§Fare Mondi.
Tra ricerca e fabulazione
Mind wandering:
per un metodo di ricerca empirico e affettivo
di B. Bordoni

Presente

Si dice di un’immagine guizzante che affiora all’improvviso dal passato e produce ricadute pratiche.
quando un’esuberanza dalle traiettorie imprevedibili e dalla provenienza misteriosa affiora, porta un’esigenza che scompagina le carte. Questo evento apre una nuova prospettiva sul futuro, una breccia che dischiude possibilità impreviste, incalcolabili e sovversive. si dice, tra le altre cose, dei fantasmi.

(Giorgi, Dizionario fantastico, 2023)

Sogno § evasione

È il 17 novembre, in prossimità della luna piena in Toro. Siamo nella mia stanza, all’interno di quello che intuisco essere un grande dormitorio, luogo ricorrente dei miei sogni. Insieme a me, altre persone. Ne riconosco solo alcune, molto vicine nella rosa dei miei affetti. Nella stanza aleggia un clima di tensione crescente, siamo agitatə dalla notizia che un’alleanza militare fascista è salita al governo e che delle bolle antagoniste stanno facendo irruzione nelle case. Lancio un paio di sguardi per sancire un patto di intesa, recupero due zaini vuoti e comincio a rovistare ovunque alla ricerca degli effetti personali indispensabili per quella che si prepara a essere una vita da fuggitiv_, cane randagio, terrorista.

La maggior parte del sogno si svolge e riavvolge attorno a quest’azione, affannata eppure meticolosa, quasi devota, del rovistare: scandaglio le interiora della stanza, che assume sempre più le sembianze della casa in cui sono cresciut_. Gran parte degli oggetti che cerco sono esistiti o esistono tuttora anche nella mia realtà materiale (e questa vividità onirica è particolarmente perturbante): apro gli armadi, svuoto cassetti, e più rovisto, più mi immergo nel passato e nella polvere, arrivando a riesumare oggetti della mia infanzia di cui non ricordavo l’esistenza. Vecchie bambole, perlopiù. Bussano alla porta: sono due sbirri, uomini.
– Preparo questa borsa per venire con voi – mento, temporeggio.

Loro mi lasciano fare, con una calma e una cordialità agghiaccianti, scambiandosi battute con i miei amici che li intrattengono mentre io, alzando la fodera di un vecchio portagioielli, scopro due scomparti segreti pieni di arnesi da lavoro, tutti blu. Faccio in tempo ad infilarne uno in tasca come fosse un coltello, prima di essere scortat_ fuori.

Mi sveglio alle tre del mattino. Percepisco che sono in giro. Cammino disperso nello spazio cittadino, dove noi non c’incontriamo, né tra mezz’ora né mai, però tre mesi dopo ad esempio. Rivedo situazioni avvenute nello stesso spazio ma in diverso tempo. Ricomincio: mi sveglio, percepisco lo spazio intorno a me, come la mia stanza da letto, pavimento, tavolo, finestra, tetto: è una visione rassicurante (Uochi Toki, 2009).

Mi sveglio allarmat_ e sudat_. Il bottino, alla fine, è poca roba: una giacca pesante, i miei taccuini da viaggio, una pinza. Il processo di indagine, invece, è stato come uno scavo archeologico, e qui sembra stare la chiave interpretativa del sogno: fruga nel presente fino al passato, infila le mani nelle acque torbide del rimosso, rovista, scandaglia, lascia affiorare, getta via. Trova i tuoi strumenti nascosti. Non è indispensabile che siano preziosi, non affezionarti, tutti gli oggetti sono temporanei. L’importante è che siano utensili utili tanto alla sopravvivenza quanto all’autodifesa. Se i tempi oscuri bussano alla porta, tu fatti trovare pront_.

Sappiamo che questo sogno non è irreale. Il passato e il presente della storia umana sono segnati da episodi di violenza militare e sistemica che generano mostri fuori e dentro di noi: basta pensare alle guerre in corso in Medioriente, ai bombardamenti di Gaza, Siria e Libano, alle lotte per l’indipendenza Curda, al conflitto russo-ucraino, alle violenze etniche e le guerre civili del centro e sud Africa, alla deforestazione dell’Amazzonia… Guardando più in prossimità, i rapporti di sudditanza fra estrema destra neoliberale e stato di polizia stanno avendo effetti reali sulle nostre vite che non lasciano presagire nulla di buono,  a partire dalla censura mediatica del governo Meloni, dall’aumento delle sanzioni punitive e della repressione contro i movimenti di liberazione e dagli attacchi pubblici da parte di gruppi e soggetti neofascisti e omo-transfobici che si susseguono nell’indifferenza generale e nel tacito consenso.

La violenza non genera solo mostri ma anche fantasmi, ovvero tracce del rimosso, individuale e sociale, che spingono continuamente facendo pressione in direzione della coscienza (Consigliere 2020, p. 42). Il soggetto moderno, plasmato dal mito del progresso [1] e isolato nella sfera del logos razionale, compie un grande sforzo per contenere, ignorare o dimenticare i fantasmi, invece di rovistarci dentro. È addestrato a non vedere oltre le zone artificialmente illuminate, e questo disincanto (o incanto totale o meglio ancora totalitarista) facilita l’insediamento militare nel quotidiano e spinge le forze repressive a fare irruzione fin dentro il mondo simbolico e onirico, l’inconscio, il regno del possibile e del non-ancora.

Dobbiamo farci trovare prontə.

Mi sveglio, esco di casa, noto particolari nuovi anche se faccio sempre la stessa strada. È un’abilità innata: si chiama “percezione” e alle altre persone non credo sia stata donata. La mia superbia viene alimentata dalla praticità distratta di chi non sblocca la parte destra del cervello (Uochi Toki, 2009).

Mi riaddormento: sono di nuovo nello stesso sogno. Ora siamo all’interno di un enorme hangar dove c’è molto movimento, intravedo altri gruppi di civili scortatə dalla polizia. Sedutə attorno a un tavolo, una poliziotta ci consegna dei fucili dandoci ordine di usarli per ammazzare altrə come noi in quella che sembra essere un’operazione di autodistruzione su scala mondiale. Io mi ribello, rivolgendomi a lei per far leva sul senso di giustizia, appellandomi alla ragione: tutto quello che sta succedendo è illogico e disumano!

Ma lei non sembra nemmeno sentirmi: non sta solo obbedendo a comandi superiori, fa fede ad un’ideale di giustizia e ad una ragione di stato che hanno completamente rovesciato il mondo in un finale distopico in cui l’ombra nera della coscienza ha preso il sopravvento.
Questo è il fine ultimo dell’ideologia fascista: rovesciare il nostro immaginario [2] per assumerne il controllo. Per farlo deve prima sbarrarne l’accesso, bloccare i motori che producono differenze, biforcazioni, desideri, intuizioni, resistenze, e anche grazie ai rapporti economici con i grandi capitali mondiali stanno aumentando i suoi mezzi a disposizione. Un esempio recente è l’interesse strategico che la presidente Meloni nutre verso l’imprenditore Elon Musk che, tra la volontà di connettere anche i luoghi più remoti attraverso il dominio delle reti internet e la mania di conquiste interplanetarie, è il magnate della colonizzazione dell’immaginario.

Mi sveglio, e naturalmente tu hai da fare, impegni inderogabili da cui non ti riesci a districare, modelli di comportamento impossibili da sradicare. Il mondo non viene comandato dai soldi o dal sesso, ma dal non voler provare quel senso di scomodità che percepisci quando ti si presenta una qualche nuova possibilità. Mi sveglio, e sono l’unico a vedere la realtà con tutta questa limpidezza, senza relativismo – quindi mi sbaglio, perché sono il solo a pensare che la realtà sia una sola e ciò che tende a differenziare la visione è l’immaginario proprio delle singole persone (Uochi Toki, 2009 ). 

Esattamente un anno fa, sempre durante una notte di luna piena in toro, feci un sogno del tutto simile a questo: dall’ambientazione, ad alcuni personaggi, all’incursione violenta della polizia dentro le mie stanze psichiche. È una coincidenza non banale. La differenza è che, in quel caso, venni colt_ alla sprovvista, riuscii a liberarmi ma non a mettere in salvo lə altrə, mentre questa volta avevamo un piano – o quantomeno un’intenzione – di evasione.

«La via di fuga da un tempo stregato è qualsiasi cosa non sia il disastro incombente» scrive l’antropologa Stefania Consigliere nelle prime pagine di Favole del Reincanto. È anche una nostalgia per le terre sommerse, la ricerca di un altrove che «continua ad esistere fuori dal fascio abbacinante dei fari: l’erba, il terrapieno, la tana, il sentiero, gli alberi, l’ombra del bosco, gli animali sul prato» (Consigliere 2020, p.14). Quelle che elenca sono cose reali, materiali, dati fenomenici che vengono invisibilizzati perché dati per scontati, seppur riconoscibili come indizi di presenza del magico, dove per magia si intende, sempre in accordo con la Consigliere, «ciò che avviene ai margini del noto, cioè dello storicamente dato, e alla periferia dell’attenzione» (Consigliere 2023, pp.II).

Se «tutto quel che ci circonda ormai nello spazio urbano e altrove è carico della violenza che i processi produttivi hanno inflitto ai corpi e agli oggetti, ma la nostra struttura sensoriale ne rende quasi impossibile la percezione, è diventata illeggibile» (Consigliere 2023, p.123), allora evadere dal reale –  muoversi parallelamente a esso, esplorare gli stati coscienza, i mondi onirici e sommersi, i paesaggi interiori –  diventa  il modo per amplificare la nostra conoscenza del sensibile e dell’invisibile, per riorientare la nostra attenzione verso l’infra-sottile tanto caro a Duchamp [3]; ma non solo: esso è anche il modo per allenarci a districare i nodi e i grovigli [4] delle dinamiche di potere e oppressione entro cui siamo immersə, prima che vengano assimilate, e quindi replicate, in maniera irreversibile.

Mi sveglio: intorno a me paesaggi, colline, alberi, pioggia, energie radianti, edifici sovrastanti, animali vivi e decomposti, case abitate, avamposti, cartelli di segnalazione dossi, sabbia, erba e fossi, industrie ed impianti, disegni – i nostri, disegni – i vostri, terrazze, scale e pianerottoli. Descrivo la realtà coi miei metodi enciclopedici, ovvero ti spiego gli oggetti indicandoteli, oppure facendo chilometri insieme per poi chiederti un’intersezione della mia più la tua osservazione (Uochi Toki, 2009).

Strumento § progetto

Tra febbraio e novembre 2024 ho curato un ciclo mensile di laboratori all’interno di Lavanderia a Vapore di Collegno (Torino), centro regionale della danza del Piemonte. Ho interamente affidato il progetto, dal titolo Mind-wanderers – pratiche di evasione collettiva, a processi creativi empirici e affettivi, dalla stesura dell’idea alla sua realizzazione, dalla scelta delle persone da coinvolgere alla ricerca di risorse, fino alla co-progettazione delle pratiche proposte. La domanda cardine, posta con sfumature critiche e declinata all’interno di diverse cornici di senso nell’arco dei sei incontri, è stata: 

Cosa vuol dire, oggi, sentirsi presenti?

Attraverso degli appuntamenti a cadenza mensile gratuiti e aperti a una ventina di persone, in cui artiste e ricercatrici sono state invitate a condurre una riflessione sul termine “presenza” in forma laboratoriale, Mind-wanderers ha esplorato il territorio politico dell’esperienza e della differenza. Proposte di ascolto sonoro e percezione dislocata con la facilitatrice di deep listening Diana Lola Posani, ma anche esercizi di immaginazione radicale e desidumanzia per disingaggiare i modelli dominanti di desiderio, insieme al collettivo Šumma ālu. Camminate immersive condotte dall’etnobotanicə e ricercat_ Lucilla Barchetta, dove l’attenzione si è fatta esperienza transcorporea collettiva, un “rivolgere l’animo a…”, e creazioni drammaturgiche improvvisate sulla base di un ascolto condiviso con Chiara Gistri, performer e psicologa. La giornalista e militante per i diritti civili Diletta Bellotti ha imbastito il dispositivo del workcafè per immaginare campagne politiche che la nostra praxis speculativa ha trasformato in scenari utopici. Infine, durante l’ultimo appuntamento, inserito all’interno del research camping Floating Bodies, evento che ha visto la collaborazione fra il team di Lavanderia, il collettivo Ricerca X e l’associazione Bastione di Torino, ho guidato piccoli gruppi di due o tre persone nell’esplorazione dei propri paesaggi interiori, attraverso una pratica somatica a cui ho dato il nome di Look Closer.

La drammaturgia dei laboratori è stata pensata come un tempo di apnea, preceduto da un breve momento di accompagnamento all’immersione dentro uno stato di presenza simultaneo e multidimensionale, attraverso pratiche sensoriali che ho sviluppato a partire dai dialoghi avuti con le artiste. Ogni incontro si è concluso con un momento di emersione, in cui il disegno è stato usato come strumento privilegiato di annotazione e verifica, divenendo luogo di transito e deposito. L’azione di disegnare, che unisce memoria e durata, ha facilitato la conversione dell’emozione in sentimento, aiutando a immagazzinare l’esperienza tramite immagini simboliche. Le pratiche, nel loro insieme, sono state pensate come formule per guidare la consapevolezza e attivare le potenzialità trasformative che lo stare insieme in-beetween può operare sulla realtà, soggettiva e plurale.

Mi sveglio, ricordo ogni mia proiezione su quello che potreste pensare. Ormai gli alberi e le case non hanno più niente a che fare col vivere immersi nel reale (Uochi Toki, 2009).

Mind wandering significa, letteralmente, “vagabondaggio della mente” o “mente errante’’. Secondo la psicologia cognitiva, questo fenomeno consiste in uno spostamento dell’attenzione dall’attività che si sta svolgendo (qui e ora) verso sensazioni interne o pensieri e preoccupazioni personali: è il quotidiano e ordinario distrarci da ciò che stiamo facendo, il sognare ad occhi aperti, il proiettarci nel futuro, il rivivere scene passate, il monologo interiore, la conversazione immaginaria con qualcuno, il pensiero spontaneo, il pensiero intrusivo e non guidato.

Se essere disattentə e fantasticare può, da una parte, aiutare il pensiero creativo e l’immaginazione del futuro, dall’altra rischia di aumentare la disregolazione emotiva, l’overthinking, l’ansia e la depressione. Questi effetti collaterali negativi non sono immuni dal contesto socioeconomico-culturale in cui viviamo, anzi. Nell’attualità di un mondo in cui le infrastrutture sono sempre più precarie e le sovrastrutture si moltiplicano, in cui l’iperconnessione e il senso di solitudine convivono senza bilanciarsi mai, la produttività è l’unità di misura del nostro valore individuale e la performatività quella del self-empowerment, il mind-wandering sembra offrire una risposta automatica a un bisogno, appunto, di evasione.

Allo stesso tempo, diventa uno strumento attraverso cui riconfigurare un senso del sé e del circostante. L’assunto transfemminista del “partire da sé” diventa un punto di ancoraggio per scandagliare, da una parte, le relazioni di prossimità che ci ingaggiano quotidianamente, e dall’altra la soglia fra realtà esterna e mondo interiore come oasi, punto liminale, spazio di sovversione e riconversione dello stato di presenza.

Già Ernesto de Martino parlava di crisi della presenza nel mondo primitivo, e della potenza del rituale magico per sanare la relazione fra sé e il mondo. Considerando il linguaggio artistico-performativo uno strumento privilegiato e accessibile di elaborazione della realtà, capace di re-stare sulla soglia fra paesaggio interiore e stimolo esterno, di superare la dicotomia mente-corpo, è possibile, attraverso la pratica artistica, attivare processi creativo-cognitivi che assumono di fatto il principio di formule rituali.

Fare attenzione non significa solo concentrarsi su una cosa, concludere un compito, ma essere vigili, ricettivi, cogliere nuovi punti di vista; distrarsi non è solo assentarsi, fantasticare: scomparendo, appariamo altrove. Se essere presenti perde il suo significato univoco e binario – qui e ora, dentro o fuori – abbracciando l’equivoco, l’interferenza, la differenza, la pluralità, ci liberiamo del fantasma della normalità riconfigurando il presente come un insieme fluido di stimoli non pre-determinabili.

«L’Attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. […] è questo, ai miei occhi, l’unico fondamento legittimo di ogni morale; le cattive intenzioni sono quelle che assolutamente non commetteremmo mai se sapessimo veramente che le cose e gli esseri esistono» (Consigliere 2020, p. 97).

Intendendo la “ricerca” come la sedimentazione di un metodo e di una visione, che prescindono dalla produzione e dalla progettazione artistica, grazie alle intuizioni che hanno dato forma a Mind-wanderers ho potuto approfondire un metodo di ricerca che potremmo definire magico-intenzionale. L’intenzione è di ripensare la pratica performativa da un punto di vista etico prima che estetico, come una pratica quotidiana oscillante tra l’esame interiore profondo, lo smantellamento delle relazioni normative e gerarchiche e il riposizionamento dell’individuo all’interno di un ambiente, che sia esso sociale, culturale, biologico. La magia è tutto ciò che entra in contatto, muta e informa il desiderio, e che nutre la mia fiducia nel processo nonostante io non possa vederlo.

Lo percepisco quando parliamo della stessa cosa nella stessa lingua: tu citi le fonti e fai bei discorsi, ed io sono costretto a nasconderti che ciò che penso me lo invento, perché potresti non credermi, o dirmi che non vale credere nel momento, che piuttosto è meglio usare il tempo per ricercare verità passate, con la scusa che non c’è più niente di nuovo da coniare. Lo percepisco quando in ambito professionale mi rendo conto che nessuna delle cose che so fare può darmi direttamente da mangiare  (Uochi Toki, 2009).

Avevo sedici o diciassette anni, mi trovavo con alcunə amicə a un concerto. Dal palco il cantante, un tipo con gli occhiali e una voce nasale e un po’ rabbiosa che lanciava frasi come dardi infuocati su una base di elettronica, comincia a inveire contro le persone del pubblico, sempre cantando, definendole superficiali e stupide per la loro poca attenzione a quello stava succedendo, compreso il fatto stesso di non accorgerci che ci stesse insultando.

siete degli stupidi!

Noi, dispersi fra la folla, scrutiamo l’intorno fino a incrociare reciprocamente i nostri sguardi, le sopracciglia alzate fra lo scettico e il divertito: il cantante ha ragione, siamo circondatə da gente che beve, fuma e parla senza ascoltare quello per cui si presuppone siano riunite lì.

stupidi!

Loro sono gli Uochi toki, duo di voce e musica noise elettronica originario della provincia di Alessandria, che lascia tracce sparse nella scena underground e hardcore italiana da poco più di una ventina d’anni, pubblicando inizialmente con Wallace Records e La Tempesta Dischi, per poi dedicarsi esclusivamente all’autoproduzione.

Quello non fu il mio primo incontro con loro, ma dal quel momento lasciarono in me un segno, non tanto per il loro cinismo o la loro presunzione, ma perchè riuscirono a separare i piani di realtà: chiamando in causa l’attenzione come oggetto ma anche soggetto del discorso, hanno di fatto reso visibile chi partecipava della stessa esperienza intracorporea, predisposta dall’ascolto di una canzone, dalla ricezione di un messaggio, e ci ha permesso di riconoscerci, anche attraverso sguardi complici, da chi non era lì con noi, ma altrove. Eppure, ci trovavamo tuttə fisicamente lì in una folla, dentro la stessa linea temporale a respirare la stessa aria densa di fumo, interromperci lə unə con lə altrə, ingombrando lo stesso spazio.

Trovarmi all’improvviso precipitat_ sulla soglia fra questi mondi simultanei – e dico sulla soglia perchè ho avuto accesso a un punto di vista privilegiato, panoramico – ha lasciato emergere alla coscienza un pensiero che nella sua semplicità stabilisce un principio di non ritorno: la presenza non ha una componente fisica o geografica, ma di direzione dell’attenzione. Se consideriamo che etimologicamente la parola “attenzione” significa “rivolgere l’animo a”, l’origine della questione è di natura animista.

Mi trovo a desiderare solo quando me lo chiedono, per pura convenzione. A volte rispondo, invece, che non desidero niente, e sono confuso. Ma il mio interlocutore teme più della morte il lasciare un discorso inconcluso: ricorre all’uso di una metafora, quella del genio della lampada. Nel mio caso, i tre desideri a cui l’interlocutore ha lontanamente alluso si staccano completamente dal reale: sono la chiave di ciò che cerco di mantenere chiuso. Mi scuso, non lo potevate sapere: cerco di mantenere separate le due sfere, anzi!, la figura sfera del reale e il frattale a spirale dell’immaginario che possiedo e che una volta aperto dai vostri inutili quesiti si sovrappone di prepotenza ai miei discorsi più sensati. Comincio a vedere cose che non esistono. (Uochi Toki, 2009).

Sguardo § metodo

Quando vado a fare un giro nel bosco o in un paesaggio “naturale”, lungo Il sentiero raccolgo una serie di piante che crescono lungo i confini e negli interstizi: achillea, artemisia, rosa canina, menta… Arriva sempre un momento in cui esco dal sentiero-recinto, perdendomi nel fitto del bosco: qui il confine fra me e il mondo si assottiglia, si smaglia, avviene un ribaltamento fra la figura e lo sfondo che apre al “reincanto”, ovvero quello che Consigliere definisce come «un modo altro di pensare la rivoluzione, la molteplicità e il rapporto con l’immaginario, il preindividuale e l’invisibile» (Consigliere, 2020). In questa apertura si deposita il pensiero simbolico e visionario: lascio qualcosa e trovo qualcos’altro.

Gli incontri di progettazione con le artiste invitate all’interno del programma di Mind Wanderers si sono sempre svolti come flussi di coscienza compartecipati: tra richieste pratiche e informazioni logistiche sono intervenuti, sotto forma di interruzioni, affluenti o ponteggi, racconti di sogni, paesaggi umorali, aneddoti di vita, libri letti di recente e altre smagliature del pensiero. Alla fine della conversazione, avevamo una proposta laboratoriale pronta: le divagazioni appuntate in forma di parole-chiave sui miei taccuini sembravano essere confluite in idee quasi in maniera autonoma.

La mia unica volontà espressa è stata quella di metterci lo smalto durante i nostri scioglilingua. Non per fini estetici, tant’è che io pratico l’onicofagia fin dalla tenera età e la materia prima a disposizione scarseggia. Mettersi lo smalto è un’azione estemporanea che agisce come dispositivo iniziatico innescando l’incantesimo rituale, come potrebbe essere soffiare sul pugno chiuso che il mago porge davanti al nostro naso, prima che lo apra rivelando l’impensabile, lasciandoci a bocca aperta. È un espediente al servizio dello stupore, che predispone all’avverarsi dell’intenzione. È un trucco? Forse. Se lo osserviamo da un punto di vista razionale, potrebbe essere rimarcato come tale, qualche antropologə vecchia scuola potrebbe definirlo “feticcio”. Ma se la sua funzione è proprio quella di sospendere lo statuto di realtà logico-razionale e noi, bambine che parlano la stessa lingua – la strega lingua – sappiamo che perché l’incantesimo si avveri «fede e scetticismo sono ugualmente indispensabili» (Consigliere, 2023) [5], allora il problema non si pone. Anzi, la sospensione del giudizio normativo schiude nuove domande: e se il tranello fosse di origine gnoseologica, racchiuso nel fatto che volontà e intenzione sono due concetti di natura diversa?

Prima di entrare nel merito, però, vorrei suggerire di approcciarsi con la stessa postura bambina all’intreccio fluido di appunti, sogni, pensieri e intuizioni che compone questo testo. Anche a voi, lettrici, rivolgo quest’unica richiesta: mentre state leggendo, da solə o insieme, per conto vostro o ad alta voce, che vi mangiate o no le unghie, mettetevi lo smalto.

Il mio lavoro è farmi bastare i soldi, utilizzare i mezzi che posseggo immaginari per generare nuovi comportamenti ed inserirli in nuovi contesti, imparare lavori che tu non vorresti, ampliare i miei confini per fare quello che tu non riusciresti. All’anagrafe mi segnano sempre tra gli studenti: non possono certo scrivere “creatore di modelli, immagini, libercoli”. (Uochi Toki, 2009).

Volontà e intenzione non sono la stessa cosa, e qui sta il trucco. Se la volontà è la facoltà e capacità di scegliere, a cui spesso viene attribuito carattere divino, l’intenzione è un orientamento della coscienza verso un fine, che non necessariamente implica una volontà determinata. L’intenzione, in parole semplici, è meno meccanicistica e meno incline al delirio di onnipotenza, perché lascia più spazio all’intervento di forze altre, fra le quali il caso, nel compiersi di un avvenimento. L’intenzione apre un varco all’interno del desiderio, come un canale o un orifizio, rendendolo permeabile e avverandolo non malgrado né benché, ma proprio grazie all’esistenza di influenze esterne alla propria volontà. Allenare il muscolo del desiderio a stringere e allentare la presa sul divenire, sposta il paradigma di concezione dell’esistente: dall’assolutismo moderno che oppone il soggetto – univoco, monastico, attivo – all’oggetto – passivo, privo di agentività [6] – ci trasferiamo nel regno delle soggettività intese come fenomeni, perché determinate dall’essere in relazione di continuità e reciprocità. A queste cor-relazioni noi attribuiamo coefficienti simbolici che ci permettono di costruire cornici di senso entro cui osservare e interpretare il mondo.

D’altronde la biologia recente sostiene lo stesso per quanto riguarda il mondo “naturale”: a partire dagli organismi cellulari e monocellulari, espandendosi sulla scala di misura fino alle specie vegetali e animali, l’evoluzione non dipende da dati pre-iscritti nel genoma di un individuo, ma da rapporti di “intimità fra sconosciute”, come li definisce la biologa Lynn Margulis, all’interno del paesaggio ecologico in cui sono immerse.

Queste teorie mettono in crisi il concetto stesso di individuo (Gibbon, 2012) [7], e la certezza di uno statuto di realtà e di uno stato di presenza privilegiati e monosemici, hic et nunc. Declinando la realtà, o meglio dire a questo punto le realtà, non più solo come rapporti di causa-effetto fra singolarità – la mela cade dall’albero sulla testa di Newton, Newton scopre la gravità – ma come entanglement ovvero intrecci, combinazioni e sottoinsiemi di fenomeni che generano istanti, possiamo divincolarci dal tempo lineare a favore di una temporalità  che nasce dalla convergenza fra caso, affinità e sincronizzazioni complesse – Newton è alle prese con un enigma, la risposta gli cade in testa, Newton ha un’idea brillante [8]. Se Newton non si fosse posto in quel momento la domanda giusta, non avrebbe saputo intra-vedere la risposta nell’istante in cui il caso ha intercettato l’enigma, l’ignoto-noto [9]. Non parliamo più di tempo, ma di tempismo.

Perchè questo sia vero, come già anticipato, è necessario sgretolare il monoteismo della scienza e il dominio che il pensiero scientifico opera sul reale, per abbracciare la corrente di pensiero che in antropologia è stata chiamata svolta ontologica, ovvero l’attribuzione di ontologia autonoma alle culture umane e non. Veri e propri mondi che, in quanto tali, si autodeterminano attraverso modi di conoscenza ed esperienza radicalmente diversi, impossibili da costringere all’interno di una medesima «realtà naturale» (Consigliere, 2023, p.13).

Tutto questo ci libera, in un colpo solo, da due postulati di retaggio positivista tutto sommato in contraddizione tra di loro: il mito dell’uomo moderno, autonomo e isolato (vorrei ricordare che è un privilegio pensare di potersela cavare da solə  a questo mondo), e il problema della trascendenza, che impone una visione direzionale e intransitiva del mondo in cui l’individuo subisce degli effetti senza avere a propria volta potere d’azione sul corso degli eventi.

Il paesaggio che si apre davanti a noi non è solo qualcosa da contemplare o da colonizzare, nè da cui estrarre valore produttivo o riproduttivo, ma è un tessuto poroso fatto di relazioni di prossimità e interdipendenza, di cui non possiamo comprendere tutto seppur siamo affettivamente coinvolte: all’interno di questa ecologia di relazioni ci posizioniamo come la testimone modesta di Donna Haraway, riconoscendo la relatività del nostro punto di vista, sempre situato all’interno di specifiche coordinate discorsive, e la sua mobilità, perché collegato a un’infinità di fattori a loro volta collegati (Haraway, 2000).

Mi sveglio, e percepisco che ero solo assorto, non ero morto e non stavo dormendo, anche se coi sogni lucidi che faccio, con difficoltà distinguo quando sto sognando da quando sono desto. (Uochi Toki, 2009).

Cosa significa porsi come testimoni? Se la messa in discussione del soggetto, e quindi del punto di vista, è l’operazione preliminare al viaggio (Haraway, 1992), allora l’assunto di partenza con cui lasciare il sentiero per inoltrarsi nel bosco – un luogo fatto di luce e penombra, di coesistenze, mimesi, sovrapposizioni e propaggini –  è quello di azionare lo sguardo come strumento di trasformazione e self-orienteering.

Per poter potenziare l’immaginario collettivo verso nuovi modi di percepire il mondo e la relazione con l’altrə, è necessario attivare una capacità di osservazione ed ascolto che renda i soggetti permeabili e fertili, visionari, ovvero capaci di lasciarsi sorprendere da ciò che generalmente danno per scontato: serve riportare l’attenzione sulla prossimità, su ciò che si trova accanto, intorno (assecondando predisposizioni non gerarchiche). Fare dell’arte dell’osservazione un metodo scientifico, come suggerisce l’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing, raccontando storie di diversità contaminata e incontro indeterminato che non vengano trattati solo come argomenti di conoscenza, ma come oggetti di ricerca di una vera e propria scienza. L’importante è restare fedeli a una scienza incarnata nella nostra esperienza del mondo, non cadere nel tranello positivista dello scienziato che indaga il mistero con l’arroganza di svelarlo, perché il mistero non si manifesterà se interrogato come verità.

Come succede quando ti muovi in territori sconosciuti e senza indicazioni scritte in una lingua che sai tradurre, come accade nelle derive di mind-wandering, per trovare la strada serve imparare a riconoscere tracce e indizi, la teoria è figlia della pratica, e il metodo è  qualcosa che affiora dopo, a viaggio concluso o quantomeno iniziato. Fare dell’esperienza un metodo potrebbe significare allora tracciarne una memoria, disegnare non una mappa che possa essere ripercorsa in maniera identica, diventando prassi – questo sarebbe tradire il mistero – ma una legenda con cui potersi smarrire generando altre derive, un filo di Arianna, un dizionario fantastico, una cassetta degli attrezzi

«[…] A volte nient’altro che un’accozzaglia di eventi capitati mentre eravamo in balia di luoghi, forze e occasioni che non abbiamo capito. Altre volte gioco di tarocchi in cui balugina una figura, l’ombra di un tracciato o di un apprendimento. […] lungo la strada si parla poi di affidabilità, delle risorse a disposizione, di come fidarsi di qualcosa anche sapendo che non è, e non può essere, privo di rischio nè universalmente valido. Affidabilità assoluta e validità incondizionata sono fuori questione: le si ottiene solo decidendo il processo in anticipo e cioè disincantando il mondo […]. Il passaggio che cerchiamo non ha pretesa di assolutezza: la sua vigenza, quando si dà, è solo locale e temporanea» (Consigliere 2023, p. 99).

Spingendosi oltre il sentiero tracciato si abbandona anche l’inciampo della volontà per lasciarsi muovere da intuito, desiderio e senso del pericolo: all’interno del bosco ed ancor prima, noi ci muoviamo come creature sospettose, coinvolte, istruite, spaventate e fiduciose, impegnate a imparare come evitare le finzioni e le realtà che minacciano il mondo (Haraway, 2000).

La stella polare, l’intenzione che ci guida – che può essere perdersi o inforestarsi, ornarsi di amuleti, imparare una nuova lingua o solamente restare vive – brilla sopra le nostre teste, sempre e comunque pronta a cadere come la mela di Newton.

Addentrandoci ci accorgiamo così che il bosco, a sua volta, ci sta guardando con intenzione (Pugno, 2018), e d’un tratto siamo sottosopra. È, sempre e comunque, una questione di sguardi.

Entriamo.

Intorno a me succedono cose che non esistono. Vedo esistere entità provenienti da una dimensione senza forma e senza nome, solo che a differenza di uno Cthulhu o Yog-Sothoth non sono necessariamente nefaste od orrorifiche e nemmeno candide e benefiche: sono volontà ermetiche, autonome, che percepisci per un attimo, che appaiono evocate da formule magiche, non ancestrali od arcaiche, bensì nascoste nelle frange invisibili del caso, in un presente che non può essere toccato. (Uochi Toki, 2009).

P.S.: Fine marzo, in un periodo di vita psichica particolarmente florida e denso di accadimenti che uno sguardo poco attento alle manifestazioni del simbolico potrebbe considerare insignificanti, ma che si ripercuotono sul mio quotidiano in maniera per me extra-ordinaria, esco a fare una passeggiata in città prima di mettermi a lavorare sul prossimo appuntamento di Mind-Wanderers. Spesso è così che, da una parte, mappo i pensieri, dall’altra li lascio pascolare perché nell’incontro accidentale con il mondo là fuori, diventino idee.

Lungo un normalissimo sentiero che costeggia il Po, fra persone che portano a spasso il cane e altre che fanno jogging parlando di operazioni finanziarie al telefono, mi appare un tunnel fognario di circa tre metri di diametro. Supero le transenne e scendo all’interno di un luogo che intuisco subito far parte del background di rimozione visiva del frequentatore medio di quel tratto di strada, tant’è che nessun* si accorge più di me da quando varco la soglia percepita fra visto e non-visto. L’esplorazione dura poco, il tunnel sbocca nel fiume attraverso una lingua di cemento ricoperta da uno strato di limo molto fangoso. Un vicolo cieco. Mi aggrappo a una radice per risalire il dislivello. Arrampicandomi, trovo una pinza a cesoia, arrugginita. Istintivamente me la infilo in tasca: è uno strumento.

Note 

[1] «Progresso: parola stregata che spegne il pensiero e ottunde il sentimento» in Consigliere S., 2020 p. 24.
[2] «Immaginario è una parola ambigua, polisemica. Può significare ‘qualcosa che esiste solo nella mente di qualcuno’ […] questa accezione pone importanti questioni filosofiche sul discrimine fra pazzia e genio, sul significato degli stati non ordinari di esperienza e sull’arte delicata del far esistere. Oppure può far segno all’inconscio sociale, […] l’insieme delle relazioni apprese, delle impressioni, dei ricordi, delle associazioni di idee, delle narrazioni, delle inflessioni emotive che gli appartenenti a un gruppo condividono fra loro per il semplice fatto di far parte di quel gruppo e di aver attraversato gli stessi luoghi, istituti ed esperienze. Infine, ‘immaginario’ è anche la parte in penombra di un mondo umano, la fascia che media fra il reale, nella sua vastità inafferrabile, e il mondo locale, specifico, che viene portato in esistenza. È la regione del possibile, del potenziale e dell’inattuale, […] dove gli scarti, i fantasmi e i futuri non realizzati vivono una vita postuma. Fantasia nella testa di qualcuno, inconscio sociale, fascia in penombra di un mondo: sotto il cappello dell’immaginario si transita fra ciò che è solo per me e ciò che è per tutti, fra ciò che ancora non esiste e ciò che esiste secondo una potenza eccedente. L’ambiguità del vocabolo ne fa tanto la forza quanto la debolezza ed è una bussola epistemologica» in Consigliere S., 2020, p.33
[3] «L’infrasottile […] è la percezione minima, quella che siamo abituati a tenere ai margini della consapevolezza e che però, da quel limitare, imposta il timbro delle esperienze. Poi è energia minima, un flusso (e uno spreco: una dépense) di calore / particelle / onde che continuamente tesse e cuce il mondo al di sotto della soglia del sensibile […]. Infine, inteso come aggettivo, infrasottile è la qualità che rende percettibile un certo stato del reale, quello in cui la convenzionalità del gesto e la cattura degli oggetti si disattivano». in Consigliere S., 2023, p.19
[4] «Groviglio: ogni cosa, si sa, è interdipendente. questo fatto causa groviglio». in Giorgi 2023, p. 29.
[5] «[…] a quanto pare la fiducia richiede di essere convinti di ciò che si professa e, al contempo, di sospettare che si tratti di un cumulo di cazzate. […] non solo la fiducia coesiste felicemente con lo scetticismo, ma addirittura lo richiede: da qui, l’interminabile, misterioso e complicato movimento avanti e indietro fra rivelazione e nascondimento. Può seguirne allora, che la magia è efficace non malgrado il trucco, ma per via del suo svelamento?» Taussig M. in Consigliere 2023, p.177
[6] L’agentività (agency) è la facoltà di far accadere le cose, intervenendo sulla realtà, esercitando un potere causale. L’agency non è semplicemente un tratto o un’attività del singolo individuo, ma piuttosto un modo contestualmente agito di essere nel mondo.
[7] Gli animali non possono più essere considerati individui in tutti i sensi della biologia classica: anatomica, dello sviluppo, fisiologica, immunologica, genetica o evolutiva. I nostri corpi devono essere intesi come olobionti, i cui organi e funzioni di sviluppo si sono evolute in relazioni condivise tra specie diverse.
[8] «È dimostrato che lo stesso Newton abbia per anni condotto studi sulla magia, parallelamente e segretamente alla carriera scientifica, tant’è che è stato definito non il primo dell’era della ragione, ma l’ultimo grande mago babilonese» Balicco D., in Consigliere S. 2023, p. 238.
[9] «[…] il segreto del segreto è che non c’è segreto o, piuttosto, che il segreto è un segreto pubblico, qualcosa di generalmente noto ma che di solito non può essere enunciato. Qui non è questione di vedere di più o di vedere di meno o di vedere al di là del velo dell’apparenza. La questione, qui, diventa semmai di vedere come uno vede. Qualsiasi cosa sia la magia, comporta questa svolta all’interno del noto ignoto e su ciò che questa svolta accende, e cioè un nuovo punto di vista sul velo, sulla pelle» Taussig M., in Consigliere 2023, p.220.

Bibliografia 

Consigliere S., Favole del Reincanto, Molteplicità, immaginario, rivoluzione, Deriveapprodi, Bologna 2020.
Consigliere S., Materialismo Magico, Magia e rivoluzione, Deriveapprodi, Bologna 2023.
Giorgi G. G., Dizionario Fantastico. Sul paesaggio e sui suoi attraversamenti, B#S Edizioni, Gradisca d’Isonzo, 2023.
Haraway D., Le promesse dei mostri, Deriveapprodi, Bologna, 1992.
Haraway D., Testimone modesta@femaleman incontra oncotopo, Feltrinelli editore, Milano, 2000.
Lowenhaupt Tsing A., il fungo alla fine del mondo, Keller, Rovereto 2021.
Pugno L., In territorio selvaggio, Nottetempo, Milano 2018.
Scott F. G., A symbiotic view of life: we have never been individuals, volume 87. N.4 The Quarterly review of biology, december 2012.
Uochi Toki, L’osservatore, l’osservatore 1, Libro Audio, La Tempesta Dischi, 2009.

B. Bordoni (1995) alla formazione eterogenea in arti visive e performative affianca un’autoformazione politica transfemminista. Negli anni ha collaborato, da sol_ o come partner in crime, con realtà culturali fra le quali Santarcangelo festival, Museo Guggenheim, Istituto Svizzero, La Métive e IICP (FR), Lavanderia a Vapore, Cross Project, Fondazione Pistoletto. Attualmente vive a Torino, dove si occupa della relazione fra arte, pedagogia ed ecologia. Ha appena concluso un corso da giardiniere.