Nel 2010 sono stata due settimane in Marocco. A Tangeri salendo in alto sulla Casba si trova un piccolo arco bianco passato il quale ci si affaccia ad una scogliera proprio di fronte al mar Mediterraneo. In qualsiasi momento della giornata si vedono uomini, quasi mai donne, accovacciati a terra, che guardano verso quell’orizzonte blu. Sono andata e mi sono seduta. Con lo sguardo rivolto alla Spagna, all’Europa, ho pensato che per me ciò che avevo di fronte rappresentava il tornare e, per chi era seduto accanto a me, poteva rappresentare l’andare. Ho pensato che per me la riva di fronte era la memoria, il mio passato, per chi condivideva con me quella visione, era uno dei possibili futuri. Non occorre trovarsi su due sponde opposte per percepire diversamente uno stesso luogo e dunque: come si può immaginare di darne una sola definizione, univoca e onnicomprensiva? Non avevo ancora visitato davvero Tangeri, avevo fatto solo una prima passeggiata, e ho pensato che lo ‘sconosciuto’ era per me ancora alle spalle mentre per i miei vicini di sguardo lo sconosciuto era davanti a loro. Una volta parlando con una cara amica che viveva tra Brasile e Italia ci siamo chieste reciprocamente quando usavamo la parola tornare e quando andare. Per me era quasi indifferente, lei mi diceva che da un po’ di anni quando era in Brasile diceva tornare per dire in Italia e quando era in Italia, lo stesso diceva tornare per dire in Brasile. Finché una volta suo figlio maggiore che viveva e studia a San Paolo gli ha fatto notare con una certa stizza che lei tornava in Brasile e andava in Italia. Dunque quel giorno a Tangeri ho riflettuto proprio sul fatto che io è i miei compagni di sguardo di quel giorno alla Casba se ci fossimo imbarcati in quel momento ci saremmo probabilmente espressi in due modi diversi, dal momento che io tornavo e loro sarebbero andati.
Questa premessa serve a focalizzare un punto essenziale per questo mio breve intervento: la definizione delle geografie é sempre intima e personale e si scontra o si incontra con le geografie politiche disegnate istituzionalmente. Non trovo questo disdicevole o assurdo, ma credo che la definizione di confine, specie se si parla di mare e quindi di attraversamento evidente, debba fare i conti non solo con gli attraversamenti dei corpi ma con l’uso libero dello sguardo. Un ragazzo conosciuto a Tangeri mi diceva che più di una volta diverse persone si sono avventurate con barche molto piccole o addirittura canotti perché la costa opposta sembra vicinissima. Questo é il punto. La costa spagnola è davvero a portata di sguardo da quel punto, impallando il proprio occhio con un dito é ridicolmente vicina, dunque per lo sguardo il passaggio é facile, per il corpo é complesso e pericoloso. Ogni volta che abbiamo immaginato di ‘andare’ quando la meta era appunto immaginabile ma non visibile il viaggio é subito apparso come un attraversamento con possibili pericoli, ma quando la meta é visibile lo sguardo arriva prima del corpo.
Tra ottobre e novembre 2002 a Castel Sant’Elmo a Napoli il gruppo di artisti italiani Studio Azzurro ha realizzato Meditazioni Mediterraneo una mostra installazione ideata da Fabio Crifino e Paolo Rosa1. La mostra lavora sull’idea del Mediterraneo come una sorta di traiettoria, come una mappa di spostamenti impediti dal disegno di una geografia politica sovrapposta e un territorio che non é mai stato confine ma piuttosto regione. Guerre, contrasti, differenze come in ogni altra ‘regione’ del mondo, ma la vera idea di vedere un bacino d’acqua, peraltro praticamente quasi chiuso su se stesso, possa divenire prima di tutto confine nasce con il periodo coloniale in cui l’Europa sente la necessità di disegnare un ‘qui’ e un altrove, un noi e un ‘altro’. Per poter conquistare occorre ‘scoprire’ per poter avere il sacro incarico di definire; e per scoprire occorre inventare una distanza immaginifica perché quella sponda dirimpettaia é troppo vicina per poter apparire come ‘altra’. Dunque la costruzione del mito dell’Africa che inizia proprio dal disegno della sua sponda mediterranea come luogo dell’alteritá. Non si può immaginare di conquistare il conosciuto, il simile, il diverso ma vicino, la conquista indiscriminata passa attraverso la costruzione e la definizione dell’altro. Quei paesi a portata di sguardo erano troppo ‘simili’ per poter essere terra di conquista lontana, immaginata, bisognava prima allontanarli almeno immaginificamente e quindi il Mediterraneo da traiettoria poteva divenire barriera, da luogo dell’attraversamento doveva trasformarsi in trappola pericolosa, in salvifica intercapedine che tiene lontana l’Europa dall’inciviltà, prima da conquistare, poi da rieducare. Scrive Paul Ricœur: “Nel momento in cui scopriamo che vi sono culture e non una cultura e al momento in cui, di conseguenza confessiamo la fine di una sorta di monopolio culturale, illusorio o reale, siamo minacciati di distruzione dalla nostra propria scoperta; diviene all’improvviso possibile che vi siano solo gli altri e che io stessi siamo un altro fra gli altri”2. L’unica maniera per porre una rassicurante distanza tra le ‘altre’ culture ‘scoperte’ in epoca immediatamente pre coloniale e poi coloniale tra XVIII e XIX secolo era trasformare il Mediterraneo in quella frontiera invalicabile che é a tutt’oggi. Valentine Y. Mudimbe nel suo saggio L’invenzione dell’Africa3 cita l’origine etimologica latina della parola colonialismo connettendola al verbo colēre che significa coltivare ma anche pianificare, cioè dare un organizzazione non solo al luogo ma prima di tutto al discorso sul luogo. Il mito del viaggio attraverso il Mediterraneo come un attraversamento tra due “mondi” distinti serve a costruire la teoria del riordino del caos da parte europea verso l’inciviltà ‘africana’. L’Africa si fa continente prima di tutto nell’immaginario europeo e il mare che la bagna ne diviene il suo confine principale rivolto verso l’Europa. Tutte le nazioni europee affacciate sul Mediterraneo divengono un blocco da contrapporre agli ‘altri’ dimenticando le radicali differenze interne tra i vari paesi d’Europa. Ciò che conta non é più il legame potente tra cultura spagnola e cultura moresca, tra mondo arabo e Sicilia e così via, quel che conta é la differenza data dal potere del discorso: di ‘qua’ chi conosce il concetto di storia (e di conseguenza di cultura) e di ‘là’ chi non ha sviluppato un vero e proprio sistema culturale e dei saperi e va quindi, alla Rousseau, educato alla conoscenza.
Per meglio capire la portata devastante della nuova visione coloniale basta andare a rileggere il mito greco di fondazione dell’Europa, tanto più interessante perché molto poco citato, se non ignorato nella cultura visuale coloniale in occidente. Nel momento del consolidamento del pensiero ‘europeo’ il mito greco fondante del continente viene quasi rimosso ad esempio dalla pittura e dalla scultura. Il famoso ratto di Europa4 narra la storia del rapimento della bellissima fanciulla Europa, figlia di Agenore, re di Tiro, città fenicia situata nell’attuale Libano. Giove invaghitosi di lei si trasforma in toro bianco, va sulle rive del mare dove lei gioca con altre ragazze e la fa salire sulla sua groppa con l’inganno. Dopo un lungo viaggio per mare la conduce a Creta dove la violenta e dalla loro unione nasceranno tre figli uno dei quali sarà Minosse, futuro re di Creta. Di fatto il mito attribuisce la nascita dell’Europa, nella sua ‘culla della civiltà greca’, all’unione tra le due sponde del mediterraneo tramite il Dio Zeus. Non a caso il lungo viaggio solca il Mediterraneo e, se la si vuole guardare con occhi contemporanei, la povera Europa fenicia viene violentata e costretta a iniziare la nuova stirpe che creerà la nuova ‘cultura’ greca. L’abbandono di questo mito in epoca recente, e il suo mancato recupero anche solo simbolico in tempi attuali, appare quanto mai significativo, in quanto testimonianza pericolosa di un’antica idea dell’Europa come prodotto della contaminazione tra le due sponde del Mediterraneo.
L’istallazione di Studio Azzurro sul Mediterraneo riparte proprio dal recupero dell’idea che questa vasca di mare é sempre stata il luogo delle grandi contaminazioni, delle traiettorie incrociate, della ricchezza delle differenze e delle ritornanze inaspettate. Provare a ridisegnare la miriade di piccole connessioni che legano non solo le due sponde contrapposte, ma anche le diverse regioni che compongono la medesima sponda, significa ridare al mare quella liquidità che lo caratterizza in tutto e per tutto. Nel catalogo della mostra Paolo Rosa nel saggio Paesaggi instabili. Il viaggio prima durante e dopo5 libera lo spazio del mediterraneo dal suo ruolo forzoso di muro e di confine e traccia tutti i possibili tragitti e itinerari che lo attraversano malgrado tutto: malgrado la storia, malgrado la politica e persino malgrado un nuovo paesaggio ‘naturale’ disegnato dall’economia imposta dall’Europa a tutto il bacino. Paolo inizia con il dire che non esiste più una cartografia moderna del Mediterraneo, la geografia istituzionalizzata e nazionalista mappa le singole parti affacciate sul mare ma impossibile definire quella regione d’acqua. Dunque Studio Azzurro parla della creazione di “cinque traiettorie dinamiche” del Mediterraneo, avvertendoci subito che sono tutt’altro che esaustive e definitive, ma solo possibili. Le cinque direzioni creative hanno a che vedere apparentemente solo con la conformazione paesaggistica e naturale ma in realtà ben presto si fanno metafora della condizione umana che le vive. La terra genera l’aria allude ai vapori che partono dalla terra, e quindi all’aspirazione alla leggerezza e dunque alla spiritualità intesa nella miriade di accezioni che questo mare ha declinato; L’acqua si ferma nel sale, l’andirivieni del mare e le saline naturali, quel continuo andare e venire dell’acqua che diversamente da quello degli esseri umani non può essere fermato, e come questi lascia sempre una traccia fertile e vitale ovunque approda; Il vento porta i profumi, “Il vento che é generatore. Animatore della febbrile eccitazione degli insetti impollinatori, che trasportano e inseminano il diverso; messaggeri di accoglienza e rivitalizzazione”; Il colore si annoda al suono, il colore come il suono viaggia per vie empatiche e costruisce percorsi affettivi; La luce scrive il vuoto, dando quel senso di traccia che appare e scompare in un costante ridisegnarsi che “segna nuovi punti cardinali”. Si potrebbe partire proprio da queste ultime parole per ridiscutere quella visione nord/sud imposta al Mediterraneo per la quale si è costruito il mito eurocentrico. Scrive ancora Paolo Rosa: “Prende forma così una mappa immaginaria alla scoperta di un Mediterraneo invisibile, che in qualche modo assomiglia a noi stessi”. Scrivendo questo testo mi torna continuamente in mente un colloquio avuto poco tempo fa con l’artista brasiliana Maria Thereza Alves che parlando dei suoi lavori della serie Seems diceva che quelle opere semplicemente testimoniano della vecchia e sempre nuova tendenza a far si che le merci possano viaggiare molto più facilmente degli uomini. Forse oggi più che mai questa riflessione appartiene al Mediterraneo che é solcato da migliaia di rotte commerciali che spesso connettono paesi che non permettono ai propri cittadini di attraversare quello stesso tratto di mare. Si costruiscono nuove relazioni politiche basate su accordi economici che dimenticano qualsiasi ‘differenza’ culturale ma che lasciano annegare in mare centinaia di persone che partono e approderebbero sulle stesse sponde delle merci che viaggiano indisturbate. Ancora nel suo saggio Paolo Rosa riflette sulla differenza tra l’essere viaggiatore e turista. Altra singolare contraddizione di questo Mediterraneo in cui ‘noi’ europei salpiamo liberamente per andare a visitare come turisti la sponda opposta, ma dalla stessa sponda i cittadini ‘altri’ non hanno il permesso di approdare sulle nostre coste, perché visti sempre e solo come ‘richiedenti’. Scrive ancora Paolo a proposito della relazione turismo/viaggio: “Ma si può essere ancora oggi viaggiatori inciampando costantemente nelle tracce di un turismo ormai diffuso ovunque? Per quanto faticoso sarà il lavoro, tutti i segni che ti ronzano intorno cercano di fare di te proprio un turista. Non respingiamo questa condizione, ci proponiamo di attraversarla. Ormai anch’essa é parte del paesaggio se parliamo di viaggiatori oggi, il nostro rispetto va a coloro che davvero praticano l’avventura del viaggio, magari compiendo vere odissee su un gommone nelle poche miglia del Canale di Otranto, in quello di Sicilia o nelle stive chiuse di un camion. Senza documenti, senza soldi, senza cibo, spesso senza ritorno. Questi sono i veri viaggiatori di questi tempi, che potrebbero raccontare avventure, luoghi, incontri, impressionanti e terribili, miraggi, dolori e forse solo qualche consolazione. Tra il bagaglio che comunque prepariamo, tra le telecamere, i microfoni, i cavi e gli innumerevoli marchingegni elettronici, spicca per imponenza e per valore simbolico il cavalletto. Ci aiuterà a tenere i piedi a terra, a stare fermi a osservare, ad attendere per lasciare che le cose ci arrivino, senza forzarle. I suoi piedi conficcati nel calore di un vulcano, nelle crepe di una salina, sprofondati nelle sabbie in riva al mare o nelle dune del deserto ci aiuteranno a dialogare con il territorio, a vibrare con il vento, a oscillare con il mare”. Dunque viaggiare non per trovare ciò che già pensiamo di sapere ma viaggiare per incontrare pezzi di noi stessi, frammenti di luoghi che la ‘nostra’ cultura europea ha ingabbiato in stereotipi esotisti, per paura di confrontarsi con un’immagine speculare che l’avrebbe costretta a definire per una volta se stessa come un continuo remix di tutte le diverse culture di questo bacino chiuso. Studio Azzurro nel catalogo racconta proprio della difficoltà di far convivere e di raccontare a volte la stridente contraddizione tra la bellezza dei luoghi e le tragedie che ospitano, molto spesso conseguenza diretta ancora oggi di quei primi ‘viaggiatori’ che arrivarono solo per depredare quei luoghi. Un termine a cui fa ancora riferimento Paolo é la discontinuità sia spaziale che temporale del viaggio. Un concetto importante se si pensa al tentativo continuo della cultura europea di rendere omogenea e omologata l’immagine dell’Africa che spesso viene usata, senza diversificazioni, per rappresentare luoghi lontani decine di migliaia di chilometri. Quella fascia di terra che guarda al Mediterraneo con culture anche tanto diverse tra loro, ma anche con tanti punti di contatto con la sponda opposta dello stesso mare, é divenuta nell’immaginario coloniale la fastosa porta d’ingresso verso il ‘continente nero’, verso lo sconosciuto e il mistero. Questo ha contribuito a separare forzosamente la mediterraneitá di quei paesi da quella europea unendo quei territori al concetto esotista coloniale di africanitá. È l’Europa che inventa il nazionalismo moderno nel XIX secolo che rende l’Africa continente, così come fa con l’Asia attraverso l’orientalismo, prima di tutto per poter ritagliare, in negativo, la sagoma della propria identità nazionale e poi continentale. Dunque quella naturale regione, unita da paesaggi, culture e persino religioni in comune che era il Mediterraneo viene spaccata in due da quello stesso mare che la univa: da un lato i conquistatori e dall’altro i conquistati, da un lato la civiltà e dall’altro la mancanza di cultura, da un lato la storia, i musei, l’arte, dall’altro paesi ignari persino della bellezza delle proprie creazioni, che solo l’Europa colta e civile può salvare espropriandole. Nessuno cita più, salvo in testi specialistici, l’enorme importanza della dottrina del filosofo arabo Averroé nella costruzione che Dante fa della Divina Commedia della quale lo stesso poeta fiorentino parla esplicitamente. Quale legame segna più potentemente la formazione della cultura del sud dell’Italia, della Spagna, del Portogallo e della Francia nel Medioevo? Il contatto con il coltissimo e vicino mondo arabo o le culture sassoni del nord Europa? Basta viaggiare da Granada a Palermo, da Marsiglia a Lisbona per avere risposta. Ma la storia ufficiale racconta di ‘mori’ e di arabi invasori che sottomisero le coste europee con razzie e violenze. Così il modello di guerra di culture prepara la giustificazione al colonialismo ottocentesco. Come scrive Paolo Rosa viaggiando occorre tenere piedi e cavalletto a terra per potersi accorgere che lo sguardo di reciprocità ha segnato e disegnato questi due lati del mare per secoli e secoli, prima dell’arrivo di quella cultura precapitalistica che ha dominato l’Europa trasformando il Mediterraneo in un enorme confine.
L’istallazione di Studio Azzurro a Napoli, evitando la retorica naturalistica di nuovo esotista del lato africano del mediterraneo come del luogo della natura incontaminata e della bellezza senza tempo, intraprende un lavoro forte e diretto sull’idea di spaesamento. Questa condizione comporta, attraverso la tecnologia immersiva, sigla essenziale di tutto il lavoro del gruppo, una duplice attitudine: la contemplazione e l’azione. Lo spettatore che non è più invitato a ‘stare davanti’ ma spinto a ‘stare dentro’ viene costretto a posizionarsi, diventa cosciente del proprio sguardo, si fa co-autore dell’opera attraverso il proprio guardare attivo. La condizione dello spettatore potrebbe assurgere a metafora di una nuova condizione antropologica del ‘guardante’ che potrebbe essere accovacciato a terra in qualsiasi parte del Mediterraneo guardando verso il mare.
Edward Said nel suo ormai storico saggio sull’Orientalismo6 cita una frase di Antonio Gramsci, ripresa anche da Iain Chambers nel suo recente illuminante libro sulla musica nel Mediterraneo7: “L’inizio dell’elaborazione critica é la coscienza di quello che è realmente, cioè un “conosci te stesso” come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario. Occorre fare inizialmente tale inventario”8. Questa visione gramsciana credo sia stata la base del lavoro di Studio Azzurro e credo possa essere il solo approccio possibile al Mediterraneo oggi e in futuro. L’invito di Gramsci è chiaro: partire dalla visione di sé per incontrare l’altro, non guardare all’altrove come all’esterno ma come una delle tante declinazioni che il sé proietta partendo dalla propria posizione. La coscienza che il ‘nostro’ sguardo di europei non ha guardato all’altra sponda ma ha disegnato un’altra parte solo come proiezione dei nostri desideri di dominio é la sola chiave di lettura per poter scivolare mollemente sulla superficie di un mare che non é radice ma fluido, che non ha sponde ma rotte, che non si ferma mai ma ad ogni marea ad ogni risacca immancabilmente cambia il profilo delle sue spiagge portando dietro tracce di ogni dove che lo compone. Come a Castel Sant’Elmo noi tutti però non siamo più chiamati ad essere spettatori estatici e passivi davanti a un ‘altrove’ sognato prima ancora che visto, ma siamo coinvolti come attori, attivi e agenti, pronti a osservare, ascoltare e pronti a essere raccontati dagli ‘altri’.
1989, ho 28 anni, ed entro in una stanza che é come una piscina. Su un lato una sequenza di televisori con il profilo dell’acqua blu. Improvvisamente un nuotatore, in perfetto sincro, attraversa nuotando, con bracciate regolari, quella linea di mare. Passa di schermo in schermo e nuota. Per la prima volta il mio statuto di spettatrice ‘davanti a’ viene messo in crisi e solo ora, dopo tanti anni, capisco che la leggera sospensione, la mancanza, l’assenza impercettibile tra un televisore e l’altro, disegnava un confine liquido da attraversare a grandi bracciate serene senza paura di annegare.9
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1 Studio Azzurro, Meditazioni Mediterraneo, Castel Sant’Elmo, Napoli 20 ottobre-17 novembre 2002, Silvana editoriale, Milano 2002.
2 Ricœur Paul, Historie et verité, Seuil, Paris, 1955; trad. it. Storia e verità, Lungro di Cosenza, 1994, pp.120/121
3 Mudimbe, Valentine Y., The Invention of Africa, James Currey Ltd and Indiana University Press, 1988; trad.it. L’invenzione dell’Africa, Meltemi, Roma 2007.
4 Metamorfosi, II, 836-875
5 Rosa Paolo, in Studio Azzurro, op.cit.pp.34/40.
6 Said Edward W., Oreintalism, Pantheon Book, New York 1978; trad.it. Orientalissimo, Bollati Boringhieri, Torino 1991.
7 Chambers Iain, Mediterraneo blues. Musiche, malinconia postcoloniale, pensieri marittimi, Torino 2012.
8 Gramsci Antonio, Quaderni dal carcere,Einaudi, Torino 1975, p. 1376 (Q.II #12 nota I).
9 Studio Azzurro, Il nuotatore (va troppo spesso a Heidelberg), 1984
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Immagine in homepage: Studio Azzurro, Meditazioni Mediterraneo, Castel Sant’Elmo, Napoli 2002