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Traduzione italiana a cura di Carolina Farina. Revisioni a cura di Tatiana Bazzichelli
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Questo libro riflette sulla condizione delle pratiche artistiche di attivisti e hacker nella nuova generazione dei social media (chiamata anche Web 2.0) analizzando le interferenze tra il fare rete e le strategie turbative d’innovazione aziendale (la disruptive business innovation).
L’obiettivo principale è ripensare il significato delle pratiche critiche nell’arte, nell’hacktivism e nel social networking, analizzandole attraverso il concetto business invece di considerarle in opposizione a esso. La crescente commercializzazione degli ambiti di condivisione e di networking e l’innovativo ruolo chiave della comunità open source nello sviluppo di applicazioni controllate da client-server centralizzati, ha cambiato lo scenario della cultura partecipativa e portato le strategie hacker e artistiche nell’ambito della net culture a mettersi in discussione.
Nel contesto dei movimenti artistici underground come della cultura digitale, il concetto di “networking” è stato usato per descrivere pratiche collettive basate principalmente sullo scambio e sulla collaborazione uno-a-uno. Partecipazione, interazione e collaborazione sono state le fondamenta concettuali di molta dell’arte del Ventesimo Secolo, da Dada a Fluxus, dalla Mail Art all’Hacker Art. Tuttavia, sin dalla nascita del Web 2.0, il networking è diventato, non solo una pratica quotidiana, ma anche una strategia di mercato pervasiva.
Il quadro economico dell’Internet bubble 2.0 ha creato nuove contraddizioni e paradossi, nei quali da un lato troviamo lo sviluppo di un vocabolario critico e la denuncia dello sfruttamento del networking e della cooptazione della cultura peer2peer da parte delle imprese del Web 2.0; dall’altro lato, possiamo osservare l’incremento dell’opportunità di creare condivisione e sviluppare contesti di rete tra un ampio numero di utenti Internet, produttori di una considerevole massa di contenuti web senza essere necessariamente esperti di tecnologia.
Molte start-up del Web 2.0 hanno adottato strategie imprenditoriali per generare reddito, formulando una retorica della flessibilità, della decentralizzazione, dell’apertura, della sociability e del Do-It-Yourself. Gli imprenditori della rete hanno adottato in differenti contesti, e per differenti scopi, valori simili a quelli che hanno caratterizzato la progressiva affermazione della cultura hacker e della cultura di rete negli scorsi decenni.
Parallelamente a questo fenomeno è da considerare che molti hacker e sviluppatori che hanno contribuito all’affermazione della cultura hacker e del movimento open source negli anni Ottanta e Novanta oggi lavorano per corporation delle tecnologie di comunicazione, specialmente negli Stati Uniti e, in particolare, nella Bay Area. L’opposizione alla creazione di un monopolio delle comunicazioni e al pensiero capitalista espresso da molti membri della cultura digitale underground durante gli ultimi anni ha ora raggiunto il paradosso dal momento in cui coloro che lavorano per generare opposizione sono gli stessi che ne subiscono gli attacchi.
Questa coincidentia oppositorum (o unità degli opposti) rispecchia inoltre la crisi delle ideologie politiche globali e strategie attiviste oppositive, nei Paesi Occidentali. Dato che, come ha affermato il filosofo greco Eraclito, «La strada superiore e la strada inferiore sono la stessa cosa» (Ippolito, Confutazioni 9.10.3), si pone la questione se il conflitto dualistico tra capitalismo e anticapitalismo possa essere considerato il sentiero giusto per provocare un cambiamento sociale.
L’ipotesi del libro è che le interferenze reciproche tra arte, hacktivism e il business del social networking stanno cambiando il senso e l’ambito della critica politica e tecnologica.
Il punto di partenza di questa analisi è l’assunto che se, da un lato, le comunità underground di rete di artisti e hacker sono servite ad accelerare il capitalismo fin dalla comparsa della cultura digitale e delle cyber-utopie, dall’altro lato, sono servite a rinforzare l’antagonismo contro di esso, generando pratiche critiche basate sulle metodologie e tecnologie della condivisione e del networking. Artisti e hacker utilizzano tecniche perturbative di networking nell’ambito dei social media, aprendo una prospettiva critica nei confronti del business e generando spesso feedback imprevedibili e inattesi; le imprese commerciali utilizzano la turbolenza e la disruption come una forma di innovazione per creare nuovi mercati di rete, che spesso funzionano in modo altrettanto imprevedibile. Questa perturbazione mutuale e la coesistenza di interferenze tra arte, business e networking, mostra come hacker e artisti siano stati agenti attivi di innovazione economica (business) tanto quanto ne abbiano minato le basi.
Identificando le emergenti contraddizioni tra il corrente quadro economico e politico del capitalismo informazionale, l’obiettivo di questa analisi è ripensare il significato di pratiche critiche e oppositive in arte, hacktivism e nel business del social networking.
Lo scopo è analizzare le pratiche hacker e artistiche attraverso il business, suggerendo quindi un’analisi di piani di interferenza reciproca piuttosto di un processo di opposizione dialettica1.
L’obiettivo non è creare un’analisi storica e filosofica di queste pratiche sociali e artistiche, ma riflettere sulle differenti modalità di sviluppo di un pensiero critico, facendo luce sulle contraddizioni e sulle ambiguità nella logica capitalistica, e nelle strategie di arte e hacktivism, ripensando queste pratiche all’interno del contesto del social networking (reti sociali).
Il concetto di “disruptive business” diventa significativo per descrivere le pratiche immanenti di hacker, artisti, networkers e imprenditori attraverso casi di studio specifici. Questi fanno luce su due aree critiche differenti, ma connesse: la cultura tecnologica californiana e la cultura di rete europea – con un focus specifico sulle molteplici relazioni tra business e antagonismo politico. Nella prospettiva di questa analisi il concetto di “business” non rimanda all’approccio teorico di riferimento dei business studies, ma è considerato nelle sue proprietà speculative come una risorsa per lavorare consapevolmente su pratiche artistiche, politiche e tecnologiche.
Il concetto di business, diventato oggi comune nella vita quotidiana e nel linguaggio, è tutt’altro che scontato, e merita una critica approfondita. Si è resa necessaria un’analisi di come il concetto di being busy (“essere occupato”, nella cultura protestante) si ricolleghi al discorso della disruption nel panorama politico ed estetico. Molti attivisti di solito preferiscono non misurarsi con il concetto di “business”, confinandolo nel dominio delle logiche del mercato commerciale. Questo libro dimostra come alcuni artisti e attivisti utilizzino invece la critica della logica di business come tattica consapevole, cooptando la cooptazione. Questa proposta offre nuove prospettive per superare l’apparente situazione di stallo dialettico che caratterizza in questo periodo il processo d’innovazione vs. sussunzione.
Il modello di analisi qui proposto può essere visualizzato come segue: hacker, attivisti e artisti lavorano sul social networking con un approccio critico, creando un circuito di interferenze mutuali tra arte, business e metodologie di disruption, come può essere visto nell’immagine sottostante:
Tatiana Bazzichelli, Disruptive Loop Diagram, 2011.
From the book of Tatiana Bazzichelli, Networked Disruption: Rethinking Oppositions in Art. Hacktivism and the Business of Social Networking,
Digital Aesthetic Research Centre, Aarhus University,Denmark, 2013.
Il fenomeno per cui lo sviluppo di mercato procede parallelamente alla riformulazione delle pratiche radicali non è niente di nuovo: la cultura cyber e hacker sviluppatasi durante gli anni Sessanta in California è un chiaro esempio di questo, come è stato descritto da Fred Turner nella sua ricerca. Oggi una compresenza di agenti opposti che si influenzano reciprocamente torna in prima linea nel quadro del Web 2.0. Artisti e hacker usano tecniche perturbative di networking nell’ambito dei social media e dei servizi web-based aprendo una prospettiva critica nei confronti del business e generando spesso feedback imprevedibili e inattesi; le imprese commerciali applicano la disruption come strumento d’innovazione per creare nuovi mercati e reti di valore, che spesso funzionano in modo altrettanto imprevedibile. Nei contesti di rete la disruption è diventata, quindi, una strategia a due sensi: una pratica per generare senso critico e una metodologia per creare innovazione imprenditoriale. La storia della cybercultura, e oggi il fenomeno del Web 2.0, dimostra che gli opposti si consolidano reciprocamente e spesso creano una simbiosi necessaria alla sopravvivenza di entrambi: in molti casi, hacker, attivisti e imprenditori sono parte della stessa entità. È ancora significativo considerare l’hacktivism come uno strumento di critica radicale al sistema, quando gli hackers hanno contribuito alla sua creazione e al suo rafforzamento? Se il capitalismo e quella che un tempo era chiamata controcultura ora condividono retoriche e strategie simili, è possibile immaginare delle alternative all’attuale logica di mercato?
Il mio intento è presentare un ulteriore livello d’analisi: investigare gli interventi artistici e hacker in cui la business disruption è stata utilizzata come pratica artistica. Dato che oggigiorno contraddizioni e dicotomie sono inerenti alle logiche del business, la vera sfida affonda nell’esplorazione della dissoluzione simbolica del potere, dove hacker e artisti performano direttamente queste contraddizioni e ne elaborano le inaspettate conseguenze come forma artistica.
Descrivendo il concetto di “business disruption” come pratica artistica, questa analisi diventa un’opportunità, sia per gli accademici sia per gli attivisti, di immaginare nuovi territori possibili di azione sociale e politica. L’arte della disruption è una strada possibile per studiare la decostruzione delle strutture di potere sperimentandole dall’interno, rivelando le incoerenze delle logiche imprenditoriali e appropriandole al contempo in modo critico e ironico. Lungi dal pensare di risolvere le contraddizioni economiche e politiche della network economy nella loro interezza, gli artisti e gli hacker al centro della mia analisi empatizzano con esse, il loro campo di sperimentazione diventano le mutue interferenze tra hacking, business e pratiche distribuite di networking. Strategie di perturbazione autonome e decentrate, diventano uno strumento per ripensare il concetto di conflitto hacktivista e artistico nell’ambito della critica politica contemporanea.
Il concetto di disrupting business nei social media fa luce sulle pratiche di artisti, attivisti e hacker che stanno ripensando interventi critici nel campo dell’arte e della tecnologia, accettando di agire all’interno del mercato, per decostruirlo. Sfidare il mercato non significa respingerlo, ma trasformarlo in un campo di gioco, sia appropriandosene sia esponendone le incongruenze. In questa prospettiva in che modo la disruption è diversa rispetto alle metodologie classiche di conflitto e antagonismo? Partendo dall’assunto che capire il capitalismo oggi significa avere la consapevolezza che esso è costituito dalla solida unione di paradigmi opposti (come ad esempio hacktivism e imprenditoria), l’obiettivo non è opporsi direttamente agli avversari, ma raggirarli “diventando loro stessi”, incarnando camouflages disturbanti e ironici. Superando la classica strategia potere/contropotere, che spesso ha come risultato conflitti che replicano la competitività e la violenza del capitalismo stesso, adottare la disruption come una pratica artistica significa immaginare strade alternative basate sull’arte di mettere in scena paradossi e giustapposizioni. La disruption diventa un mezzo per nuove forme di critica. Oltre al concetto di coesistenza degli opposti come tensione dualistica tra due forze, e all’idea del prevalere dell’una sull’altra, la mia analisi si concentra sulla mutua interferenza tra piani differenti. Al di là della tensione dualistica, la sfida è analizzare i bugs del sistema nei quali le opposizioni si dissipano una a una in infiltrazioni distruibuite. Questo non significa che i contrasti spariscano completamente, ma che diventino multipli, mutuali, virali e diffusi – come i vari nodi di una rete.
Il punto di partenza per questa analisi è la seguente domanda: cosa succede quando la coesistenza degli opposti in arte, hacktivism e business diventa, all’interno del social networking, un piano di mutua interferenza? L’analisi della circolare reciprocità di feedback tra hacker, artisti e business nei nodi delle reti sociali, necessita di un ripensamento della cooptazione come processo per capire il cambiamento sociale. Riflettendo criticamente sul concetto di attivismo artistico e hacker, il libro apre un nuovo spazio contraddittorio per l’arte e il conflitto politico: la turbativa di rete (Networked Disruption). La “turbativa” è un atto oppure un evento che tende a turbare il regolare stato o svolgimento di qualcosa. La “turbativa di rete” si basa su pratiche di disturbo, perturbazione e sconvolgimento del business della rete, che lavorano su un duplice piano contraddittorio: la critica del business e la sua reinvenzione.
La Network Disruption (turbativa di rete) diventa una strategia a due vie, un “feedback loop”, una pratica per generare critica, e una metodologia per creare innovazione. Attraverso il confronto fra pratiche di social networking nell’America settentrionale e in Europa, prima e dopo l’avvento dei social media, il libro propone una costellazione di progetti di social networking che utilizzano la strategia della “disruption” per immaginare nuove configurazioni artistiche, politiche e tecnologiche.
Analizzare le pratiche artistiche nello spettro dei social media implica un riconoscimento delle fascinazioni dei beni consumistici e le conseguenti strategie per essere costruttivi e decostruttivi allo stesso tempo, per innovare il business criticandolo. Per indagare la progressiva commercializzazione delle piattaforme di condivisione e di networking, è necessario comprendere la cultura imprenditoriale dall’interno. Gli artisti diventano virus, lavorano empaticamente con il loro soggetto d’intervento. Perturbano gli ingranaggi della macchina performandola.
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1 Questa idea di “straficazione” (layering) in luogo di cooptazione, è stata proposta da Fred Turner nella lecture “The Bohemian Factory: Burning Man, Google and the Countercultural Ethos of New Media Manufacturing”, University of California, Irvine, School of Humanities, 23 April 2009, dove ha discusso le sue opinioni sul fenomeno sociale del Burning Man e il suo contributo nel sostenere le industrie dei nuovi media. […]
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* Questo testo è un estratto del libro Networked Disruption. Rethinking oppositions in Art, Hacktivism and the Business of Social Networking di Tatiana Bazzichelli, pubblicato da Digital Aesthetics Research Center, Aarhus University nel 2013.
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Keep Fighting by Chelsea Manning Network, at Disruption Network Lab, STUNTS, 12 December 2015, Berlin.
Brandon Bryant, Former US-Drone Operator speaks at Disruption Network Lab, DRONES, 17 April, 2015, Berlin. Photo by Nadine Nelken.
Tatiana Bazzichelli at Disruption Network Lab, STUNTS, 12 December 2015, Berlin. Photo by Maria Silvano.
DISRUPTION NETWORK LAB
Un laboratorio di ricerca e pratica sull’arte, hacktivism e disruption
Il Disruption Network Lab è una piattaforma di ricerca ed eventi incentrati su arte, hacktivism e disruption. Il laboratorio prende forma attraverso una serie di conferenze svolte allo Studio 1 nel Kunsquartier Bethanien di Berlino e in altre location. Fondato da Tatiana Bazzichelli (direttrice artistica e curatrice) e sviluppato insieme al suo team (http://www.disruptionlab.org/team), il Disruption Network Lab è prodotto dal Disruption Network Lab e V. (gemeinnütziger eingetragener Verein), un’organizzazione no-profit tedesca.
L’obiettivo del Disruption Network Lab è presentare e generare nuove configurazioni possibili di azione politica e sociale nell’ambito dell’hacktivism, della cultura digitale e della tecnologia dell’informazione, concentrandosi sul potenziale perturbativo e dirompente delle pratiche artistiche. La metodologia curatoriale si basa su un montaggio di pratiche e contesti di ricerca volti a creare un network di sperimentazione basato sull’interferenza e contaminazione di diversi punti di vista. Il programma è sviluppato attraverso presentazioni artistiche, dibattiti teorici e conferenze tematiche.
Fondato nel 2014, il Disruption Network Lab ha affrontato diverse tematiche critiche e dal forte impatto politico: dall’uso dei droni durante i conflitti in Medio Oriente con conseguenze devastanti per i civili, alle forme di sorveglianza pervasiva, fino all’analisi del rapporto fra arte, disruption e whistleblowing, come forma di denuncia delle attività illecite all’interno di governi e organizzazioni pubbliche o private.
Dopo aver lavorato per due anni sul concetto di “Art & Evidence”, quest’anno il Disruption Network Lab approfondisce il concetto di “Outer Spaces”. Con questo termine s’intende il vuoto che esiste tra i corpi celesti, un concetto che fa riferimento al principio di “horror vacui”, esposto dal filosofo greco Aristotele, interrogando la possibile esistenza di un vuoto nello spazio. Trasferendo questo concetto in una dimensione culturale e sociale, è possibile definirne molteplici (spazi alieni), in cui l’“horror vacui” si traduce nella paura di ciò che è sconosciuto. Lo scopo di questa serie, di cui il prossimo evento avrà luogo il 24-25 novembre, è di comprendere “la diversità che fa paura”, mettendo a confronto diverse forme di alterità geopolitica, spaziale e culturale.
Tatiana Bazzichelli è la direttrice artistica del Disruption Network Lab (www.disruptionlab.org). Ricercatrice, networker e curatrice nella sfera dell’hacktivism e della net culture. Ha conseguito un Postdoc presso l’Università Leuphana di Luneburg e un PhD in Media Studies nella Facoltà di Arte e Comunicazione dell’Università di Aarhus in Danimarca. Dal 2011 al 2014 è stata curatrice del festival transmediale di Berlino, in cui ha sviluppato il programma “reSource transmedial culture berlin”, progetto di networking e ricerca all’interno del festival (www.transmediale.de/resource). Nel 2009 è stata Visiting Scholar presso la Stanford University in California, impegnata nella ricerca sull’hacker culture e la disruption nella Silicon Valley. Sin dagli anni Novanta è attiva nella comunità hacker ed è fondatrice del progetto AHA:Activism-Hacking-Artivism (www.ecn.org/aha), che ha vinto la Honorary Mention per le digital communities all’Ars Electronica (2007). Ha organizzato diverse mostre e convegni sulla media art e l’attivismo come SAMIZDATA (Berlino, 2015), Sousveillance (Aarhus, 2009), HACK.Fem.EAST (Berlino, 2008), HackMIT! (Berlino, 2007), CUM2CUT (Berlino, 2006-2008), Hack.it.art (Berlino 2005), Art on the Net in Italy (Berlino 2005), MediaDemocracy and Telestreet (Monaco, 2004), AHA (Roma, 2002), Hacker Art Lab (Perugia, 2000). Dal 2003, vive e lavora a Berlino in Germania.