1. Lo scopo di questo articolo.
Qual è la relazione tra mezzi di comunicazioni virtuali e attivismo? E in particolare come si crea una comunità femminista online e la si trasforma poi in un gruppo capace di avere un riscontro non solo sul web, ma anche in presenza?
Vogliamo riflettere su queste tematiche a partire da uno studio di caso, cioè il nostro progetto, Pasionaria.it, analizzando prima la sua origine e la sua evoluzione in rapporto alle nuove tecnologie e poi raffrontandolo con la rete femminista di cui fa parte, NonUnaDiMeno. Infine, analizzeremo le potenzialità dell’online, ma anche su eventuali rischi che questa dimensione può comportare per l’attivismo femminista.
2. Il progetto originario
Pasionaria.it nasce su iniziativa di Benedetta Pintus nel 2014 e apre ufficialmente nel Novembre di quell’anno (tra poco saranno tre anni). Il progetto nasce con l’idea di essere una realtà soltanto on-line, che, già attraverso la Redazione, rappresenti un panorama variegato di interessi, formazioni e pratiche. Tutte le persone che fanno parte in origine del progetto o che si aggiungeranno in seguito, sono dislocate in contesti geografici diversi e spesso lontani fra loro (alcune di queste vivono all’estero), hanno età, caratteristiche personali e profili culturali molto variegati. Le uniscono l’adesione a una certa visione del femminismo e la capacità di sfruttare le nuove tecnologie (lo strumento principale attraverso il quale il progetto è gestito e la Redazione comunica al proprio interno). Nonostante molti dei componenti della Redazione non si conoscono tra loro e non si sono neppure mai conosciuti di persona, attraverso un’ottima gestione delle comunicazioni online, il gruppo diventa ben presto compatto e affiatato.
L’idea alla base è semplice: portare il femminismo con tutte le sue complessità a un pubblico non necessariamente specialista e che è troppo giovane per aver vissuto la florida stagione del femminismo italiano tra gli anni Settanta e Ottanta.
Il nome è già una dichiarazione di intenti. Pasionaria, infatti, è un omaggio alla Pasionaria per antonomasia, la rivoluzionaria spagnola Dolores Ibarruri (1985-1989): la scelta del nome è stata dettata proprio dal voler mettere in luce non solo la prospettiva femminista, anticapitalista e “di sinistra” del sito, ma sottolinea anche come, pur nella novità che il progetto voleva e vuole apportare, non c’era un superamento o peggio un oblio della storia precedente.
Pasionaria.it vuole, però, non soltanto essere una vetrina per informazioni sul femminismo, ma lo strumento per generare dialogo e discussione con chi legge, in modo da creare una community in grado di agire concretamente su tematiche e in base a principi femministi: per questo si sceglie non solo un portale che ospiti articoli su una varietà di temi e ambiti, dalla politica alla letteratura, dalle tematiche LGBTI agli stereotipi di genere, ma si sceglie altresì di sfruttare alcuni mezzi di comunicazione offerti dalla Rete affinché il dibattito sia continuo.
Per gestire in modo efficiente il progetto e sfruttare ogni occasione per generare dibattito, abbiamo dunque affidato il nostro progetto a mezzi diversi. Il nostro sito internet (www.pasionaria.it) serve come collettore permanente dei contributi più importanti e più lunghi, in modo che restino sempre a disposizione di chiunque voglia leggerli e possano essere citati in articoli di altri. Fermo restando lo stile personale e la diversa preparazione di ciascuna persona che scrive, si è cercato di dare uniformità ai contributi attraverso i criteri di chiarezza, semplicità (senza semplificazione) e calviniana leggerezza (soprattutto per quei pezzi che sono più specificamente rivolti a chi per la prima volta si accosta a determinate tematiche).
Anche dal punto di vista grafico abbiamo cercato di caratterizzare la nostra comunicazione in questo modo, innanzitutto attraverso il logo e i colori.
Abbiamo scelto come logo un fulmine, che per noi è il simbolo dell’incisività, ma anche della creatività e dell’idea che colpisce e illumina. Un simbolo che mostrasse la nostra determinazione e la voglia di essere incisive, ma che allo stesso modo rimandasse anche a un immaginario pop, come quello dei fumetti.
Proprio per enfatizzare questo aspetto autoironico abbiamo scelto come colore principale una variante del fucsia, che fosse più brillante rispetto al rosa solitamente associato nella nostra società con il femminile, ma che allo stesso tempo avesse un effetto divertente. Anche il font utilizzato per il logo vuole essere spazioso, aperto e dare l’idea di un ambiente serio, ma rilassato e accogliente.
La modalità del sito, anche se è sempre stato possibile commentare, raramente genera dibattito sul mezzo stesso, perché la struttura ad articoli è piuttosto statica e restituisce un’idea di gerarchia molto forte (chi scrive, in pratica, sta conducendo una sorta di monologo informativo), contribuendo poco all’idea di comunità che avevamo in mente.
Proprio perché consapevoli di questo limite, si è reso necessario fin dall’apertura del progetto sfruttare altri mezzi online per poter avere uno scambio proficuo con chi ci segue. Abbiamo quindi aperto in simultanea account su due social network, Facebook, attraverso la nostra pagina (https://www.facebook.com/pasionaria.it/) e Twitter (https://twitter.com/pasionariait). A questo impianto si sono poi aggiunti in un secondo momento un profilo Instagram (https://www.instagram.com/pasionaria.it/?hl=it) e un gruppo Facebook dedicato alla letteratura femminista, il Pasionaria Book Club (https://www.facebook.com/groups/pasionariabookclub/).
3. Il femminismo intersezionale, la comunità e gli strumenti per farla crescere
Per comprendere al meglio perché per Pasionaria.it la creazione di una comunità virtuale, basata sull’ascolto reciproco e il dialogo, sia sempre stato uno degli obiettivi principali e come questo abbia condizionato l’uso da parte nostra, la selezione e l’utilizzo degli strumenti più adatti per creare e gestire la nostra community, è necessario che nell’ambito della galassia femminista, Pasionaria.it si collochi nell’ambito del femminismo intersezionale.
Il femminismo intersezionale è un tipo di femminismo che si basa su un concetto molto semplice, cioè che non esistano oppressi e oppressori come categorie assolute, ma che ogni donna e in generale ogni persona è parte di una rete di oppressioni diverse, che si intersecano e che non necessariamente chi è oppresso per un motivo (per esempio una donna che sperimenti la discriminazione di genere) non sia privilegiato per un altro (per esempio una donna con un reddito medio-alto potrà essere oppressa quanto a discriminazione di genere, ma privilegiata rispetto a una persona nullatenente). Non si tratta di stabilire una scala tra oppressioni più o meno importanti o di ridurre il discorso in modo semplicistico al fatto che siamo tutti sia oppressi che oppressori, ma piuttosto tenere conto del modo in cui diverse aree di discriminazione agiscono in modo differente su ciascun individuo (cioè per ogni asse dell’oppressione, tra un massimo di privilegio e un massimo di oppressione ogni individuo è situato su un punto diverso della scala) e siano interconnesse fra loro in modo diverso, come in un diagramma di Eulero-Venn.
Questo significa che qualsiasi pratica femminista debba rendere conto di questa estrema varietà del sistema di oppressione tanto quando si scelgono quali siano le rivendicazioni prioritarie, quanto nello stile di comunicazione e nelle pratiche che adotta. Il rischio concreto è escludere un determinato gruppo di persone, che rientrano nel novero delle persone discriminate per genere, perpetrando un altro tipo di oppressione, pur avendo l’errata convinzione di combattere per un’intera categoria. O peggio ancora, si rischia di sovradeterminare alcuni gruppi di persone: è quest’ultimo il caso di molti dei temi scottanti del femminismo contemporaneo, dal velo islamico alla gestazione per conto di altri.
L’unica strategia per ovviare a questi problemi e mettere in pratica un approccio intersezionale è quello di imparare ad ascoltare le esigenze di tutti, soprattutto di coloro le cui voci vengono più facilmente passate sotto silenzio e anzi essere per queste una vera e propria cassa di risonanza, stimolare il confronto, lo scambio di idee, il dibattito, avere la capacità di riconoscere che nessun giudizio è mai pienamente obiettivo e che le nostre percezioni e le nostre esperienze sono condizionate dalla nostra condizione sociale e che spesso tendiamo a dare al nostro punto di vista privilegiato un carattere di universalità.
Insomma, non esiste femminismo intersezionale senza una comunità, che sia il più possibile variegata, aperta e pronta al dialogo, al confronto e alla messa in discussione.
Quindi la questione principale del nostro progetto era come creare questa comunità e farla crescere.
Pasionaria.it non è la prima realtà intersezionale online in lingua italiana. Tra i vari progetti è doveroso citare quello che ha la storia più lunga e che forse è stato il primo esempio di femminismo intersezionale online in Italia, Abbatto i Muri (https://abbattoimuri.wordpress.com/). Ma il pubblico di Abbatto i Muri è già un pubblico in larga parte composto da persone molto informate sulle questioni femministe e che spesso già fanno militanza. Quello che volevamo fare con Pasionaria.it era invece allargare la nostra comunità anche a persone che per la prima volta si occupassero di diritti civili e più in generale di politica.
Proprio per coinvolgere il più possibile una comunità variegata, abbiamo quindi deciso di muoverci parallelamente ma in modo differenziato su Facebook e Twitter, consapevoli che questi due strumenti hanno modalità di utilizzo e un pubblico di riferimento diverso.
Abbiamo dedicato Twitter soprattutto alla costruzione di una rete sociale con altre attiviste e altri attivisti, italiani e internazionali, per avere un apporto più specialistico. È lo strumento che usiamo soprattutto per fare rete con altre realtà simili alla nostra e per portare avanti una conversazione a livello più specialistico. Recentemente abbiamo utilizzato il nostro account anche per specifiche campagne e tweet-storm.
Facebook, invece, è stato da subito la base per creare la nostra comunità, perché ha un’utenza meno selezionata e specialistica ed è più diffuso tra i giovani. Facebook, però, ci ha posto subito due sfide: innanzitutto quella di aggiornarci continuamente sui cambiamenti del suo algoritmo interno, per rendere più visibili i nostri post e, soprattutto il suo carattere estremamente aperto che è ottimo per generare discussioni, ma che attira anche un’ utenza, minoritaria, ma molto incisiva, di persone che interagiscono con il solo scopo di far polemica e provocare (i cosiddetti troll). Gli elementi fondamentali per la gestione della nostra community erano dunque trovare uno stile unico nella gestione dei commenti, soprattutto essendo la gestione dei nostri social divisa tra più persone, che invitasse al dialogo, che spiegasse senza per questo far percepire un’ incertezza a proposito delle nostre tesi, evitasse le polemiche e disinnescasse l’ effetto di quegli account che minano alla base l’ idea del confronto. Ci siamo dunque date una sorta di codice di condotta empirico, che ha richiesto un grande lavoro non tanto per capire come dovessimo comportarci, quanto come controllare e padroneggiare le nostre stesse reazioni per non danneggiare la comunità che andava creandosi.
Inoltre attraverso il meccanismo delle condivisioni, Facebook, molto più di Twitter, riesce a far arrivare uno stato anche a persone minimamente interessate al tipo di tematiche trattate dal nostro progetto, esponendoci quindi non solo a critiche che poco hanno a che fare con l’ argomento di volta in volta trattato, ma che più in generale criticano il femminismo in quanto tale, e a veri e propri attacchi, come nel caso della nostra campagna “Anche questa è violenza” (http://pasionaria.it/la-tua-testimonianza-per-il-25-novembre/). Questa campagna voleva portare allo scoperto il significato violento di molte situazioni quotidiane, come le molestie verbali per strada o sui mezzi pubblici, mettendo in luce che molti comportamenti, considerati normali perché molto comuni, alimentano la cosiddetta cultura dello stupro, cioè l’humus socio-culturale che favorisce la violenza di genere anche nelle sue formi più gravi. I contributi arrivatici dalla nostra community (soprattutto dalle donne) erano variegati e riportavano episodi di diversa gravità e vissuti con una gradazione di intensità emotiva; molto spesso il racconto di gesti quotidiani (fischi per strada, commenti a sproposito sul proprio aspetto fisico etc.) hanno attirato, oltre a molti commenti solidali, anche critiche feroci, denigranti e spesso aggressive (tanto da utenti uomini che no), che da una parte hanno dimostrato in pratica quanto sosteneva la campagna, ma dall’altra hanno implicato un grandissimo sforzo da parte nostra per contrastare i discorsi apertamente sessisti e maschilisti, per censurare le offese vere e proprie e per far tornare il nostro spazio virtuale uno spazio sicuro.
Proprio le campagne online sono state il nostro modo per coinvolgere ancora di più lettrici e lettori e fare di Pasionaria ancora più una comunità capace non solo di generare dibattito, ma di agire in senso politico, facendo convergere le energie della Redazione e di tutti coloro che ci seguono su un’azione comune. Al momento abbiamo svolto due campagne create direttamente da noi, “Anche questa è violenza” e “Una cosa bella sul mio corpo” (http://pasionaria.it/piccolo-esercizio-di-autostima/) e abbiamo aderito a campagne elaborate da più persone, come la recentissima “Quella volta che” (http://pasionaria.it/quellavoltache-non-hai-denunciato-molestie-violenza/).
4. “Noi siamo marea”: NonUnaDiMeno, il femminismo nelle piazze online e reali.
Le campagne online, oltre a creare o partecipare a campagne online, che sono importanti e che servono non solo a coinvolgere la comunità, ma anche ad aumentare il senso di autoefficacia dei suoi partecipanti, rischiano però di rimanere frammenti isolati di un discorso più ampio che fatica a trovare poi un risvolto duraturo sul piano culturale e legislativo. Inoltre siamo convinti che una comunità acquisisce maggior senso se situata in una rete di relazioni, che permetta un proficuo scambio di idee, energie e buone pratiche. Per questo motivo Pasionaria.it ha aderito subito alla rete femminista NonUnaDiMeno (https://nonunadimeno.wordpress.com/).
Nonunadimeno è una rete femminista, che si propone di far dialogare le variegate realtà femministe italiane (e anche persone singole che non appartengano già a un progetto o a un collettivo), per concertare azioni comuni di contrasto alla violenza di genere.
NonUnaDiMeno è la versione italiana della rete NiUnaMenos, che nasce in Argentina con il medesimo scopo.
Lo scopo che si è data la realtà italiana è quello di scrivere un piano femminista nazionale contro la violenza di genere, che sia alternativo, ma non per questo antagonista, alle soluzioni proposte dai vari governi in risposta alla rinnovata sensibilità verso i femminicidi e la violenza di genere.
Partita da Roma con la grande manifestazione nazionale del 26 novembre 2016 e la plenaria del giorno successivo, NonUnaDiMeno, che nel rispetto delle buone pratiche femministe è un contenitore privo di gerarchia, si è strutturata in tavoli di lavoro che coprano varie tematiche collegate alla violenza di genere. Il messaggio fondamentale è che per arginare questo fenomeno non siano sufficienti le misure legislative che vadano a punire chi è trovato colpevole di perpetrare violenza di genere né che basti obbligare le donne a denunciare, ma che occorra un ampio sistema di misure normative, economiche e culturali che sopprimano l’humus culturale di cui si nutre la violenza di genere in tutte le sue forme, non soltanto di violenza fisica. I tavoli di lavoro erano originariamente otto (Percorsi di fuoriuscita dalla violenza, Narrazione della violenza nei media, Educazione alle differenze, Sessismo nei movimenti, Femminismi e migrazioni, Diritto alla salute sessuale e riproduttiva, Tavolo legislativo e giuridico, Lavoro e Welfare) ai quali si è aggiunto recentemente un nuovo tavolo, Corpi e territori.
Già dalla sua impostazione si capisce bene come NonUnaDiMeno sia un aggregatore di diverse realtà, che agiscono tanto online quanto sui territori, e che serva a facilitare uno scambio tra comunità con esperienze, bagagli culturali e pratiche diverse che si uniscono per uno scopo comune.
NonUnaDiMeno, però, è anche altro. Fin dagli slogan utilizzati, “noi siamo marea”, “la rivoluzione sarà femminista o non sarà”, l’idea è quella di provare a superare le divisioni dei singoli gruppi femministi per creare una comunità nuova, liquida e duttile, che si arricchisca anche nelle differenze. Non è un percorso facile né tantomeno lineare, perché specie quando si vanno ad affrontare i temi più scottanti dell’agenda femminista contemporanea è impossibile giungere a una posizione in cui tutte le realtà che compongono la rete si riconoscano.
Per continuare il discorso iniziato a Roma, sono state utilizzate le seguenti strategie: la creazione di nuclei locali spontanei sui territori (a livello cittadino, provinciale o regionale), la creazione di una mailing-list generale e di mailing-list tematiche per ogni tavolo di lavoro, la condivisione dei materiali prodotti sul sito ufficiale di NonUnaDiMeno e infine la creazione di una pagina Facebook (https://www.facebook.com/nonunadimeno/) e di un profilo Twitter (https://twitter.com/nonunadimeno) nazionali.
Questi strumenti sono nati allo scopo di non disperdere le energie e di fornire momenti di discussione e di aggregazione, ma non tutti si sono rivelati efficienti allo stesso modo nel gestire la community che andava creandosi.
Prima di tutto per sua natura gli strumenti informatici poco si prestano a una struttura completamente priva di gerarchie, poiché a vari livelli c’è necessità di controllo o di nuovi stimoli per mantenere viva e ad alto livello la conversazione.
Lo strumento che più immediatamente ha rilevato questo problema sono state proprio le mailing-list e in particolare quella generale. Per mantenere lo strumento funzionale è stato ben presto necessario individuare dei moderatori che gestissero il flusso delle informazioni e che invitassero chiunque partecipasse a non intasare il canale di comunicazione con messaggi diretti a una sola persona o che non contribuivano alla discussione; questo problema probabilmente ha assunto una dimensione maggiore anche perché le mailing list non sono uno strumento così comunemente usato per stimolare discussioni, ma piuttosto per informare (e che, proprio a causa del loro uso ristretto, molte persone non sanno usare in modo adeguato) e prevedono dunque una struttura comunicativa fortemente gerarchizzata, non sempre sono state efficaci.
La mailing-list nazionale, infatti, da una parte ha dato vita a un torrente di informazioni nel quale è difficile distinguere quelle più importanti, dall’altra, la necessità di un’azione di moderazione ha sollevato alcune proteste da parte di chi ha percepito gli interventi dei moderatori come autoritari. Inoltre si è creata una situazione molto variegata tra i vari tavoli, alcuni dei quali hanno continuato a lavorare in modo ottimale anche attraverso questo mezzo, mentre altri si sono bloccati o quasi.
La pagina Facebook, complice il cambiamento continuo dell’algoritmo di Facebook, che tende sempre di più a sfavorire le pagine che non pagano sponsorizzazioni, è soprattutto un contenitore informativo, che non riesce a generare il dibattito che vorrebbe, pur nella vastità del numero dei like, ma che è vitale per tenere traccia di tutte le iniziative locali e nazionali.
Diverso e più funzionale l’utilizzo di Twitter, che forse è il centro dell’azione on-line di NonUnaDiMeno, attraverso questo strumento, infatti, si è riusciti a creare azioni online che hanno avuto un ottimo riscontro, come il lancio della tweet-storm globale per lo sciopero di genere e dai generi dell’8 marzo 2017 (https://nonunadimeno.wordpress.com/2017/03/06/l8-marzo-lotta-anche-sui-social-partecipa-alla-tweet-storm-globale/).
Grandissima efficacia dal punto di vista della creazione della community di NonUnaDiMeno hanno però gli incontri in presenza sia nazionali che sui territori, pur con tutti i problemi peculiari del territorio italiano e che rischiano di escludere di volta in volta chi si trovi geograficamente lontano dal luogo dell’assemblea nazionale, ma senza la comunicazione online non sarebbero state possibili.
Infatti NonUnaDiMeno non ha altri canali di comunicazione (anche la manifestazione nazionale del 26 novembre a Roma e lo sciopero delle donne dell’8 marzo 2017 non hanno ricevuto una grande copertura da parte dei media tradizionali) e tutti gli eventi sono stati sempre diffusi attraverso il canale online.
NonUnaDiMeno sta perfettamente riuscendo a coniugare due aspetti che caratterizzano l’attivismo femminista in Italia, cioè unire la discussione on-line, vivacissima in sedi diverse dai canali ufficiali di NonUnaDiMeno alla tradizione dei collettivi e dei movimenti che lavorano invece sui territori con metodi più tradizionali.
È la dimostrazione che a livello politico e sociale Internet, quando sfruttato al meglio delle sue potenzialità, non solo può essere utilizzato come cassa di risonanza e mezzo per una comunicazione rapida, ma può diventare un efficace strumento che accompagna metodi di rivendicazione e di lotta più tradizionali e collaudati. L’importante è farne un utilizzo critico e riflessivo, piegando lo strumento alle nostre necessità e selezionando le modalità di utilizzo più funzionali allo scopo.
5. Femminismo, femminismi e feminist washing: quasi una conclusione.
L’onda lunga di NonUnaDiMeno e le possibilità offerte dalla Rete hanno contribuito alla rinascita di una miriade di iniziative femministe, distribuite variamente sui territori, online o in forma mista. Le realtà sono così tante che occorrerebbe un vero e proprio censimento per conoscerle tutte. Non solo c’è una grande ricchezza di mezzi e una varietà di persone che vengono coinvolte in ogni specifico progetto, ma lo scenario femminista italiano è grazie al web divenuto particolarmente ricco, tale da presentare moltissime sfaccettature del femminismo contemporaneo, dal femminismo storico, a quello della differenze nato negli anni Ottanta, dal femminismo intersezionale al transfemminismo queer…
Ci sono realtà che si occupano di femminismo in modo più pop, altre che parlano soprattutto a chi fa attivismo, altre ancora che si occupano di temi specifici. Molte di queste realtà erano preesistenti a NonUnaDiMeno, ma la rete ha grandemente contribuito a metterle in risalto, a fare incontrare comunità diverse e a istituire relazioni dentro e fuori NonUnaDiMeno. Lo abbiamo sperimentato in prima persona anche con Pasionaria.it, che nell’ultimo anno è cresciuta sia nei contatti sui nostri canali social, sia nel numero di proposte che chi ci legge ci invia, che prendano la forma di articoli, contributi grafici o suggerimenti tematici. Insomma, per il femminismo in Italia c’è un rinnovato interesse e di sicuro ce n’è ancora bisogno.
Di femminismo stanno cominciando sempre più spesso a occuparsi anche i media tradizionali, soprattutto alcuni quotidiani: insomma tutto fa pensare che ci sia un gruppo di persone, aldilà di chi è attivista femminista, che quanto meno si interessa a questi temi. Come spesso accade, però, quando una tematica diventa più interessante per il pubblico dominio, la nostra società capitalista cerca di appropriarsene e di utilizzare strumenti e discorsi per trasformarli in motivo di profitto. Così la parola femminismo viene invocata anche a sproposito, per essere stampata in lettere glitterate su una maglietta per vendere, attraverso gli stessi strumenti online utilizzati da chi fa attivismo, servizi e dati. È il cosiddetto fenomeno del feminist washing, un fenomeno analogo al pink-washing attuato da alcune aziende italiane da quando i diritti delle persone LGBTI sono entrati nell’agenda politica nazionale, cioè cercare di ammantare operazioni commerciali e di far crescere la reputazione di un’azienda con operazioni pubblicizzate come femministe. Soprattutto nella dimensione della Rete questo fenomeno rischia di mischiarsi, per un pubblico non troppo smaliziato o semplicemente frettoloso, con i contenuti che hanno come unico scopo la rivendicazione politica e sociale. Il feminist-washing funziona in modo parassitario rispetto alle community già create e rischia di indebolirle: forse la vera sfida per gli anni avvenire è fare sì che questo non avvenga, inventando nuovi modi di sfruttare le tecnologie informatiche.
Beatrice da Vela insegna alle scuole superiori ed è autrice di vari libri. Insieme a Benedetta Pintus è amministratrice e autrice del progetto femminista Pasionaria.it (www.pasionaria.it).