Nel 1798 nei boschi dell’Aveyron viene trovato un ragazzo, presumibilmente di circa 11 anni, che è cresciuto in uno stato totalmente “selvatico”, senza contatti con altri uomini. In un primo momento viene catturato e spedito a Parigi in un istituto per Sordomuti, ma da qui un medico, il dott. Jean Marc Gaspard Itard, ottiene la possibilità di portarlo nella sua residenza privata nella campagna appena fuori Parigi per tentare la sua “rieducazione”. Aiutato dalla sua governante, Madame Guérin, che lentamente diviene una sorta di madre adottiva del bambino, Itard tenta l’opera di trasformare il piccolo “selvaggio” in un ragazzo “civilizzato”. Il dottore scrive un dettagliatissimo diario dell’avanzamento dei lavori con il bambino, uno nel 1800 e uno nel 1806, dove arriva a raccontare i suoi grandi progressi ma anche i suoi fallimenti nel tentativo di insegnare al piccolo Victor, così chiamato da lui, a parlare e ad esprimersi come un qualsiasi bambino “civile”. Nel 1969 François Truffaut gira un film, L’enfant sauvage, che uscirà al cinema nel 1970, che racconta questa storia. Il film è una cronaca secca, fredda, con la voce narrante del dott. Itard, che il regista sceglie di interpretare lui stesso per poter stare vicino al suo giovanissimo protagonista, Jean-Pierre Cargol, non un attore ma un semplice bambino gitano che non aveva mai recitato e mai più reciterà dopo questa esperienza. Tutto girato in bianco e nero, con una grana da vecchia pellicola, un montaggio volutamente molto semplice, fatto di molti campi lunghi, vignettature che si aprono e si chiudono a ogni cambio di scena come nei film degli anni venti, e dissolvenze, il film sembra voler ricalcare l’estetica del cinema dei pionieri.
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
Durante tutto il film il dott. Itard ha una sola missione, e una sola ossessione: educare e civilizzare Victor. Nel suo trattato intitolato De l’éducation d’un homme sauvage ou des premieres developpements physiques et moraux de jeune sauvage de l’Aveyron, nella prima parte pubblicata nel 1801 scrive nella prefazione: “Gettato sulla terra, senza forze fisiche e senza idee innate, incapace lui stesso di disobbedire alle leggi costitutive della sua organizzazione, che lo chiamano ad essere al livello più alto del sistema degli esseri viventi, l’uomo non può trovare che in seno alla società il posto eminente che gli fu assegnato nella natura, e sarebbe, senza la civilizzazione, uno dei più deboli e meno intelligenti degli animali: verità, senza dubbio, spesso riconfermata, ma che non è stata ancora rigorosamente dimostrata”1.
Itard aderisce al filone di pensiero che deriva dal filosofo francese Étienne Bonnot de Condillac, abate amico di Diderot e Rousseau, che per primo formula la teoria detta sensualisme, o se si vuole sensismo: declinazione ottocentesca francese della corrente empirista nata da Locke e Hobbes, che vede nella percezione sensoriale la maggiore forma di conoscenza per l’uomo. Dunque il medico nel suo percorso di educazione alla civiltà del suo giovane allievo “selvaggio” lo pone davanti a una serie di esercizi fisici che lo dovrebbero condurre alla scoperta delle sue capacità di apprendimento e persino morali. Itard dice che l’uomo, inferiore a confronto con gli altri animali se lasciato alla stato ferino, sfugge al suo destino di animale solo attraverso la “civilizzazione”. Anche se con un’accezione in parte diversa, Rousseau all’inizio dell’Emile pronuncia la famosa frase: “Le piante si coltivano, gli uomini si educano”2.
La filosofia dei Lumi ha appena definito il nuovo concetto di “civiltà” che di lì a poco già a inizio Ottocento, costituirà il fondamento per la nascita delle nazioni moderne europee: civiltà superiori che partiranno per le imprese di “civilizzazione” degli uomini “selvaggi” in Africa e in tutte le colonie, considerati molto vicini allo stato “animale” proprio perché non “educati” alla civiltà.
Victor appena catturato viene prima chiuso nell’Istituto dei Sordomuti di Parigi, perché sembra sordo e non parla, ma poi le autorità vorrebbero trasferirlo in un istituto per “menomati mentali” perché ritengono il ragazzo “idiota”. Già al primo incontro nel film di Truffaut, il dott. Pinel lo misura, gli guarda denti, capelli, occhi, corpo: la medicina inizia il suo corso tassonomico, e il bambino “selvaggio”, come ogni “selvaggio” diventa una cosa, un oggetto di studio nelle mani del potere catalogatorio e descrittivo occidentale. Victor nel suo stato naturale nel bosco è completamente nudo, ma gli viene subito messa una camiciola. Appena viene sottoposto all’osservazione dei medici torna ad essere nudo sul tavolo delle osservazioni, e la sua nudità non è più naturale ma imposta, non è più la sua condizione ma è la condizione di chi lo osserva e lo descrive.
Il dott. Itard, nella sua prima relazione del 1801, quando riceve un primo finanziamento dallo stato francese per provare a educare Victor, si dà cinque obiettivi, che dichiara nel suo trattato: avvicinarlo alla vita sociale; risvegliare la sua sensibilità nervosa; estendere la sfera delle idee donandogli dei nuovi bisogni anche connessi con gli altri esseri umani che lo circondano; condurlo all’uso della parola passando per un metodo imitativo; fare esercizi sui suoi oggetti primari di bisogno per poi da lì sviluppare la sua istruzione. In buona sostanza: trasformare la sua vita dominata solo dalle necessità primarie in una capace di esprimersi attraverso la comunicativa e linguistica.
Itard da subito lamenta il fatto che Victor sta sempre solo, si nasconde negli angoli e esce solo per mangiare, e che questo fa pensare agli altri studiosi che starebbe meglio in un ospizio per dementi. Ma davanti a questa violenta reazione delle autorità parigine il dottore commenta: “(…) come se la società avesse il diritto di strappare un bambino alla vita libera e innocente, per inviarlo a morire di noia in un ospizio, e per fargli espiare di aver deluso le aspettative della curiosità del pubblico”3. Itard si scaglia molto chiaramente contro l’uso che i primi medici hanno tentato di fare di Victor come di un fenomeno da baraccone, salvo poi restare delusi dal poco interesse che suscita nel pubblico comune un essere incapace di qualsiasi azione spettacolare o divertente, ma anzi ripetitivo e noioso. Nel film di Truffaut, in una delle prime scene quando sta per incontrare il ragazzo, parlando con il suo amico e maestro Pinel nell’Istituto per Sordomuti, Itard legge un brano da un quotidiano che lo descrive così: “(…) L’ordine dei sensi appare capovolto, il più sviluppato sembra l’olfatto, seguono il gusto, la vista e per ultimo il tatto, ma prende a poco a poco le abitudini della società umana. Ma è certo che il selvaggio resterà stupito dalle bellezze della capitale. Speriamo che una buona educazione gli permetta presto di raccontare i dettagli più singolari della sua vita passata”. I due medici deridono l’articolo quasi scandalizzati, ma la citazione dal giornale di Truffaut è quanto mai significativa: il “selvaggio” certamente attraverso la giusta “educazione” non potrà che apprezzare le bellezze della società dei lumi. Il “selvaggio” è la prova vivente, ancor prima dell’inizio dell’opera, della possibilità di salvezza e di elevazione di qualsiasi negletto sottoposto all’infallibile evidenza della perfezione del sistema sociale moderno.
Ma lo stato di natura di cui parla Itard appare a tratti quasi uno stato di purezza felice, tanto che più e più volte il medico si chiede nei momenti di delusione nel suo processo di educazione alla civiltà di Victor, se ha fatto bene a sottrarlo a quella vita animale e naturale. Il medico combatte tra la sua ferma volontà di condurre il ragazzo fuori dallo stato di animalità attraverso l’educazione, e la constatazione empatica del dolore che vede in lui.
All’inizio del capitolo che spiega le tecniche usate per il risveglio “nervoso” del bambino Itard dice: “Alcuni fisiologi moderni hanno supposto che la sensibilità esiste in relazione diretta con la civilizzazione”. Per poi aggiungere subito dopo che gli esperimenti che sta facendo con Victor ne sono la prova perfetta e vivente. Si inizia così a capire come lo stesso medico, pur nutrendo una certa affezione per il bambino, ha un preciso obiettivo: non far emergere “naturalmente” la natura del bambino ma “educarlo” ad essere qualcosa che dimostra una teoria a priori, cioè che la “civilizzazione”, attraverso l’istruzione, è l’unica vera forma “naturale” di vita di chi può definirsi uomo e non animale. Non a caso Itard, notando la natura indolente e molto inattiva della vita di Victor, che lo porta solo a mangiare, bere e fare nulla, la paragona all’attitudine di alcuni popoli che definisce “selvaggi di paesi caldi”. Victor è un piccolo “buon selvaggio”, come gli uomini che abitano i paesi da colonizzare o già colonizzati che non conoscendo la vera civiltà, cioè quella francese e europea, devono essere istruiti, educati e così civilizzati.
Davanti alle azioni di Victor, Itard non interpreta le sue reazioni ma le stigmatizza e continua nella sua opera di “correzione” perché non corrispondono al modello di risposta che deve imparare a dare. Dunque il suo empirismo non si esplica nell’esperire le risposte di Victor ai suoi stimoli, ma nello sperimentare come trovare il modo per far fare a Victor quello che lo salverà dal suo stato di animalità incivile, seguendo il suo schema comportamentale predefinito. In una scena esemplare del film di Truffaut, Victor finalmente pronuncia un suono che somiglia alla parola latte, alimento che ama molto e chiede normalmente battendo sulla ciotola. Ma non pronuncia la parola per chiederlo, bensì emette il suono solo come manifestazione di gioia per averlo ricevuto. Il medico si dispiace e scrive nelle sue note che Victor non fa passi avanti, che sono solo fittizi, perché non usa la parola per ottenere quel che vuole, ma solo associandola a un piacere, cioè al latte. Dunque il suono che esce dalla gola del bambino non appartiene alla sfera “civile” della comunicazione ma a quella bassa, animale del piacere a cui Itard cerca di sottrarlo.
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
Itard, nel cercare di risvegliare la sua intelligenza dice di usare “ricompense, punizioni, incoraggiamenti e istruzioni” seguendo un preciso modello educativo che si andava affermando proprio nel momento in cui l’istruzione iniziava a divenire un “valore” pubblico, e si apprestava ad assurgere a strumento di controllo verso le classi più basse, attraverso un sistema scolastico coercitivo, spesso punitivo e violento.
Per sviluppare il quinto punto del suo programma il dottore dichiara che per far superare a Victor il solo vincolo con le sue necessità primarie, deve applicarsi per sviluppare l’educazione del ragazzo, attraverso un “nuovo ordine delle cose che non abbia nessun rapporto con i suoi bisogni primari”. In altre parole l’educazione del piccolo selvaggio non mira all’accrescimento delle sue facoltà, ma all’adeguamento ad un nuovo ordine, che non a caso farà apparire per la prima volta la parola “morale”.
Alla fine dell’elencazione dei diversi risultati ottenuti attraverso i cinque propositi annunciati all’inizio per l’educazione di Victor, Itard “usa” l’esperienza fatta con il bambino per trarre delle conclusioni generali sulla natura umana secondo una visione universalista tipica del pensiero occidentale della fine del XIX secolo. In uno dei vari punti trattati Itard dice che, sia i “selvaggi più isolati” sia “i cittadini elevati al più alto grado di civilizzazione” hanno in comune il fatto che esiste un rapporto diretto tra le loro idee e i loro bisogni primari; di conseguenza la grande possibilità di aumentare le idee rispetto ai bisogni che le società civilizzate hanno sviluppato rispetto a quelle selvagge, ha favorito lo sviluppo di queste e la loro capacità intellettuale, scientifica e artistica. Ecco che quindi la Francia dei lumi, feroce colonizzatrice, si appresta ad utilizzare il suo enfant sauvage per provare semplicemente che interi popoli “selvaggi”, definiti isolati in relazione evidentemente alla struttura sociale occidentale, potranno elevarsi dal loro stato ancora troppo vicino a quello animale solo tramite una educazione morale che li innalzi al di sopra dei loro bisogni naturali e quindi animali. Il “bambino” in quanto animale da educare, permette lo sviluppo scientifico della teoria del controllo del piacere e il colonizzato viene associato al “bambino” come colui che vive nello stesso stato basso di natura animale. La tassonomia applicata immediatamente a Victor con le misurazioni rende Victor subito il “piccolo selvaggio dell’ Aveyron”.
Subito dopo ancora nel suo trattato Itard, seguace di quell’empirismo sperimentale, che sembra essere rivoluzionario perché usa la scienza per migliorare la vita dei meno fortunati come i sordomuti, dice che l’insegnamento deve servire a rendere sempre più perfetto il genere umano, conoscendo al meglio tutte le anomalie fisiche e morali che la nostra specie produce per dare la possibilità all’educazione di poter intervenire. L’insegnamento, l’educazione, sono gli strumenti per ricondurre a “normalità” ogni devianza, per elevare i “selvaggi” dallo stato bruto a quello perfetto della nuova civiltà, per correggere gli errori di natura.
L’intero percorso di vita di Victor a casa con il dott. Itard è una sequenza di esercizi. Nel film di Truffaut, Madame Guérin rimprovera il dottore dicendo che il bambino è distrutto di stanchezza fino a sanguinare dal naso. Itard non osserva Victor nel suo stato di natura per trarne delle conclusioni, ma lo sottopone a prove, lo “sperimenta” per poterlo rendere simile alla sua idea di giovane uomo. La sua educazione passa tutta per una sola visione: lo sviluppo intellettivo si basa sulle capacità imitative, mimetiche. Itard insegna a Victor a copiare ogni sua azione, dalla più intellettuale, alla più pratica. Il maestro fa la cosa giusta e l’allievo la copia, cosicché da grande sarà come il suo maestro: un uomo giusto..
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
Nel film di Truffaut Itard insegna a Victor persino a ribellarsi quando è giusto. Lo sottopone a un ennesimo esercizio e nonostante il bambino lo faccia bene non riceve il suo solito premio che è un bicchiere d’acqua, anzi lo chiude nello stanzino buio. Victor si infuria e poi piange. Itard è felice perché vede in Victor la capacità di comprendere l’ingiustizia. Nel film la voce narrante di Itard dice: “Quando Victor riesce in una cosa gli dò un premio e quando sbaglia lo punisco, però non ho la prova certa di avergli ispirato il senso interiore della giustizia. Egli mi obbedisce per timore o nella speranza di essere premiato, e non per il sentimento disinteressato dell’ordine morale. Per chiarire questo dubbio sarò costretto a fare una cosa odiosa. Metterò il cuore di Victor davanti alla prova di una palese ingiustizia castigandolo senza motivo proprio dopo un esercizio semplice che egli avrà fatto bene davanti a me. Spingendolo ingiustamente verso lo stanzino buio gli somministrerò un castigo tanto odioso quanto rivoltante. Per vedere se appunto lui reagirà con una ribellione”. Alla reazione violenta di rivolta del bambino il medico lo ferma, lo abbraccia e gli dice “Hai fatto bene a ribellarti”. E poi commenta tra sé e sé: “Come sarebbe stato bello farmi capire dal mio allievo, dirgli che persino il suo morso mi riempiva l’animo di soddisfazione. Potevo rallegrarmi avevo la prova che il senso del giusto e dell’ingiusto non era più estraneo al cuore di Victor. Dandogli questo sentimento, o meglio provocandoglielo, avevo innalzato l’uomo selvaggio a livello dell’uomo morale, con la sua caratteristica più spiccata e la più nobile delle sue attribuzioni”. La ribellione segna la possibilità dell’elevazione perché include il parametro morale della giustizia, categoria del pensiero e non dell’istinto. Il piccolo selvaggio ha dato soddisfazione al suo maestro, questo è quello che conta.
In realtà Victor ha continui scatti di ira, si ribella, si infuria davanti ai ripetuti esercizi, il dottore nel suo trattato dice che a volte diviene come epilettico per la rabbia, ma quelle rivolte non sono accolte con gioia dal medico, non sono considerate come traguardi, perché si ribellano contro l’ordine imposto dal maestro, seguendo un istinto animale lontano dal suo concetto di morale.
Itard in più punti prova pena per Victor, specie quando lo punisce fisicamente, anche se lievemente, e vede il lui la smorfia del dolore, e si rammarica di non averlo lasciato nella sua vita innocente e naturale. Nella sua trattazione spesso torna l’idea del buon selvaggio che potrebbe vivere bene nel suo stato di semi-animale, e al quale si vorrebbe riconosce la possibilità di scivolare verso lo stato basso dell’animalità, sempre però ben distinguendolo da quello dell’uomo caratterizzato da una sola condizione possibile: quella della “civiltà”. Non a caso un suo moto di pietà compare quando facendo esercizi sulla percezione del suono con Victor, usando un tamburo, tenendo il bambino bendato, Itard colpisce prima piano le sue dita per aiutarlo a distinguere le diverse pronunce delle vocali, poi quando il ragazzo continua a ridere, per ricondurlo all’esercizio, lo colpisce più forte fino a fargli male. Se il gioco produce un piacere libero porta Victor verso quello stato di natura senza nessun fine, senza un rendimento, senza una riuscita dell’esercizio, che per il medico è inaccettabile, e quindi scatta la punizione che riporta Victor a essere non un corpo senziente ma allievo ascoltante e obbediente. Itard parla di necessità di costringere il suo “allievo” all’attenzione. Victor non è un essere umano aiutato a sopravvivere in uno stato di natura diverso da quello in cui è cresciuto, ma un allievo condotto per mano, attraverso l’imitazione, a diventare un bravo cittadino.
Truffaut monta in maniera esemplare due sequenze di scene, ciascuna in un momento diverso del film, ritmate al loro interno solo con uno stacco secco tra l’una e l’altra scena, unite però dalla continuità del tappeto sonoro, che non a caso è Vivaldi.
Nella prima scena della prima sequenza Victor in maniera libera traccia su una lavagna con il gesso una sorta di grande cerchio continuo che diviene una spirale. Nella seconda Victor è con Itard il quale gli fa copiare in maniera testuale e pedissequa i segni che lui traccia sulla lavagna: l’educazione passa solo attraverso l’imitazione dell’insipiente dei gesti del senziente.
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
Nella prima scena della seconda sequenza, Victor gioca a farsi trasportare su una cariola da un amico di Itard da cui vanno sempre in campagna. La sua richiesta di giocare è spontanea e Victor si diverte e ride. Nella scena seguente il bambino apparecchia la tavola in maniera precisa ed educata, e Madame Guérin lo corregge rispetto al posto esatto del cucchiaio, e Victor esegue senza passione. Nella terza scena Itard costringe Victor a fare un’infinità di volte il gioco dei tre bicchierini che nascondono un oggetto da ritrovare.
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
All’inizio durante gli esercizi di scrittura il medico fa un esame a Victor e fa sì che lui stesso corregga il suo errore. Poi scrivendo la sua relazione del 1806 Itard si compiace del fatto che non deve più indicare l’errore a Victor ma che il suo solo sguardo negli occhi del ragazzo gli fa percepire che c’è un errore e glielo fa correggere prontamente. Victor ha imparato il senso di autorità.
Parlando con madame Guérin che dice di avere la sensazione che Victor la senta, il dottor Itard nel film le dice: “Ci sente senza ascoltarci così come guarda senza vedere, noi gli insegneremo a vedere e ad ascoltare”. Il vero compito del medico è trasformare i sensi in strumenti di conoscenza passando per una metodologia, certo scientifica, ma basata su quell’approccio positivista che propone teorie a priori che l’esperienza dimostra. Così in ogni scena in cui i medici discorrono tra loro, sullo sfondo, Truffaut mette sempre immagini anatomiche o tavole scientifiche che illustrano l’interno del cervello. Il Bertillonisme o le teorie di Cesare Lombroso sono alle porte. Approcci scientifici che dimostreranno la superiorità della “razza” europea nel confronto con le “razze” inferiori dei selvaggi, usando tecniche scientifiche basate sulle misurazioni craniali e sulle esperienze empiriche sui corpi dei popoli dominati. Victor è solo un “esemplare” che dimostra che pur vivendo in Francia, accanto alle bellezze di Parigi, ma nelle stesse condizioni semi-animali in cui si vive nei paesi “selvaggi”, si piomba in uno stato di natura che può essere corretto solo con l’aiuto dell’educazione alla civiltà.
Alla fine del film Victor scappa offeso del fatto che Itard non lo porta mai in campagna perché costretto a letto da una breve malattia. Ma poi ritorna a casa spontaneamente e viene accolto con affetto da Madame Guérin e dallo stesso Itard che gli dice: “Sei tornato a casa, sei a casa tua, non sei più un selvaggio anche se non sei ancora un uomo”.
F. Truffaut, L’enfant sauvage, 1970, screenshot
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1 Jean Marc Gaspard Itard, De l’éducation d’un homme sauvage ou des premieres developpements physiques et moraux de jeune sauvage de l’Aveyron, Goujon fils, Imprimeur-Libraire, Paris 1801, s.p. (traduzione del redattore).
2 Jean Jaques Rousseau, Emilio, Armando Editore, Roma 1997, p.64.
3 Itard, op.cit.
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Nota del redattore
Questo testo è la prima parte di un saggio sull’educazione libertaria, che si intitolerà Di quando Victor incontrò Emile e fuggirono insieme, che sarà on line con la seconda uscita di questo numero della rivista il 15 giugno. Ho scelto di dividere in due il mio intervento per provare a mettere a confronto una concezione dell’educazione come forma di oppressione e controllo, con una invece volta alla liberazione dei ragazzi, ambedue nate in un contesto europeo, a pochi decenni di distanza l’una dall’altra. Nel secondo saggio parlerò del concetto di “educazione libertaria”.
Dunque continua …