Terra! Ma nessuna patria (2022) di Ti-Noune Moïse si apre con una dichiarazione, «Alla nascita, la Geografia è un destino» (p. 9), che presagisce la storia che stiamo per leggere. Nella pagina successiva una cartina geografica dell’Italia è contrapposta a quella di Haiti, producendo una prossimità visuale tra due paesi la cui storia e cultura raramente sono state lette insieme. La giustapposizione delle cartine traccia una geografia dei sentimenti, proponendo un riassunto visivo della storia di rapporti privati ed eventi collettivi, di migrazioni ed esili dell’autrice nata da padre haitiano, Rodolphe Moïse e madre italiana Anna Chiabov. Nel riflettere questa storia il testo propone un’intricata trama di sovrapposizioni e rimandi tra l’Atlantico Nero e la storia familiare dell’autrice che include tre continenti, due dittature e soprattutto il sacrificio personale in nome dell’impegno per la democrazia e l’eguaglianza sociale. La selezione e la scrittura delle memorie familiari diventa un atto di riparazione della narrativa storica collettiva eurocentrica, italiana e Atlantica, centrata su poche figure maschili e bianche. Attraverso la cura, ovvero la selezione, narrazione, e conservazione di un archivio familiare, Terra! pone l’antifascismo europeo, di cui è protagonista la famiglia materna, nel contesto più ampio dell’attivismo pan-Africano e dei movimenti anticolonialisti nell’Atlantico Nero, recuperando così l’agentività politica e culturale dei popoli della diaspora Africana. Il testo ricostruisce un tessuto interpersonale, a più voci, oltreché intermediale, restituendo una storia tanto familiare quanto collettiva che va oltre le dicotomie di genere, razza e classe sociale su cui è fondata la storia eurocentrica e quindi l’idea di italianità.
La caratteristica più saliente del testo è l’intrecciarsi di commenti e memorie di Anna sulla vita quotidiana, con la storia ufficiale della dittatura di Duvalier, la politica internazionale della Guerra Fredda, l’interferenza francese e statunitense nelle vicende dell’isola caraibica. Lo stile del libro è altrettanto unico nell’alternanza di narrazione scritta e immagini dall’archivio familiare e pubblico. Il pubblico si ritrova a contemplare così una storia per immagini, fatta di fotografie di famiglia, riproduzioni di documenti d’archivio e giornali d’epoca, nonché codici QR che rimandano a video e interviste con i genitori Rodolphe e Anna.
Ne risulta un nuovo archivio storico, tanto personale quanto collettivo, della storia del novecento italiano, un archivio che porta in luce la storia coloniale e neocoloniale di Haiti, inclusi l’appoggio degli USA alla dittatura di Duvalier e l’imposizione della Francia di un risarcimento finanziario per compensare la perdita economica in seguito all’indipendenza politica di Haiti nel 1804. Questi eventi che forniscono un contesto alle memorie familiari, danno la misura di come l’imperialismo occidentale attraverso i secoli abbia contribuito a mantenere Haiti, luogo di nascita e parte dell’identità culturale dell’autrice, un luogo irraggiungibile. Il testo quindi si costituisce come un archivio dell’attivismo antifascista e femminista della famiglia materna, dell’impegno politico paterno contro la dittatura di Duvalier, e dei momenti di contatto tra le storie dei due paesi.
La cura della memoria familiare in relazione alla storia dell’Atlantico Nero, funge anche da critica della presunta omogeneità dell’identità italiana bianca e cristiana. Una narrazione riduttiva che ancora oggi è funzionale alla propaganda politica razzista e xenofoba, specialmente nei confronti dei popoli del continente e della diaspora africana. L’operazione cruciale che compie il libro sta nel contestualizzare queste pratiche e teorie culturali nell’arco storico dell’Atlantico Nero in un’ottica transnazionale prodotta dal dialogo tra storia ufficiale e storia individuale, dove diventano visibili le influenze e i contributi della diaspora africana a pratiche democratiche ed egualitarie.
Secondo la tradizione sociale ben collaudata della divisione del lavoro domestico non remunerato affidato alle donne, le figure femminili nel libro sono quelle che si prendono cura dei figli, ma al tempo stesso partecipano all’attività politica. Anna contribuisce alle attività di educazione politica dei contadini haitiani e quando la stretta repressiva di Duvalier significherà la prigione per Rodolphe, lei continua ad occuparsi dei bambini piccoli che porta con sé a trovare il padre recluso. Soltanto quando i famigerati ton ton macoute prelevano il padre da casa violentemente di fronte ai bambini, Anna decide di tornare in Italia [1].
Anna e Rodolphe si incontrano in Francia nel 1955, in un campo estivo di volontari di un’organizzazione europeista (Moïse, 2022, p. 15). Si sposano nel 1956 a Parigi dove vivono sino all’elezione di François Duvalier, paladino della popolazione africana ad Haiti, che fa sperare nella possibilità di un futuro migliore per l’isola, cui Rodolphe vuole essere parte ed Anna accetta di condividere. La lunga tradizione antifascista della famiglia di Anna si sposa bene all’idealismo di Rodolphe che dedicherà la sua vita al tentativo di realizzare una società democratica e giusta ad Haiti, ispirata ai principi della lotta di classe e della liberazione dal senso di inferiorità instillato dal colonialismo nella popolazione nera. Come spiega l’autrice, nella società haitiana “esistevano […] più di sessanta categorie di mulatti, a seconda della percentuale di sangue bianco che ne determinava il libello sociale” (21). La famiglia di Rodolphe ha radici africane, haitiane e olandesi – la fotografia di sua madre è uno dei pochi documenti disponibili nell’archivio paterno, a testimonianza che la riscrittura di una storia non eurocentrica deve affrontare la scarsità di documenti relativi alla cultura di coloro cui è stato vietato curare e tramandare un archivio storico se non in forma orale.
Nella storia della famiglia materna spicca il bisnonno Giuseppe Scalarini, fondatore della satira giornalistica italiana, pacifista e anticapitalista, il cui rapporto sempre più complesso con Mussolini lo porterà al confino per diversi anni. È di Scalarini l’immagine di copertina del volume creata in occasione della conferenza sull’immigrazione del 1924. La didascalia all’immagine, «il migrante vaga sulla terra lasciando in ogni paese brandelli della propria povera carne» (Moïse, 2022, p. 59), è un richiamo alle vicissitudini della famiglia, marcata dall’allontanamento dal proprio luogo di nascita. L’esperienza più definitiva è quella di Rodolphe, obbligato a lasciare Haiti per sfuggire alla repressione di Duvalier, vivrà un anno in Italia prima di andare a Parigi e morire in Francia da apolide. Alla sua famiglia sarà impossibile tornare ad Haiti (se non per una breve visita decenni più tardi), un’impossibilità del ritorno resa ancor più dolorosa da un’Italia che non accetta pienamente chi appartiene a più culture, specialmente se una di queste è di origini africane, come spiega Ti-Noune Moïse nell’intervista.
La conservazione, selezione e cura di questo archivio di parole e immagini, dà al pubblico italiano la possibilità di immaginare i rapporti sociali e un’identità nazionale diversa, ispirata all’impegno politico e sociale di questa famiglia che va oltre gli artificiali confini nazionali. La testimonianza diretta di Anna, figlia di una staffetta della Resistenza partigiana milanese, rende ancora più potente questa storia per il presente. Il suo incredibile coraggio nel costruire una vita ad Haiti mentre il marito è in prigione o alla macchia, affiora nelle lettere che scrive alla famiglia a Milano: «Viaggiavo pochi giorni fa verso casa e l’autista essendosi permesso di sorpassare un Don Rodrigo è stato inviato alle patrie galere dopo aver ricevuto degli orribili colpi dati con il calcio della rivoltella all’occipite davanti agli occhi sbarrati dei passeggeri. Sono rientrata come ubriaca» (Moïse, 2022, p. 103).
Tornata in Italia Anna si prenderà cura dei figli da sola, visto che Rodolphe lascia il paese dopo un anno. Al tempo stesso sarà parte attiva dei gruppi di autocoscienza femminile e combatterà una battaglia legale di ripercussioni nazionali quando ottiene la re-istituzione della cittadinanza italiana che aveva perso sposando un cittadino straniero, secondo la legge del 1912.
Così il testo diviene l’archivio di una storia familiare percorsa dall’impegno politico per la realizzazione e il mantenimento della democrazia che non è mai traguardo raggiunto ma pratica quotidiana in un ordine occidentale fondato sullo sfruttamento umano e delle risorse naturali dell’Africa e delle Americhe. Un archivio che costituisce un luogo della memoria per la figura paterna, la cui storia personale è radicata in quella del colonialismo europeo e statunitense nei Caraibi. Per fornire al pubblico gli strumenti per capire questo rapporto stretto tra storia personale e collettiva il testo include una serie di brevi saggi raccolti nell’ultima sezione intitolata Traguardi ancora incompiuti, ponendo così sullo stesso piano storico ed etico la storia materna di antifascismo e quella paterna di anticolonialismo. Questa sezione mette in risalto una storia poco conosciuta in Italia al di fuori di esperti, quella dell’Atlantico Nero, in cui l’Italia non ha avuto un ruolo importante come paese colonizzatore nonostante abbia comunque intessuto una fitta rete di relazioni culturali, economiche e politiche e non solo con la sua storia (e presente) di migrazione. La conoscenza di questa storia dell’Atlantico permette di riconoscere i tratti distintivi del discorso eurocentrico basato sulla presunta superiorità culturale dell’Europa ed utilizzato da un lato per giustificare il colonialismo europeo (incluso quello italiano in Africa) come una missione civilizzatrice, dall’altro per perpetuare gli stereotipi sul continente africano, che si presume eternamente fissato in un presente astorico, di caos e oscurità della ragione. Sapere che una persona che aveva conosciuto la schiavitù come Toussaint L’Ouverture riuscì a sconfiggere l’esercito francese e a guadagnare l’indipendenza di Haiti nel 1804 dà una prospettiva diversa alla narrazione storica dominante secondo cui gli stessi governi schiavisti avrebbero concesso la libertà ai popoli schiavizzati. Nel caso specifico della storia recente italiana, rivela l’eurocentrismo insito anche negli ambienti più progressisti di sinistra e antifascisti, che criticano Anna per aver sposato un uomo Nero (Terra! 14, 113) [2].
Intervista con Ti-Noune Moïse
SM: Come è nata l’idea del libro?
TM: L’idea è nata dalla volontà di raccontare la storia della mia famiglia che ha una lunga tradizione di attivismo antifascista. Un episodio recente ha confermato la sua importanza per il presente. Un’estate ero in Liguria con mia madre e ho sentito sulla mia pelle, non per la prima volta certo, l’astio dei vicini bianchi d’ombrellone per un rapporto incomprensibile a loro, tra una signora bianca e una donna di pelle scura che chiaramente non era la sua badante. Questo evento mi ha spinta ad approfondire la dimensione storica, dell’Atlantico Nero, in relazione alle vicende familiari. Proprio io che ho genitori, nonni e bisnonni che hanno vissuto sulla loro pelle la battaglia per la democrazia, mi trovo ancora ad avere queste esperienze. Quindi il testo si è ampliato per includere la storia di Haiti, il colonialismo e la tratta transatlantica degli schiavi, una storia che in Italia è poco conosciuta. Questo è stato possibile anche grazie all’incontro con il piccolo editore di Caltanissetta, Lussografica, e il curatore della collana La storia siamo noi, che mi ha permesso di lavorare sulla dimensione collettiva. Per me è iniziato un viaggio incredibile di approfondimento, come le scatole cinesi, ad ogni nuovo documento veniva fuori un’altra storia.
SM: Il libro è stato una scoperta entusiasmante per me perché è raro leggere dei rapporti tra Italia e Haiti. Quale è la funzione dei saggi storici che si alternano alle diverse trame di narrativa familiare?
TM: Alcuni hanno criticato questa scelta di spiegare la storia dell’Atlantico Nero, eppure essa è fondamentale per capire le scelte dei miei genitori e per capire le relazioni storiche dell’Italia con il continente americano e quello africano. La triangolazione con l’Africa, il Black Atlantic, non li ho messi solamente per fornire un contesto al lettore: vi ho trovato cose che sento mi appartengono, che sono parte della mia storia personale e familiare.
SM: Il libro si apre con un’affermazione che presagisce la storia che leggeremo, “Alla nascita la geografia è un destino.” Ci puoi spiegare il suo significato per te?
TM: Quando dico “c’è un’estate invincibile dentro di me”, mi riferisco alla luce fortissima che è sempre rimasta nella mia vita, che sento profondamente e mi dà molto, che esprime l’eredità di quei primi cinque anni di vita ad Haiti, le canzoni in creolo che mi cantava mia madre quando ero bambina. Il fatto che Haiti sia nella tragedia perenne, nel gioco perverso del colonialismo e neocolonialismo francese, americano, ecc … ha impedito che io potessi ritornare tranne che per una breve visita come racconto nel libro. Il fatto che tu debba lasciare il paese di nascita, lo spostamento verso un altrove è un destino enorme che non ti lascia mai ed è legato al tema dell’identità. Io non sono né bianca né nera, sono sia dalla parte del carnefice sia da quella della vittima, se guardiamo alla storia dalla prospettiva della divisione tra bianco e nero. Quindi non sono accettabile completamente da nessuna delle due parti; senza una patria, una nazione che mi connota in maniera certa.
SM: Il libro mette in discussione tante categorie identitarie che diamo per scontate. Questo ha implicazioni enormi per la società moderna, infatti si potrebbe dire che sia il fondamento di tutto, rapporti internazionali, sfruttamento delle risorse economiche, entità politiche, chi fa parte dell’Europa e chi ne è escluso.
TM: Sì, per questo raccontare la storia personale dei miei genitori era importante per me; all’epoca sono stati antesignani di discorsi che in Europa ancora non si facevano.
SM: Come l’aneddoto con cui si apre il racconto, in cui un amico di famiglia dice a tua madre, scandalizzato, “ma ti sposi un nero?!”
TM: Esatto, pur se parliamo di socialisti, persone che avevano combattuto nella Resistenza, e anticolonialisti. Eppure anche in questa cerchia di intellettuali e attivisti progressisti sposare qualcuno al di fuori della “norma” era un’eresia.
SM: La storia personale permette di trasmettere e capire in maniera immediata mentalità storiche ed attuali che persistono. Non si può negare l’atteggiamento paternalista e da “white savior” di intellettuali anche come Pasolini, che appoggiano e celebrano le lotte anticoloniali degli anni ’60 in Africa come una eredità dell’antifascismo europeo, quando l’anticolonialismo in Africa come nelle Americhe inizia nello stesso momento in cui inizia la colonizzazione europea. In pochi ancora sanno che Haiti già nel 1804 si era liberata del giogo coloniale francese poco dopo la rivoluzione americana e francese sotto la guida dell’incredibile leader Toussaint L’Ouverture.
TM: Infatti, ci sono altre storie tra Haiti e Italia come il moro di Piombino, un giacobino nero della rivoluzione haitiana esule all’isola d’Elba o quella del pittore italiano Agostino Brunias a Haiti nell’epoca di Toussaint cui accenno nel libro.
SM: I libri di poesie di tuo padre allo Schomburg Center di New York sono una ulteriore testimonianza dell’intreccio storico italiano con l’America Nera. Come è stato il rapporto con la famiglia paterna e con tuo padre?
TM: Mio nonno paterno muore mentre siamo a Port-au-Prince, quindi andiamo a vivere nella sua casa di abbiente, ma mio padre non ricevette nessun aiuto dalla sua famiglia, per via della sua attività politica contro Duvalier. Dopo aver lasciato Haiti nel 1965, lui è rimasto solamente un anno a Milano. Era poeta, attivista, artista, non aveva un mestiere e poi c’era lo scoglio linguistico. Quindi va a Berlino, cercando appoggio tra i suoi compagni, poi si trasferisce a Parigi dove aveva amici e rimarrà fino alla morte. Io avevo sei o sette anni, lo vedevamo d’estate o a Natale. Anche a Parigi fa lavori di tutti i tipi, da bibliotecario a operaio nei cantieri edili. Mia madre non aveva più interesse a tenere contatti, io corrispondevo con lui in francese. Morì improvvisamente e giovane, a 64 anni. Come racconto nel libro, mia madre va al funerale ma non al cimitero. In seguito, noi impiegheremo del tempo a trovare la sua tomba, perché nessuno sapeva in quale cimitero era stato interrato.
SM: Tua madre è una figura fortissima, come tutte le donne nella tua famiglia. Con quale bagaglio torna da Haiti?
TM: Ad Haiti fonda il comitato per la lotta di classe insieme a mio padre ed altri attivisti. Percorrono le aree rurali dove alfabetizzano i contadini e gli insegnano i diritti di piccoli proprietari terrieri. Oltre all’attivismo, ad Haiti aveva letto Il secondo sesso di Simone de Beauvoir che ha un effetto profondo su di lei, specialmente in contrasto alla cultura haitiana che è molto maschilista. Anche tra gli attivisti erano gli uomini a decidere la linea d’azione e questo l’aveva già infastidita. Tornata in Italia deve occuparsi della famiglia da sola, visto che mio padre non c’era. In più aveva perso la cittadinanza italiana per aver sposato uno straniero, quindi impiega anni di lotte legali per ottenerla di nuovo. Si dedica ai gruppi di autocoscienza e fa parte del nascente movimento femminista. Era una donna molto vitale, sempre attiva nonostante i tre figli e il lavoro. Non è mai stata vittima, anche nei momenti più difficili, come ad Haiti quando Duvalier intensifica gli arresti e mio padre è più in carcere che in casa, o a Milano quando fa fatica a trovare lavoro senza la cittadinanza.
SM: Questa storia ha un’incredibile importanza in questo momento storico. Le conversazioni sulla cultura afro-italiana aumentano, insieme a ricerca e narrativa di afro-italiani le cui famiglie sono venute dalle ex-colonie italiane, come l’Etiopia, l’Eritrea, la Somalia. In questo contesto il tuo libro apporta una dimensione nuova, quella di un rapporto non coloniale con la diaspora africana. Inoltre è importante perché storicamente lontana dagli slogan di presunta emergenza con cui la politica strumentalizza la migrazione, specialmente dai paesi dell’Africa sub-Sahariana.
TM: Si, quella è la paura verso l’uomo nero, anche per il basso tasso di natalità, la paura di essere sostituiti, come dicono gli americani, il “white replacement.” L’Italia è provinciale in questo senso. Speriamo che chi ha avuto percorsi diversi, chi ha un’italianità non tradizionale, possa trovare spazi di espressione, in modo che possiamo superare le categorie binarie bianco/nero, semplificazioni che servono solamente alla propaganda politica. Del resto i movimenti migratori sono sempre più intensi, quindi il mescolamento è inevitabile, come dimostrano già millenni di storia!
SM: Sì, è la risposta europea alle migrazioni, la cosiddetta “fortress Europe” è una risposta che tradisce la disperazione e la paura che ci paralizzano, per non parlare della storia italiana di emigrazione in tutto il mondo che continua tuttora.
TM: Infatti, è una storia che non è stata assorbita, nonostante tutte le regioni del nostro paese siano state toccate da diversi flussi di emigrazione.
SM: È difficile stabilire a quale genere appartenga il tuo libro. Ci sono saggi storici, biografia familiare, fotografie personali, riproduzione di documenti e poesie, persino un QR code per la radio con la voce di tua madre e uno per il video della mostra con le sculture di tuo padre a Port-au-Prince.
TM: Ci sono cose che mi colpiscono ancora, come le foto dei miei genitori. Scrivere la sezione centrale, “Cambiare vita,” mi ha commosso di più, sono le pagine più sentite. Tuttavia non avverto la mole di sofferenza che in tanti mi hanno fatto notare. Ho scritto questo libro con mia madre, c’è la sua voce; ho lasciato fuori un archivio meraviglioso che non ha trovato posto qui. I racconti su Haiti sono il cuore del libro da un punto di vista personale. Scriverlo mi ha dato un grande entusiasmo nel capire da sola, senza riferimenti intellettuali da specializzata, tutta questa storia. È stato bello ma è difficile dare una definizione al prodotto finale. Una specie di DNA attraverso le generazioni di impegno politico, ci vuole coraggio a rischiare la vita per i propri valori. Dal bisnonno Scalarini, nonno di mia mamma, pacifista convinto che non ha mai toccato un’arma ma usava la matita per fare breccia tra le masse, ai miei nonni che entrarono nella lotta antifascista nella fase più operativa, all’attivismo dei miei genitori contro Duvalier ad Haiti.
SM: Avevi un pubblico specifico in mente mentre scrivevi?
TM: All’inizio era più che altro la mia famiglia, ma dopo l’incontro con l’editore che mi ha sostenuto nell’ampliare il contesto storico e geopolitico della storia personale, è risultato un testo che spero interessi un pubblico più ampio. Ho alcune presentazioni in programma ed ho ricevuto interesse da professori di scuole che sono entusiasti di poter leggere il libro con i loro studenti che sono italiani di tante origini diverse. Il libro ha ricevuto interesse in Francia e sarà tradotto in francese dato che si inserisce nella storia e cultura francofone.
SM: Hai in programma di scrivere altri libri?
TM: Il materiale su mia madre e la sua famiglia è molto ricco, mentre su mio padre e la sua famiglia non c’è più niente di nuovo da aggiungere. Riscoprire questo padre esiliato, ha fatto tre esili nella sua vita, era apolide. Purtroppo Haiti sta affondando, nel pieno del caos sociale e politico, è un laboratorio della disperazione, il che rende impossibile visitarla. Il fatto che sia un’isola impedisce a molta gente di andarsene, l’unica via è quella del mare.
SM: Nel libro citi Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi come un richiamo italiano al real maravilloso della cultura sudamericana. Queste connessioni inaspettate sorprendono il pubblico che si trova a dover guardare la cultura italiana con uno sguardo nuovo. Nel libro di Levi la cultura contadina fornisce anche resistenza all’autorità (fascista e dell’Italia liberale) di cui i contadini non si fidano perché simboleggia solamente tasse, sfruttamento del lavoro e leva militare.
TM: Il real maravilloso è un modo di sopravvivenza esistenziale e culturale quotidiano. Soddisfa il bisogno di uscire da una realtà insopportabile, quindi è un senso diverso di sentire, interpretare la propria interazione con la realtà. Il vudù è qualcosa che viene completamente “naturale” nella cultura haitiana – non devi fare uno sforzo per crederci.
Ci sono riti e idee che si trovano in tante società, quindi li vedo anche come un modo per riconoscere l’umanità in comune tra popoli diversi. Pensare alle cose che ci uniscono come esseri umani, come dico nel libro, sembra l’unica via per andare avanti, per sbloccarsi dalla situazione in cui siamo adesso. C’è un saggio di Harari, Da animali a dèi, in cui parla del “Nuovo Mondo”, di come la conoscenza dell’europeo abbia prodotto insieme alla ricchezza culturale e naturale delle Americhe un salto enorme per l’umanità. La conoscenza – non solo le ricchezze economiche – di un luogo si innesta in un nuovo ambiente producendo qualcosa di unico. Certo la violenza e lo sfruttamento sono stati immani, ma l’incontro tra popoli ha sempre prodotto l’avanzamento della società e della cultura. La condizione di mobilità è necessaria allo sviluppo umano.
SM: Parlando di incontri più contemporanei, che cosa pensi dell’influenza dei movimenti culturali e sociali Afro-Americani in Italia e in Europa?
TM: Le manifestazioni del Black Lives Matter in Italia, le sculture di Colombo che venivano imbrattate, ecc … succedevano mentre scrivevo il libro, non per premeditazione ma con un tempismo fortunato. Distinguere tra la presenza della cultura della diaspora africana dalle migrazioni recenti è un lavoro fondamentale. Slegare questa storia dalla paura della migrazione, dal sentirsi minacciati è fondamentale per modificare una mentalità ancora imbevuta di pregiudizi verso i popoli neri, africani o dell’America nera.
Note
[1] Per l’applicazione dei concetti di storia orale e “dal basso” diffuse dai primi anni novanta, alle culture afro-europee, è fondamentale il lavoro di Tina Campt. In Other Germans, Campt insiste sulla necessità che la storia monumentale sia sempre messa in dialogo con quella quotidiana e privata, al fine di ampliare il concetto di ciò che costituisce un archivio storico legittimo (p. 88).
[2] Sull’etica politica della “cura” come il badare a qualcosa e qualcuno inteso come lavoro femminile svolto nella sfera privata della vita domestica, vedere B. Casalini, “Care e riproduzione sociale” 2016.
[3] La storia di Haiti, come quella per l’autodeterminazione di afroamericani negli USA e di tanti altri paesi colonizzati dagli europei, risale all’inizio stesso delle società schiaviste la cui liberazione non è un dono dei rispettivi governi come si è abituati a leggere nei libri di storia. Vedi L. Dubois “Maroons in the Archives,” in Archives, Documentation and Institutions of Social Memory, F. X Blouin jr. e William G. Rosenberg editori.
Bibliografia
Campt, T., Other Germans: Black Germans and the Politics of Race, Gender and Memory in the Third Reich, University of Michigan Press, Ann Arbor, 2004.
Casalini B., Care e riproduzione sociale. Il rimosso della politica e dell’economia, Bollettino telematico di filosofia, 2016, LINK.
Dubois L., Maroons in the Archives: The Uses of the Past in the French Caribbean, in F. X Blouin jr. e William G. Rosenberg editori, Archives, Documentation and Institutions of Social Memory, University of Michigan Press, Ann Arbor, 2006, pp. 292-300.
Moïse Ti-N., Terra! Ma nessuna patria, Lussografica, Caltanissetta, 2022.
Sara Marzioli ha ricevuto il dottorato in Letterature Comparate alla Pennsylvania State University. Ha insegnato cultura afroamericana e afroeuropea, cultura italiana transnazionale e World Literature. Ora dirige e insegna nel programma di studi interdisciplinari alla University of Nebraska in Omaha. Tra altri progetti, sta lavorando a una monografia intitolata, The Other Black Atlantic: Afro-Modernism in Italy, che esplora le collaborazioni e reciproche influenze tra cultura italiana e quelle della diaspora Africana nell’Atlantico, all’intersezione di letteratura, cinema, razza e formazioni nazionali. Alcuni dei suoi lavori sono disponibili nelle riviste African American Review, Atlantic Studies, Modernism/Modernity e Interdisciplinary Literary Studies.