(IM)MOBILITY
Locative Arts. Mapping, Activism and Mobility in the project Transborder Immigrant Tool
di Paola Bommarito

La diffusione dei media locativi1, dei ricevitori GPS presenti oggi nei nostri smartphone e dei dispositivi informatici location-aware, ci ha permesso di produrre autonomamente informazioni cartografiche e di localizzare digitalmente oggetti, luoghi o spostamenti. La possibilità e di riprodurre una mappatura creativa dello spazio ha aperto un nuovo campo di sperimentazione per le pratiche artistiche che dal 2004 ha assunto il nome di Locative Arts. In un articolo dall’omonimo titolo il ricercatore inglese Drew Hemment ne presenta un’ampia panoramica, discute diversi temi centrali per l’arte locativa citando numerosi progetti artistici degli anni 2003 e 2004. I movimenti esplorativi dell’arte locativa vengono collocati da Hemment tra la comunicazione della rete e le arti del paesaggio e dell’ambiente. Al contrario della Net Art, i cui contenuti trovano luogo nello spazio di Internet, la Locative Arts è l’arte dei sistemi mobili e senza fili. «Locative art and locative media are less focused on positioning than on the preconditions of moving or being able to move»2. Per tracciare un modo di orientarsi attraverso queste nuove pratiche artistiche Hemment stila una classificazione dei progetti locativi3 citando tre categorie: quella del Mapping, della Geo-Annotation, e infine l’Ambulant. La Mappatura digitale è al centro di numerosi progetti locativi. Un approccio che è diventato comune è quello di generare disegni su una mappa tracciati da persone che si spostano attraverso l’ambiente fisico. Una mappatura che non avviene secondo i termini della topografia istituzionale, ma tenendo in considerazione le direzioni che si è portati a prendere dentro e fuori un determinato territorio. Ne viene fuori un disegno dell’ambiente che non è dettato dai confini geografici, ma dai movimenti temporanei e instabili, umani, che lo attraversano. La Geo-annotazione si configura come una pratica in grado di “annotare” dei contenuti digitali all’interno di una mappa. A video, foto, immagini o file audio sono assegnate coordinate spaziali che, attribuendo a tali contenuti una posizione, e li rendono accessibili da diversi dispositivi. In questo modo i contenuti digitali assumono una doppia posizione: quella reale, presente in un database virtuale e quella trasposta nell’ambiente fisico. L’ultima categoria citata da Hemment, la Ambulant4, è strettamente connessa alle categorie del Mapping e della Geo-Annotation e concerne la pratica del camminare. Questi progetti producono percorsi per descrivere o elaborare un determinato ambiente, l’utente sarà essere guidato in una passeggiata attraverso l’ascolto di un monologo audio, potrà incontrare lungo il cammino dei media interattivi o avrà la possibilità di scegliere un proprio percorso tra una serie di possibilità predeterminate. È il movimento dell’atto dell’attraversare il punto cardine di questo processo che produce azioni che intendono provocare una continua mutazione del paesaggio.
Un aspetto che appare centrale e che accomuna numerosi progetti di arte locativa è l’elaborazione collettiva dell’esperienza estetica, ed è ciò che Hemment chiama Social Authoring. In alcuni progetti d’arte locativa l’obiettivo è quello di aprire uno spazio sociale consentendo alle persone di produrre i propri contenuti all’interno di tale ambiente. «Locative arts can then come to be seen not as distanced from the world but as offering a potential for transformation and engagement, opening up other places, their contents circulating through locationaware networks, producing a field of relations and affects»5. Si tratta di un intervento che è allo stesso tempo spaziale e sociale in cui la partecipazione pubblica e collettiva diviene di centrale importanza.

Una peculiarità dell’arte locativa è la tipologia di ambiente in cui trovano luogo tali pratiche, in cui gli spazi fisici, abitati, e gli spazi digitali dei dispositivi mobili coincidono. Nel libro dedicato alle Spatial Practices6, Cecilia Guida nell’introdurre i progetti di arte locativa inizia col definire post-pubblico questo ambiente basato sul rapporto tra spazio fisico e virtuale. «Il termine “post-pubblico” non indica tanto una rottura o un distacco radicali dal pubblico quanto piuttosto una ridefinizione dello stesso con l’affermazione di una nuova modalità del vivere contemporaneo, che si caratterizza per un’azione di spostamento continuo dal mondo reale a quello virtuale, in cortocircuito tra loro. […] “Post-pubblico” può essere inteso, quindi, come uno spazio in movimento e di interazione tra quello percepito, progettato, praticato fisicamente e quello elettronico»7. Questa nuova tipologia di spazio si basa, dunque, sul rapporto che intercorre tra le nuove forme di relazione di cui si fa esperienza nei networks digitali e le azioni sociali collaborative che avvengono nei luoghi della città. La produzione di questa spazialità alternativa è al centro di numerosi studi: ad esempio il sociologo Manuel Castells teorizza una forma spaziale che scorre (space of flows)8 identificandola con la logica dominante nella società delle reti. Questo spazio viene concettualizzato da Castells come l’organizzazione materiale delle pratiche sociali time-sharing che funzionano attraverso flussi. La ricercatrice statunitense Adriana de Souza e Silva utilizza il termine Hybrid Spaces per definire quegli spazi che emergono dal rapporto tra fisico e digitale, che riguardano la mobilità e sono prodotti attraverso azioni sociali e culturali. «Hybrid spaces arise when virtual communities (chats, multiuser domains, and massively multiplayer online role-playing games), previously enacted in what was conceptualized as cyberspace, migrate to physical spaces because of the use of mobile technologies as interfaces. Mobile interfaces such as cell phones allow users to be constantly connected to the Internet while walking through urban spaces»9. La nozione di spazio ibrido proposto da Adriana de Souza e Silva ci invita a riflettere sul rapporto contingente tra gli sviluppi delle nuove tecnologie e il nostro desiderio di localizzare ed essere localizzati. Gli spazi ibridi sono località in transito, spazi mobili non determinati a priori ma costruiti sulle traiettorie delle persone, ambienti sociali creati dalla mobilità degli utenti costantemente collegati tramite dispositivi di tecnologia mobile.

Se i progetti di arte locativa si basano sui dispositivi mobili, in particolar modo il GPS, un sistema di posizionamento globale e di navigazione satellitare gestito dal governo degli Stati Uniti, e sul loro utilizzo nello spazio pubblico, in che modo tali pratiche possono appropriarsi di questi dispositivi, posti sotto il controllo occidentale, per utilizzarli nell’interesse di una più ampia gamma di azioni sociali? Un esempio di progetto artistico che utilizza i media locativi con finalità di responsabilità sociale, che mostra un aspetto politico legato alle pratiche di attivismo, è il progetto di Micha Cárdenas, Ricardo Dominiguez, Jason Najarro e Brett Stalbaum che si sviluppa nel 2007 e prende il nome di Transborder Immigrant Tool. Il progetto si appropria dei media locativi per richiamare l’attenzione sulle pratiche di continuità e discontinuità nell’attraversamento degli spazi, attraverso una modalità che Rowan Wilken descrive come «the more experimental, speculative and emerging area of mobile media development»10, partendo dal presupposto che tali movimenti siano resi attraverso relazioni di potere. Il progetto nasce all’interno dell’Università di San Diego in California con l’obiettivo di assistere i migranti mentre viaggiano nella regione di confine tra Messico e Stati Uniti. Attraverso l’utilizzo di telefoni cellulari a basso costo, ma dotati di GPS, di una bussola, una mappa interattiva aggiornata in tempo reale e un sowftware sviluppato appositamente, gli utenti vengono facilitati nell’orientarsi in quella determinata area e nell’individuare luoghi sicuri o risorse. Ad esempio per trovare un luogo in cui è presente l’acqua basterà digitare la parola o semplicemente pronunciarla: l’interfaccia visiva mostrerà la bussola che indicherà la direzione e la vibrazione del telefono sarà più intensa quanto più ci si avvicinerà a quel luogo.
Transborder Immigrant Tool si occupa delle implicazioni politiche che la prassi del confine assume in una società delle reti mobile. Richiama l’attenzione su quei protocolli di transito nelle frontiere, sul come essi siano creati per garantire un passaggio sicuro per alcune categorie di viaggiatori, mentre tutto ciò crea altre categorie il cui viaggio risulta più sospetto e rischioso. In un articolo sul progetto la ricercatrice Fernanda Duarte afferma che «The Transborder Immigrant Tool exposes the occluded conditions of mobility across the border and questions the differential rights to mobility and uneven agency regarding voluntary movement, when locational information belongs not only to law enforcement but also to immigrants»11. Fornendo l’accesso a un sistema di informazioni lo strumento del Transborder Immigrant Tool mira a disturbare le dinamiche di potere egemoniche che determinano chi ha il controllo dei propri spostamenti e chi non ce l’ha. La Duarte analizza il progetto ponendosi due domande fondamentali: Quale politica di mobilità viene esercitata attraverso i protocolli tecnologici che regolano il valico delle frontiere? e in che modo le pratiche che utilizzano i media locativi possono violare tali protocolli per produrre una forma di sovversione e resistenza politica? L’attraversamento del confine, che avvenga attraverso procedure legali nei varchi ufficiali di frontiera o illegalmente nelle zone più periferiche, in ogni caso presuppone la mobilità di un corpo che è chiamato a rispondere a questo ambiente fisico e sociale. Lo strumento di geolocalizzazione in questo caso risulta funzionale nel provocare norme e convenzioni, nel disturbare il presunto ordine vigente mettendo in risalto le lacune che esistono e le violazioni che possono esistere negli attuali protocolli in vigore.
Il progetto Transborder Immigrant Tool ha ricevuto una notevole attenzione durante tutto il suo sviluppo. Nella prima fase è stata realizzata una mappatura della zona di confine tra Messico e Stati Uniti, registrando e annotando sia le infrastrutture che avrebbero potuto interferire nel valico di frontiera, per esempio le diverse pattuglie di controllo, sia i luoghi con le risorse che avrebbero facilitato il passaggio, come appunto la disponibilità di acqua e cibo. In seguito vi è stata la programmazione dell’applicazione software e i vari test in loco. Infine il progetto mirava alla condivisione e distribuzione dell’applicazione alle comunità di migranti. Lo strumento risulta ancora non ampiamente disponibile, ma sul sito walkingtools.net è possibile visualizzare lo sviluppo del codice open-source e accedere a un download gratuito del kit con l’obiettivo di incoraggiare la sua adozione in altre regioni di confine.
Transborder Immigrant Tool manifesta degli obiettivi che sono estetici, artistici e anche politici nel momento in cui si configura come un intervento tattico di turbamento dell’ordine in uno dei corridoi transnazionali più problematico. Il progetto è un ottimo esempio di quello che Andrea Zeffiro definisce come Locative Praxis: «a conceptual framework for understanding the ways in which experimental locative media might engage in political and cultural activism and dissent»12. La prassi locativa articola una dimensione politicizzata dei media locativi e incoraggia uno scambio continuo tra essi e le potenzialità di una forma d’arte attivista13Transborder Immigrant Tool dimostra che il transito in luoghi fisici attraverso i dispositivi mobili s’inscrive all’interno di un’infrastruttura sostanziale e in meccanismi politici ed economici di controllo. Un’ulteriore aspetto interessante del lavoro è il modo sottile e poetico in cui il progetto si confronta con la fallacia delle frontiere sotto il capitalismo globale. Una poetica capace di sollevare quegli elementi simbolici legati alle urgenze, le conseguenze e le potenzialità insite negli spazi di confine.

Il campo emergente sugli studi della mobilità introduce un approccio che riconosce che il disegno dei confini è legato a varie formalizzazioni, leggi e protocolli ed è prodotto da una tensione tra mobilità e territorializzazione. Un confine di Stato è una struttura materiale immobile, che genera e incarna rappresentazioni del potere tradotti in modelli fissi di movimento attraverso i territori. Così come le frontiere sono costruite in base a relazioni di potere, anche i movimenti delle persone sono ugualmente modellati da queste relazioni: la loro permeabilità cambia a secondo diverse questioni quali l’origine, le motivazioni, le caratteristiche sociali. Le forze politiche che entrano in gioco nella costituzione delle pratiche di mobilità sono definite dal geografo Tim Cresswell come un intreccio tra il movimento fisico di un corpo, le rappresentazioni che ne risultano e le pratiche date dell’esperienza del movimento. Queste dimensioni (il corporeo, il discorsivo e il performativo) costituiscono un quadro di fondo utile a Cresswell per tracciare i sei elementi per una politica della mobilità, che espone attraverso altrettanti interrogativi: Perché una persona o una cosa si muovono? A quale velocità? Qual è il ritmo secondo cui essi si muovono? Che percorso prendono? Come si sentono mentre si muovono? Quando e come ci si ferma?14 Cresswell sostiene che la dimensione pratica della mobilità è una continua negoziazione tra la capacità sensoriale posseduta dal corpo biologico e il costrutto sociale in cui questo corpo è stato formato. Muoversi attraverso le frontiere è un atto che coinvolge non solo la dislocazione fisica, ma anche un’ecologia politica costruita sulla finalità del movimento.

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1 L’espressione Locative media è utilizzata per indicare l’impiego di tecnologie mobili basate sulla localizzazione per i servizi di monitoraggio e navigazione satellitare. Il termine locative media è stato coniato da Karls Kalnins nel 2001 per descrivere una nuova categoria di media art che esplora la relazione tra lo spazio virtuale e quello fisico. Per un maggiore approfondimento sugli sviluppi dei locative media si veda: Marc Tuters, Karzys Varnelis, Beyond Locative Media: Giving Shape to the Internet of Things, in Leonardo (The MIT Press), Vol. 39, No. 4, August 2006. pp. 357-363.
2 Drew Hemment, Locative Arts, in Leonardo (The MIT Press), Vol. 39, No. 4, August 2006. p. 349.
3 Tra i maggiori progetti artistici che utilizzano i media locativi si vedano: Jeremy Wook, GPS Drawing; Ester Polak, Amsterdam Realtime; Proboscis, Urban Tapestries; Blast Theory, Uncle Roy All Around You; Christian Nold, Crowd Compiler.
4 La creazione di mappature temporanee, in cui vengono tracciate delle conformazioni provvisorie, definite dall’attraversamento che modifica il paesaggio, richiama quelle pratiche sviluppate dall’Internazionale Situazionista della deriva e della produzione di mappe psicogeografiche.
Drew Hemment, Locative Arts, cit., p. 354.
6 Cecilia Guida, Spatial Practices. Funzione pubblica e politica dell’arte nella società delle reti, Franco Angeli, Milano 2012.
Spatial Practices è una parola chiave utilizzata dalla Guida per indicare la compresenza dello spazio e del tempo nelle esperienze estetiche degli spazi pubblici della città postmoderna e della Rete. Sono pratiche non oggettuali ma esperienziali che occupano gli spazi della vita e della comunicazione contemporanea.
7 Ivi, p. 178.
8 Manuel Castells, The Rise of The Network Society: The Information Age: Economy, Society and Culture. Wiley-Blackwell, 2000.
9 Adriana de Souza e Silva, From Cyber to Hybrid. Mobile Technologies as Interfaces of Hybrid Spaces, in Space and Culture, Vol. 9, n. 3, August 2006. p. 261.
10 Rowan Wilken, A Community of Strangers? Mobile Media, Art, Tactility and Urban Encounters with the Other, in Mobilities 5, n. 4, 2010. p. 450.
11 Fernanda Duarte, Rerouting borders: politics of mobility and the Transborder Immigran Tool, in Adriana de Souza e Silva, Mimi Sheller (edited by), Mobility and Locative Media. Mobile communication in hybrid spaces, Routledge, New York, 2015. p. 74-75.
12 Andrea Zeffiro, Locative Praxis: Transborder Poetics and Activist Potential of Experimental Locative Media, in Rowan Wilken, Gerard Goggin (edited by) Locative Media, Routledge, New York, 2015. p. 68.
13 Andrea Zeffiro nel suo saggio collega il progetto Transborder Immigrant Tool a una più grande traiettoria artistica e attivista che lavora intervenendo all’interno degli spazi di confine e delle narrazioni migranti. Individua come antecedente del progetto progetto Transborder Immigrant Tool il lavoro di Krzysztof Wodiczko, Alien Staff (1992-1993) e cita tra i progetti che indagano un possibile sviluppo dell’arte locativa come attivismo politico il lavoro di Julian Oliver, Border Jumping (2013).
14 Tim Cresswell, Towards a politics of mobility, in Environment and Planning D: Society and Space, vol. 28, February 2010. pp. 17-31.