INVISIBILE
Marco Baldicchi. L’essenziale è visibile agli occhi
a cura di Saverio Verini

Seguo il lavoro di Marco Baldicchi (Città di Castello, 1963) da ormai diversi anni. Le sue azioni – guai a chiamarle performance, termine che allude a un’idea di ‘risultato da conseguire’ estranea al pensiero dell’artista – coincidono con la volontà, etica ed estetica, di recuperare memorie di episodi minori (dimenticati o lasciati ai margini) legati a passaggi decisivi della nostra storia recente. Si prenda uno dei suoi ultimi progetti, L’ultima ombra (2009): per realizzare quest’intervento, Baldicchi ha preso spunto da un episodio della seconda guerra mondiale, l’abbattimento della Torre di Berta per mano nazista il 31 luglio del 1944, a Sansepolcro, comune in provincia di Arezzo. A 65 anni di distanza, il 31 luglio del 2009, Marco Baldicchi ha accettato di sfidare il tempo, almeno per un po’: con la partecipazione di decine di persone intervenute per l’occasione, l’artista ha tracciato a terra la proiezione dell’ombra della torre abbattuta, servendosi di pezzi di carbone nero.

Marco Baldicchi, L’ultima ombra, foto di Riccardo Lorenzi.

Stagliandosi sulla pavimentazione della piazza nella quale sorgeva, la sagoma della torre è tornata di nuovo a marcare la propria presenza nello spazio cittadino, fino alla naturale dissolvenza, nei giorni successivi; ne è scaturita una sospensione incurante del trascorrere del tempo (l’ombra infatti rimaneva fissa, non seguendo il movimento del sole), in grado di evocare il passato, proiettandosi contemporaneamente verso il futuro. Una rinascita in piena regola, a pochi passi da un’altra celebre resurrezione, quella di Piero della Francesca, esposta nel Museo Civico di Sansepolcro: la sorpresa dei passanti nel vedere materializzarsi l’ombra della torre abbattuta rappresenta la dimostrazione dell’efficacia dell’intervento.

Marco Baldicchi, L’ultima ombra, foto di Achille Sberna.

Marco Baldicchi, L’ultima ombra, foto di Michele Foni.

Al di là dei mezzi adottati da Baldicchi, indici di una completa disinvoltura nell’orientarsi attraverso alcuni punti cardinali dell’arte contemporanea (relazionalità, estensione nel contesto urbano, approccio community-specific), L’ultima ombra mette in luce un altro elemento caratteristico della poetica dell’artista umbro: la riflessione sull’assenza e su ciò che – per estensione – risulta invisibile. La temperatura dei suoi lavori più recenti è condizionata da questa ‘costante’: assenza del simbolo (la già citata Torre di Berta); assenza del suono (lo sbadiglio collettivo che, in un’azione del 2007, si trasforma in Urlo muto); assenza del soggetto (lo scrittore e critico Emilio Villa, presente per ‘interposta persona’ grazie all’interpretazione di un performer sotto il ponte del Tevere a Città di Castello in occasione di Io alle mie comodità non ci rinuncio!, nel 2006).

Marco Baldicchi, L’urlo muto, foto di Sonia Squartini

La riflessione sull’assenza  è paradossalmente funzionale a ricostituire una presenza: agendo su qualcosa che non c’è più, Baldicchi ricava epifanie inattese. Non è interessato a provocare mettendo in evidenza i limiti dello statuto dell’opera attraverso la sua smaterializzazione (come hanno proposto le ricerche concettuali delle neoavanguardie dagli anni Sessanta), semmai l’esatto contrario.

L’ultimo lavoro realizzato dall’artista, inaugurato il 24 giugno e visibile fino al 29 luglio, è un’installazione per l’ex Chiesa di Santa Croce a Umbertide (Perugia), ancora una volta al fianco di un ‘vicino’ noto, Luca Signorelli (presente nello stesso spazio una Deposizione del 1516). Si intitola ogni sorriso e, come nel caso dell’“Ombra”, la sollecitazione proviene da una vicenda risalente all’estate del 1944, quando un comando nazista uccise brutalmente – per motivi ancora non chiariti – dodici persone presso Penetola, nel comune di Umbertide. Prendendo spunto da una foto che mostra le dodici persone scomparse in quel giorno di fine giugno, Baldicchi si è concentrato su un dettaglio di quei ritratti: le labbra. Le dodici labbra, isolate e ingrandite, sono state stampate su altrettanti teli bianchi. Niente carnosità, nessun residuo di erotismo che possa richiamare alla Mae West ritratta da Salvador Dalì; solo l’applicazione di una sottile cucitura dorata, necessario strappo al protocollo del lutto e tenue ribellione al minimalismo cromatico che contraddistingue i lavori di Baldicchi. La linea della cucitura assume un ruolo centrale nell’economia del lavoro: il gesto del cucire, affidato alla mano esperta di una sarta che ha seguito la traccia color oro dipinta dall’artista con un acrilico, sottende un atto riparatorio, un risarcimento nei confronti della storia. Grazie a quella linea le labbra vengono riattivate, rese vitali; ma al tempo stesso la doratura, attributo tipico delle icone bizantine, le astrae e sottrae alla temporalità. Dar corpo alle labbra, liberandole dalla pesantezza del corpo stesso: Baldicchi è riuscito in questa piccola meraviglia, rendendo ancora una volta presenti, qui e ora, i sorrisi di persone che non ci sono più, riparando a un’assenza con un’apparizione poetica. Come osserva lo scrittore e giornalista Michele Smargiassi, le “immagini che hanno perso la funzione per cui furono messe al  mondo, possono sopravvivere solo se qualcuno ne regala loro un’altra, che non sia la pura semplice conservazione della propria esistenza”; ed è proprio ciò che il lavoro dedicato alle vittime di Penetola riesce a dimostrare, restituendo ancora una volta la rappresentazione fisica di qualcosa che non c’è più e dando corpo all’invisibile.

Marco Baldicchi, ogni sorriso, 2012. Courtesy dell’artista

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Link:

http://www.marcobaldicchi.it
Marco Baldicchi, L’ultima ombra

Saverio Verini è laureato in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’università “La Sapienza” di Roma. Contemporaneista sfegatato, s’interessa di manifestazioni artistiche fondate su processi partecipativi e relazionali. Dal 2011 è curatore della sezione arti visive di Kilowatt Festival. Con l’associazione culturale Sguardo Contemporaneo ha realizzato il progetto ‘Nuova Gestione’ (2012) – interventi d’arte contemporanea in spazi sfitti del quartiere Quadraro, a Roma – e ha partecipato alla realizzazione della mostra Nicole Voltan. Sistema Entropia, all’interno del circuito ufficiale di FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma (2011). Collabora con il magazine online Artribune e con la rivista Lettera Internazionale, per la quale recensisce libri di arte ed estetica. Dal 2011 è nello staff del MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma.