*(Testo pubblicato nel catalogo della mostra da Magritte a Magritte, (a cura di Giorgio Cortenova e Charly Herscovici), Verona, Palazzo Forti, 6 luglio – 20 ottobre 1991, Gabriele Mazzotta Editore).
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René Magritte, Les Mots et les images, in “La Révolution surréaliste”, n°12, Décembre 1929
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I movimenti d’avanguardia nati e sviluppatisi nell’arco dei primi decenni di questo secolo hanno cercato un loro spazio dinamico all’interno del banale quotidiano, quasi sempre con un’intenzione eversiva. Il Surrealismo, troppo spesso erroneamente considerato francese e non francofono, ha partecipato in prima fila a questa necessità di trovare un demanio comune delle arti che ha finito per essere lo spazio normale del vissuto. Il percorso del gruppo Surrealista belga e, ancora meglio, del surrealismo bruxellese1 ha preso le mosse proprio dalla considerazione della sua esistenza non come movimento artistico ma come congregazione di “complici”2 uniti dalla comune volontà di “bouleverser” i meccanismi dell’apparente tranquillità borghese3. Appare così singolare notare come il Surrealismo di Bruxelles sia nato di fatto, come per i vicini francesi, dalla penna di alcuni intellettuali-scrittori, con la sostanziale differenza però che i belgi sono partiti dalla negazione della letteratura stessa fino al punto di rifiutarsi di pubblicare i propri testi.
La vera preistoria del gruppo di Bruxelles è contenuta in alcune riviste, fondate dai membri dello stesso gruppo, o così impropriamente definite dal momento che si presentavano sotto forma di volantini4. In pubblicazioni come Oesophage e Correspondance, e in un secondo momento in Marie, i surrealisti per la prima volta propongono una nuova forma di scrittura non-letteraria. Correspondance, fondata da Paul Nougé, Camille Goemans e Marcel Lecomte5 nel 1924, si presenta come una serie di fogli volanti, ciascuno di colore diverso, che riportano per ogni numero un brano firmato da uno dei fondatori della rivista e dedicato a uno scrittore contemporaneo. In verità i testi pubblicati sono degli autori a cui sono ironicamente dedicati e l’intervento dei surrealisti consiste semplicemente nell’averli isolati e quindi decontestualizzati modificandone il significato originario e rivelandone altre potenzialità inaspettate6. L’invenzione di Correspondance, che Marién ha attribuito con decisione a Nougé7, focalizza un punto centrale della teorizzazione che sarà di tutto il gruppo, e di Magritte in particolare: mettere a nudo quella realtà pericolosa e strabiliante che si nasconde tra le pieghe di un’apparenza che vuole sembrare logica, razionale e facilmente decodificabile. Occorre creare un’arte dello spirito che non si soffermi a riflettere su se stessa ma si faccia realtà concreta andando a insinuarsi come una piuma all’interno del complesso meccanismo della visione abituale in modo da evidenziarne la fallacità e la menzogna. La vera rivelazione è contenuta nell’esistente e il ruolo degli scrittori, così come degli artisti, è solo quello di svelare l’altra parte di realtà nascosta dietro l’opacità del normale e familiare fluire delle cose.
Fin dai loro esordi i surrealisti bruxellesi prendono le distanze tanto dal dadaismo quanto dal surrealismo francese di matrice bretoniana. Il confronto tra i diversi numeri di Correspondance e il numero unico di Oesophage diretto da Mesens, che ospita testi di dadaisti e di surrealisti francesi8 evidenzia la differenza fondamentale tra il pensiero negativo dada e la nuova “matematica” del pensiero proposta dagli scrittori raccolti intorno a Paul Nougé. In Oesophage a cui Nougé non collabora, si è mantenuta l’impostazione tipografica e concettuale del manifesto d’avanguardia caratterizzato da una enunciazione a chiare lettere, provocatoria e perentoria. La pur forte e tagliente ironia della rivista di Mesens resta però ancora lontana dall’idea di Nougé, poi pienamente condivisa e sviluppata da Magritte, di creare una letteratura non-letteraria, cosi come una pittura non-pittorica, avendo come fine ultimo non un nuovo movimento artistico ma un’arte totale. In Correspondance è evidente l’intenzione di attuare una distruzione sistematica dell’apparenza perbenista e moralista della bella letteratura, spesso populista per convenienza, dalle cui macerie occorre però partire per invitare le coscienze “entendues” a una più profonda riflessione proprio su quella realtà.
Il 1° giugno 1926 appare il primo numero, dei soli tre che ne usciranno, di Marie– Journal bimensuel pour la belle jeunesse9, codiretto da Mesens e da Magritte. Nonostante questa pubblicazione resti ancora legata al pensiero dadaista, non foss’altro che per la partecipazione di Tzara e Picabia, le collaborazioni portate da Nougé, dallo scrittore Camille Goemans, dal musicista André Souris, e dallo stesso Magritte, già fanno presagire il nuovo pensiero del gruppo che si pone, tra le righe, in una posizione addirittura opposta a quella dei dadaisti nelle stesse pagine. Già nel primo numero di Marie Magritte propone dei brevissimi aforismi che altro non sono che frasi isolate di un dialogo di un possibile uomo della strada. L’effetto deragliante e sorprendente e tratto dal semplice fatto di decontestualizzare un singolo elemento conducendo il lettore a soffermarsi più del tempo normale su un’affermazione banale come: “Il faut encore scier un barreau de l’échelle”, oppure: “Avez-vous toujours la même épaule?”10. All’inizio del 1927 Marie pubblica otto pagine di congedo della rivista dal suo pubblico con il titolo “Adieu à Marie“11. Proprio questo numero di chiusura raccoglie la partenza vera e propria del gruppo di Bruxelles: Nougé pubblica un testo dal significativo titolo “Eprouvons nos regards” Che consiste in una semplice frase, scritta però senza pause tra una parola e l’altra in modo tale da costringere il lettore a ricostruirne il senso logico, isolando a uno a uno i segni grafici e trovando il ritmo della scrittura12. Questo esercizio enigmistico presenta in effetti uno dei meccanismi basilari della scrittura e della pittura dei surrealisti bruxellesi: costringere il fruitore, attraverso una continua ginnastica mentale che spesso conduce al gioco, ad allenarsi a una certa persistenza dello sguardo che si possa trasformare in pensiero visivo.
Poche pagine dopo Magritte pubblica alcune illuminanti note sulla pittura già in perfetta sintonia con il meccanismo della scrittura proposto da Nougé: “Le mot ‘peinture’ est laide. L’on pense a la lourdeur, parfois a la prétention. Des tableaux existent et nous seduisent, mais ils ne sont pas des peintures. Ils ont deux vies, ou plutot, ils n’en ont pas”13. Magritte parla con disprezzo dell’arte come rappresentazione che non ha come suo fine nessuna rivelazione ma si propone solo come soluzione per gli occhi disattenti. In una conferenza tenuta ad Anversa al Musée des Beaux Arts nel 193814, ancora Magritte stesso, ricordando le sue opere degli anni Venti, afferma perentoriamente: “Attorno al 1925 decisi quindi di non dipingere più gli oggetti se non con tutti i loro particolari manifesti, in quanto le mie ricerche non potevano svilupparsi se non a queste condizioni”15.
Nel novembre del 1927 il pittore scrive una lettera a Paul Nougé in cui gli espone un suo progetto (“Un écrit, sans l’usage de l’analyse ni de la synthèse”)16 che dovrebbe unire dei suoi disegni con delle parole per spiegare una sua “scoperta” recente: “j’ai employé jusqu’au présent des objets composés, ou bien, la situation d’un objet suffisait parfois a le rendre mystérieux. Mais a la suite des récherches que j’ai faites ici, j’ai trouvé une possibilité nouvelle qu’avaient les choses: c’est de devenir graduellement autre chose, un objet se fond dans un objet autre que lui méme […]. L’obtiens par ce moyen des tableaux ou le regard ‘doit penser’ d’une toute autre facon que d’habitude”17. L’abbozzo spedito a Nougé sarà poi realizzato e pubblicato nel 1929 su “La Révolution Surréaliste”18 con il titolo “Les mots et les images” e illustra una complessa casistica di questa proposta di metamorfosi delle cose attuata a confronto con le parole. Oltre all’ormai noto riferimento alla tradizione poetica di Lautréamont19, il testo di Magritte, come la sua esperienza pittorica di questi anni, specchio fedele del suo pensiero teorico, si intrecciano con le medesime sperimentazioni di scrittura di Nougé e Scutenaire e, in certa misura, di Camille Goemans e Marcel Lecomte, egualmente indirizzate verso la contaminazione tra le semplici parti costituenti della scrittura e dell’immagine.
Tra il 1928 e il 1929 Nougé realizza l’“Introduction aux équations et formules poétiques (Esquisses)”20, pubblicata solo trent’anni dopo, nel 1958, da Marcel Marien nella sua rivista “Les Lévres Nuex”, in cui vengono poste in relazione diverse parole secondo una sorta di sistema matematico di equazioni regolate fondamentalmente da rapporti “materiels (rapports sonores) utilisés et modifiés par la suite selon le sens ou l’effet des mots engagés”21. Si creano così dei brevi poemi in cui le parole si uniscono e si contrappongono proponendo rapporti inediti. Contemporaneamente lo stesso Louis Scutenaire inserisce in Mes inscriptions22 diversi esempi di nuove associazioni create dalla semplice assonanza o simpatia sonora: “Je t’aime: je te me”23 oppure: “Les fées + les faits = l’effet”24 o ancora: “Le scepticisme tente une antisepsie: sceptique, septique et antiseptique”25.
Ancora nel 1929 Nougé sviluppa nelle Experiences de fécondation poétique l’idea di associare un aggettivo qualificativo a una serie di nomi in modo tale da “fecondarli”, cioè da far nascere loro un nuovo e sorprendente significato. Questo procedimento è contemporaneamente uno dei dispositivi rivelatori della pittura di Magritte: si associano uno o più oggetti alludendo a una loro possibile lontana correlazione, di cui però vengono soppressi i passaggi intermedi. Si crea così nello spettatore una sorta di impressione di relazione che deve essere cercata, indagata e che resta irrisolta. Caratteristico del pensiero di Magritte e di Nougé é proprio questo tempo di attesa, questa necessità di provocare in chi osserva un’aspettativa di soluzione a degli enigmi che non ne hanno. Una serie di opere realizzate dal pittore belga tra il 1926 e i primi anni Trenta presentano questa “affinità segreta” tra oggetti apparentemente distanti che trovano l’origine del loro legame nei Chants de Maldoror di Lautréamont27.
Nella tela intitolata Les objet: familiares cose comuni, oggetti familiari e usuali, vagano nell’aria sovrapponendosi a tratti ai volti di uomini attoniti. In una fase successiva Magritte raffinerà ulteriormente l’uso di questo meccanismo rivelatore associando oggetti che già nella loro normale realtà presentano una sorta di relazione che però, sulla scena della pittura, viene reinterpretata. In Les affinités électives del 1936 un uovo è posto in gabbia al posto dell’uccello. Opere come questa introducono un nuovo congegno che ha un suo preciso corrispettivo ancora nella produzione letteraria dei surrealisti di Bruxelles: riprodurre una situazione o un pensiero perfettamente normali in cui si attua la modifica o la soppressione di un solo particolare. Nougé enuncia questo principio a chiare lettere in un suo volume dal titolo La subversion des images28, contenente 19 fotografie da lui stesso realizzate tra il 1928 e il 1930, correlate da note dello scrittore. Una delle foto rappresenta un gruppo di persone intente a guardare un muro come se appeso alla parete ci fosse un quadro che di fatto non c’è. La soppressione dell’oggetto che doveva essere appeso crea un senso di assurdo che coinvolge l’azione nel suo complesso. Contemporaneamente Magritte costruisce una serie di tele su questo tema dell’avvenimento inaspettato, della sorpresa. Nelle diverse versioni del notissimo Empire des lumiéres normali paesaggi cittadini entrano nel dominio totale del mistero solo attraverso la compresenza nello stesso campo visivo della notte e del giorno.
Nougé e Scutenaire negli stessi anni scrivono brevi poemi o aforismi in cui la modifica o l’omissione di una o più parole mutano il significato di una frase usuale, di un concetto elementare. Nougé realizza un brano molto singolare in cui si descrive un’immaginaria Elvire omettendo però sistematicamente molte parole del testo e lasciando quasi intendere come dovrebbe essere la donna. Sorprendentemente si termina la lettura con la netta sensazione di aver compreso chi è la donna e lo scrittore conclude con la maliziosa frase: “Suivez l’exemple de…”
Scutenaire, nelle Inscriptions, scrive a sua volta brevissime frasi in cui uno scarto minimo innesca una sorta di sesto senso del lettore che scopre così la poesia malcelata dietro una piccola anomalia che può quasi apparire come un refuso: “Je te m’aime”30 o ancora: “Noir ou blanc? No gray”31.
Magritte, in una lettera indirizzata a Nougé nell’ottobre del 1946, parla del fenomeno dell’isolamento di un oggetto e scrive in proposito che tale procedimento applicato agli oggetti banali suscita un “sentiment d’universel et océanique”32.
L’artista già nelle sue prime opere dopo la conversione surrealista ingrandisce a dismisura e isola alcuni oggetti tratti dalla comune realtà quotidiana, spesso scelti tra quelli più innocui: piccole cose che compaiono nelle case di qualsiasi normale famiglia borghese. Questo elementare procedimento di ingigantimento li rende inquietanti e a tratti terrificanti. In La voix des vents (1928) dei “grelots”, minuscole sfere usate normalmente come fermacapelli, si fanno gigantesche e occhieggiano sul paesaggio sottostante come levitando a mezz’aria. In L’automate, ancora del 1928, un grelot ha definitivamente conquistato l’autorità patriarcale e siede fiero su una poltrona di vimini. Tra gli anni Cinquanta e i Sessanta Magritte svilupperà ulteriormente questo tema dell’ingigantimento di oggetti familiari che sembrano addirittura oppressi dalle pareti delle stanze che li ospitano. Nella straordinaria tela intitolata Les valeurs personnelles (1952) sono raffigurati un pettine, un pennello da barba e altri oggetti familiari, in una stanza da letto, della stessa dimensione dei mobili: silenziose presenze di un’intrusione abnorme in una realtà intima e usuale. In La voix du sang un albero funziona come paradossale unità di misura tra una casa e una sfera: le sproporzioni divengono cosi le proporzioni del nuovo pensiero surrealista.
Ancora alla fine degli anni Venti Nougé e Scutenaire riprendono l’idea lanciata da Correspondance di estrapolare un testo o una frase già esistenti dal loro contesto, scegliendo però il loro materiale dal linguaggio quotidiano, dai modi di dire, dai cosiddetti luoghi comuni. Il fatto stesso di isolare una sola parola banale o una breve frase in tutta la loro semplicità e ovvietà genera un effetto di scrittura perfettamente coincidente con la visionarietà provocata da Magritte attraverso l’ingigantimento in pittura. Nelle Inscriptions di Scutenaire si trovano così intere pagine con scritto solamente “L’agrément”33 o “C’est une grande guerre”34, mentre Nougé realizza Le jeu des mots et du hasard, una raccolta di 52 carte da gioco che riportano su ogni facciata un breve aforisma, una frase “il bianco candido della carta”35.
Un’attenta ricognizione di tutta l’opera letteraria degli scrittori surrealisti del gruppo di Bruxelles, e in particolare di Nougé e Scutenaire, fa emergere una quantità infinita di riferimenti con la pittura di René Magritte degli stessi anni. In verità l’analisi dovrebbe coinvolgere ancora il teatro e le opere poetiche di Camille Goemans, parte degli scritti di Marcel Lecomte, tutta l’opera figurativa e letteraria di Marcel Marién e le composizioni musicali di André Souris. Questo testo vuole quindi essere una sorta di premessa a un’indagine più dettagliata sulla straordinaria griglia di riferimenti tra letteratura e pittura surrealista a Bruxelles, che non si limita ai soli rimandi iconologici e formali ma investe la nascita e lo sviluppo del meccanismo del pensiero del gruppo di intellettuali che hanno lavorato con René Magritte.
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1 Sul territorio belga nei primi anni Trenta si sviluppa un movimento surrealista nella regione dell’Hainaut che ha come capi spirituali il poeta Achille Chavée e il teorico Fernand Dumont. Il gruppo di Hainaut, da subito legato alle lotte sindacali dei minatori della regione, mantiene una sua conformazione distinta da quella del gruppo di Bruxelles e di fatto molto più prossima alle istanze dei francesi riuniti intorno ad André Breton.
2 II gruppo dei surrealisti di Bruxelles ha scelto deliberatamente di non definirsi come un vero e proprio “movimento”, diversamente dal gruppo francese di Breton, attribuendo alla parola “surrealismo” il significato di un atteggiamento dello spirito. Nella prima edizione de Histoire de ne pas rire di Paul Nougé, realizzata nel 1956 da Les Levres Nues, in apertura si legge questa esplicita affermazione: “Exégetes pour y voir Clair, RAYEZ le mot surréalisme.” Ancora nel 1947 lo stesso Nougé scriveva: “Le surréalisme — qui fait long feu — en tant que doctrine autonome, en tant que méthode specifique, n’existe pas” (Paul Nougé, Histoire de ne pas rire, Les Levres Nues, Bruxelles, 1958, p. 184).
3 La rivista Le Rouge et le Noir pubblica nel marzo del 1934 una risposta firmata da Magritte, Nougé, Scutenaire e Mesens, in merito a una definizione data dal Pére Morlion del Surrealismo: “A quoi servait de vous répéter que le surréalisme, usant quand il convient de tous les moyens d’expression viables (écriture, peinture, etc.), ne peut d’aucune maniére se ramener é l’une de quelque des activités artistiques qui vous tiennent à couer? II s’agit essentiellement d’une enterprise de subversion totale (…)” (Lettre à un dominicain esthete, in “Le Rouge et le Noir, 14 marzo 1934).
4 L’esatta parola francese che designa questo genere di pubblicazioni è “tracts” e indica di fatto un testo scritto su un foglio volante.
5 Una attenta ricognizione delle riviste belga d’avanguardia, uscite tra gli anni Venti e i Sessanta, è stata realizzata nella pubblicazione Cinquante ans d’avant-garde, Archive et Musée de la Littérature. Bruxelles, 1983. La storia della nascita di Oesophage è segnata da un singolare scontro tra quelli che sarebbero stati i fondatori del gruppo di Bruxelles. La rivista doveva uscire prima di Correspondance con il titolo Période, ma l’intervento di Nougé che scrive una sorta di controprospetto ne ritarda l’uscita e provoca una spaccatura in due del gruppo: da un lato la futura redazione di Oesophage e dall’altro i redattori di Correspondance. In proposito cfr. Cinquante ans d’avant-garde, Archive et Musée de la Littérature. Bruxelles, 1983, pp. 104-106; Christian Bussy, Anthologie de Surréalisme en Belgique, Gallimard, Paris 1972, pp. 16-18.
6 Per una descrizione di tutti i numeri della rivista cfr. Francois Toussaint, Le surréalisme belge, Editions Labor, Bruxelles 1987, p.18.
7 Christian Bussy, op.cit., pp.107-110.
8 Il primo e unico numero della rivista esce a Bruxelles nel marzo 1925 con il sottotitolo Période e vi collaborano: Hans Harp, Max Ernst, Paul Joostens; Pierre de Massot, Alfred de Musset, René Magritte, E:L:T: Mesens, Betty van Nes-Lippelman; George Ribemont-Dessaignes, Francis Picabia, Paul Proquet, Kurt Schwitters e Tristan Tzara.
9 Cinquante ans…, op.cit, pp.107-110.
10 Marie – Journal bimensuel pour la belle jeunesse, n.1, Bruxelles 1 maggio 1926, p.1. I due numeri della rivista usciranno unificati l’8 luglio 1926.
11 Paul Nougé, in Adieu à Marie, Bruxelles 1927 (ultimo numero).
12 Ibidem, p.2. La frase di Nougé scritta a tutta pagina risulta così:
“attention,ilsuffiraitd’unpeud’attentiond’unemainlibredequelqueadressepourjoindred’untraitpurlestraitssséparsduplusbeauvisaged’unmonde”.
13 René Magritte, Vous, in Adieu à Marie, op.cit, p.6.
14 Il testo della conferenza tenuta da Magritte ad Anversa presso il Musée des Beaux Arts il 20 novembre 1938 è pubblicato in René Magritte, Tutti gli scritti, (a cura di André Blavier), Feltrinelli, Milano 1979.
15 Ibidem.
16 L’originale della lettera, su cui vi sono alcuni disegni esplicativi di pugno di Magritte, è conservato presso il Musée de la Lttérature di Bruxelles (M.L. 4579/51). Parte della lettera è stata pubblicata in René Magritte, Tutti gli scritti, op.cit. p.52.
17 Ibidem, pp.52-53.
18 René Magritte, Les mots et les images, in “La Révolution Surréaliste, Parigi, dicembre 1929, pp.32-33; riprodotta in René Magritte, Tutti gli scritti, op.cit., pp. 52-53.
19 Cfr. Paul Nougé, Journal, Les Lèvres Nues, Bruxelles 1968, Ier Cahier. Esiste una indubbia dipendenza dell’iconografia delle opere di Magritte e di Nougé dai Chants de Maldoror, ma oltre a questa, Nougé in più punti in questo primo quaderno del suo diario, chiarisce come sia stata fondamentale per lui la scoperta del meccanismo della metamorfosi inventato da Lautréamont. Il poeta belga parla però di incontri “casuali” tra gli oggetti, e i surrealisti bruxellesi, partendo da questa visione totalmente eversiva, arrivano paradossalmente a tracciare una precisa e “regolata” mappa di questa casualità.
20 Paula Nougé, Introduction aux équations et formules poétiques (Esquisses), in L’expérience continue, Edition L’Age d’Homme e CISTRE, Lausanne 1981, pp.187-188.
21 Ibidem, p.189.
22 Louis Scutenaire, Mes inscriptions 1945-1963, Editions Allia, Paris 1984: La prima edizione dei questa parte degli scritti di Scutenaire è apparsa con lo stesso titolo pubblicata da Isy Branchot e Tom Gutt a Bruxelles nel 1976.
23 Ibidem, p. 58.
24 Ibidem, p. 21.
25 Ibidem, p. 22.
26 Paul Nougé, Experience de fécondation poétique, op.cit., pp.190-191.
27 Isidore Ducasse (Lautréamont), Les chants de Maldoror, 1870 ca.; ed. italiana Lautréamont, Tutte le poesie, Newton Compton, Roma 1978.
28 Paul Nougé, La subversion des images, Les Lèvres Nues, Bruxelles 1968; pubblicato in italiano nel cat. Mostra Magritte e il Surrealismo in Belgio, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Roma 1982, pp.110-115; e Paul Nougé, La subversion des Images, (a cura di Viviana Gravano), Edizioni del Ferro di Cavallo, Roma 1990.
29 Paul Nougé, La…, in L’experience…, op.cit., p. 53.
30 Louis Scutenaire, Mes inscriptions, Gallimard, Parigi 1945, p. 17.
31 Ibidem, p.36.
32 Lettera manoscritta conservata presso il Musée de la Littérature di Bruxelles (M.L. 4579/46).
33 Louis Scutenaire, Mes inscriptions, op.cit., p.23.
34 Ibidem, p.16.
35 Paul Nougé, Le jeu des mots et du hasard, Les Lèvres Nues, Bruxelles 1955, ora in L’Experience.., op.cit., pp.267-286.