con le comunità. È direttore artistico di Verdecoprente – residenze artistiche e festival, e di Orienteering Drama, concept per la valorizzazione del territorio. Ha pubblicato foto e articoli con l’editoria italiana ed estera.