1_Un’introduzione
Non c’è niente, in verità, tanto difficile quanto ridere e far ridere, ma non
esiste qualità che valga di più. È una lama che recide ciò che è superfluo,
riproporziona e restituisce giusta misura e sincerità alle nostre azioni e
alla parola scritta e parlata.
Virginia Woolf, The Value of Laughter [1]
Nell’articolo The Value of Laughter, apparso sul Guardian il 16 agosto 1905, Virgina Woolf descriveva la fondamentale potenzialità dell’ironia, in equilibrio delicato tra commedia e tragedia, nel rivelare l’umanità al di là delle ipocrisie e dei modelli culturalmente costruiti. Un valore prezioso ma, scriveva la Woolf, negato alle donne: “Il pericolo è che possano ridere, come il bambino nella favola di Hans Andersen, che notava apertamente che il re era nudo, mentre gli adulti ne ammiravano lo splendido abbigliamento – che non esisteva”.
Silvia Gribaudi è una delle poche danzatrici e coreografe contemporanee, nel panorama italiano ma non solo, che osa fare dell’ironia il fulcro della propria ricerca intrecciandola al movimento, alla danza e alla performance.
A partire dal 2009 ad oggi Gribaudi ha creato diversi spettacoli che hanno messo in discussione le categorie culturali di bellezza, le differenze di genere, i ruoli di potere, gli stereotipi della danza, i cliché che ingabbiano i nostri corpi in canoni prestabiliti di prestanza, età, capacità [2].
Nella varietà di questo percorso, c’è stato un progetto che ha attraversato gli anni (dal 2011 al 2023) come un fiume carsico: il Laboratorio Over60, aperto a gruppi di donne con più di 60 anni, su chiamata pubblica e partecipazione gratuita, in molte città di italia e all’estero [3].
L’attività ha creato un filo rosso nella ricerca dell’artista, collezionando sperimentazioni che hanno plasmato anche la pratica artistica di Gribaudi, il suo modo di essere performer e coreografa.
Perchè questo progetto si è mantenuto vivo e bruciante in questi anni?
Come azione di “agopuntura sociale” [4], che energie smuove e quali cortocircuiti mette in atto nei territori?In dialogo con Gribaudi, si è provato a osservare il progetto retrospettivamente, ripercorrendolo attraverso alcune testimonianze e alcuni appunti del laboratorio, senza presunzione di esaustività, ma seguendo il desiderio di raccogliere riflessioni e stimoli per ulteriori ricerche che possano aprirsi al contributo della collettività.
2_Cosa accade nel laboratorio
Dagli appunti del progetto Over60: Parole chiave per il metodo coreografico durante il laboratorio.
Divertire: cioè spostare ridendo.
Sorprendere: cioè destrutturare le aspettative.
Vedere: aprire lo sguardo alle forme che sono apparentemente fuori dai canoni.
Rinforzare la muscolatura nell’azione, ma senza accorgersene: il divertimento che sposta la fatica.
Corpo ed emozione: non dissociare il corpo e la sua prestazione dalle emozioni e viceversa.
Ascolto: ricercare una conduzione che curi l’ascolto del gruppo e dei suoi bisogni.
Empatia: se durante il laboratorio chi conduce si diverte e fa un atto personale di trasformazione, chi partecipa farà altrettanto.
Il laboratorio, fin dalla sua prima edizione a Bassano Del Grappa nel 2011, nasce in ogni sua tappa da una chiamata pubblica aperta a donne Over 60 del territorio, che vogliano partecipare ad alcuni incontri di espressione corporea condotti da Silvia Gribaudi. Un progetto di formazione, con anche la possibilità, per chi lo volesse, di partecipare ad un’azione performativa pubblica. La libertà di scegliere se partecipare o meno, se restare agli incontri o andarsene, se performare o no, è una delle regole costanti e valide in ogni momento del laboratorio (anche fosse nel momento esatto di andare “in scena”).
Gribaudi nel 2011 ha 38 anni: “la persona settantenne era per me un mistero da scoprire e mi incuriosiva capire cosa sarebbe successo nel rompere gli schemi, facendo blitz performativi nei supermercati o nelle piazze, nei teatri e nei paesi per scuotere e rivitalizzare i luoghi destrutturando le aspettative. Usando il divertimento come atto per liberare il corpo”.
Rossella Kohler, una delle partecipanti dei laboratori tenutosi a Verbania, scrisse nel proprio blog [5] una presentazione di quello che era stato il lavoro per lei: “Si è costituito un gruppo di donne di ogni tipo, dai 60 anni fino a più di 80. Un gruppo molto composito, di donne con esperienze e occupazioni diverse, in ogni caso donne allegre pronte a mettersi in gioco, e anche donne che non si sentivano per niente pronte ma che comunque l’hanno fatto. Molte di loro si aspettavano un corso di ginnastica per anziani o poco più, e invece si sono trovate a superare ogni diffidenza e a giocare con il proprio corpo come solo i bambini e i saltimbanchi sanno fare. Laboratorio? Movimento? Danza? Teatro? Abbiamo fatto tutto questo, e anche mimo e clownerie. Siamo partite da gesti abituali per costruire una coreografia, abbiamo usato la voce e le espressioni del volto, abbiamo inventato passi di danza e siamo entrate in relazione tra noi. Abbiamo urlato, riso, ci siamo disperate. Abbiamo espresso la nostra passione con forza, la nostra eleganza con delicatezza, le nostre timidezze e i nostri NO. Abbiamo danzato su canzoni degli anni Sessanta e sonorità contemporanee, ci siamo sentite prime ballerine ed elementi di un coro greco. Niente a che vedere con le regole della danza classica, naturalmente: la bellezza che abbiamo espresso era multiforme, informale, anarchica” [6] .
Dagli appunti del progetto Over60: un esercizio del laboratorio, LA LINGUA
Quanto può essere liberatorio muovere la lingua.
MORDITI LA LINGUA prima di parlare, NON DEVI MOSTRARE LA LINGUA…
Allora ripartiamo dalla lingua, un muscolo spesso nascosto, castrato, ma legato a tante
tensioni nel collo, nella mandibola. Creiamo un esercizio:
“ e ora ragazze, lavoreremo un muscolo nascosto che usiamo poco , vabbè
dipende…ora non scendo in particolari…allora posizione gambe aperte e via!”
Si fa una grande pernacchia, un concerto di pernacchie.
Provate anche voi, davanti ad uno specchio, gambe aperte, mani sul bacino,
mentre vi guardate fate una pernacchia e poi un’altra ancora, con tutta la forza che avete.
La lingua si muove?
Per alcune la lingua usciva solo con la punta, per altre completamente..una rivoluzione
della LINGUA che portava in sè parole come:
Cosa sto facendo? Ma posso farlo? Sì. Vai, facciamo pernacchie a chi ci ha detto di non
farle! Facciamo pernacchie a quel dolore, a quella persona… sì, io ho una lingua che
può muoversi e trovare spazio.
Può leccare e divertirsi a leccare!
Può sperimentare gioiosamente tutte le sue possibilità. Come se quella lingua leccasse
qualcosa, qualcuno/a, una lingua che ritrova un suo vocabolario di sensualità,
divertimento e felicità! Combatte un grande “NO” interno e i troppi “SI” esterni che si sono dovuti dire.
Nel laboratorio, scrive Kohler, si crea “una danza scorretta fatta di movimenti corretti, di espressioni esagerate, di figure tratte dal nostro gestuale quotidiano, di geniali richiami ad un sano egoismo”.
Blitz Over60 alla COOP Adriatica di piazza dei Martiri a Bologna, per di Gender Bender Festival (2014)
Le sessioni di laboratorio sono dei riti collettivi, un flusso di azioni performative che coinvolgono attivamente chi conduce e chi partecipa, senza introduzioni verbali e consegne esplicative, dove i tabù (sia delle partecipanti che della stessa Gribaudi) sono ben presenti, ma è possibile provare a ribaltarli grazie alla cornice privilegiata in cui avviene l’improvvisazione.
Si crea uno spazio collettivo di possibilità dove “poter essere” e sperimentare, giocando a sovvertire il contesto patriarcale in cui siamo tuttə immersə.
Si gioca a diventare streghe e mostruose, a ridere di ciò che è considerato lecito ed illecito. “(..) Ci ha mostrato come far danzare pancia, seni, avambracci, facendoci un vanto di movimenti della carne che si conquistano solo con l’età, un po’ come le rughe.” [7]
Dagli appunti del progetto Over60: Nei miei laboratori ci si spoglia.
Perchè?
Perchè dire “BASTA!” alla paura di avere un corpo pieno di rughe è più forte della paura di quelle rughe.
Perchè non riusciamo a rivoluzionare il nostro sguardo sui corpi?
Cosa c’è di brutto nel corpo vecchio?
La vergogna della pancia, da nascondere, gioiosamente diventava la pancia ribelle!
L’atto sovversivo dell‘ombelico schiacciato, spento dalla pelle cadente,
ma che ondulava, felice di vedere la luce, finalmente, dopo anni di vita nel timido e buio
spazio nascosto sotto la maglietta.
Da giovani si aveva l’ombelico scoperto, braccia scoperte, mentre chi è vecchia si deve
coprire! Bisogna coprire la pelle che cade perchè è brutta!
Ma nei laboratori più la pelle cade, più diventa vibrazione, danza.
Cira Santoro [8], dopo aver partecipato ad un laboratorio, scrive “Queste signore fanno dei viaggi dalla leggerezza alla gravità e ritorno”, e interrogandosi su quale sia il portato dell’invecchiamento per una donna aggiunge “perchè quella soglia è così temibile? Una volta varcata si appartiene a un altro universo? Qual’è il trauma che contiene? L’obiettivo è sconfiggere l’età o viverla appieno liberandola dalle gabbie che la vogliono racchiudere in uno
stereotipo tutto nonna-casa-chiesa-e-pasta fatta in casa?”.
Le partecipanti al laboratorio Over60 abbandonano presto le diffidenze iniziali e portano un entusiasmo acceso, forse perchè desiderose di giocare altri ruoli al di là di quelli di nonna, madre, moglie, pensionata.
Per Gribaudi queste apparivano come “donne che percepivi essere stanche di stare nel ruolo sociale di vecchie. Cioè: no sexy, no sesso, no produttiva, finita, invisibile, ma sempre presente, sempre accogliente…BASTA!
BASTA! era la parola che emergeva nel laboratorio e al suo emergere il corpo diventava erotico, profondo, attraente, gioioso, RIBELLE. La vecchiaia può essere ribelle?”
Lo scrive con chiarezza anche Rossella Kohler dopo l’esperienza del laboratorio: “A una certa età le donne diventano elementi invisibili della società: finito l’appeal sessuale degli stereotipi, diventano esseri neutri, come se il grigio dei capelli, nonostante le tinture, si ampliasse in una vernice di invisibilità. Certo, un’ invisibilità utilissima, come babysitter dei nipoti, come badante di genitori sempre più anziani, come punto fermo delle famiglie.
Naturalmente sto generalizzando, ma il trend sociale è senz’altro questo.
Così, ben vengano laboratori come questo, che permettono di ritagliare spazi per esprimere con il proprio corpo una vitalità ancora notevolissima, che se ne frega di qualche acciacco, degli inestetismi e del giudizio degli altri. E allora impariamo a sorprenderci delle cose straordinarie che possiamo fare, sentiamoci belle e libere nei movimenti, e finiamo con un applauso diretto solo a noi” [9].
Immerse in un collettivo, stimolate dal piacere del movimento e dalla fusione dei confini tra gioco e realtà (che cosa è “vero” e che cosa non lo è in questo contesto?), dall’ironia e dall’auto-ironia che sovverte gli equilibri, si può finalmente provare a uscire dai propri schemi e sperimentare cosa si prova. Si dissente, si ride, si prende spazio e visibilità: il laboratorio diventa uno spazio di allenamento alla libertà che cambia lo sguardo, rimanendo nelle partecipanti anche quando queste ritornano nella loro quotidianità.
Dagli appunti del progetto Over60: un esercizio del laboratorio, TOO MUCH! – le parole danzano
Durante gli esercizi le parole sono catartiche.
Come?
Per es: dire YES creando movimenti con i pugni, scuotendo le braccia e piegando i
gomiti davanti al corpo, verso l’alto.
Provare a gridare con convinzione: Sì. sì!!!
Può sembrare uno slogan americaneggiante, forse in parte lo è, ma per questo ci fa divertire.
Giochiamo ad essere una motivatrice americana, ma che in parte nel profondo
tocca alcune corde intime.
YES ! Possiamo farcela ragazze!
Poi, quando il gioco diventa un inno motivazionale un po’ ridicolo, allora diciamo TOO
MUCH!, facendo un allungamento delle braccia in avanti, con le mani tese e facendo
una curvatura con la schiena.
Gli esercizi rievocano lezioni di danza e ginnastica, ma se ci uniamo le parole si
innescano emozioni profonde, si può giocare con queste.
TOO MUCH!
Ridiamo, ma allo stesso tempo diciamo anche “seriamente” al nostro sè profondo che È TROPPO!
Sì, è troppo quello che ci chiedete!
Di essere donne, madri, amanti, sempre pronte ad esserci, ad accogliere.
È troppo non essere mai abbastanza!
È troppo ricevere schiaffi fisici e morali.
E poi alterniamo: YES YES YES.
Sì, ognuna di noi sente profondamente questa affermazione.
Sì, posso essere donna dentro ad una società che mi dice NO.
La parola danzata permette un atto di liberazione in cui il corpo in movimento “diverte” e
ci porta in altro luogo, compiendo una trasformazione.
Possiamo ridere con noi stesse, ma anche ridere di tutta quella falsa formalità che ci fa
essere educate, ma che dietro di sé cela violenza.
DIVERTIRE: (ant. divèrtere) v. tr. [dal lat. divertĕre, propr. «volgere altrove», comp. di di(s)-1 e vertĕre «volgere»]
Performance del progetto Over60 a Bergamo, per Festival ORLANDO (2018)
3_Cosa succede in chi guarda
Dagli appunti del progetto Over60:
La vecchiaia è dentro la nostra vita, è parte del processo biologico del corpo e della mente.
Perchè ci si vergogna se una persona vecchia non fa quello che ci si aspetta dal comportamento di una persona vecchia?
Alcune donne sono scioccate. “Via, è troppo! Non è danza, non è arte. Questa è matta!”
Alcuni uomini passando dal parco dove lavoravamo, abbassavano lo sguardo imbarazzati.
Cosa imbarazza di una donna gioiosa e libera che mostra orgogliosamente il suo ombelico settantenne?
Cosa fa paura di una vagina vecchia? Cosa è vergognoso?
Ariadne Mikou [10], che ha seguito e osservato il laboratorio Over60 condotto a Leeds nel 2022, ha scritto un’analisi del suo funzionamento e annota che gli obiettivi del lavoro sono: “Esplorare cosa sia la bellezza / cosa sia il virtuosismo / cosa sia un’opera d’arte o una performance.
Rivoluzionare lo sguardo di chi assiste alla performance.
Collegare artist* e spettat*, creare una grande comunità di persone che danzano.
Sfidare gli stereotipi e i tabù di genere e di età.
Spostare l’attenzione istituzionale dall’esposizione del prodotto artistico alla condivisione del processo artistico.
Creare fiducia nelle persone interpreti a condividere un processo artistico.
Alimentare il piacere della danza.
Collegare e legare persone marginalizzate”
Ciascuno di questi obiettivi è diretto alle partecipanti al laboratorio/performance, ma appare chiaro come l’azione coinvolga anche anche chi assiste al lavoro, le persone che (come “pubblico”) incontrano la ricerca, le incursioni performative in spazi urbani o teatrali.
Cosa accade quando l’atto sociale del laboratorio si sposta oltre alle pareti della sala di lavoro, quando incontra la cittadinanza esterna, il pubblico incuriosito, le strutture familiari plurali delle partecipanti? Quando il “fuori” osserva le donne in rivoluzione, cosa succede in chi guarda?
I riscontri esterni che si sono raccolti negli anni, sono riconducibili a due tipologie di reazione.
C’è chi si sente nutritə dalla forza che le donne partecipanti esprimono nel superare l’eredità culturale di ruoli stereotipati. L’azione in questo caso diventa un forte stimolo ad agire un cambiamento personale, anche per chi assiste. Questo perchè quando vediamo una persona oppressa che si libera, forse possiamo prendere consapevolezza della nostra stessa oppressione e della possibilità di sovvertirla.
In altri casi, spesso a partire dalle persone più vicine alle partecipanti, emerge una reazione di
critica, dettata dall’emozione della vergogna rispetto a qualcosa (comportamenti, azioni, immagini)
che non rientrano nella consuetudine riconosciuta.
Il “cosa fai? Ma non ti vergogni?” è un tentativo inconscio di rimettere al “proprio posto” le donne che osano allontanarsi dalla posizione culturalmente accettata. Di ristabilire l’ordine conosciuto, anche se questo è spesso oppressivo per tutte e per tutti.
Accogliere una ricerca di nuovi equilibri richiede l’energia di mettersi in discussione, così come “costa” visibilizzarsi. Spesso questa fatica spaventa e sembra più conveniente, o più comodo, non uscire fuori dagli schemi, non perdere la posizione di privilegio.
Non sempre si è prontə a vedere il guadagno di libertà collettiva che questo sforzo permetterebbe.
La critica spesso è arrivata da uomini:
Dagli appunti del progetto Over60: Gli uomini raramente hanno voluto far parte del laboratorio.
Venivano piuttosto come spettatori, a guardare la moglie o la madre. A volte,
raramente, per sostenerle, ma spesso finivano per giudicarle.
Non ti vergogni mamma? Nonna? Cosa fai? Alla tua età cosa vai a fare queste cose!
Nelle città più grandi come Roma o Bologna le partecipanti potevano “disperdersi” e essere invisibili, ma nei piccoli paesi questo è più complesso. Tante avrebbero voluto partecipare, ma la vergogna era più grande e desistevano.
Vergognarsi di cosa?
Di essere libere di ballare per strada, di dire di NO: Non posso tenere tuo figlio, cara figlia, perché anche io ho una vita!
Non posso farti la cena questa sera, amore, perchè vado a fare una cosa strana, ma che mi rende felice. Vergognarsi di non essere al servizio del marito, della figlia, del nipotino.
Vergognarsi di decidere di prendere spazio per sè.
La vergogna è uno stato d’animo con cui tuttə dobbiamo fare i conti. Nasce dal timore di una condanna di tipo sociale o morale legata quindi alla convenzione culturale che decide cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Su questa cultura possiamo agire, mostrando che ci sono maggiori possibilità di quelle che vengono rappresentate, che c’è spazio per modelli e comportamenti plurali. La vergogna può forse essere accolta, elaborata, lasciata andare: possiamo creare nuove reti di autostima collettiva, allargare gli orizzonti e il respiro.
4_C’è ancora da fare. Una pratica per continuare ad allenarsi a decostruire, a svelare, a riprendere spazio
Old people dance well, not despite the fact they are old, but because they are old.
Kikuko Toyama [11]
Il progetto Over60 ha sviluppato fino ad oggi più di dieci anni di incontri e di ricerca,
attraversando differenti contesti geografici culturali. Alcune delle signore incontrate nei primi
laboratori (in particolare quello di Bologna del 2014) hanno poi seguito diverse tappe del lavoro,
in diverse città, fino ad arrivare alla produzione di un film documentario nel 2021, OVERTOUR [12],
che, anche attraverso i loro racconti, dimostra quanto il progetto abbia segnato anche la produzione artistica di Silvia Gribaudi, la sua modalità di essere performer. Altri gruppi di donne hanno invece continuato ad incontrarsi anche dopo l’incontro con Gribaudi, attraverso il lavoro di altre artiste o partecipando a nuovi progetti culturali sui propri territori.
La ricerca performativa insieme a donne over 60 continua oggi a essere un elemento di frizione creativa, un luogo di sovvertimento di stereotipizzazioni e gabbie culturali. La posizione di marginalizzazione del gruppo sociale a cui il progetto si riferisce (in cui permane un doppio stigma intersezionale: essere composto da persone non giovani che danzano, ed essere un gruppo di donne a volerlo fare) può diventare una risorsa e un punto di osservazione di potente rivoluzione. Non solo per le partecipanti, ma anche per tutte le soggettività che le incontrano.
C’è ancora molto da poter fare, creare, sperimentare. Quello che il progetto Over60 ha mostrato è quanto valore ci possa essere nella combinazione del linguaggio della danza con quello dell’ironia, che, come ci ricorda Virginia Woolf, “più di qualunque altra cosa, mantiene il nostro senso delle proporzioni”: rivela le contraddizioni e può sovvertire le dinamiche di potere.
Le donne dei progetti Over60, non giovani e danzanti, mostrano ancora oggi un universo di possibilità e di risorsa alle giovani generazioni. Insieme a loro e, perchè no, creando ibridazioni e alleanze con altre sfide sociali contemporanee, questa ricerca potrà ancora attivare nuovi cortocircuiti generativi. Nuove avventure necessarie.
Dagli appunti del progetto Over60:
Se una vecchia si spoglia è VERGOGNA.
Se una vecchia fa sesso è VERGOGNA.
Se una vecchia fa la spaccata o danza in un supermercato è MATTA.
Cosa aggiungeresti?
Nei tempi liberi fuori dal laboratorio, in viaggio o nei pernottamenti quando si era in
residenza artistica, con le signore partecipanti parlavamo di tutto, nonostante la
differenza di età, o forse anche grazie a questo.
Si parlava della loro quotidianità e delle loro sfide,
Si parlava di sesso, dei problemi con il viagra o di mariti che non lo volevano prendere
Si parlava dell’attrazione per i ragazzi giovani o meno giovani.
Si parlava dell’attrazione per le donne e di chi aveva una relazione lesbica.
Si parlava del coraggio che bisogna avere per essere vecchie.
Si parlava del coraggio che bisogna avere per essere orgogliosə di avere 60, 70, 80 anni.
Non per dimostrare di essere quello che si era da giovani, ma per scoprire i benefici della vecchiaia.
Si parlava di rivoluzioni necessarie.
OVERTOUR, trailer del film documentario di Lab 80 film (2021)
Note
[1] Virginia Woolf, The Value of Laughter, Guardian, 16 agosto 1905
[2] Alcuni dei progetti principali di questo percorso sono stati A CORPO LIBERO (2009), R.OSA (2017), GRACES (2019), MONJOUR (2021), GRAND JETÉ (2023).
[3] Dal 2010 al 2023 il progetto Over60 è stato attivato a Bassano del Grappa, Bologna, Mestre, Montorso Vicentino, Bergamo, Castiglioncello, Verbania, Terni, Narni, Pieve di Cento, Rubiera, Piacenza, Padova, Reggio Emilia, Riva del Garda, Gorizia, Genova, Parma, Roma. All’estero è stato presentato in Svezia, Bulgaria, Spagna, Belgio, Regno Unito. È stato parte del progetto europeo Act Your Age (2012-2013).
[4] Prendiamo in prestito la definizione di Darren O’Dollell, fondatore del gruppo artistico Mammalian Diving Reflex, che ha coniato questa dicitura per parlare dei propri percorsi artistici e performativi fondati sull’interazione tra performer non professionisti e pubblico delle città, nonchè sull’attivazione sociale che questi generano.
[5] Rossella Kohler (1954-2023) era geografa e geofemminista, scrittrice di autrice di testi per l’editoria scolastica e curatrice del blog Fantaticnonna.it.
[6] Nel Blog Fantasticnonna
[7] Nel Blog Fantasticnonna
[8] Cira Santoro è direttrice artistica della Città del Teatro/Fondazione Sipario Toscana di Cascina, precedentemente Responsabile del settore Teatro Ragazzi di ATER Fondazione e Responsabile del Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno. Il testo citato viene dal blog che Santoro a curato, dal titolo “guerriere e altri generi”.
[9] Nel Blog Fanstasticnonna
[10] Ariadne Mikou è artista e ricercatrice sulla danza, scrittrice e curatrice interessata a connettere la pratica di danza con la teoria. In Ottobre 2022, ha affiancato Silvia Gribaudi nel progetto Dancing The Horizontal, programma di scambio e collaborazione internazionale sostenuto dal British Council, che ha coinvolto lo Yorkshire Dance di Leeds e il CSC Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa. Il progetto aveva l’obiettivo di approfondire le pratiche artistiche di co-creazione con comunità locali di adulti e anziani, investigando come il lavoro con non- professionisti informa la pratica coreografica e possa ampliare le definizioni di bellezza ed eccellenza nella danza.
[11] Kikuko Toyama nel saggio “Old, weak, and invalid. Dance in inaction”, all’interno della collezione The Aging Body in Dance, A Cross-Cultural Perspective, ed. Routledge (New York), curato da Nakajima, Nanako e Brandstetter, Gabriele (2017).
[12] OVERTOUR, di Andrea Zanoli (Italia, 2021) è un documentario prodotto da Lab 80 film, in collaborazione con FDE Festival Danza Estate, Festival ORLANDO, Bergamo, Associazione Culturale Zebra, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino | La Corte Ospitale -Centro di Residenza Emilia-Romagna, Armunia | Inequilibrio Festival, Gender Bender Festival | Il Cassero LGBTI+ Center.
Bibliografia
Kohler R., Laboratorio di corpo visibile, nel Blog Fantasticnonna – Esperienze, 5 Giugno 2017.
Kohler R., A Corpo Libero. Il lavoro di Silvia Gribaudi, nel Blog Fantasticnonna – Esperienze, 29 Giugno 2018.
Mikou A., Unpublished report of the project Dancing the Horizontal, condotto da Silvia Gribaudi a Leeds (UK), 2022.
Santoro C., Guerriere e altri generi, blog Novembre e Dicembre 2016.
Toyama K. Old, weak, and invalid. Dance in inaction, in The Aging Body in Dance, A Cross-Cultural Perspective, ed. Routledge, New York, 2017.
Woolf V., The Value of Laughter, Guardian, 16 Agosto 1905.
Silvia Gribaudi è una coreografa italiana e artista nelle arti performative. Dal 2004 ha concentrato la sua ricerca sull’impatto sociale dei corpi, ponendo al centro del suo linguaggio coreografico l’elemento comico e la relazione tra pubblico e performer. I suoi spettacoli sono presenti in numerosi Festival Nazionali ed Internazionali e vengono realizzati in processi creativi al cui centro c’è il dialogo e l’incontro poetico con altrə artistə, compagnie e comunità.
Mauro Danesi è producer e curatore di progetti artistici. Si forma come attore presso il Teatro tascabile di Bergamo. È fondatore e curatore del Festival multidisciplinare internazionale ORLANDO (Bergamo, IT) che dirige fino al 2023. Dal 2019 lavora come manager e creative producer per la compagnia Silvia Gribaudi Performing Arts (IT), e dal 2022 per il collettivo artistico svizzero Trickster-p (CH).