NURTURE o dell’educazione libertaria
L’auto-formazione da Ferrer y Guardia a Freire (II parte)
di Viviana Gravano

All’interno delle scuole, laiche o religiose, pubbliche o private, primarie, di gradi superiori e persino universitarie, nel contesto occidentale – o se vogliamo in qualsiasi sistema scolastico nel mondo che sia nato in uno Stato capitalistico – parole come felicità e desiderio hanno mai trovato spazio? Quando si leggono programmi, direttive ministeriali, ma anche relazioni sociali e politiche sulla scuola in generale, si parla mai di felicità per lo studente e felicità per il professore/maestro? La scuola considera in generale il desiderio come il vero elemento di condivisione tra esseri prima di tutto “senzienti”: studenti e insegnanti?
Queste questioni, che purtroppo sono tutte accomunate nelle risposte da un no, nel mondo dell’educazione in Occidente, sono considerate non solo fuori luogo e utopiche ma persino naives.
Partiamo dalla parola che in una qualche misura ha segnato il senso del rapporto scuola/allievo nell’era moderna: educazione. Il termine in sé ha un significato letterale dal latino: e-ducére che vuol dire trarre fuori da, portare fuori. Andando a vedere in realtà a vedere il verbo ducére quali altri significati porta si scopre che tutti alludono al trarre fuori con violenza, a trascinare via, ma anche a condurre con determinazione, a dominare (non a caso è l’antica radice di dux), ad imporre la propria volontà. Dunque il verbo, che sembrerebbe alludere alla capacità dell’insegnante di portare fuori il sapere dallo studente, ci porta subito all’immagine del “sapiente” che prova a trascinare via con sé con una chiara volontà di dominio il “non ancora sapiente”. Ma ancora peggio, la parola prende anche l’ulteriore significato di punizione come: giudicare e valutare, fino alla deriva violenta di trascinare in carcere o portare in giudizio. Il punto di partenza è dunque la domanda coma mai questo termine, dai significati senza dubbio in partenza unidirezionali e vessatori nel rapporto tra maieuta e alunno, sia divenuta d’uso comune per indicare l’azione che si svolge nella scuola. La motivazione di fondo è che l’insegnamento viene identificato con un processo di “educazione” che prevede un flusso unidirezionale che va dal maestro/professore allo studente/allievo. In questo modo il ruolo del “sapiente” non è solo quello di trasmettere ma, cosa molto più importante, di “condurre” l’altro a identificarsi con il suo pensiero, ad abbracciarlo, a farsi trascinare fino al punto di totale identificazione.
In una scuola fortemente nozionista tutto contribuisce ad imporre una sorta di invariabilità oggettiva del sapere che, nelle sue linee essenziali viene narrato come un “dato di fatto”, e che in più deve essere appreso così come è, e ripetuto in maniera pedissequa. La scuola moderna occidentale è un sistema, non a caso sistematizzato e reso pubblico e diffuso con la nascita dei nazionalismi, che grazie ai criteri di valutazione, all’imposizione di valori come la prestazione, l’errore, la bocciatura e il premio, prepara all’essere sottomessi e proni alla volontà generale delle istituzioni gerarchiche e verticali dello stato centralizzato.
La questione è molto lunga e complessa e non voglio qui fare una trattazione che parta dalla paideia platonica e arrivi all’Emile di Rousseau perché non ne ho lo spazio. Dunque vorrei citare due soli esempi virtuosi, provenienti da due parti diverse del globo, Spagna, e sarebbe meglio dire Catalogna, e Brasile. Vorrei parlare dell’anarchico Francisco Ferrer y Guardia nato nel 1859 a Alella, un villaggio a quindici chilometri da Barcellona e morto fucilato dallo stato spagnolo sul Montjuich a Barcellona nel 1909, accusato di essere l’ispiratore degli eventi della Settimana Tragica di Barcellona; e di Paulo Freire, nato a San Paolo del Brasile nel 1922 e qui morto nel 1997, pedagogista inventore della cosiddetta “pedagogia degli oppressi”.
Francisco Ferrer fonda la prima Escuela Moderna a Barcellona nel 1901, alla calle Bailén, contemporaneamente apre anche una casa editrice e la rivista “Boletín de la Escuela Moderna” (1901 – 1909). Dopo un processo sommario e totalmente irregolare viene fucilato, in realtà perché ha tentato di impedire la partenza di militari spagnoli alla volta delle colonie. Questo dettaglio apparentemente solo di rilevanza banalmente cronachistica, è a mio parere di fondamentale importanza. Ferrer aveva costruito un’idea di educazione libertaria che distruggeva il paradigma dell’Europa coloniale come il luogo della conoscenza assoluta, della civiltà che poteva andare in paesi altri, senza cultura e “educazione” per portare loro istruzione e civiltà. In tempi in cui il movimento anti-coloniale in Europa era quasi inesistente, se non appunto in alcune visioni anarchiche che respingevano in assoluto le guerre di invasione, Ferrer, che è il fondatore di un sistema scolastico che prima in Catalogna e poi in tutta la Spagna produrrà centinaia di esempi, non muore per aver compiuto una qualsiasi azione, ma per essersi opposto all’ennesimo invio di uomini nelle colonie.
In breve tempo l’esperienza della Escuela Moderna di Ferrer produsse il movimento europeo delle “scuole Ferrer”, “e ispirò altre esperienze educative come le case dei bambini montessoriane, la scuola rinnovata di Pizzigoni, i metodi di Celestine Freinet, la scuola di Clivio in Italia e il movimento delle scuole cooperative (…)”1.
Il suo libro fondamentale Escuela Moderna, pubblicato per la prima volta nel 1906 a Barcellona, introduce un’idea di scuola, poi realmente realizzata, che non si basa più su una visione unilaterale e gerarchica, ma che promuove sorta di auto-formazione dell’infanzia, nella quale viene dato un ruolo attivo allo studente, che stabilisce con il suo maestro/professore una relazione di assoluta reciprocità. Questa visione straordinariamente innovativa allora come oggi, non solo discute il ruolo dell’allievo ma rivoluziona radicalmente quello dell’insegnante che non è più chiamato a riproporre una “sapienza” e una conoscenza fissa e determinata, bensì che deve sviluppare una propria visione in continua negoziazione con lo studente. Dunque Ferrer apre le porte a quell’idea di “educazione libertaria” che come detto produrrà un grande movimento non solo europeo, che intende liberare gli studenti e i maestri unendo le due mettà sotto una sola definizione come “senzienti”. L’apprendere non è più legato alla “quantità” di nozioni che un dato individuo, in quanto emanazione di una istituzione/potere impone a un altro considerato “non sapiente”, ma diviene un territorio di scambio tra senzienti che secondo la propria sensibilità leggono insieme il mondo dentro e fuori la scuola.
Ferrer scrive: “Il fanciullo nasce senza idee preconcette e il suo migliore educatore sarebbe soltanto colui che meglio fosse in grado di rispettare la volontà fisica, morale ed intellettuale del fanciullo, anche contro lo stesso educatore”2. L’allievo, in quanto essere umano ha un suo patrimonio “istintivo” ma anche etico e persino intellettuale già autoprodotto quando arriva a scuola, e l’educatore non opera imponendo un proprio pensiero precostruito, ma accettando il confronto con il vissuto del suo studente, ponendo anche se stesso nella condizione di essere contestato, riletto e ridiscusso. La conoscenza non si basa quindi più su una visione istituzionale gerarchica nella quale un ente superiore, esterno all’intima relazione tra maestro e studente, decide quali elementi questi debbano condividere solamente attraverso un flusso nella direzione “sapiente-non sapiente”, ma diviene un movimento circolare in cui le conoscenze sono reciproche e ambedue imparano dalla loro relazione di reciprocità. Lo studente non è una tabula rasa su cui disegnare un futuro uomo obbediente, ma è già un essere dotato di proprie visioni, aspirazioni e, cosa essenziale desideri. Ferrer più volte torna sul fatto che le giovani menti sarebbero naturalmente portate allo studio perché curiose, assetate di nuove scoperte e avventure, e che la scuola trasforma questo desiderio in obbligo, questa aspirazione in costrizione. “L’educatore impone, obbliga, costringe sempre; il vero educatore è quello che, contro le proprie idee e la propria volontà, può difendere il bambino, facendo appello in maggior grado alle energie proprie dello stesso bambino”3.
La Escuela Moderna di Ferrer non è solo il luogo della formazione dei bambini e dei ragazzi ma è anche il luogo della continua auto-formazione di chi la scuola la fa e la dirige. Scrive ancora Ferrer per rispondere a chi gli chiede esattamente come sarà questa scuola rivoluzionaria e libertaria: “Applicheremo ciò che sappiamo e in seguito quello che apprenderemo”4. La costruzione della scuola non può partire solo da idee preordinate ma deve crescere con la sua stessa esperienza, producendo una struttura del sapere che non considera la sua base la conoscenza come passaggio di dati acquisiti, ma sempre come processo in fieri in cui il contenuto non è l’elemento portante ma la metodologia. In altre parole la scuola non può definire se stessa perché è definita solo nel suo continuo tradursi, cioè mutarsi e trasformarsi.
Nella scuola di Ferrer viene abolita la prassi degli esami, la scuola non prevede né punizioni né premi, il criterio di crescita non è basato sul raggiungimento di obbiettivi e sulla competizione. La vera aspirazione della scuola è che ciascun possa “uscire da lì per entrare nell’attività sociale con l’attitudine necessaria per essere maestro e guida di se stesso per tutto il corso della sua vita”5. L’autoeducazione, di allievo e maestro insieme, porta alla costruzione di individui capaci di autodeterminarsi e quindi di svolgere una vita libera e cosciente. “Non abbiamo timore di affermarlo: noi vogliamo uomini capaci di evolversi continuamente, capaci di distruggere, di rinnovare di continuo gli strumenti e di rinnovare se stessi; uomini la cui forza consista nell’indipendenza intellettuale, che non si sottomettano mai a nulla, sempre disposti ad accettare il meglio, felici per il trionfo delle idee nuove, che aspirano a vivere molte vite in una sola vita”6. La scuola, immaginata dallo stato moderno come dice lo stesso Ferrer, come un grande sistema non per “elevare” le masse, ma bensì per educarle all’obbedienza e alla omologazione, deve invece favorire la formazione di uomini capaci di immaginare la propria vita come un processo di continua mutazione, in netto contrasto con la realtà classista del mondo capitalista che inchioda ciascuna fascia a un destino, spesso segnato proprio dall’impossibilità di accesso all’istruzione specialistica considerata patrimonio di pochi, ricchi e di classe elevata.
Vorrei qui aprire una parentesi su posizioni apparentemente molto discutibile e finanche pericolose, se non addirittura reazionarie, se non se ne conosce a fondo la sostanza: il movimento della descolarizzazione di Ivan Illich, ben spiegato nella sua sostanza nel volume Descolarizzare la società. All’inizio del testo, nato dall’incontro tra Illich e Everett Reimer a Portorico nel 1958 nel Centro per la documentazione interculturale (CIDOC) di Cuernavaca nel Messico, dove si legge: ” Molti studenti, specie se poveri, sanno per istinto che cosa fa per loro la scuola: gli insegna a confondere processo e sostanza. Una volta confusi questi due momenti, acquista validità una nuova logica: quanto maggiore è l’applicazione, tanto migliori sono i risultati; in altre parole, l’escalation porta al successo. In questo modo si «scolarizza» l’allievo a confondere insegnamento e apprendimento, promozione e istruzione, diploma e competenza, facilità di parola e capacità di dire qualcosa di nuovo”7. Illich pone l’accento su un dato essenziale: la scuola pubblica di massa, così come struttura controllata e espressione diretta dello stato, di fatto è la sola istituzione preposta alla “formazione” dei singoli individui. “In tutto il mondo la scuola esercita sulla società un effetto antieducativo, in quanto la si considera la sola istituzione specializzata nell’istruzione”8. In altre parole tornando a connetterci a Ferrer, la scuola pubblica disegna uomini secondo un unico criterio, e centralizza di fatto la funzione essenziale dello sviluppo della vita umana disegnandolo dalla sua più tenera età fino all’età adulta. Non voglio certo qui fare l’ode della scuola privata, né contestare in maniera astratta la scuola pubblica, ma appare certo interessante riflettere sul fatto che la scuola di massa, nata in epoca moderna parallelamente alla nascita del nazionalismo occidentale, sia di fatto stata lo strumento principe non solo delle dittature, ma anche delle recenti democrazie che la continuano a considerare come una fabbrica del consenso. Dunque una demagogica accettazione supina della scuola pubblica di massa come la unica e sola possibile opportunità, pur di mantenerla tale non ne fa discutere i fondamenti, producendo a mio modo di vedere una sorta di autogol per chi vuole avere una visione libertaria non solo della scuola stessa, ma degli individui adulti che poi diverranno.
Ferrer non a caso fonda scuole finanziate privatamente ma non destinate solo ai ragazzi abbienti, bensì con una mobilità sociale interna almeno interessante per essere concepita all’inizio del XX secolo, che prevede che le famiglie facoltose in sostanza paghino per le meno abbienti. Ma a fronte di questo occorre dire che la scuola non propone al suo interno nessuna differenza di ceto o classe, e di più, mette nella stessa aula maschi e femmine, una cosa per il tempo davvero straordinaria, discutendo così una visione ancestralmente maschilista della scuola. Le ragazze e i ragazzi ricevono nella Escuela Moderna una identica istruzione sia sul piano teorico che nelle materie pratiche e tecniche.
Vorrei chiudere solo con un cenno al lavoro molto conosciuto del pedagogo brasiliano Paulo Freire partendo in particolare dalla sua idea della “educazione degli oppressi”, che tanto più appare interessante perché non riguarda solo la cosiddetta scuola dell’obbligo, quindi bimbi e ragazzi, ma abbraccia anche le fasce di età di adulti analfabeti o semi-analfabeti istruiti dalle nuove campagne, in atto in tutto il mondo dopo la II Guerra Mondiale, per diffondere alle masse l’istruzione di base.
Freire definisce l’educazione classica, moderna, come “depositaria”, segnata dalla attitudine a considerare lo studente come un contenitore vuoto nel quel depositare la conoscenza. Questa metodologia ovviamente con considera il “contenitore” né flessibile, né soggettivo e tanto meno cosciente a priori per contenuto che dovrà ospitare.

Freire scrive una sorta di lista per spiegare la relazione forzosa e violenta della educazione depositaria:

“L’educatore educa, gli educandi sono educati;
L’educatore sa, gli educandi non sanno;
L’educatore pensa, gli educandi sono pensati;
L’educatore parla, gli educandi lo ascoltano docilmente;
L’educatore crea la disciplina, gli educandi sono disciplinati;
L’educatore sceglie e prescrive la sua scelta, gli educandi seguono la sua prescrizione;
L’educatore agisce, gli educandi hanno l’illusione di agire, nell’azione dell’educatore;
L’educatore sceglie il contenuto programmatico; gli educandi, mai ascoltati in questa scelta, si adattano;
L’educatore identifica l’autorità del sapere con la sua autorità funzionale, che oppone in forma di antagonismo alla libertà degli educandi; questi devono adattarsi alle sue determinazioni;
L’educatore è infine il soggetto del processo; gli educandi puri oggetti”9.

In molte delle definizioni date qui dal pedagogo brasiliano c’è una visione illuminante che tende letteralmente a sovvertire il concetto di educazione. All’educatore che pensa, non si contrappone un educando che non pensa, ma un educando che viene pensato, cioè che esiste nella mente dell’educatore ancor prima del loro incontro, che è un a priori nel loro rapporto, e che quindi non può essere considerato come agente ma solo come “deposito”. E ancora l’educatore crea la disciplina, qui intesa sia come “corretto” modo di comportarsi, sia come struttura tassonomica del sapere, e l’educando è “disciplinato” cioè è sottomesso allo schema disegnato per lui prima, che lo anticipa, che si antepone a qualsiasi sua visione. Altro punto chiave, “l’educatore agisce, gli educandi hanno l’illusione di agire, nell’azione dell’educatore”: l’agire che di per sé è la sostanza della conoscenza diviene solo una illusione per lo studente che non porta avanti se stesso, ma solo copia l’azione soggettiva del maestro. La conclusione di Freire è essenziale: l’educatore è soggetto e l’educando oggetto. “È normale quindi che in questa educazione “depositaria” gli uomini siano visti come esseri destinati ad adattarsi. Quanto più gli educandi diventano abili nel classificare in archivio i depositi consegnati, tanto meno sviluppano la loro coscienza critica, da cui risulterebbe la loro inserzione nel mondo, come soggetti che lo trasformano”10.

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1 Francisco Ferrer y Guardia, Escuela Moderna, S.E., Barcellona, 1912.
Francisco Ferrer Guardia, La scuola moderna. Verso un’educazione senza voti né esami, Edizioni Avanguardia21, 2014, ebook s.p. Introduzione di Filippo Trasatti.
Francisco Ferrer Guardia, op.cit., s.p.
3 Idem.
Idem.
5 Idem.
Idem.
7 Ivan Illich, Descolarizzare la società, KKEN, 2013, ebook s.p.
Idem.
9 Paulo Freire, Pedagogía del oprimido, Herder y Herder, New York, 1970 (manoscritto in portoghese 1968); ed. italiana La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1971, p.71.
10 Idem.