Giorgia Valmorri lavora con le pratiche di partecipazione in progetti socialmente impegnati costruiti con criteri site and audience specific. Il suo approccio all’arte parte dal desiderio di coinvolgere le persone in una sempre maggiore affezione verso i luoghi della propria vita e in generale verso la natura, come luogo di tutti i luoghi possibili. I mezzi formali pertanto sono tali da attivare un coinvolgimento diretto, prima di tutto sentimentale, in modo da consentire il compimento del progetto che sostiene l’opera partecipata aprendo in esso possibilità generative che la rendano aperta, diffusa e continua nel tempo.
I semi, utilizzati in molti lavori dell’artista, sono una metafora perfetta dell’intera pratica artistica di Giorgia Valmorri. L’opera come un seme trova il suo posto, si ambienta, diviene pianta, crea relazioni, condiziona ed è condizionata dal contesto nel quale si sviluppa ed evolve a partire dai sui stessi talenti, dalle sue risorse e dai suoi raffinati sensi.
La capacità di sentire l’ambiente e coinvolgersi, mettersi in gioco, prendere posto, abitare e orientarsi sono alcune delle molte doti che la ricerca artistica di Giorgia Valmorri comprende e in parte provoca e induce con dispositivi gentili elaborati a partire dall’ascolto. Un ascolto delle storie raccontate a voce alta come delle più sottili tracce della presenza discreta e spesso trasparente di molta parte del mondo intorno a noi. Tutti i sensi sono coinvolti nella mossa del cuore.
E la ragione di questa attivazione è la ricerca di una consapevolezza diffusa, ora individuale ora collettiva, dell’importanza rigenerante del fare insieme, costruire un’esperienza condivisa, un nuovo mondo dentro quello che abitiamo ogni giorno.
L’olfatto è coinvolto nell’opera Odore sociale, un ambiente esperienziale immersivo; il gusto associato alla convivialità e il tatto sollecitato dal mettere le mani nella terra, lungo il percorso di progettazione partecipata attivato dall’opera collettiva Giardini di Connessione. E in questo elenco di opere che investono sul valore conoscitivo di tutti i sensi, non solo della vista, c’è Teku cana, vita in movimento nella quale si è colpiti dall’odore dolce e profumato di un composto fermentato utilizzato per fertilizzare il suolo.
Odore sociale. Questo lavoro è stato presentato la prima volta durante la mostra personale di Giorgia Valmorri da me curata, Portati dal Vento, nel 2015 per gli spazi del progetto veneziano Spiazzi e Spiazzi Verdi, la galleria a Castello e l’orto urbano collettivo alla Giudecca.
Si trattava di un ambiente sensoriale composto da un tunnel, con una porta d’entrata e una d’uscita, che divideva a metà il cortile interno della galleria nel passaggio dalla prima sala frontale alla seconda sul retro. Entrando all’interno del tunnel su una mensola lunga si trovavano dieci sfere di argilla bianca. Alla base di ogni sfera le iniziali dell’essenza o dell’acqua distillata che si poteva annusare sollevando la linguetta nera posta sopra la sfera. Nell’angolo, su una piccola mensola, un’unica sfera con al suo interno del caffè macinato da annusare per riposare il naso.
Giorgia Valmorri, Odore Sociale, 2015
L’intera installazione era, dunque, un percorso olfattivo creato a partire dall’odore delle piante e degli elementi naturali osservati nell’altra sede del lavoro. Gli odori, ricavati con l’aiuto di un esperto, erano una fotografia olfattiva del luogo esperito, l’orto giardino alla Giudecca, fiori e piante aromatiche, ma anche erba, terra e fieno.
Uscendo dal tunnel si trovava una scatola, al suo interno un piccolo dono disponibile per chi volesse prenderlo, composto da una pallina di ceramica bianca, dentro un sacchetto di stoffa, siglata con le iniziali delle essenze e delle acque presenti nell’installazione e imbevuta con alcune gocce di esse.
Osservare e comprendere è un’operazione che implica il coinvolgimento dei sensi. Conoscere un luogo è prima di tutto farne esperienza. L’artista trasferisce la sua esperienza del luogo studiato, l’orto urbano collettivo, in un ambiente olfattivo che attraverso la sollecitazione sensoriale prodotta dalle essenze, attiva l’immaginazione. Si tratta di un paesaggio, di un ritratto dinamico affidato alla dimensione della partecipazione attiva. Il titolo invita alla condivisione che è uno degli elementi vitali che ha prodotto e mantiene il progetto e il valore sociale dell’orto collettivo alla Giudecca. Il dono che conclude questo lavoro è ancora una volta un passaggio fondamentale della pratica artistica di Giorgia Valmorri che restituisce sempre qualcosa in cambio dell’attività svolta dai partecipanti alle sue opere nelle dinamiche da esse attivate.
La memoria olfattiva è la più longeva e l’elemento ceramico imbevuto di uno degli odori presenti nell’ambiente dell’opera è un modo per estenderne l’esperienza oltre la dimensione espositiva creando lo spazio per una riflessione sull’importanza della rete che connette tutti gli esseri viventi, una rete invisibile e solidissima.
Teku cana, vita in movimento. Questo lavoro del collettivo Grigiosiro (che Giorgia Valmorri fonda con Boris Bertolini1) nasce nel 2016 a Marostica con la mia curatela nell’ambito di un progetto di ricerca sull’arte pubblica e le pratiche di partecipazione che coinvolgeva la comunità cittadina, riserve urbane. Nella mostra finale, La Vera natura, l’opera viene presentata con un’installazione site specific realizzata nelle sale espositive del castello e si conclude con un’azione collettiva in un giardino urbano abbandonato durante la quale ciò che era stato realizzato grazie all’attivazione di un lungo processo di partecipazione, viene restituito dagli artisti in forma di dono alla comunità dei partecipanti dell’opera.
Nell’installazione al Castello gli artisti informano del processo attivato dal loro lavoro nel giardino abbandonato e in generale nelle aree verdi della città. Una mappa del centro storico disegnata a mano vede segnati in rosso tredici punti che corrispondono a tredici piante sparse nel centro storico di Marostica che gli artisti hanno individuate come bisognose di cura. Su undici fogli sono state rilevate le impronte delle soglie durante la prima parte del lavoro degli artisti con i cittadini quando, incontrandoli ad uno ad uno (porta a porta), hanno chiesto loro quale fosse il loro rapporto con il verde e se avessero avuto voglia di partecipare alla realizzazione di un Teku cana2 comunitario.
Con questi incontri Grigiosiro ha chiesto alle persone di partecipare ad un’azione collettiva per creare il Teku cana nel giardino abbandonato portando ciascuno una parte del materiale necessario alla sua creazione (foglie o erba semidecomposti, rami, frutta ed elementi provenienti dalla cura del proprio giardino). Nel frattempo il giardino era stato oggetto di un’azione di cura realizzata dagli artisti durante la quale erano stati creati nella vegetazione percorsi per raggiungere la postazione di assemblaggio del Teku cana ma anche per invitare i partecipanti ad una nuova fruizione di quello spazio.
Il materiale organico accumulato e assemblato durante la prima azione collettiva è stato lasciato a maturare fino all’azione collettiva finale del progetto (il giorno del finissage della mostra) quando gli artisti hanno donato una porzione del Teku cana realizzato dentro una sfera cristallina di isomalto (zucchero estratto dalla barbabietola e lavorato come il vetro soffiato) invitando le persone con un’apposita mappa (sempre realizzata a mano dagli artisti e contenente anche la ricetta del Teku cana) a donarlo a loro volta (oltre al loro stesso giardino) alle tredici piante individuate nella città come bisognose di cura. I disegni originali (realizzati a penna Bic su carta) di queste piante (riprodotti in piccolo nelle mappe donate ai partecipanti insieme alla sfera di isomalto) erano esposti nella sala espositiva del Castello Inferiore in collegamento alla mappa della città.
Collettivo Grigiosiro, Teku cana. vita in movimento, 2016.
Teku cana, vita in movimento è un esempio esplicito di opera partecipata con un lungo processo di attivazione della partecipazione composto di interventi, incontri e vari dispositivi di relazione tutti basati sull’incontro e lo scambio. In questo lavoro la dimensione sensoriale si fonde con quella emozionale del coinvolgimento personale di ciascun partecipante nella relazione principale al centro del lavoro: quella con la natura, la terra, il proprio giardino.
Teku cana in lingua mixteco, la lingua parlata dal popolo delle nuvole, nel Messico meridionale, significa “vita in movimento”. E proprio di questo intende parlare il lavoro: della dinamica vitale intrinseca della natura e del nostro muoverci dentro di essa e con essa.
Partendo dalla fiducia nell’invisibile, i microorganismi che trasformano la sostanza organica in nutrimento per le piante, il collettivo Grigiosiro investe i suoi sforzi nella pratica del dono. Anche il dono funziona come una dinamica: chi riceve il dono, accettandolo, accetta soprattutto la relazione con il donatore. Da questa relazione emerge la reciprocità e lo scambio libero come il vero valore creato dal gesto del donare e dall’oggetto donato. Un valore apparentemente invisibile ma che nel tempo si rivela sempre più concreto, efficace e nutriente (proprio come i microrganismi del Teku cana) per lo sviluppo di una buona vita.
In questo lavoro, la pratica costante e reiterata del mettersi al servizio solleva con grande poesia e speranza il tema della cura e quello ad esso associato della responsabilità nei confronti della natura. L’oggetto creato collettivamente e poi donato, il Teku cana, come oggetto artistico (nel senso di creato all’interno del processo di cui si compone l’opera d’arte), è un dispositivo attivatore di relazioni.
Lo sguardo gentile che Grigiosiro rivolge alla città di Marostica, alle sue piante e alla comunità che vive insieme ad esse è la cifra più intensa di questo intervento fatto di tanti passaggi in un processo di paziente e lento avvicinamento al momento in cui avere qualcuno di fronte a cui rivolgere un dono. Qualcuno che sceglie di condividere la visione poetica degli artisti sul mondo ma anche il loro deciso invito al “fare” nella direzione della scoperta della natura nella quale siamo immersi, della meraviglia delle sue sorprese e della responsabilità nel mantenere con consapevolezza il fragile equilibrio che ci consente di convivere.
Questo scambio è il senso del valore sociale dell’arte, della sua funzione come strumento critico di analisi e come veicolo di iniziative condivise a partire da un’esperienza comune. Tale esperienza è estetica a partire dal suo essere parte della dinamica etica compresa nella relazione, fisica e sociale, tra le persone e l’ambiente coinvolti.
Giardini di Connessione. Terzo Movimento. Con l’opera Giardini di connessioni. Terzo movimento Giorgia Valmorri lavora sul giardino compreso nell’area della Biblioteca Civica Pietro Ragazzoni di Marostica per la realizzazione di un’opera pubblica sostenuta dall’Assessorato alla Cultura e dalla Città di Marostica3.
L’opera ha comportato e ancora comporta l’attivazione di una fitta rete di dispositivi relazionali, come il ciclo di azioni collettive intitolato “Integra invece di separare” o l’azione “In mano un germoglio”, che mirano alla creazione di una comunità di cura del giardino così che questo possa diventare un luogo di contemplazione e di scambio, realmente vissuto, in grado di interpretare bisogni e sogni dei suoi giardinieri.
La forma del giardino, che, per gran parte, coincide con la forma dell’opera, è stata ricavata dall’analisi dei dati provenienti dai diversi momenti di partecipazione attivati con il ciclo di azioni Integra invece di separare. Molte mani rendono il lavoro più leggero. Si tratta nel complesso di oltre quaranta interventi, che vanno dalla creazione di ambienti sensoriali con le piante aromatiche, l’errare delle specie pioniere, l’alternasi delle forme durante le stagioni fino ad interventi installativi veri e propri con la sistemazione di postazioni, arredi, la creazione di nuovi punti di vista, di contemplazione e di fruizione complessiva del giardino.
Giorgia Valmorri, Giardini di connessioni. Terzo movimento
Durante gli incontri del ciclo Integra invece di separare l’artista ha ideato un metodo per raccogliere e poter archiviare le opinioni così come le sensazioni, le visioni e i desideri di tutti i partecipanti: ha distribuito delle mappe nude dello spazio chiedendo di compilarle apponendovi ognuno le proprie idee in forma di appunti, schizzi, frasi, disegni.
Le mappe compilate dai bambini si sono rivelate bellissimi esercizi di cittadinanza creativa e l’artista ha per questo deciso di mostrarle in un’installazione durante una prima mostra realizzata nella torre del giardino con lo scopo di presentare lo stato di avanzamento del processo di progettazione partecipata innescato dal suo lavoro.
Tra le diverse attività finalizzate al coinvolgimento dei partecipanti nell’opera-giardino è stato realizzato un workshop intitolato Mappe sentimentali per un giardino di connessioni. Ancora il dispositivo della mappa è stato utilizzato per registrare elementi invisibili ma di grande interesse per iniziare a costruire con esplorazioni, osservazioni, derive, disegno, racconto e scrittura un’idea nuova “sentimentale” di città. Gli elementi provenienti da questa mappatura sentimentale situazionista sono stati utilizzati nel corso del processo di creazione del giardino. Questo workshop ha invitato i partecipanti all’esplorazione nella dimensione del vissuto dei luoghi che è il criterio fondamentale che accompagna da sempre il lavoro di Giorgia Valmorri e che a Marostica ha guidato il processo di creazione partecipata del giardino.
Un giardino è tale perché in uno spazio circoscritto si trovano delle piante. Le piante di Giardini di connessione derivano dal dono dei semi che l’artista riceve dai primi che accettano l’invito a partecipare all’opera. Nell’azione collettiva In mano un germoglio (che si è svolta nel giugno 2017) sono state messe a dimora le oltre cinquecento piantine nate da quei semi.
Questa azione è stata il cuore pulsante del lungo processo che l’artista ha attivato al fine di realizzare, insieme alla comunità cittadina, un giardino con i presupposti di inclusività e partecipazione propri della migliore arte pubblica fondata su pratiche site and audience specific.
Mettere le mani nella terra è stato il primo passo in direzione della creazione di un giardino di connessioni dove sperimentare la relazione con tutti i viventi come valore e risorsa per il futuro. È stato un passo in senso anche letterale: il passo di tutti i presenti, i piedi sulla terra delle aiuole, le mani per far posto alla pianta, per darle la prima acqua che rassicura le radici, per ricevere dalle mani del vicino la prossima pianta e metterla nel buco appena scavato; i piedi per lasciare l’aiuola, muoversi sull’erba, tornare a casa dopo molti sorrisi, emozioni, odori, abbracci.
Giardini Di Connessione, come opera di arte pubblica, pone la domanda su cos’è un giardino – e lo fa nell’ambito di un approccio socially engaged alla pratica artistica. Dalla risposta dipende l’esito di tutto il processo attivato dall’opera. È una domanda che si rivolge alla comunità dei partecipanti, ma anche a tutti coloro che fruiranno di quello speciale spazio verde oggetto delle cure e dell’attenzione di tante persone.
Quindi, provando a rispondere, diciamo che un giardino è prima di tutto uno spazio verde. Ma non uno spazio verde qualsiasi, uno spazio circoscritto da una qualche forma di recinto, come dice la sua stessa etimologia; dal latino fino alle lingue germaniche, infatti, la radice della parola giardino ha a che fare con cingere, recintare, racchiudere.
È uno spazio protetto entro confini fisici ben visibili al cui interno è presente una varietà di specie botaniche.
Ma finora si è parlato del profilo esteriore del giardino, non del suo significato o della ragione per cui il giardino esiste come opera dell’uomo da quando abbiamo memoria.
Il senso e la funzione del giardino, in effetti, sono la vera domanda posta dall’opera di Giorgia Valmorri che nel contesto generale del progetto Riserve urbane assume tra l’altro un’importanza particolarmente elevata.
Riserve urbane prova a indagare i luoghi dimenticati della diversità, dove, al confine tra due sistemi come nei residui di vuoto urbano o nelle aree indecise, la natura sperimenta nuove alleanze, mostra strategie insolite di sopravvivenza e accrescimento, resiste, colonizza, prende spazio in equilibrio con lo spazio.
Ecco che da questa ricognizione emergono molti giardini imprevisti, luoghi circoscritti da confini determinati dalle circostanze, luoghi ricchi di specie botaniche, di alberi o piante piccolissime e magnifici fiori nati da semi portati dal vento.
Per parlare del giardino tutto questo, però, non basta; c’è ancora qualcosa che manca per comprendere o anche solo per osservare la sua complessità. Il giardino è un sistema, un insieme ricco di scambi, mediazioni, incroci e funzioni tutte connesse nella dimensione dell’abitare. L’abitare è una categoria che si può applicare al vivente, in generale – agli esseri umani, agli animali come alle piante – significa prendere spazio, fare proprio un posto, orientarsi in esso stabilendo percorsi e confini, conoscere se stessi e il mondo sulla base dei dati provenienti dalla propria posizione e dalla geografia di emozioni e sentimenti che da essa si ricava.
In questo ecosistema, dove eco ha opportunamente a che fare con la casa (dal greco oikos), l’umano è presente e non solo come autore della dimenticanza che ha creato il vuoto dove il giardino è nato, ad esempio, ma come soggetto attivo e interattivo che disegna con le sue scelte e le sue azioni il giardino.
Nel giardino osserviamo le forme dei vegetali crearsi e mutare e, in qualche misterioso modo, siamo da essi osservati. Questa è sicuramente la prima relazione che si può sperimentare nel giardino, osservare qualcosa che reagisce alla nostra presenza anche se in maniera impercettibile e spesso inintelligibile. Da questa relazione appena percettibile deriva quella con se stessi, favorita dal silenzio, dagli spazi sempre mutevoli ricavati nei percorsi tra le piante che ricordano l’andamento ondivago dei nostri pensieri. Occupare, anche se transitoriamente, uno spazio nel giardino ci mette in relazione con lo spazio stesso che il giardino occupa. La via, il quartiere, la città. I semi dimorano nella terra e da lì si sviluppano, le piante dimorano nel giardino mutando e esprimendo al massimo grado la propria vitalità, il giardino dimora nella città e lì respira, si apre e si chiude consentendo lo scambio, la relazione, la meraviglia.
Le persone, a loro volta, giardinieri o ospiti del giardino, si incontrano nel giardino, su una leggera altura, condividendo una seduta, passeggiando per perdersi nel verde. Ecco che il giardino diviene, in maniera esplicita, un luogo di relazione.
Il giardiniere è colui che, operando nel giardino, ne determina la forma. Pertanto la forma del giardino è un’opera, un costrutto culturale, un risultato al quale si giunge attraverso scelte, azioni, attese. Il giardiniere fa o non fa, ostacola o favorisce, apre, chiude, discrimina, salva e, in tutto questo, osserva, pensa, si mette in relazione con le piante di cui è custode. Il punto fondamentale è appunto questo. La forma del giardino non è imposta alle piante, il loro comportamento osservato e compreso dal giardiniere favorisce alcune scelte e ne rende inefficaci altre fino a condurre il giardino al suo equilibrio che, infine, è la sua forma. Una forma, come ci insegna il filosofo e paesaggista francese Gilles Clément, dinamica, mai uguale a se stessa ma stabile e in buon equilibrio con tutto ciò di cui si compone: varietà di piante, varietà di umani, minerali, acqua, vento, sole, qualità del terreno, usi e funzioni attribuite allo spazio o derivate dallo spazio, contesto ambientale, geografico, politico e tutto il resto che non si vede ma che c’è.
Da queste riflessioni sul senso della forma aperta del giardino, del suo naturale movimento e del nostro ruolo nel comprendere e lavorare insieme alla natura, Clément conclude, aumentando il campo di osservazione, che tutti noi siamo giardinieri. E parla proprio di giardinieri planetari, il giardino di cui siamo responsabili, infatti, circoscritto da un solido recinto gassoso, è la Terra. Il pianeta che ci ospita, la casa che possiamo abitare.
Ecco che in qualche modo abbiamo risposto alla domanda iniziale su cos’è un giardino. Un luogo in cui il nostro rapporto con la natura prende letteralmente forma, si definisce e senz’altro ci definisce. Dalla personalità del giardiniere dipende la sorte del giardino. Da noi tutti dipende il futuro della Terra.
E rispondendo alla domanda sul giardino abbiamo chiarito la natura stessa dell’opera e dell’operare nell’arte propri della ricerca di Giorgia Valmorri.
Un’intensa riflessione sul senso di responsabilità derivato dal valore di un fare sempre consapevole e condiviso alla base della pratica artistica.
Le azioni comprese nello sviluppo dell’opera pubblica Giardini Di Connessione guardano al formarsi di una comunità di cura del giardino come di un fenomeno del giardino stesso, una sua emanazione, un aspetto della sua naturale evoluzione. Il giardino, come luogo di equilibrio e continuo scambio tra umano e vegetale, minerale e animale, definito e imprevisto, esprime al massimo grado le potenzialità di un approccio partecipativo che investe sull’alleanza e la reciprocità.
Giardinieri planetari, uomini e piante, che nel giardino circoscritto dalle antiche mura della città si prendono cura del futuro.
Fare un giardino è pertanto un’opera che richiede una raffinata sensibilità verso l’appena percettibile, il lentissimo, il possibile e l’inatteso. La stessa sensibilità che l’artista Giorgia Valmorri mette al servizio di un’autentica, sincera e coraggiosa opera di arte pubblica fatta di relazioni, di equilibri delicati tra le persone come tra le piante e il resto di ciò che abita il giardino.
Un ecosistema resiliente, una forma aperta e dinamica che deriva la sua bellezza (per usare una categoria estetica consona all’ambiente interpretativo dell’opera d’arte), senza soluzione di continuità, dall’equilibrio tra le circostanze create dalla visione dell’artista e gli esseri viventi che abitano lo spazio dell’opera, la loro ineliminabile spontaneità, il mutare nel tempo, una stagione dietro l’altra, una fioritura dopo l’altra.
L’essere aperta della forma dell’opera non significa che non esista, al contrario, nell’incontro con il pubblico (fruitori e partecipanti), l’ambiente mutevole dell’opera diviene luogo di molteplici possibilità cognitive, di scoperte e conclusioni. Tutte, possibilità e scoperte, primariamente derivate da uno speciale coinvolgimento sentimentale con l’opera e la sua forma derivata passo dopo passo da presupposti, pratiche e processi.
La bellezza dell’opera, pertanto, è, a sua volta, aperta, relativa, derivata e processuale; qualcosa che i partecipanti dell’opera e tutti i suoi futuri fruitori possono percepire, che resta nell’aria, che prende luce nell’analisi a posteriori: come la bellezza degli algoritmi e delle formule matematiche, che deriva, ma non coincide del tutto, con la loro forma breve ed efficace.
È quel qualcosa in più, indicibile e inafferrabile con la ragione e con la sua elaborazione dei dati sensoriali. Resta in quell’immediatamente altro che però associa un’opera d’arte (concepita con questi criteri) alle intuizioni e alle sensazioni e la rende, più che un oggetto disponibile allo sguardo, un’esperienza in continuo movimento.
1 Dopo la fondazione, nel 2015, del collettivo Grigiosiro, Giorgia Valmorri prosegue anche la ricerca come artista singola sperimentando entrambe le prospettive del lavoro artistico.
2 Il Teku cana è un attivatore di microorganismi in grado di riprodurre i microorganismi autoctoni aumentando la velocità di decomposizione della materia organica. È un eccellente nutrimento per il terreno e le piante che vi crescono. Viene anche utilizzato come addittivo per il compost conferendogli un gradevole odore.
3 Il lavoro inizia con la creazione del primo dispositivo di relazione (un kit per il dono di semi da parte della comunità cittadina allo scopo di realizzare insieme un “giardino di connessioni” in uno spazio verde della città) reso disponibile dall’artista durante la mostra finale dell’edizione 2016 del progetto riserve urbane _arte pubblica e rigenerazione. Prosegue nell’edizione dell’anno successivo con l’assunzione da parte della città dell’opera come opera pubblica. Il lavoro con la curatela mia e dell’architetto Antonio Zarpellon è entrato nella fase di attuazione degli interventi previsti ed è ancora in corso.
* Foto in homepage di Boris Bertolini
Silvia Petronici è un curatore indipendente che si occupa, da oltre dieci anni, di pratiche artistiche site and audience specific, arte pubblica e pratiche di partecipazione. In particolare, si occupa di progetti artistici socially engaged sui temi dell’ecologia e della sensibilizzazione ambientale e sulla riscoperta del senso di comunità come risorsa per superare crisi e indurre cambiamenti positivi. Silvia Petronici crede profondamente nel valore sociale e conoscitivo dell’arte e in particolare nella capacità esplorativa e poietica degli artisti quando si permette loro di operare a diretto contatto con i luoghi e le comunità.
Giorgia Valmorri consegue nel 2007 il diploma quadriennale presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino e intraprende il suo percorso di ricerca come artista partecipando a residenze, mostre collettive e personali e costruendo progetti artistici partecipati presentati in sedi pubbliche e private. In un ambito di progettazione artistica site specific predilige le pratiche relazionali. Nella sua ricerca la partecipazione e lo scambio libero e gratuito sono contenuti importanti per le forme della sua immaginazione artistica. La creazione di dispositivi che implicano dinamiche collettive funziona da strumento di attivazione di processi che aumentano, estendono e moltiplicano le forme iniziali dei suoi lavori dando il via ad ulteriori dinamiche di relazione. L’attivazione di questi processi, per la maggior parte, dipende da un’iniziale dono.
Ha collaborato con Silvia Petronici come artista e come assistente alla curatela di molti progetti a partire dal 2013. A oggi impegnata nella realizzazione dell’opera pubblica e partecipata “Giardini di Connessione_terzo Movimento” commissionata dal comune di Marostica.