§L'educazione nel corpo. Per una somatica della relazione pedagogica.
Incontri. Arti visive e performance
nel progetto indipendente 'Luci su Marte'
di Lucia Sauro e Marta Tedolfi

Introduzione
di Marta Tedolfi

Immagino sia capitato a tutt_, in tempi di confinamento, di trascorrere qualche ora scorrendo a ritroso la memoria fotografica del telefono nel tentativo di riavvolgere il nastro e fermarlo a quando la vita era quella di prima.
Nel mio caso, questa pratica nostalgica e talvolta dolorosa ha riportato in superficie il video che immortala il figlio di una mia amica mentre, ignaro di essere osservato, mette in fila una serie di salti e piroette davanti al film Blind Mirrors (2019), realizzato dal duo registico Masbedo in occasione della mostra personale Perché le frontiere cambiano, curata e co-prodotta da Fondazione ICA Milano.
Protagoniste del film sono quattro donne della comunità Tamil di Palermo che eseguono i passi della coreografia del Bharatanatyam, una delle principali espressioni della danza tradizionale indiana, all’interno della cornice settecentesca del salone delle feste di Palazzo Gangi, dove negli anni Sessanta Luchino Visconti girò la celebre scena del ballo per Il Gattopardo.

L’aspetto che più colpisce dell’episodio sopra riportato è la spontaneità del gesto: il bambino agisce assecondando il suo istinto e muovendosi in una bolla libera dalle convenzioni che regolano il nostro comportamento al museo.
A questo proposito, credo sia interessante domandarsi che cosa accadrebbe se, nello stesso contesto, i movimenti del corpo fossero guidati e finalizzati alla lettura di un’opera e alla sua interpretazione.
Intorno a questo quesito ha preso forma Luci su Marte, ideato con l’obiettivo di esplorare nuove forme di interazione con i luoghi della cultura servendosi di un approccio interdisciplinare che mescola linguaggio figurativo e coreutico.

Di diversa natura. Tracce e segni in movimento Crediti: Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, 2019, foto Lorenzo Palmieri.

Il progetto si colloca a sua volta nel solco di un processo di più ampio respiro in cui la danza rappresenta una delle ultime sperimentazioni che hanno portato a un nuovo modo di pensare e vivere il museo, percepito sempre di più come una realtà dinamica e immersa nel tessuto sociale.
Contributi imprescindibili sull’argomento sono quelli offerti da Claire Bishop, la quale descrive l’interazione tra performance e contesto espositivo come una grey zone, all’interno della quale viene rivalutata l’univocità dei concetti di black box (teatro) e white cube (galleria) e la specificità delle rispettive funzioni (Bishop, 2014).

In questa prospettiva un caso paradigmatico è quello del Centre Chorégraphique National di Rennes. Nel 2009 Boris Charmatz, danzatore e coreografo francese, viene nominato direttore artistico del Centro e lo ribattezza Musée de la danse , stilando un manifesto che propone il superamento dell’immaginario legato al museo come luogo statico e adatto a una funzione meramente conservativa attraverso l’inclusione delle opere coreografiche nei suoi spazi. Da oggetto rappresentato e passivo, il corpo diventa strumento attraverso il quale produrre e trasmettere conoscenza, scardinando uno dei fondamenti della modalità di visita ereditata dal passato: contro l’idea di un sapere astratto, gerarchico e imperscrutabile, la performance coinvolge il pubblico in un rapporto dialettico e partecipato, circoscritto in una finestra temporale definita.

Come sottolinea Susanne Franco, «la presenza della danza nei musei può favorire un nuovo rapporto con i visitatori, mediare le collezioni d’arte esposte, ma anche raccontare la propria storia e attivare progetti artistici in processi sociali che trasformano le sale espositive da luoghi transitati a luoghi vissuti» (Franco, 2020).

Ne è un esempio If Tate Modern was Musée de la danse?, un evento di due giorni realizzato dallo stesso Charmatz nel 2015, in cui molt_ danzatori/danzatrici hanno occupato gli spazi espositivi per mettere in scena una sorta di retrospettiva della danza, interpretando le coreografie di diversi autori/autrici, e per condurre una serie di workshop dedicati a chiunque volesse partecipare. Concluse le performance, la sala della Turbine Hall è stata trasformata in un dancefloor aperto a tutt_, immagine che ritengo descriva perfettamente l’idea del museo come luogo che favorisce l’aggregazione sociale.

Alla luce dei fatti recenti, legati all’emergenza sanitaria da Covid-19, l’approccio che mira alla partecipazione attiva dei/delle visitatori/trici si rivela un tema quanto mai necessario. In un momento storico che fa della distanza la sua caratteristica principale, le istituzioni museali hanno risposto mettendo in rete un’ampia proposta di attività (tour virtuali e laboratori didattici da remoto) che hanno permesso di mantenere saldo il rapporto con il pubblico, trasferendo lo spazio di relazione entro i limiti della dimensione digitale.
Si tratta di una rivoluzione antropologica radicale, della quale non si conoscono gli sviluppi futuri, ma che nell’anno appena trascorso ha posto al centro del dibattito un’idea di corpo, come scrive Gaia Giuliani, sanificato e puro al pari di quello di un asceta e posto inevitabilmente ai margini l’esperienza fisica del quotidiano (Giuliani, 2020).


Luci su Marte
di Lucia Sauro e Marta Tedolfi

Luci su Marte nasce da una conversazione telefonica risalente a un paio di anni fa. Ci conosciamo da sempre e seppure a distanza — una a Roma e l’altra a Milano — siamo cresciute insieme seguendo con interesse i rispettivi percorsi professionali: Lucia è danzatrice e pedagogista, Marta è specializzata in Arti Visive e si occupa di didattica museale.
Il nome che abbiamo scelto è un gioco di parole basato sui nostri, tuttavia ci piace anche considerarlo una dichiarazione di intenti: valorizzare la curiosità e il desiderio di scoperta di coloro che partecipano alle nostre attività attraverso un dialogo aperto e libero che tenga conto del punto di vista di tutt_.

Di diversa natura. Tracce e segni in movimento. Crediti: Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, 2019, foto Lorenzo Palmieri.

Parafrasando l’affermazione di Simone Forti «I am interested in what we know about things through our bodies» (Forti, 2014) potremmo dire che noi siamo interessate a cosa possiamo conoscere dell’arte attraverso i nostri corpi.
Obiettivo del progetto, infatti, è avvicinare bambin_ e ragazz_ ai contenuti e alla cifra stilistica degli/delle artist_ prediligendo un tipo di apprendimento che non coinvolge solo la sfera cognitivo-razionale, ma anche quella emotiva e sensoriale.
Ivano Gamelli definisce la pedagogia del movimento «uno spazio riflessivo dedicato a chi condivide la necessità di un’educazione integrata, capace di tenere insieme corpo e mente, azione e riflessione, pensiero ed emozione» (Gamelli, 2016).

Il lavoro che conduciamo si inserisce all’interno di questo filone di ricerca che affianca alla comunicazione verbale, protagonista assoluta nel nostro sistema scolastico, le molteplici potenzialità che la dimensione corporea offre nei processi formativi di ogni genere.
Integrando le nostre competenze relative a due ambiti distinti, ma vicini, nel tempo abbiamo messo a punto una modalità operativa consolidata ed elastica, in grado di adattarsi a contesti eterogenei.
Iniziamo individuando le opere, le tecniche compositive e le tematiche che costituiscono le fondamenta sulle quali viene costruita la proposta di laboratorio mirata a una comprensione mediata dai sensi, in contrapposizione con le metodologie didattiche di tipo classico che spesso considerano il movimento la manifestazione di una mancanza di disciplina che ostacola il percorso educativo.

Un esempio particolarmente chiaro di quanto descritto è l’ultimo laboratorio condotto da remoto con una scuola primaria e ispirato all’igloo Chiaro Oscuro / Oscuro Chiaro (1983) di Mario Merz. Durante la fase di osservazione abbiamo guidato i/le bambin_ nel riconoscimento delle coppie di opposti che abitano l’immaginario dell’artista. Tra queste abbiamo selezionato il contrasto pesante/leggero e chiesto loro di esplorare liberamente movimenti che suggerissero le diverse qualità dei materiali e di sceglierne alcuni da mettere in sequenza per creare una piccola coreografia.
In tal modo il corpo agito e partecipe del processo delle conoscenze permette di costruire nuovi saperi e significati direttamente correlati al proprio sentire che fungono da traccia nell’interpretazione dell’elemento visivo e rendono tangibili i concetti astratti ad esso legati.

Sebbene le attività a distanza abbiano dato buoni risultati — e il merito è soprattutto dei/delle bambin_ che, con un’invidiabile capacità di adattamento, hanno saputo mettersi in gioco e superare i limiti del mezzo digitale — il senso del nostro lavoro si manifesta appieno nella cornice del museo e a contatto diretto con le opere.
La sfida interessante, nonché la scintilla propulsiva, è stata per noi la possibilità di sfruttare le caratteristiche di un luogo che, rispetto alla scuola, concorre a creare una diversa qualità dello stare: nelle parole di Anna Chiara Cimoli è «spazio di educazione informale in cui i tempi si dilatano, i silenzi sono ammessi e persino coltivati, le domande sono più importanti delle risposte, il corpo trova un suo agio» (Cimoli, 2017).
La combinazione di questi elementi offre un terreno fertile per la nascita di laboratori che valorizzano un’espressione corporea libera da forme stereotipate affinché possano costruire un loro personale vocabolario espressivo: la colonna vertebrale si ammorbidisce, le braccia percorrono traiettorie inesplorate, le gambe scoprono un ritmo diverso e la testa armonizza con il cuore.

Di diversa natura. Tracce e segni in movimento. Crediti: Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano, 2019, foto Lorenzo Palmieri.

La relazione danzata nei contesti educativi rivolti all’infanzia. Riflessioni per sguardi presenti e futuri.
di Lucia Sauro

Quando osserviamo i/le bambin_ agire all’interno di un contesto laboratoriale, siamo chiamate in quanto educatrici e artiste a esercitare una serie di abilità intuitive che attingono alla nostra formazione, ma anche alla nostra esperienza e personalità.
Non è un compito semplice, ma è quello che ci viene richiesto per essere in grado di cogliere al meglio le manifestazioni corali delle individualità che abbiamo di fronte.

I messaggi inviati da parte del gruppo durante un laboratorio possono palesarsi in forme diverse: parole, ragionamenti, sguardi, comportamenti, segni spontanei legati allo stare insieme in un dato tempo e spazio.
In qualunque modo questa comunicazione giunga a noi, se saremo in grado di coglierla, allora saremo anche in grado di farne uno strumento per raggiungere, con più aderenza e incisività, l’obiettivo educativo che ci poniamo.

Come cogliere, dunque, i messaggi dei/le bambin_?
La relazione educativa, come ogni relazione umana, si sostanzia grazie alla qualità dello sguardo che si posa sull’altr_.
Nel nostro caso, è lo sguardo che l’adult_, nel suo ruolo di facilitatore/facilitatrice del processo, posa contemporaneamente sul lavoro del singolo e del gruppo.
Gli anni di lavoro e ricerca sulla propria disciplina sono una fase fondante che forma quello sguardo, tuttavia occorre una consapevolezza che nessuna conoscenza teorica garantisce.
Occorre infatti allenarsi ad avere uno sguardo che sappia farsi poroso, sensibile, che sappia accogliere, prevedere, un occhio che raccolga, senza giudizio, tutti i segnali e sappia ascoltarli.
Come si allena questo sguardo? Principalmente acquisendo alcune competenze fondamentali.

La prima è la conoscenza delle tappe dello sviluppo dei/le bambin_, chiave centrale per accedere con coscienza al mondo dell’infanzia.
Innumerevoli studi possono fornirci una guida in questo senso. Essi sono infatti utili per comprendere come strutturare al meglio le nostre proposte, senza rischiare di bruciare tappe che devono essere necessariamente salvaguardate per condurre serenamente i/le bambin_ a una crescita realmente integrata.
La seconda è lavorare sulla presenza di chi ha il compito di educare all’espressione artistica, cioè sul ruolo e le diverse opportunità che questo può offrire.
La ricaduta diretta di questa attenzione andrà a riflettersi positivamente sul lavoro: più accresciamo la qualità del nostro relazionarci, più questa qualità potrà fiorire nelle nostre proposte e nel modo in cui queste saranno recepite.

Infine l’esperienza.
La formazione è tale solo se abbraccia quel moto continuo di approfondimento e al contempo messa in discussione dei contenuti appresi. Questo può essere fatto solo nella pratica e costituisce insieme la bellezza e la “fatica” di questo lavoro.
Nell’azione concreta, svolta sul campo, ciò che avviene è una vera e propria mescolanza, un passaggio di sapere e di sentire. Per dar luogo a questo passaggio occorre avere la giusta postura, occorre che ci si ponga cioè in totale sintonia con le potenzialità dell’espressione personale di chi abbiamo di fronte, nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze.

Il corpo è la casa di ogni persona. È attraverso il corpo che agiamo il mondo.
Quando i/le bambin_ scelgono di donarci la loro danza (in un laboratorio, a casa, a scuola, nel museo, per strada), stanno agendo il mondo secondo il loro modo, unico e irripetibile, di sentire ciò che li circonda. E ci stanno rendendo partecipi di questo. È un momento delicato e prezioso, che ci conduce, come formatrici, ad un’assunzione di responsabilità.
Se infatti non ci faremo trovare pronte a custodire e valorizzare ogni momento, questi andranno sprecati senza lasciare una traccia significativa.
Al contrario, complice uno sguardo allenato e una mente adattiva, se sapremo fare tesoro di quegli importanti attimi in cui bambine e bambini si svelano al nostro sguardo, e soprattutto a loro stessi, avremo forse in piccola parte contribuito alla loro auto-consapevolezza aggiungendo un tassello importante nella loro crescita.

Per chiunque si muova quotidianamente in una rete fitta e variegata di relazioni (affettive, professionali, occasionali) non sempre è garantita la possibilità di dedicare lo “sguardo migliore” a chi si incrocia nelle traiettorie della vita.
Ma in virtù dell’importanza del nostro ruolo, auspico per noi che lavoriamo con l’infanzia che la tensione verso quella cura possa accompagnarci sempre.
Solo attraverso di essa credo possa nascere quel “noi” in cui le generazioni si incontrano sviluppando e creando conoscenza.
La ricompensa per questo immenso, difficile obiettivo vale lo sforzo richiesto per tendere verso un desiderio di contaminazione reciproca come educatrici e come abitanti della comunità, dando un senso profondo al nostro agire.

Luci su Marte ha scritto e danzato per:

2019
La ForestaImmagina Festival delle storie illustrate (Lucca)
Fermi tutti! — MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna
Workshop realizzato in collaborazione con l’associazione Senza Titolo
Di diversa natura. Tracce e segni in movimentoPirelli HangarBicocca (Milano)
Workshop realizzato in collaborazione con il Dipartimento educativo a partire dalla mostra A Leaf Shaped Animal Draws The Hand di Daniel Steegmann Mangrané
Corpi umani — ArtDate Festival di Arte Contemporanea (Bergamo)
Realizzato in collaborazione con The Blank Contemporary Art e accessibile anche ai/alle bambin_ sord_, grazie alla presenza dei/delle mediatori/mediatrici culturali LIS

2020
Dolce far… tanto — Ludosofici (Milano)
Progettazione workshop per la newsletter FarFarFare
Danze aliene — Immagina Festival delle storie illustrate (Lucca)
Progettazione workshop per la rubrica Contatto

2021
Vicini Lontani. Movimenti ad arte — Pirelli HangarBicocca (Milano)
Workshop online realizzato in collaborazione con il Dipartimento educativo a partire dalla mostra Short-circuits di Chen Zhen.
Da brezza a tempesta — Ludosofici (Milano)
Progettazione workshop per la newsletter FarFarFare, liberamente ispirato all’opera Aerographies di Tomàs Saraceno.

Bibliografia
Bishop C., Black Box, White Cube, Gray Zone: Dance Exhibitions and Audience Attention, in «TDR: The Drama Review», 62 (2), pp. 22-42, 2018.
Dewey J., Arte come esperienza, Aesthetica edizioni, Palermo 2009.
Chernetich G. C., Danza e museo in osmosi. Jérôme Bel al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, in «Mimesis Journal», 8, 2, 2019.
Cimoli A. C. (a cura di) Che cosa vedi? Musei e pubblico adolescente, Nomos Edizioni, Milano 2017.
Forti S., Thinking with the Body, Hirmer Publishers, Monaco di Baviera 2014.
Franco S., Danza, performance e museo: prospettive in mostra, in «Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni», anno XII, 12, pp. 217-236, 2020.
Gamelli I., Il piacere del movimento nella cornice della pedagogia del corpo, in «Formazione e Insegnamento. Rivista internazionale di Scienze dell’educazione e della formazione», 14 (3), 2016.
Giuliani G., Pandemica: a six-handed study, in «From the European South. A transdisciplinary journal of postcolonial humanities», 7, pp. 7-19, 2020.

Lucia Sauro è danzatrice e pedagogista del movimento. Frequenta la SEAD, ottiene il Professional Development Certificate presso la Jasmin Vardimon Company e l’attestato in Pedagogia Artistica del Movimento in età evolutiva La Danza Va a Scuola. Con Marta Tedolfi crea, nel 2019, il progetto interdisciplinare Luci su Marte e nel 2020 si unisce all’équipe pedagogica dell’Associazione Choronde Progetto Educativo. Coniuga il palco con progetti nazionali ed internazionali in cui sviluppa la sua ricerca nell’ambito della danza educativa e di comunità. Vive e lavora a Roma.

Marta Tedolfi è educatrice e storica dell’arte. Nel 2016 inizia a lavorare per il Dipartimento educativo di Pirelli HangarBicocca dove si occupa della progettazione e conduzione delle attività didattiche per scuole e famiglie. Tra il 2018 e il 2019 collabora con la Fondazione Franco Albini. Con Lucia Sauro crea Luci su Marte, un progetto interdisciplinare rivolto a bambin_, ragazz_ e adult_, con l’obiettivo di esplorare nuove forme di fruizione degli spazi della cultura attraverso workshop incentrati sul movimento. Vive e lavora a Milano.