© Stijn Grossens
.Una zona della Basilicata interna – quella parte di Italia di cui si parla solo d’estate – che cerca di coniugare arte, petrolio, natura.
Il paesaggio è connotato dalla diffusa presenza dell’arcaico – e il petrolio ne è residuo impuro – da una memoria tenacemente attaccata alla roccia, evidente eppure segreta come una sensazione latente: gli stessi calanchi di Primo Levi.
A Montemurro, sulla diga del Pertusillo, la “Scuola del Graffito” tenta di ibridare i segni di questa memoria con i linguaggi contemporanei, recuperando la relazione con la materia, con la terra e con le pietre -calcite, arenaria e ossidiana – attraverso la pratica dell’arte.
In questi territori, storicamente percepiti come immobili e marginali si sperimenta una nuova centralità di area vasta, attraverso un equilibrio tra urbano e rurale, facendo esperienza di una nuova accezione della categoria del “locale”, che non sia solo quel pezzo di mondo assistito ed immobile delle pensioni e del pubblico impiego, delle ore a giocate a carte fuori al bar, dei “clandestini” del progresso, dei ragazzi che scappano, del muro di Avellino (quel fenomeno urbanistico per cui è così complicato muovere idee, merci, flussi, dall’esterno all’interno, dalle città di mare all’Italia interna), ma si proponga come humus di operosità e coesione comunitaria.
Lo sviluppo non è solo questione di utilità funzionale, ma anche di capitale sociale, cioè di individuazione ed accompagnamento di quegli attori capaci di moltiplicare fiducia e coesione, ed i linguaggi dell’arte ne possono essere detonatore gentile, non solo la forma più raffinata di rendita finanziaria..
Nata nel 2003 per volere del suo fondatore Giuseppe Antonello Leone,
questo della Scuola del Graffito è un laboratorio di sviluppo territoriale dalle caratteristiche in tutto e per tutto peculiari.
Il paese di Montemurro diviene un laboratorio culturale che si pone il fine di coniugare la riscoperta di tecniche antiche e i linguaggi delle nuove tecnologie: riscoprendo una tecnica arcaica, assolutamente unica, e rendendola una modalità di fare arte non come strumento di esclusione elitaria, ma come strumento di condivisione simbolica (e materiale) con cui tentare di rammendare il territorio attraverso una nuova storia di creazione collettiva e partecipata. Storia incredibilmente calzante nel contesto attuale dell’industria culturale, in cui gli individui creativi e le imprese innovative sono i driver di sviluppo e crescita, sostenuti dal moltiplicarsi delle occasioni di collaborazione e condivisione che rendono possibile lo scambio di conoscenze tacite.
Il graffito polistrato consiste in una pratica in un certo senso opposta alla pittura, o meglio a metà strada tra pittura e scultura, un lavoro per sottrazione attraverso lo scavo di un palinsesto di strati di malte colorate. La sabbia, in questo processo, è in assoluto un elemento smart, in cui è sedimentato un nucleo di conoscenza millenaria, assolutamente inscindibile dalla dimensione locale, ma che si riscrive di continuo, proprio attraverso le iniziative, in primo luogo paiedeutiche, della Scuola del Graffito.
Non solo perché la Scuola ha portato oltre 50 artisti italiani ed internazionali a realizzare opere installate nel centro abitato, facendo del centro della Val d’Agri un museo a scala urbana in continua evoluzione, ma per la volontà di essere laboratorio territoriale permanente, ed in rete con le numerosissime realtà ad essa prossime, come la Fondazione Leonardo Sinisgalli, il progetto “I luoghi della Pittrice” [http://luoghidellapittrice.com/], ma anche i vicini calanchi di Aliano e le suggestioni di Craco. La stessa volontà necessaria nel cercare un trade-off ottimale, un mix tra beni materiali e beni immateriali, attraverso laboratori membrana delle comunità a forte vocazione sostenibile, aperte e con la visione di area vasta non più come marginalità ma come centralità di reti ecologiche e culturali, capaci di riconoscersi nel potenziale territoriale fino ad elaborare o inventare una nuova identità senza perdere memoria (Persico) [https://vimeo.com/66473158]. Con le parole di Gilles Clement (2006): “Pensare al margine come un territorio di ricerca sulle ricchezze che nascono dall’incontro di ambienti differenti.”
L’edizione 2015, proprio in questa ottica, porta il titolo “Rurale Contemporaneo”, come invito a visitare con occhi contemporanei il paesaggio complesso del rurale delle aree interne in termini culturali, ambientali, sociali e antropologici, secondo l’idea sviluppata con l’economista Pasquale Persico, l’artista Mimmo Longobardi e l’urbanista Nicola Giuliano Leone. Sei artisti hanno preso parte all’edizione di quest’anno, eterogenei per provenienza e ricerca espressiva (Beatriz Camussy, Carlos Yamil, Gerardo De Castillo, Riccardo Maniscalco, Salvatore Manzi, Patrizia Grieco) in dialogo – come si evince dal film di documentazione – con urbanisti, economisti, chimici, altri, infine, con l’ambiente ed il paesaggio.
Anche in seguito all’inserimento dell’iniziativa nella rete AIR – la rete europea delle residenze d’artista [https://www.thatscontemporary.com/artinresidence] – l’edizione di quest’anno si pone come un nuovo punto di partenza, che sappia anche esprimere il potenziale della Scuola fuori dalla stagionalità, da quell’estate che sembra fatalmente essere l’unica stagione di cui si parla del sud e delle aree interne, facendosi reale prospettiva per chi a Montemurro ed in Lucania voglia rimanere..
In una fase del capitalismo in cui la produzione di valore è strettamente connessa alla capacità di produrre conoscenza, bene che si nutre di processi collaborativi – come descritto in maniera eccellete da Maurizio Busacca sulle pagine digitali di “Che Fare” [https://www.che-fare.com/coworking-come-nuovo-laboratorio-dellinnovazione/] – una visione nuova deve attribuire alle aree vaste una nuova capacità di cucire il potenziale delle regioni economiche di riferimento, rompendo la dicotomia urbanizzazione e campagna, in cui la seconda è intesa come altro dallo sviluppo, affidando al concetto di città-paesaggio (sempre con le parole di Persico) il compito di investire in una nuova forma di fabbrica territoriale che tenga nel sistema produttivo il valore etico della produzione di ricchezza. Una produzione che contenga saperi e valori di cucitura del tessuto sociale ed istituzionale, che sappia trovare il punto di equilibrio tra petrolio, eolico ed industrie culturali. Questo possibile punto di equilibro è possibile sempre di più attraverso quelle che Ezio Manzini definisce “comunità creative”, avamposti di una nuova socialità che in ottica di progettualità diffusa – design thinking, diffusione e democratizzazione della capacità progettuale – sperimentano nuove pratiche attraverso sistemi collaborativi, tesi contemporaneamente a risolve problemi e generare socialità, un’altra tipologia di bene non finito. Bisognerà sperimentare nell’immediato, sempre nella dialettica espressa da Manzini [http://www.slideshare.net/ProgettoRENA/ezio-manzini-innovazione-sociale-design-e-prosperit], se queste aggregazioni di socialità e sapere da laboratorio quale sono, possano trasformarsi in futuro in entità più sistematiche, in nuovi modi di fare [nota]. In questo senso, Fabrizio Barca, uno dei pochi ad aver ascoltato la voce delle aree interne a livello istituzionale, parla di necessità di uno “stato sperimentatore”, un centro che vada alla ricerca del meglio delle aree interne in termini di pratiche, avvalorando finalmente il locale come humus di operosità e coesione comunitaria. Aldo Bonomi a questo proposito parla di Smart Land: un territorio racconta sempre la sua contemporaneità, la sua capacità di produrre, attraverso un nuovo sentire, una nuova “geografia” da scrivere, in cui vanno immaginati nuovi confini per ri-semantizzare il territorio.
nota: La volontà di cessare di subire passivamente e acriticamente i cambiamenti è un tratto caratteristico a molti innovatori, soprattutto quando rifuggono dal cliché di incardinare il racconto su improvvisi e catartici momenti di cambiamento e accettano la sfida di vivere nella confusione e nell’ambiguità spontanea dei cambiamenti continui. (Busacca 2015).
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http://www.svimez.info/images/RAPPORTO/materiali2015/2015_07_30_anticipazioni.pdf.
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Pasquale Napolitano è studioso di visual design e multimedia art. E’ docente di Digital Video presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, all’interno del corso di Nuove Tecnologie dell’Arte. E’ borsista presso l’Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo del CNR. Artista multimediale, video-maker e video-artista, partecipa a numerose mostre, rassegne, residenze, ha partecipato ad alcuni dei festival di new media art più significativi in ambito italiano ed europeo.