Rendere visibili gli invisibili è stato un imperativo categorico per Franco Basaglia che scrive nelle Conferenze Brasiliane (1979) “Giorno dopo giorno, anno dopo anno, passo dopo passo, disperatamente trovammo la maniera di portare chi stava dentro fuori e chi stava fuori dentro”.
Anche nel lungo percorso di chiusura del Manicomio di Roma si pose il problema della visibilità vs l’invisibilità.
Un pomeriggio del 1993 Tommaso Losavio, già con Basaglia a Trieste – in seguito direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL Roma E e del progetto per la chiusura definitiva del manicomio romano, passeggiava tra i giardini del Santa Maria della Pietà preoccupato per “il residuo manicomiale” costituito da circa quattrocento persone rimaste intrappolate nonostante la legge 180, approvata quindici anni prima, che prevedeva la definitiva chiusura dei manicomi.
Il loro destino non interessava più a nessuno, certamente non agli amministratori che non destinavano risorse per la loro deospedalizzazione, ma neppure agli operatori dei nuovi servizi territoriali.
Presi come erano dalla “nuova utenza” e dalla miseria delle risorse a disposizione, avevano semplicemente rimosso dalla loro operatività i “sommersi” rimasti in manicomio che avrebbero rappresentato un insostenibile peso aggiuntivo al loro già difficile operare quotidiano.
Quando Nino B., da molti anni ospite del padiglione 16, incontra Tommaso Losavio lo apostrofa così: “La fai facile tu…ma tu non puoi sapere quanto sia difficile per noi entrare fuori”.
Alludeva in modo evidente alla difficoltà ed al timore, suoi e dei suoi compagni, di entrare in città, di ritornare in una città che tanti anni prima lo aveva espulso e dimenticato e che oggi, solo perché qualcuno aveva deciso di chiudere i manicomi, avrebbe dovuto riaccoglierlo.
Da quel momento Entrare fuori Uscire dentro divenne la “parola chiave” per interpretare e sostenere le azioni che porteranno nel 1999 alla chiusura del Santa Maria della Pietà.
L’anno successivo con questa parola chiave nasceva il Museo Laboratorio della Mente: l’obiettivo era quello di costruire contesti comunicativi che favorissero la “visibilità” della sofferenza mentale, lo svelamento delle costrizioni spaziali, fisiche, psicologiche e sociali e le pratiche di “ricostruzione” della soggettività.
L’istituzione chiusa
Per cortese concessione del Museo Laboratorio della Mente. È assolutamente vietata una successiva riproduzione delle immagini senza ulteriore autorizzazione.
All’interno del suo impianto narrativo, ispirato ad una multi testualità e ad una continua oscillazione tra elementi reali ed esperienze di laboratorio, il Museo Laboratorio della Mente non esaurisce la sua funzione nella conservazione delle memorie di un ex Ospedale Psichiatrico ma ricorre alle storie di vita come paradigma di una storia allo stesso tempo passata e presente.
Le persone con disagio mentale continuano ad essere ancora invisibili e soggette ad uno stigma diffuso. Per questo occorre rendere visibili le azioni per la salute mentale, coinvolgendo il più possibile i diversi livelli delle nostre comunità.
In molti casi dalla malattia mentale si guarisce, in altri occorre imparare a convivere con essa ed è possibile perseguire l’obiettivo del recupero delle abilità sociali, dell’apprendimento di nuove competenze e di un discreto funzionamento sociale della persona. Ciò che bisogna evitare è nascondere limiti e fallimenti che un tempo venivano relegati nel manicomio.
I visitatori del Museo Laboratorio della Mente si dispongono “uscendo dentro” ad una esperienza conoscitiva e “metanoica” (un immediato processo di crescita interiore prodotto da una rottura col passato, una novità radicale di esistenza/comprensione), ascoltano attenti i racconti e nello stesso tempo osservano i volti dei testimoni che, attraverso le rughe, il candore dei capelli, i segni del tempo e dell’età, rimandano l’eco di altre vite, vicine e parallele a quelle che ci vengono narrate oggi dai nuovi “portatori di storie”.
Inventori di mondi
Per cortese concessione del Museo Laboratorio della Mente. È assolutamente vietata una successiva riproduzione delle immagini senza ulteriore autorizzazione..
Percorrendo sala dopo sala si trovano così nella condizione di trasformarsi da osservatori ad osservati essendo indotti ad assumere progressivamente posture che risultano essere proprie della malattia mentale: oscillazione continua del corpo, mani che stringono la testa, posizioni standard per le misurazioni. Posture determinate dalle interfacce delle postazioni interattive che s’incontrano lungo il percorso.
Questa trasparenza/visibilità, quasi astratta nel dividere lo spazio espositivo, s’inserisce viceversa nel contesto fisico e vissuto dell’ex padiglione psichiatrico divenuto sede del Museo Laboratorio della Mente, cui si è data la massima rilevanza cercando di far emergere i segni della sua prezioso passato, liberandolo dalle sovrastrutture di precedenti allestimenti, e ricreando la medesima atmosfera cruda e spoglia segnata da lampadine a vista. Il progetto nasce dunque da questo duplice atteggiamento che diviene anche metaforico: da una parte far riemergere il più possibile la memoria di questo luogo e dall’altra violarla in modo deciso con quel taglio “trasparente”, che la scompone e la rilancia nel nostro presente. In questo contesto rinnovato si sviluppa la storia come in un affresco, dove all’intonaco bidimensionale si sostituisce la tridimensionalità dell’intero spazio e dove il pennello e i colori sono aggiornati dagli strumenti e dai linguaggi della multimedialità. E, come in quel paragone, la “storia” è prima di tutto narrazione di sguardi e di gesti, di azioni e di immedesimazioni, di suoni e di spiazzamenti. Più ancora che raccontata, la storia mette nella condizione di essere vissuta. Pochissimi apparati didascalici ed esplicativi si intromettono a quella che deve essere un’esperienza emozionale forte, anche se non dai toni drammatici. Non si è puntato infatti, sulle tonalità crude e dolorose, proprie della vicenda dei manicomi, piuttosto sulla lacerante bellezza, la sottile ironia, delle sue espressività, cogliendo tutti gli insegnamenti, le scintille che essa sa regalarci, senza assecondare alcun sentimento di commiserazione. E’ la grandezza dell’estrema diversità, quella di chi addirittura “abita” un altro mondo, che sa arricchirci e allontanarci dall’idea esclusiva e reclusiva che il manicomio ha per tanto tempo rappresentato.
La narrazione assolve quindi una funzione epistemica innescando processi di elaborazione, interpretazione, comprensione, rievocazione di uomini e accadimenti “invisibili” dando ad essi una forma che renda possibile descriverli e raccontarli ad altri; tentare di spiegarli alla luce delle circostanze, delle intenzioni, delle aspettative di chi ne è protagonista; conferire loro senso e significato, collocandoli nella “storia”.
Sentire voci
Per cortese concessione del Museo Laboratorio della Mente. È assolutamente vietata una successiva riproduzione delle immagini senza ulteriore autorizzazione..
Nello scorso mese di maggio la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati ha approvato una proposta di legge (Disposizioni in materia di assistenza psichiatrica) che non fa onore a chi la votata e che rischia di riportare l’Italia indietro di 35 anni riproponendo l’invisibilità della malattia mentale attraverso metodi e luoghi indegni per un Paese che ha scelto la civiltà e il progresso sancendo il definitivo superamento dei manicomi e di tutto ciò che essi rappresentano.
Le buone pratiche esistenti in Italia confermano la validità del nostro modello organizzativo in grado di tutelare la salute mentale di tutti i cittadini, la presa in cura, i percorsi terapeutici e riabilitativi orientati alla recovery.1 Viceversa la pratiche coercitive, lesive della libertà e della dignità delle persone che vivono l’esperienza della sofferenza mentale, dimostrano tutto il loro fallimento con il peggioramento delle condizioni di vita e di salute di chi le subisce.
Questa proposta di legge, contestata dalla stragrande maggioranza delle Associazioni dei Familiari e degli Utenti dei servizi di salute mentale, ripropone sistemi di internamento attraverso l’istituzione del “trattamento sanitario obbligatorio prolungato “ fino ad un anno anche in strutture “private accreditate”.
Un altro punto paradossale che reitera i percorsi dell’invisibilità riguarda gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari per i quali è previsto dalla Legge 9/2012 il definitivo superamento entro il 31 marzo 2013. La proposta di legge suindicata ne chiede invece il mantenimento per tutta la fase iniziale di realizzazione della rete dell’assistenza ai sensi dell’articolo 5 (assistenza psichiatrica ai detenuti) da parte del Servizio Sanitario regionale nelle case circondariali.
Auspichiamo che questa proposta di legge trovi archiviazione e che si riprenda la strada già indicata dai Progetti Obiettivo Nazionali Salute Mentale, dalle Linee Guida Nazionali approvate dalla Conferenza delle Regioni, dal Patto Europeo per la salute e il benessere mentale.
Potrebbe apparire inattuale rifarsi al pensiero e all’azione di Franco Basaglia, al suo richiamo a un marxismo che nella lotta quotidiana assuma come priorità la soggettività.
Ma inattuale appare di fronte al quadro politico, sociale, sindacale, che dimostra di aver deluso l’aspettativa della partecipazione dei cittadini alla costruzione di un nuovo sistema di difesa della salute mentale.
Non inattuale, tuttavia, se si sanno ascoltare le sollecitazioni che le parole di Basaglia ancora ci trasmettono, è il suo richiamo reiterato a un’etica dell’agire nella pratica per trasformare la realtà.
Se questo si fa, com’egli ribadisce, in funzione della liberazione della soggettività di tutti, si entra forse nell’utopia, ma “l’utopia diventa il vero reale, la prefigurazione di una realtà”.
Per questo, come Franco Basaglia, oggi siamo in grado di affermare che nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere “l’invisibilità diffusa” perché è il potere che vince sempre. Possiamo tuttavia “convincere” e nel momento che convinciamo, noi vinciamo poiché determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare.
Con il suo “dispositivo narrativo” il Museo Laboratorio della Mente mostra come “ l’impossibile diventa possibile!”.
http://www.museodellamente.it/
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1 Il termine, che significa “recupero”, “cura”, “guarigione”, è stato assunto dagli operatori e dalle associazioni degli utenti dei servizi di salute mentale come simbolo della possibilità di “farcela”. Farcela a riprendere il controllo della propria vita, indipendentemente e nonostante, in alcuni casi, possano permanere disturbi psichiatrici e necessità di cure anche farmacologiche. Il percorso di recovery rappresenta sia un evento interiore che un’assunzione di responsabilità, l’esperienza vissuta da una persona che accetta e supera la sfida della disabilità e sente di recuperare una nuova percezione del proprio sé ed un significato della vita al di là dei limiti della disabilità, inserito nella comunità che lo riconosce e in cui può riconoscersi come appartenente.
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Riferimenti bibliografici
UOS Centro Studi e Ricerche ASL Roma E, Studio Azzurro, Museo Laboratorio della Mente, Silvana Editoriale , 2010
Studio Azzurro, Musei di narrazione, Silvana Editoriale, 2011
Franco Basaglia, Conferenze brasiliane (1979), Raffaello Cortina, 2000
Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio , Basaglia, Bruno Mondadori, 2001
Franco Basaglia, L’utopia della realtà, Einaudi, 2005
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Dott. Pompeo Martelli è Direttore del Museo Laboratorio della Mente e Responsabile dell’Unità Operativa Centro Studi e Ricerche della ASL Roma E.
Ha svolto la sua pratica clinica nell’Ospedale Psichiatrico di Roma e nei Servizi di Salute Mentale della Regione Lazio. Già docente di Psicologia presso Sapienza Università di Roma è Visiting Professor in Australia, USA e Canada.
Studioso di storia della psichiatria e della psicoanalisi. Autore di numerose pubblicazioni nel campo della salute mentale e attivo protagonista nei processi di trasformazione dell’assistenza psichiatrica in Italia.