INVISIBILE
Il testo invisibile e la lettura conviviale
di Roberto Pellerey
(un testo da leggere in coppia o tra amici perché sia fruttuoso, altrimenti l’autore ne sconsiglia la lettura).
Come ridare vita ai testi digitali composti e trasmessi per via elettronica, come gli articoli di una pubblicazione on-line o le versioni elettroniche di una rivista, data la loro circolazione quasi clandestina, limitata in sostanza agli appassionati di questa forma di testualità, invisibili dunque al normale circuito editoriale e al dibattito culturale? La domanda è ricorrente nel dibattito sul confronto tra editoria stampata e editoria on-line, con l’aggiunta frequente dell’ormai consolidato luogo comune della inadeguatezza strutturale del testo digitale alla scrittura critica approfondita rispetto al testo stampato. Questo tipo di domanda, e il suo sistema di presupposti impliciti, risente in realtà di un errore di prospettiva, una distorsione ottica che impedisce di cogliere potenzialità e qualità specifiche del testo elettronico, come accade peraltro anche ai suoi sostenitori, abituati a difendere l’efficacia della via elettronica utilizzando però criteri nati e concepiti per il testo stampato.
Lo stesso errore era già stato compiuto all’inizio degli anni Novanta al momento della diffusione di massa dell’iper-testo. Concepito per la prima volta da Theodor Nelson nel 1981 in Literary Machines, viene presentato e difeso da numerosi teorici (quali Landow, Bolter o Lanham) come una nuova forma di testualità destinata a soppiantare rapidamente i testi stampati, e ad avviare una trasformazione rivoluzionaria delle pratiche di scrittura, del lavoro compositivo dei testi, della loro fruizione. Oggi sappiamo che questo non è avvenuto, e che l’ipertesto ha mostrato le sue qualità, dimostrandosi magnificamente adatto a opere la cui lettura ideale non è quella integrale e sequenziale, ossia enciclopedie, dizionari e regesti storico-enciclopedici, solo quando ci si è resi conto che non era un “testo” ma appunto un “iper-testo”: un’altra cosa per definizione, con proprietà diverse da quelle di coerenza organica richieste ai “testi”, e hanno potuto dispiegarsi pienamente solo sottraendosi a questo confronto polemico.
Anche nel caso del testo elettronico appare inutile esaminarlo considerandolo propriamente “testo” nel senso tradizionalmente attribuito al testo scritto e stampato e cercandone qualità specifiche che lo denotino come migliore rispetto alla stampa. In quest’ottica il testo stampato esce vincitore dal conflitto che ha opposto in passato i fautori delle due diverse forme di scrittura e di lettura.
Il libro stampato infatti si mostra adatto all’organizzazione di un discorso organico complessivo e alle pratiche sociali e culturali della lettura. Permette l’esposizione di ragionamenti strutturati in una visione coerente dispiegata in diversi aspetti successivi collegati e conseguenti, qualità che richiede un testo unitario fisicamente controllabile nella distribuzione materiale delle sue componenti (pagine, paragrafi, capitoli) grazie alla tangibilità del supporto fisico (cfr. Scavetta 1992 e Fiorentino 2007). La quantità di testo disponibile volta per volta alla lettura (senza continui interventi per far avanzare il testo sullo schermo), corrispondente alla singola pagina, permette un ritmo di lettura adeguato alla riflessione e alla sintesi concettuale di quanto è stato letto, connettendo logicamente ampie porzioni di testo e avendo compreso il senso di ciò che è scritto. La scansione delle pagine, ovvero la quantità di testo disponibile alla vista e la velocità di cambiamento di pagina, conduce a un ritmo che media efficacemente tra la velocità fisiologica della percezione visiva e la ruminazione intellettuale del lettore, permettendogli una comprensione meditata ottimale di quanto ha letto, fondata sulla visione d’insieme del discorso. La schermata di computer fraziona invece il testo in micro-unità testuali leggibili una dopo l’altra senza necessità di collegamento tematico diretto, ma anche senza poter leggere facilmente brani e frasi precedenti, poiché la rilettura richiede una continua operazione di ritorno indietro che spezza il ritmo cognitivo. Il libro stampato si è inoltre dimostrato un oggetto insuperabile per le sue proprietà di resistenza, comodità, e praticità. Le sue dimensioni e la sua struttura fisica, i fogli girabili uno alla volta, sono adatti alla manipolazione umana, cioè alla struttura fisica umana per la quale è stato progettato. È cioè uno di quegli oggetti modellati in relazione alle forme e alle dimensioni del corpo umano, e in particolare alla conformazione degli arti destinati a usarli, mani e braccia, come il bicchiere, la bottiglia, il coltello, il tavolo, la sedia, la ruota: oggetti che una volta storicamente acquisiti dall’uomo possono essere variati esteticamente secondo l’evoluzione dei gusti ma non migliorati dal punto di vista funzionale (cfr.Eco 1997:137-8, e Violi 1997:153-353). È facilmente trasportabile in tasca o in borsa e consultabile in qualunque luogo e condizione ambientale, non solo domiciliare o d’ufficio, senza il vincolo della connessione elettrica o telefonica (nei luoghi di distensione preferiti, foreste, spiagge o montagne isolate, in ogni regione del mondo priva di sorgenti di energia, con luce naturale o artificiale, in qualunque condizione di luminosità solare, su mezzi di trasporto, in viaggi in luoghi remoti …). È maneggevole per la lettura in orari e posizioni preferite (a letto, sotto un albero, in barca, immersi in acqua, declamato in piazza). Non ha costi aggiuntivi all’acquisto ed è rimpiazzabile facilmente per perdita, furto o dimenticanza. È resistente agli incidenti e non subisce guasti ai macchinari (acqua, sabbia e terra infiltrate nei meccanismi, cadute accidentali, colpi violenti, calore o gelo, periodi di disuso). Per queste ragioni oltre alla perfetta funzionalità d’uso “il libro rappresenta il più economico, maneggevole e pratico mezzo di trasmissione dell’informazione a prezzi molto bassi” (Eco 1996:299). Infine risulta del tutto infondata l’idea che il testo elettronico sia “immateriale” poiché il suo funzionamento dipende da entità e condizioni fisiche e materiali: la disponibilità di reti elettriche e telefoniche (dotate di cavi, prese, impianti, fili), lo schermo luminoso formato da impulsi di unità della Fisica quali la luce e i colori (prodotti di fotoni, recepiti dalla percezione umana di archi dello spettro cromatico), tasti, mouse o superfici da toccare per dare comandi alla macchina, il tempo d’attesa dell’apparizione sullo schermo delle pagine, i supporti magnetici (e smagnetizzabili), le onde di trasmissione degli impulsi, e gli stessi bit (che sono registrazioni di stati elettrici, ovvero di diversi livelli di voltaggio nei circuiti, cioè unità della fisica). Il computer stesso è un congegno meccanico composto di cavi, fili di rame, tasti di plastica, circuiti, valvole, fusibili, schede e microchip di metallo, resina e silicio, saldature, viti e ingranaggi che devono essere materialmente maneggiati per funzionare.
Il libro stampato è quindi sostanzialmente ed efficacemente “una macchina per generare pensieri e riflessioni ulteriori” (Eco 1996:296), processo reso possibile dalle modalità della sua utilizzazione e dalla struttura organica della sua organizzazione materiale, ovvero dalla funzionalità che vi acquista la sua natura materiale, a differenza della natura fisica occultata e resa invisibile del testo elettronico.
Le analisi e le argomentazioni della letteratura critica partono tuttavia da un presupposto implicito comune, quello della naturalezza della fruizione del testo tramite la lettura individuale assorta e concentrata, che porta naturalmente alla conclusione della migliore funzionalità del testo e del libro stampato a questo proposito. Il testo stampato infatti è una tecnologia che si è accompagnata, e ha sostenuto, soddisfacendo una richiesta sociale, l’affermazione definitiva in epoca moderna della pratica della lettura individuale assorta e concentrata, impegnata a comprendere le ragioni, il senso e le argomentazioni di un discorso teorico impegnativo oppure a immergersi nell’immaginazione suscitata da una narrazione letteraria appassionante, come ci ricordano le ricostruzioni storiche delle pratiche della lettura. A queste forme di impegno intellettuale nella pratica di lettura è perfettamente adeguato il testo stampato. Si tratta di una lettura che segue lo svolgimento di un ragionamento strutturato in sequenze concatenate di analisi, risultati, argomentazioni collegate da nessi logici, fino a una conclusione che diventa base di argomentazioni successive, e che richiede quindi l’ampiezza di dominio della materia testuale consentita dal testo stampato. Il lettore è totalmente impegnato a controllare il procedere logico del discorso, la validità delle argomentazioni, il rigore dei nessi logici, delle premesse utilizzate, dei dati esposti e della loro utilizzazione argomentativa, dialogando continuamente con se stesso, ovvero interrogandosi su valore, esattezza, correttezza dei dati e ragionando dunque continuamente su quanto esposto nel testo. Oppure è una lettura impegnata ad allestire i mondi possibili dell’ambientazione narrativa e a individuare topic, isotopia, coerenza testuale, fabula e intreccio di un romanzo, un racconto, un testo narrativo che lo sollecita continuamente a intervenire nel testo interrogandolo su qual è la storia che racconta e apportando, con il processo di cooperazione interpretativa, le conoscenze e i dati necessari a dotare di senso il testo interpretandolo compiutamente, come ci ha descritto l’analisi contemporanea della narrazione (cfr. Eco 1979, 1994). In entrambi i casi il lettore confronta se stesso e le proprie convinzioni con quelle di una cultura, un’interpretazione del mondo di cui è portatore l’autore del testo: una posizione teorica, ovvero l’esposizione di un’interpretazione dei fatti presentata come autentica e veritiera, oppure una scelta estetica, il modo in cui un autore, in un’epoca data, ha ritenuto interessante operare, e con quali materiali, per giocare con l’immaginazione, ambientare una narrazione, suscitare l’interesse e le emozioni dei lettori. Il libro non dirà solamente qualcosa direttamente al lettore, ma gli dirà anche quale cultura, quale visione del mondo è implicita e viene condotta dal testo per il fatto di aver scelto di dire proprio quella cosa, e in quel modo specifico. La lettura assorta e concentrata è fatta per affrontare questi sistemi di valori impliciti e insieme verificare la bontà, o sperimentare l’efficacia estetica, di quanto il testo espone, in un dialogo continuo del lettore con la propria attenzione critica.
Ma allora il testo elettronico, che ha una strutturazione testuale e un’organizzazione funzionale diverse da quelle del testo stampato, per dispiegare le sue potenzialità e utilizzare le sue capacità non deve semplicemente essere utilizzato come una forma diversa di testo “scritto” alternativo a quello “stampato” ma come un altro genere di testo, rifiutando il confronto con il testo stampato in base ai parametri e ai criteri di efficacia e di funzionalità concepiti per il testo scritto e stampato. Occorre infatti pensarlo e utilizzarlo come un testo Aurale anziché “scritto”.
Sono “aurali” i testi concepiti e scritti per essere utilizzati leggendoli a viva voce, anziché silenziosamente sulla pagina. Prevedono cioè per la loro fruizione la condizione d’uso della trasformazione in testi pronunciati ad alta voce per uno o più ascoltatori, fisicamente presenti in una stessa situazione insieme a chi legge. La nozione di auralità è stata pensata inizialmente per spiegare le particolari forme di scrittura e le condizioni d’uso dei testi epici nella storia letteraria antica (i poemi omerici) e medievale (le chansons de geste cavalleresche). Per i poemi epici diventa indifferente sapere se sono stati composti per scritto o meno mentre è invece importante il fatto che sono strutturati per la composizione e la declamazione orale, sfruttando particolari tecniche di memorizzazione e di ricomposizione del testo, la cosiddetta tecnica formulaica, in occasione della performance poetica per un pubblico ascoltatore in contesti sociali determinati, come i banchetti a corte greci o le tappe dei pellegrinaggi medievali (cfr.Bernardelli-Pellerey 1999:95-148 e 233-241 e Dupont 1993). La nozione di auralità è stata poi utilizzata per spiegare le particolarità lessicali e sintattiche di testi contemporanei quali i dialoghi teatrali, cinematografici, radiofonici, televisivi. Sono testi che prevedono, fin dalla loro stesura, di raggiungere la loro efficacia nel momento in cui sono ascoltati, e contengono quindi adattamenti linguistici come molte forme tipiche del parlato, adatte all’ascolto. I testi teatrali, costituiti da dialoghi scritti su pagina da un autore, ma destinati a essere pronunciati in scena e ascoltati da uno spettatore in condizioni di fruizione orale, così come i dialoghi filmici e televisivi, devono simulare artificialmente un parlato attendibile che possa essere seguito facilmente da persone che ascoltano, dunque privo della complessità sintattica, del gioco di collegamenti logici serrati e di concatenazioni tematiche tra parti di un testo scritto.
La nozione di auralità presuppone la consapevolezza della differenza tra testo scritto e parlato. Le caratteristiche principali attribuite al testo scritto sono infatti la stabilità, l’autonomia e la permanenza nel tempo, contrapposte all’instabilità, all’evanescenza e all’immediatezza attribuite alla lingua parlata, insieme alla sua frammentazione sintattica e lessicale. Un testo scritto, in sintesi, è autosufficiente, cioè contiene tutto ciò che serve alla sua comprensione, in una organizzazione coerente e completa che consenta anche il dominio complessivo della sua materia e la rilettura di parti dubbie. Deve poter essere compreso da chiunque lo legga, in un luogo e un momento imprevedibili e distanti nello spazio e nel tempo, poiché è destinato a conservarsi immutato nel tempo. Un testo parlato, creato in condizioni di improvvisazione, è pronunciato progressivamente, senza possibilità di riesame, ed è rivolto unicamente alle persone presenti in un dato momento nel luogo in cui si sta parlando. Contiene perciò riferimenti a cose, persone e luoghi in cui ci si trova, ripetizioni, collegamenti alla situazione presente, particelle il cui senso si chiarisce solamente nel contesto d’uso effettivo, come avverbi, interiezioni, congiunzioni, pronomi, termini cioè che rinviano al contesto circostante, che ne stabilisce il significato (qui, là, oggi, tu, questo…). Il loro gioco inoltre sollecita per variazione ritmica l’attenzione dell’ascoltatore sottraendolo alla distrazione. Nello scritto prevalgono invece sostantivi e verbi, il cui significato è indipendente dal contesto. Scritto e parlato non hanno solo una diversa scelta delle parole, ma anche una diversa organizzazione degli argomenti e sono strutturati in modo differente nella sintassi della frase e del periodo, nella lunghezza delle frasi, nella precisione dei riferimenti. La sintassi del testo scritto, ad esempio, comprende molte frasi subordinate, incatenate una dentro l’altra e logicamente complesse, quella del testo parlato comprende frasi principali collegate da congiunzioni, in modo che l’attenzione dell’ascoltatore sia sempre concentrata esclusivamente su un argomento alla volta. Si tratta quindi di diversi tipi di differenze linguistiche generate dalle diverse condizioni della scrittura e della parola.
Ma il testo digitale non è né scritto né parlato: è un testo aurale. Rispetto al testo stampato o parlato, importante non è l’eventuale particolarità dell’organizzazione sintattica, lessicale, o tematica, che è automaticamente implicita nella diversità della sua composizione e utilizzazione, ma la sua capacità di ripristinare la funzionalità della lettura a voce alta per produrre effetti di profondità concettuale in modo del tutto diverso da quello della lettura assorta e concentrata del testo scritto. Il testo digitale trasmesso elettronicamente è fatto per essere letto a viva voce in gruppi di almeno due o tre persone, in cui gli ascoltatori siano materialmente presenti insieme al lettore. Chi legge porge all’attenzione degli ascoltatori un materiale per la loro riflessione, che li porta a interrompere o proseguire secondo il ritmo richiesto dal gruppo per la comprensione di brani o paragrafi di diversa estensione o diversa natura. Ma questa procedura innesca soprattutto un meccanismo di dialogo continuo tra i lettori-ascoltatori per verificare se hanno compreso le idee e i ragionamenti espressi nel testo, se hanno inteso i presupposti assunti nel testo e le sue conseguenze, se la loro interpretazione del testo è accettabile. Ma soprattutto per confrontare la propria opinione su quanto sostiene il testo, e valutare i dati e le conoscenze su cui tale opinione è fondata. Questo colloquio ragionato e attento è un meccanismo, innescato dalla procedura di lettura a viva voce, che suscita profondità di riflessione paragonabile e compatibile con la lettura concentrata e assorta del testo stampato, ma con una dinamica diversa, basata sul dialogo che scaturisce tra i partecipanti alla lettura anziché sul dialogo rigoroso con se stessi, sull’interrogarsi per ragionare su quanto sostiene il testo: il dialogo non avviene con se stessi ma con gli altri partecipanti alla lettura. Il testo diventa allora fonte di approfondimento e di discussione, di dialogo reale tra persone, di interrogazione concettuale, diventando anch’esso efficacemente “una macchina per generare pensieri e riflessioni ulteriori” in modo diverso dallo stampato, grazie alla riattivazione di pratiche e condizioni di lettura dell’antichità classica, la lettura ad alta voce e collettiva anziché silenziosa e individuale, come esito inatteso dello sviluppo tecnologico contemporaneo. Il testo digitale diventa strumento conviviale, socialmente attivo, anziché socialmente isolante e tematicamente frammentario.
Se la lettura individuale e silenziosa si è distinta nella tarda antichità come pratica intellettuale originale, contrapposta alla normale lettura a voce alta, perlopiù pubblica e collettiva, praticata nel mondo antico greco e latino, e si è progressivamente affermata fino a essere identificata alla nascita della stampa tipografica come l’unica lettura possibile (ad esclusione della lettura pubblica a beneficio degli illitterati), oggi con la testualità digitale diventa una scelta possibile, rispetto all’auralità digitale che può diventare nuova forma di ragionamento e dialogo, non interiore dell’individuo, ma aperto in una comunità conviviale. Il testo elettronico-digitale più che un “testo compiuto”, autonomo e indipendente come quello concepito per la stampa tipografica, è una fonte di parola e di discussione tra persone. Se lo crediamo un testo autonomo e completo da leggere da soli (e in isolato silenzio) compiamo lo stesso errore compiuto con l’iper-testo, esaminato con i parametri e per le funzioni del testo stampato, prima che si capisse che ha natura e funzionamento diversi, di oggetto cioè non fatto per il ragionamento complesso e strutturato ma per la raccolta di collegamenti tra singole informazioni disomogenee e distribuite irregolarmente, estratte dal loro contesto e riordinate soggettivamente seguendo il filo di un percorso personale, a partire da un repertorio cronologico o alfabetico. Vincolato alla condizione della lettura ad alta voce il testo elettronico-digitale riprende vita e profondità. La lettura conviviale gli ridà consistenza vitale e lo rende visibile attraverso la sua ricezione collettiva in una comunità lettrice, sottraendolo all’invisibilità della circolazione elettronica e portandolo alla luce del discorso pubblico. Diventa un testo presente dotato di una corporeità materiale reale, quella della voce che lo porta alla vita rendendolo fonte di confronto intellettuale e di conoscenza sociale. E apre la via di nuove pratiche sociali inattese la cui modernità è istituita sulla riscoperta dell’antico.

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Roberto Pellerey ha conseguito il Dottorato in Semiotica all’Università di Bologna (1993) e il Dottorato in Sciences du Langage all’École des Hautes Études en Sciences Sociales (1990). É attualmente docente di Semiotica all’Università di Genova. Tra i suoi libri: Le lingue perfette nel secolo dell’utopia (Laterza, 1992), La théorie de la construction directe de la phrase (Larousse, 1993), Il parlato e lo scritto, con A.Bernardelli (Bompiani, 1999), Il lavoro della parola (Utet, 2000), Semiotica e interpretazione, con V.Pisanty (Bompiani, 2004), Comunicazione: storia, usi, interpretazioni (Carocci, 2011).

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