Ramuntcho MATTA, Órexis, Lizieres, 2012, courtesy Galerie Anne Barrault
L’alimentazione è un elemento necessario per la vita, noi siamo quello che mangiamo teorizza Feuerbach, ma che cosa mangiamo? attraverso il fotoromanzo, con delle bambole e dei pupazzi, Ramuntcho Matta sviluppa la realtà di una ragazza abituata al suo piccolo mondo borghese, lei sa che c’è altro ma non sa cos’è, è un’invisibile che la spaventa, sembra che tutti sanno cosa dire e cosa fare ma lei non trova la sua risposta alla domanda “Che cosa mangi?”.
Ramuntcho MATTA, Órexis, Lizieres, 2012, courtesy Galerie Anne Barrault
A.P. – Il titolo del tuo lavoro esplicita un appetito latente, qual’ è il reale appetito della ragazza?
R.M. – Prima di tutto, cosa vuol dire essere ragazza? Cosa deve essere l’appetito della ragazza? Essere cibo lei stessa? Il reale o il desiderio? tutte queste parole che creano le domande sono come un cassetto, quando apri il cassetto vedi cosa c’è dentro… andando verso cosa mangia l’altro la ragazza interroga altrettante possibilità di essere… essere un coniglio, essere un ranocchio… l’appetito è il nostro rapporto al divenire… e anche una riflessione tra desiderio e bisogno… voglia e bisogno… Ho bisogno di questa voglia? Ho voglia di questo bisogno? L’appetito ha a che vedere con la novità o con la soddisfazione? E come spesso accade, esiste una “nuvola della confusione”, dove si mescola l’appetito, la forza di produrre l’energia necessaria per entrare in contatto con l’universo, è un’ attitudine compulsiva, si tratta di consumo e di accumulazione. Il rapporto con il cibo è legato al nostro rapporto con il tempo e alla relazione che vogliamo con il mondo, con gli altri…
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A.P. – Il desiderio o il bisogno di diventare un cibo per la vita?
R.M. – Accettare il proprio ritmo. Il vero atto rivoluzionario, che permette l’evoluzione è la goduria della lentezza; lei sola permette di rendere il solido morbido e vice versa.
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A.P. – Per questo hai scelto il tempo sospeso della fotografia?
R.M. – Forse è l’unico mezzo che può immortalare lei e i pupazzi mentre io dormo… É anche un omaggio a Witold Gombrowicz, con questa costante che noi siamo in un mondo totalmente immaturo, dove essere adulto equivale a seguire le regole del gioco del monopoli… Quali sono i nostri rifugi? Dov’è l’origine della filosofia di vita? Nei pupazzi? Michel Izard è stato molto chiaro circa :«l’objet n’a pas plus de puissance qu’un bout de bois… c’est peut être le bout de bois qui a une puissance…». Il principio non è più la triade: Chi parla? Che dice? Perché lo dice?, ma: Cosa è che parla? Come parla? Che cosa fare con quello che dice? Il rapporto con la nutrizione è lo stesso rapporto che ispira la nostra cultura, fino a quale livello noi siamo pronti ad andare?
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A.P. – Cosa ci dà appetito?
R.M. – La felicita. La sensazione della bellezza. Idealmente è questo ma purtroppo molto spesso la domanda è piuttosto: perché continuare? Quale potrebbe essere il motore che dà la spinta di partecipare a questo mondo? Quando crolla l’entusiasmo è soprattutto la curiosità che cede.
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A.P. – Cosa ci toglie l’entusiasmo dell’ appetito?
R.M. – Essere il proprio cibo.
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A.P. – Intendi consumarsi dentro?
R.M. – Non dovere. Dover avere appetito. Dover essere quello che il mondo vorrebbe che tu fossi. Nessuno vuole essere uno, solo uno. La moltiplicazione degli interessi è esponenziale… la produzione della soggettività dipende anche dagli ingredienti che scegli… quali e cosa sono le tue fonti d’ispirazione, Socrate? Deleuze? Da Vinci? Una zuppa di farfalle balinesi? Topolino? Berlusconi? Spaghetti al pomodoro? Gli “operai” del nostro cervello sono anche gli odori e i sapori…
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A.P. – Gli operai del nostro cervello lavorano indipendentemente dall’appetito?
R.M. – Totalmente, perché a seconda delle nostre scelte si formano degli assemblaggi che vanno a costruire il nostro edificio… è per questo che la scelta è primordiale… la qualità del seme determina l’intenzione e la solidità delle radici.
Ramuntcho MATTA, Órexis, Lizieres, 2012, courtesy Galerie Anne Barrault
A.P. – Perché hai scelto di raccontare con le bambole e i pupazzi?
R.M. – Un omaggio al sex-appeal dell’inorganico… ma soprattutto perché questi pupazzi erano i miei compagni di gioco da bambino… i miei veri amici… quelli con cui andavo a dormire, con i quali posso costruire la mia mitologia e forse anche i miei angeli custodi, i bodyguards contro gli attacchi della razionalità… ed è anche il rapporto con la verità; per me il pupazzo è qualcosa di molto serio, il doudou, il primo amico. Il vero partner per la vita. Come lo scegli? É lui che ti sceglie? É una materializzazione di qualcosa non definibile con la razionalità. Da bambino, con dei consiglieri, puoi tentare delle ipotesi prima di rispondere ed affrontare un problema. La foto permette di prendere il suo tempo, d’instaurare una calma tra un evento ed un’eventuale risposta, e dimostrare che esiste anche quel mondo lì… in parallelo, in una simmetria asimmetrica… Io sono stato fortunato, o forse no, ad esser cresciuto negli anni sessanta a Parigi, boulevard Saint Germain con André Breton, Marcel Duchamp, Asger Jorn, Matta Clark, etc.. ma soprattutto sono stato fortunato a passare ogni anno, quattro mesi, in una piccola isola della Sicilia, con pescatori e pupazzi… dove musica, cibo, storie e buio sono totalmente legati.
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A.P. – Questi giocattoli partono quindi da una loro storia personale per raccontarne un’ altra, ad una bambina che deve capire quali sono i suoi consiglieri?
R.M. – La bambina deve sentire, scegliere… analizzare l’informazione: Chi parla? Perché lo dice? Cosa dice? Decidere se questa informazione è utile o no… è molto indecisa… Non è detto che se una persona parla sta realmente dicendo qualcosa, certe parole sono vuote… vuoti abissali che non aiutano… La bambina è una vittima, ha la sindrome della giovane ragazza… sta scoprendo che forse non esiste la possibilità di diventare qualcos’altro…
Ramuntcho MATTA, Órexis, Lizieres, 2012, courtesy Galerie Anne Barrault
A.P. – Lei ha un’espressione forte, è inquieta, rappresenta il nostro immaginario delle protagoniste dei fratelli Grimm, contornata dagli altri personaggi lungo la sua ricerca per il giusto appetito.. puoi dire che il tuo lavoro é una fiaba?
R.M. – La vita e una fiaba che comincia alla fine. Una fiaba contemporanea… dove il moderno non è la novità ma piuttosto la pertinenza… fare la distinzione tra cosa è interessante e cosa è importante, utile o inutile; la fiaba permette il movimento di pensiero, spostare il punto di vista per vedere meglio…
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A.P. – Alla fine della fiaba o alla fine della vita?
R.M. – All’inizio di un movimento c’è un’ intenzione… guardando meglio vediamo che tutto è più complicato… è semplice… è strano, tutto è molto strano, inquietante e favoloso allo stesso tempo. Questo progetto dimostra che il complicato è bello… e che ogni giornata è una fiaba. I protagonisti non sono solo attori o azioni, ci sono anche gli odori, i sapori, il cibo… mi piace aprire le ghiandole percettive, allargare l’orizzonte dei sensi. La bambina alla fine trova la conclusione. Mi piace andare a letto chiedendomi: e domani? Quale sarà la prossima puntata?
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A.P. – O che cosa mangerai domani?
R.M. – É il motore… di cosa si alimenta il motore del desiderio… ?
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A.P. – C’è una risposta? Ci sono tante risposte?
R.M. – Alle tre del mattino il fegato produce un’ enzima che ti dice che hai bisogno di zuccheri… non vuol dire che hai bisogno di zuccheri… Forse l’importante non è la risposta ma la proposta…
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Ambra Patarini laureata in Architettura “Valle Giulia” e diplomata, con il massimo dei voti, nel Master in Curatore Museale e di Eventi per l’Arte Contemporanea dello IED di Roma, incentra la sua attenzione sulla patafisica, la ri-evoluzione della cultura e le mancate opportunità della politica. Nel 2011 collabora con Valentina Valentini al progetto d’asta Italian Theater Speaks English e al workshop transdisciplinare di formazione politica Scuola Quadri curato da Cesare Pietroiusti. Nel 2012 è a Parigi dove avvia la collaborazione con Ramuntcho Matta al progetto Lizieres.
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Bibliografia ragionatacon i commenti di Ramuntcho Matta
L. Simmons, In and around the house, photographs 1976-78, Carolina Nitsch Editions, New York 2003. – “Rappresenta la terribile solitudine di essere donna.”
A. Sayag [introduction], Hans Bellmer Photographe, E.P.I. Editions Filipacchi/Centre Georges Pompidou, Paris 1983. – “La sensibilità dell’ inorganico, per la prima volta ho capito che c’è un emozione guardando una cosa”
J. Wahl, Messages 1939 – Métaphysique et poésie, Bellmer Collection “Les Presses du Hibou”, Edition Orogonale, Paris 1939. – “Arrichisce il lavoro di Bellmer”
A. Jarry, Gestes & Opinions du Docteur Faustroll, pataphysicien, Gallimard Editeur, 1985. – “L’idea dell’ incontro che si costruisce da sé.”
F. Colonna, Hypnerotomachia Poliphili, The Strife of Love in a Dream, Thames & Hudson, New York 2005. – “Un antecedente di Faustroll, una sorta di percorso iniziatico”
W. Gombrowicz, Journal (Tome III: 1961-1969), Christian Bourgois/Maurice Nadeau Editeur, Paris 1981, 1990. – “Spiega realmente a che punto siamo nella società, per lui la società è immatura.”
P. Bonte – M. Izard, Dictionnaire de l’ethnologie et de l’anthropologie, Presses Universitaires de France, Paris 1991. – “Gli oggetti non hanno nessuna potenza, siamo noi che gliel’ attribuiamo, ogni cosa non ha più potenza di un pezzo di legno perché viene tutto dalla terra.”
G.J. Wolman, Défense de mourir, Editions Allia, Paris 2001. – “Certains existent, les autres ne sauraient tarder.”