archivio è potere
La camera segreta.
Immagini e pattern dalla Germania dell'Est 1950-1980
di Maria D'Uonno

Il contributo propone una riflessione sui progetti editoriali Top Secret di Simon Menner ed Eros und Stasi di Gabriele Koenig e Brigitte Franzen. Il primo è un volume frutto di ricerche condotte dall’autore nell’archivio della BStU[1] di Berlino, mentre il secondo è il risultato di un lavoro curatoriale della collezionista Gabriele Koenig, che è parte del fondo della Berlinische Galerie. Lo scopo dell’analisi dei libri fotografici è quello di intercettare nel lavoro dei fotografi prima e nelle scelte di curatela poi, i legami tra gli abiti, le azioni dei soggetti fotografati e il contesto sociale e culturale della Germania dell’Est. L’attenzione viene posta sul vestito come travestimento, come elemento chiave che riconduce a dei pattern[2]. Le fotografie raccontano di pratiche legate all’attività di spionaggio svolta dalla Stasi[3] e frammenti di vita quotidiana, spesso ai margini della società. Se per noi oggi tale documentazione è testimonianza del passato, per la polizia segreta è stata prima di tutto uno strumento di lavoro e il prodotto di anni di sorveglianza e per artisti e fotografi un mezzo narrativo e di protesta. Per questi motivi, le foto oggi ci propongono punti di vista differenti su un contesto molto particolare. L’analisi qui proposta è parte di un progetto di ricerca in corso[4], anch’esso legato agli archivi della polizia segreta tedesca, che ha tra i suoi obiettivi quello di individuare dei codici vestimentari connessi alle attività svolte dalla Stasi tra gli anni ‘50 e ‘80.

Progetto editoriale come interpretazione contemporanea dell’archivio
Il progetto editoriale è qui inteso come una mise-en-scène dell’archivio, una sequenza di contenuti disposti in uno spazio (Carrión, 2019) in cui la struttura, gli elementi che lo compongono e le relative funzioni sono in stretta relazione. In questo spazio visivo, gli abiti rivelano il loro ruolo di strumenti di potere, di simbolo ideologico e di fenomeno culturale. Entrambi i volumi presentano brevi testi introduttivi in doppia lingua (tedesco e inglese), lasciando ampio spazio alle fotografie disposte in “tableaux” tematici, che ci rivelano uno scenario complesso e multisfaccettato della Germania Est.
In Top Secret ed Eros und Stasi, usare le immagini significa attribuire loro dei significati (Falcinelli, 2010). Top Secret, pubblicata nel 2014, è una raccolta di fotografie che l’artista ha selezionato dall’archivio della BStU durante un percorso di ricerca di circa due anni. La volontà dell’autore è quella di far riflettere sul tema della sorveglianza dei cittadini e di quanto tale azione possa passare inosservata, partendo proprio dall’eredità visuale lasciata dalla Stasi. Gli autori di queste immagini non sono artisti o fotografi professionisti ma funzionari della polizia segreta che avevano il compito di interpretare quanto catturato con l’obbiettivo fotografico. Il libro raccoglie quasi duecento fotografie che documentano addestramenti, seminari, tecniche di combattimento, rituali, simbologie e un’impressionante attività di spionaggio.
Pagina dopo pagina, nelle sezioni dedicate al travestimento e all’uso delle parrucche, lo stesso modello-agente posa su sfondi neutri o in contesti urbani, indossando differenti “mise” per differenti occasioni. La necessità di travestirsi rivela una conoscenza dettagliata dell’apparire: gli agenti erano informati sui modi di vestire, sugli atteggiamenti e sulle abitudini della società del tempo; conoscevano lo stereotipo del turista occidentale quanto quello del rivoluzionario che viveva ai margini.
Anche nelle ispezioni segrete delle case la fotografia era uno strumento chiave. Le Polaroid venivano utilizzate in queste occasioni poiché davano la possibilità di produrre immagini velocemente. In questo modo, una volta conclusa l’ispezione, guardando le foto si poteva sistemare l’ambiente senza lasciare nessuna traccia. Le foto scattate durante queste procedure mostrano – tra le altre – le piccole stanze dei Jugendliche in cui le immagini coprono intere pareti: poster di Madonna e pagine di giornali a lei dedicate, fotografie di band ai concerti e di nudi femminili, un manifesto incorniciato di una bottiglia di Cinzano con l’illustrazione di un volto di donna a fianco, i disegni di una bandiera americana e di Willy il coyote, che per la polizia erano le prove di una simpatia “segreta” per la cultura occidentale.                                                                    
Quella di eventi come feste, onorificenze e cerimonie di premiazione è una documentazione che ci mostra altri codici vestimentari. Primo fra tutti, quello della divisa della Stasi che, se nella maggior parte della carriera di un agente restava chiusa nell’armadio, veniva indossata in occasioni come quella della foto di gruppo o il ricevimento di una medaglia. Nelle foto di una cerimonia di premiazione invece, gli agenti indossano un completo con cravatta che, al culmine del rito, era arricchito da accessori, simboli, che facevano riferimento alle mansioni degli agenti. Nelle fotografie di una festa in costume si passa di nuovo al travestimento: questa volta da ballerina, vescovo, giocatore di calcio, o corridore. Qui ci vengono suggeriti dei rituali intorno al vestito, una sorta di funzione che coinvolge le persone mascherate e un uomo vestito con un normale completo che dà le spalle all’obbiettivo. Eros und Stasi (Koenig, Franzen, 2011) è stato pubblicato a seguito dell’omonima mostra tenuta al Ludwig Forum für Internationale Kunst ad Aachen (Germania)[5]. Il materiale fotografico, che conta più di cento opere, fa parte del fondo della Berlinische Galerie e include il ciclo di fotografie di Daniel e Geo Fuchs, Stasisecret rooms, dedicato ai luoghi della Stasi dove venivano portati i prigionieri, avvenivano interrogatori e riunioni, inclusi gli spazi degli archivi che conservano la documentazione prodotta dalla polizia. Inoltre, una delle sezioni è dedicata alla moda underground e a eventi ad essa correlati. Modelle che guardano in camera posano con abiti che non sono in linea con l’ideale di abbigliamento promosso dal partito politico al potere. In alcuni scatti, il capo d’abbigliamento è l’unico protagonista: una t-shirt bianca con sopra stampata l’immagine di Marilyn Monroe o gli accessori esposti in una vetrina di un negozio di Berlino. 
Eros und Stasi presenta dunque una «subversive view of the photography of the GDR» (Franzen, 2011). Le foto sono tutte scattate da artisti tra cui Arno Fischer, Sibylle Bergemann, Helga Paris e Gundula Schulze Eldowy. Insieme alle fotografie dei luoghi della Stasi e a quelle di moda, il libro raccoglie un racconto visuale che ci rivela una chiara osservazione dei fotografi del contesto in cui vivevano. Scene di vita quotidiana più o meno intime si alternano alle documentazioni di eventi pubblici spesso a sfondo politico. Soggetti nudi fotografati in ambienti domestici – talvolta coscienti della presenza della macchina fotografica – suggeriscono una familiarità nel mostrare il proprio corpo come gesto quotidiano. La vita nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT) viene fotografata mentre si consuma in contesti urbani che mostrano sullo sfondo le rovine (eredità della guerra), manifesti, scritte e graffiti politici-ideologici, luoghi ricreativi e ancora interni di case. I ritratti dei lavoratori della Germania Est ci mostrano invece le loro condizioni di lavoro e le loro uniformi. Attraverso le fotografie, gli autori danno la possibilità a un osservatore esterno di conoscere ed entrare a contatto con un mondo completamente differente.

Maria D'Uonno. Elaborazione grafica di una fotografia di William Klein intitolata "Il 1° maggio 1959"

Il potere delle immagini e il potere degli archivi
Nel contesto storico in cui sono state scattate le foto raccolte in Top Secret ed Eros und Stasi è bene tenere presente che, mentre nella Germania Ovest le arti visive godevano di libertà e indipendenza dallo stato, nella Germania Est erano anche uno strumento di promozione di ideali politici (Koenig, Franzen, 2011). Nel caso della fotografia – e nello specifico quella di moda – Djurdja Bartlett definisce come una vera e propria iconofobia il sentimento del regime comunista nei confronti di tale prodotto comunicativo. Bartlett, nel paragrafo Fear of Images, afferma che «in the socialist and communist media, the modest drawing became the preferred visual device in presenting fashion. The unwillingness to use fashion photographs is based on the deduction that their seductive appeal veiled the reality of capitalist production. Considered commercial, excessive and too visual, the fashion photograph was associated with ideological corruption» (Bartlett, 2019).      
Nonostante venga riconosciuta la fobia per la fotografia di moda, nel caso della RDT la produzione fotografica non mancava: per la Stasi (come testimoniano le fotografie in Top Secret) era uno strumento valido in più occasioni. Tra i documenti conservati negli archivi della BStU, c’è una grande quantità di materiale audio-visivo come foto, slide, film e registrazioni sonore. Circa metà dei 111,000 metri di documenti sono conservati a Berlino, dove si conta un totale di circa 1,8 milioni tra fotografie, microfilm e slide e circa 2,866 tra film e video.                     
L’analisi delle due pubblicazioni ci permette di fare anche alcune brevi considerazioni circa il ruolo degli archivi. La relazione intima ed identitaria fra quanto custodito in un archivio e la struttura degli spazi – caratterizzata anche dalle modalità di catalogazione e di fruizione – permette una continua rilettura dell’archivio e, dunque, ricerche i cui esiti sono spesso nuove interpretazioni dei documenti originali. In tal senso, la conservazione della memoria e dei documenti è solo una parte del ruolo degli archivi che, invece, sono da intendersi come ambienti vivi, in grado di produrre valore culturale ed economico. L’archivio dà potere a chi lo interpella e, facendo sua «una cultura del frammento, del dettaglio delle parti che stanno per il tutto, che rende a tratti complessa l’interpretazione del vero e del falso» (Fulco, 2019), dà allo stesso tempo una sensazione di straniamento al fruitore, che, cercando conferme, entra nell’archivio, a tratti simile a un labirinto.                  
Anche le immagini hanno il potere di straniare l’osservatore rendendo complessa l’interpretazione di quello che si osserva. Il numero di “Progetto Grafico” dedicato all’uso delle immagini apre con una riflessione sulla propria immagine di copertina: «Stanze colme di foto, inondate da migliaia di scatti come dune di sabbia» (Falcinelli, Marzotto, 2010). L’opera fotografata è 24 Hrs Photos di Erik Kessels, scelta «perché se è ormai un luogo comune dire che siamo circondati dalle immagini a maggior ragione c’è da chiedersi qual è il loro potere […] le foto, con la loro apparente contiguità con il reale, appaiono come oggetti innocenti e ovvi […] e, più dell’illustrazione o della pittura, sembrano oggi le immagini per eccellenza. Ma nulla è più insidioso dell’innocenza. Nulla più prepotente della naturalezza» (Falcinelli, Marzotto, 2010).                       
Consapevole dell’ambiguità degli archivi e della fotografia, l’analisi del materiale si pone come base di partenza intercettando nuovi punti di vista sulla moda, intesa come fenomeno complesso riguardante la società e chi la sorveglia. L’approccio a tale analisi è quello suggerito da Barthes ne La camera chiara, basato su una regola che il filosofo cerca di definire individuando la compresenza di due elementi che sembrano fondare il suo interesse per alcune fotografie: lo studium e il punctum.

Lo studium secondo Barthes permette di metterci in sintonia con «le intenzioni del fotografo, entrare in armonia con esse, approvarle, disapprovarle, ma sempre capirle, discuterle […], poiché la cultura (da cui deriva lo studium) è un contratto stipulato tra i creatori e i consumatori» (Barthes, 2003). In questo modo l’osservatore ha la possibilità di «ritrovare l’Operator [il fotografo], di vivere gli intenti che improntano e animano le sue pratiche, ma anche di viverli in un certo senso alla rovescia, secondo il […] volere di Spectator [l’osservatore]» (Barthes, 2003). L’osservatore è chiamato a leggere i miti del fotografo nelle sue fotografie «fraternizzando con loro, senza crederci completamente» (Barthes, 2003). I miti, dotando la foto di funzioni – che sono quelle di informare, rappresentare, sorprendere, far significare, allettare – raggiungono lo scopo di far riconciliare la fotografia con la società.
Il punctum, invece, infrange o scandisce lo studium, ed è quel punto sensibile che Barthes definisce anche come fatalità e che attira l’attenzione dell’osservatore. Nel racconto visivo che rivela le intenzioni del fotografo, gli abiti, gli oggetti e le immagini nelle fotografie sono i puncta su cui si basa la ricerca in corso. La maniera di vestirsi emerge come un fattore che gioca un ruolo importante nel contesto in cui si trova e, in tal senso, dimostra quanto anche la moda abbia un potere: quello di assumere un significato (politico, culturale e sociale) in relazione al suo utilizzo.
Paola Antonelli nel suo testo introduttivo Who’s Afraid of Fashion? nel catalogo della mostra Items: Is Fashion Modern? scrive del potere simbolico che può assumere un capo d’abbigliamento in una lotta politica o culturale ed evidenzia quanto al vestito è stata negata una sua importanza nonostante l’intima relazione con il corpo umano, fonte stessa e standard di tutte le valutazioni estetiche (Antonelli, 2017). Le foto conservate nell’archivio della Stasi confermano come le implicazioni culturali dell’abito vadano oltre l’accezione prettamente consumistica ed effimera della moda (Bartlett, 2019). Non si tratta di immagini commerciali, dove le persone – e di conseguenza gli abiti – mostrano il loro lato migliore. Sono scatti che rovesciano il punto di vista di un servizio di moda convenzionale. Pur condividendone alcuni aspetti, nella produzione di queste immagini autore, soggetto e contesto trovano la loro trasposizione all’interno di un sistema ordinato militarmente e burocraticamente.

Note
[1] Acronimo di Bundesbeauftragter für die Unterlagen des Staatssicherheitsdienstes der ehemaligen Deutschen Demokratischen Republik (Commissariato Federale per gli Archivi del Servizio Segreto dello Stato dell’ex Repubblica Democratica Tedesca).                                                                           
[2] In una registrazione riproposta nel documentario di Marco Wilms Comrade Couture, Erich Mielke parla di “Western behavior patterns” riferendosi ad associazioni e gruppi come i punk, gli skinhead e gli heavy metal, che costituivano un pericolo per l’ordine pubblico che non poteva essere ignorato.
[3] Abbreviazione di Staatssicherheitsdienstes (Servizio di sicurezza dello Stato).                                              
[4] Il progetto di ricerca rientra nelle attività principali del Corso di Dottorato iniziato nel Novembre del 2019. A causa degli eventi legati all’emergenza Covid-19 si sono dovute sospendere le attività di ricerca sulle fonti primarie conservate nell’archivio della BStU. In attesa della possibilità di poter riprendere la ricerca in loco, gli studi si sono spostati su fonti secondarie, letteratura di riferimento e lo studio e l’organizzazione della documentazione pervenuta via mail dall’archivio. Il contributo qui presente è parte del risultato di questa prima fase di ricerca.
[5] Il libro è infatti il catalogo della mostra organizzata partendo da un’idea della collezionista delle opere esposte, Gabriele Koenig.

Bibliografia
Antonelli P., “Who’s Afraid of Fashion?”, in Antonelli Paola, Millar Fisher Michelle (a cura di), Items: Is Fashion Modern?, The Museum of Modern Art, New York, 2017.
Barthes R., La camera chiara. Nota sulla fotografia, Einaudi, Torino, 2003.
Bartlett D. (a cura di), Fashion and Politics, Yale University Press, New Haven CT, 2019.
Falcinelli R., “Nuove iconologie e visual design”, Progetto Grafico, n. 23, Anno XI, 2010.
Falcinelli R., Marzotto Claude, “Editoriale”, Progetto Grafico, n. 23, Anno XI, 2010.
Fulco E., “L’impresa storica come fabbrica di cultura: tra heritage e contaminazioni”, Economia della cultura. Rivista trimestrale dell’Associazione per l’Economia della Cultura, n.1, Anno XXIX, 2019.
Koenig G., Franzen Brigitte (a cura di), Eros und Stasi, Kehrer Heidelberg, Berlin, 2011.
Menner S., Top Secret. Images from the Stasi Archives, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern, 2014.
Michalis P. (a cura di), Publishing Manifestos, The MIT Press, Cambridge Massachusetts, 2019.

SITOGRAFIA
Sito BStU LINK  [Giugno, 2020]

Maria D’Uonno ha conseguito la laurea specialistica in Design per la comunicazione visiva e multimediale all’Università Iuav di Venezia con una tesi sulla manualistica sartoriale. Dopo aver partecipato come assegnista al progetto di ricerca “Processi editoriali e innovazione 4.0: recuperare valore attraverso la sinergia fra analogico e digitale” all’Università Iuav di Venezia ha iniziato un corso di Dottorato di ricerca all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli sul tema della comunicazione della moda.