Cara Giulia, come promesso ecco la seconda parte di “la natura umana delle cose”. In questo caso il mio tentativo è nel trattare le traiettorie esistenziali degli oggetti, che realizzandosi nel continuo e ordinario corpo-a-corpo con noi, sono parte sostanziale del nostro stare al mondo.
Dopo Display e Lexicon di “La natura umana delle cose” (roots§routes n. 17, febbraio 2015) qui ho voluto provarmi nella forma del taccuino, come già sperimentato in un articolo di partecipazione ad un volume dedicato a Pietro Clemente Il cannocchiale sulle retrovie. Pietro Clemente: il mestiere dell’antropologo di cui riporto, di seguito, un brano: tratti etnografici 27. Ho cercato di legare le pagine di appunti e “frammenti” di un taccuino che ho denominato “l’oggetto è la relazione” indirizzato a raccogliere riflessioni, appunti, visioni, descrizioni, citazioni, di quel quotidiano corpo-a-corpo relazionale fra oggetti ed esistenze.
Pensando a Ettore Guatelli a 15 anni dalla scomparsa (2000) e al suo museo/opera; un pieno di oggetti che diventa nebulosa intenta a spogliare ogni cosa per svelarne la sostanza (umana).
Un’indagine sulla sostanza umana delle cose e degli oggetti raccolti ed esposti da Ettore Guatelli fu il motivo che mosse, nel 2001, Valerio Tosi nelle stanze del museo di Ozzano Taro. Ne risultò una ricerca con più di 400 scatti1.
Oggetti del Museo Ettore Guatelli.
Fotografia di Valerio Tosi. Crediti: Valerio Tosi
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Pensando a Raffaello Baldini a 10 anni dalla morte (2005) e alla sua poesia, in dialetto romagnolo Santarcangiolese (Santarcangelo di Romagna) in cui alla parole è dato anche il compito di ridurre la distanza fra noi e le cose. Nella poesia di Baldini il corpo-a-corpo con gli oggetti è relazione esistenziale2.
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Refe (La sparzéina)
Non sono capaci di fare un peccato con grazia
per prendere un po’ di refe
hanno guastato due tre gomitoli, chi è stato?
ve’ che roba, ma come si fa? Non si capisce più niente,
qui adesso ti voglio vedere a rimediarla,
e quell’altro di sopra che rogna.
Da dove cominci? È tutto un arruffo,
tutto un viluppo, è anche pieno di nodi, bisognerebbe
avere le unghie di Libero il barbiere,
poi con questo freddo non sento neanche più le dita,
si potrebbe fare con i denti, ma quelli davanti
ne ho due tre che dondolano,
no, l’unica è mettersi con pazienza,
sparpagliare tutto per terra,
allargare i cappi, i fili accavallati,
e farsi da un capo, solo che è un buio qui di sotto,
c’è quel finestrino lassù in alto,
ma gli si son rotti tutti i vetri e ci hanno messo
dei gran pezzi di cartone,
e hai voglia a smagliare, hai voglia a stendere,
[…]
(Raffaello Baldini)3
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Taccuino
Corpo-a-corpo. Frammenti
“Memorie per contatto” di Fulvio Rosso. Abiti contadini ritrovati in un vecchio frantoio e oggetti d’uso nelle antiche cucine sono gli elementi della ricerca di Fulvio Rosso. Del lavoro di Fulvio Rosso ho conosciuto tre serie di immagini (La pelle dell’anima, Le tre sorelle, Gran bollito) stampate in grande formato e per contatto su vecchia carta baritata Ferrania ed in questi giorni esposte presso il Museo Ettore Guatelli. La ricerca di Rosso è un’opera di scavo per stimolare quel contatto con gli oggetti che, dato per scontato e ovvio nella quotidianità, possa riportarci alla “natura umana” delle loro forme e sostanza.
Calza. Fotografia di Fulvio Rosso. Credits: Fulvio Rosso
Camicia da notte. Fotografia di Fulvio Rosso. Credits: Fulvio Rosso
Sbattiouva. Fotografia di Fulvio Rosso. Crediti: Fulvio Rosso
Calza fa parte del lavoro che si chiama “La pelle dell’anima” una serie di abiti contadini che ho ritrovato in un frantoio da olio, Camicia da notte fa parte de “Le tre sorelle” serie di indumenti trovati in un baule da un robivecchi, sono contraddistinti da tre diverse cifre ricamate MM, MS, MT e quindi mi è sembrato ovvio dare questo titolo al lavoro, Sbattiuova fa parte della serie “Gran bollito”, oggetti in uso nelle cucine di un tempo.
Le riprese sono state eseguite con un apparecchio di grande formato (10×12, 13×18 e 20×25 cm) posizionando gli oggetti su di un piano luminoso, che ha eliminato l’ombra, e stampate poi per contatto su carta baritata Ferrania camoscio (degli anni 60). La stampa per contatto ha il compito di ridurre al minimo l’intervento di “postproduzione” che si effettua di solito in camera oscura (ingrandimento, inquadratura etc) demandando tutto al momento della ripresa.
(Fulvio Rosso)4
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Tratti etnografici 275
27 è il numero di uno dei miei taccuini di campo nei quali raccolgo annotazioni e frammenti, provocazioni, segnavia per possibili sviluppi, tracce. Il brano del TE 27, che riporto qui di seguito è la sintesi di tracce lasciate nel taccuino relative ad una ipotesi d’indagine sulla vita relazionale degli oggetti.
1 – la realtà delle cose (il coseggiare delle cose è nel loro provenire -scomodando Heidegger);
2 – paradigma indiziario (oggetti come sistemi indiziari);
3 – lo sguardo plasma la presenza delle cose (vertigine della lista e/o vocalità del cumulo);
4 – oggetto quale plastica del pensiero (oggetti come orme, traccia di pensieri che li hanno sostenuti alla presenza);
5 – quella sedia non esiste, in quanto sedia oggettiva alla vista (la realtà nei significati negoziali);
6 – quando gli oggetti migrano (fenomenologia della ri-generazione progettuale);
7 – quando le cose cadono in sé (piccoli suicidi efficaci – brevi esorcismi d’uso quotidiano Giulio Molnàr)6;
8 – la tristezza del walkmen (sintomi e pratiche della perdita, elaborazione del lutto);
9 – la faretra dell’empirico (il corpo che saggia la consistenza della sostanza – incorporazione e protesi);
10 – la fisarmonica che diventò un piccione (metamorfosi di una custodia, utile allo strumento, pratica al piccione);
11 – Ieri al parco: un culturista sui pattini a rotelle, una giovane mamma che spingeva la carrozzina, un cameriere cinese con le scarpe che gli facevano male, innamorati che si dividevano una fetta di pizza, una vecchia che era stata fidanzata con Dracula, un Gesù adolescente con il suo amico Elvis, una bella ragazza in minigonna e anfibi, il suonatore solitario di bongo con occhiali da sole fascianti. (Charles Simic)7
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Infra-ordinario (la relazione) – Etnografia della cultura materiale
Per una Etnografia della cultura materiale proiettata a quell’opera di scavo nelle umanità del quotidiano, attraverso l’attenzione alle storie e biografie in cui le cose e gli oggetti fraternizzano con le persone, partecipando alle loro intensità esistenziali. La relazione con le cose, la produzione di unicità (la mia poltrona è unica al mondo perché l’ho voluta è collocata così) l’affetto, la raccolta, il senso quotidiano delle presenze materiali (tornando a casa mi fa piacere ritrovare…..) svelano le visioni del mondo e della vita dei nostri universi esistenziali.
…la cultura materiale è importante perché gli oggetti creano i soggetti molto più che il contrario. È l’ordine delle relazioni con gli oggetti e tra gli oggetti che, attraverso la socializzazione reciproca, crea gli uomini che l’antropologia usa per esemplificare le categorie sociali, come catalano o bengalese, ma anche operaio, maschio o giovane. (Daniel Miller)8
…abbiamo dovuto in primo luogo scegliere una strada a caso e poi convincere le persone a lasciarci entrare nelle loro case…
L’antropologia è la disciplina che tenta di entrare in contatto con le minuzie della vita quotidiana, mantenendo l’impegno di voler comprendere l’umanità nella sua totalità. […] un’immersione etnografica nel mondo delle piccole cose e delle relazioni di intimità che riempiono la nostra vita, mantenendo vivo lo stupore per questo stesso mondo. (Daniel Miller)9
Quel che ci parla, mi pare, è sempre l’avvenimento, l’insolito, lo straordinario: articoli in prima pagina su cinque colonne, titoli e lettere cubitali. I treni cominciano a esistere solo quando deragliano, e più morti ci sono fra i viaggiatori, più treni esistono; gli aerei hanno diritto di esistere solo quando sono dirottati […] Quello che succede veramente, quello che viviamo, il resto, tutto il resto, dov’è? Quello che succede ogni giorno e che si ripete ogni giorno, il banale, il quotidiano, l’evidente, il comune, l’ordinario, l’infra-ordinario, il rumore di fondo, l’abituale, in che modo renderne conto, in che modo interrogarlo, in che modo descriverlo? (Georges Perec)10
Traiettorie della lista –pratica di tazze
La pratica della lista è sempre pratica vertiginosa che isola l’oggetto dal suo sistema naturale di relazioni e lo getta nell’inconsueto dove la relazione è sventrata e falsificata, congelata nella forma11.
Tazze – MISTERLiNo Parma. Credits: Mario Turci
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Lista display
Parma, Strada della Repubblica, sabato 28 febbraio 2015 (pomeriggio)
– Portabilità del trolley. Pare esistano, sostanzialmente, due modi di “portare” un trolley, quello che direi “ad elastico” e quello rigidamente incorporato al portatore. Più giocoso ed estroverso il primo, più pratico e triste il secondo.
– Tiro di guinzaglio. Un alano maestoso tira al guinzaglio una ragazzina minuta. È evidente che non hanno nessuna intenzione di separarsi, ma il guinzaglio simula una sorta di “ingaggio” d’intenzioni.
– Questioni di presa. Borsetta a spalla, a mano (stretta la maniglia), sul braccio. Peso-pratica-stile: per ogni soluzione è immediatamente evidente un passo e un portamento.
– Scaldacollo. Un ragazzo non trova alcun accordo con il proprio Scaldacollo. Si prova in tentativi e ipotesi, gira e rigira il cilindro sull’asse della sua persona, ma pare senza alcun risultato apprezzabile.
– Scivolamenti. A spalla, ma sempre tendente a scivolare, uno zainetto arancio. Con pazienza la ragazza lo riporta con mansuetudine nella posizione desiderata. Lui attenderà qualche momento poi tenterà un altro scivolamento.
– Sollecitazioni del negozio. Quante volte la maniglia di quella porta, di quel negozio, al centro di quella vetrina, sarà sollecitata? A volte passa di mano in mano, a volte è protesa con educazione e sollecita un “grazie”, a volte strattonata, a volte delicatamente accarezzata.
– Fra i denti. Perentoriamente stretta fra i denti la pipa sbuffa il proprio piacere o disappunto?
Piaceri della porta
Nel corpo-a-corpo con le cose saggiamo la loro propensione ad essere ostacolo o opportunità (utili in entrambe i casi). Il rapporto con le cose, la relazione con gli oggetti, investe inesorabilmente il corpo. Oggetti protesi, prolungamenti, oggetti bussola, oggetti di pratica, dimore, contenitori esistenziali, e così via, sollecitano lo stare al mondo corporeo. A parte gli effetti d’incorporazione di vicinanza (di contatto), il corpo si produce in incorporazioni sostanziali degli oggetti quando ne riconosce la presenza e ne decodifica i significati. In tal senso gli oggetti sono sempre incorporati quando “riconosciuti”.
I piaceri della porta
I re non toccano le porte
Non conoscono questa felicità: spingere davanti a sé con dolcezza o bruscamente uno di quei grandi pannelli familiari, voltarsi verso di esso per rimetterlo a posto – tenere fra le braccia una porta.
…La felicità d’impugnare al ventre, per il suo nodo di porcellana, uno di quegli alti ostacoli di una stanza; quel corpo a corpo rapido con il quale per un istante trattenuto il passo, l’occhio si apre e il corpo intero si accomoda al suo nuovo appartamento.
Con mano amichevole la trattiene ancora, prima di respingerla decisamente e di rinchiudersi – cosa di cui lo scatto della mola potente ma ben oliata lo assicura piacevolmente. (Francis Ponge)12
Tutte queste cose sono una popolazione
La popolazione delle cose trascende ogni sistema organico quando le camere si riempiono delle collezioni dei raccoglitori di oggetti. Questi, percependo le voci delle cose, ne danno ospitalità al fine di organizzare dialoghi e scambi narrativi. Sono tanti i raccoglitori di oggetti/voce, molti di più di quanti se ne conoscono. Nelle raccolte, organizzate o semplicemente assemblate che siano, agli oggetti è sempre data una collocazione significativa. In scatoloni o ripiani, inchiodati ai muri o riuniti in cassetti o su tavoli, ogni oggetto è lì perché di questo sono riconosciute le potenzialità discorsive. Popolazioni che discorrono, creano alleanze, si svelano e si celano, marcano la loro presenza o suggeriscono spostamenti. Riconosciamo i collezionisti che hanno deciso di offrire pubblicamente l’accesso alla propria raccolta, quelli che ne hanno voluto dare solo comunicazione, ma quante ancora sono le stanze dei “raccoglitori anonimi”? Ad uno di questa ha dato voce Raffaello Baldini in La fondazione.
…le cose anche loro hanno, come si può dire, si, hanno una loro personalità, io in questa casa, tutte queste cose sono una popolazione, che ha i suoi gusti, le sue preferenze, le sue simpatie, ci sono delle cose che non vanno d’accordo con altre cose, non s’intendono, e io lo sento, ed è un problema tenerle insieme, e io me ne accorgo quando c’è qualcosa che non funziona, i turaccioli, per fare un esempio, che io li tengo da conto tutti, ne ho degli scatoloni, ma non li tengo tutti negli scatoloni, ce ne sono che il loro posto è in un cassetto, insomma non puoi mettere un turacciolo di un vinello, cosi, di un vinello da pasto, non lo puoi mettere insieme con un turacciolo di spumante, e il turacciolo di spumante non lo puoi mettere insieme con un turacciolo di champagne francese, non ci stanno insieme, lo vedi, lo senti, insomma, ci vuole, con le cose, anche una certa delicatezza, una certa sensibilità, e non è, perché uno adesso potrebbe anche tirar fuori, cioè fare un discorso, insomma uno può dire magari che questa è, in un certo modo, una forma di razzismo, come, il tappo dello champagne non vuole stare con il tappo dello spumante, il tappo dello spumante non vuole stare con il tappo del vino, e magari il tappo del vino non vuole stare con il tappo del mezzo vino, addirittura con il tappo dell’acquaticcio. (Raffaello Baldini)13
Ivano Marescotti in La fondazione di R. Baldini. Credits: Gazzetta di Reggio
Il senso delle cose
Una dimensione del senso dell’esistenza al mondo degli oggetti è nel loro partecipare ad uno o più sistemi “operativi” capaci di offrire attivazione di senso alle cose. A ben pensare non esistono al mondo oggetti orfani o così tanto solitari da non mantenere efficace il quadro delle loro relazioni esistenziali. A ben guardare ogni cosa risiede in uno o più sistemi. L’indagine sulle relazioni di sistema in cui l’oggetto trova un proprio senso, o l’indagine su quegli oggetti “anello” che, situandosi contemporaneamente in più sistemi concorrono a svelare le relazioni rete fra sistemi diversi e/o attigui, può offrire alla ricerca opportunità d’indagine sulle costellazioni di rete fra mondi oggettuali ed esistenza.
Jérome e Sylvie, narrati da Georges Perec in Le cose, guardano il loro futuro nel desiderio di abitare, comporre, una casa in sogni legati alle cose. Il loro presente è pervaso da una ricerca che confida negli oggetti e nella loro capacità di organizzarsi in sistemi di senso.
Sarebbe una stanza di soggiorno, lunga circa sette metri, larga tre. A sinistra, in una specie di alcova, un ampio divano di cuoio nero consunto sarebbe affiancato da due librerie di ciliegio chiaro, nelle quali i libri si ammucchierebbero alla rinfusa. Sopra il divano, un portolano occuperebbe tutta la lunghezza del pannello. Dietro un tavolinetto basso, sotto un tappeto da preghiera di seta, attaccato al muro con tre chiodi di ottone dalla grossa capocchia, in corrispondenza del tendaggio di cuoio, un altro divano, perpendicolare al primo, rivestito di velluto avana condurrebbe a un mobiletto alto, laccato di rosso scuro provvisto di tre ripiani sui quali poggerebbero alcuni ninnoli: agate e uova di pietra, tabacchiere, bomboniere, portacenere di giada, una conchiglia di madreperla, un orologio da tasca d’argento, un bicchiere molato, una piramide di cristallo, una miniatura dalla cornice ovale. (Georges Perec)14
La pelle levigata degli oggetti è tesa
come la tenda di un circo (Adam Zagajewski)15
La superficie delle cose è tesa ed opaca. Tesa nella relazione con le biografie, opaca nella indisponibilità a farsi attraversare dagli sguardi non interessati a spogliare le cose dell’ovvietà della loro presenza mondo. La natura umana delle cose si svela ogni volta che una storia, una narrazione può spogliare l’oggetto della sua perentorietà materiale, al fine di metterne in evidenza la densità interna che è densità esistenziale. La materia più vera e significativa degli oggetti sta quindi nella densità, narrabile, delle nostre vicende in loro compagnia, del loro appartenere al quotidiano della nostra vita. La loro compagnia non è accessoria, ma sostanziale nel determinare e nel determinarci.
È una tendenza diffusa quella che riconosce tra l’uomo e le cose non più un rapporto di distanza e di dominazione, ma un rapporto meno chiaro, una prossimità vertiginosa che ci impedisce di coglierci come puro spirito separato dalle cose o di definirle come puri oggetti senza alcun attributo umano. (Maurice Merleau-Ponty, Conversazioni radiofoniche fra il 9 ottobre e il 13 novembre 1948)16
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1 Valerio Tosi nasce a Fidenza nel 1973, nel 1992 si diploma Maestro d’Arte in discipline pittoriche, nel 2000 si laurea in Lettere Moderne presso l’Università di Parma. Dal 1996 si dedica intensamente alla pittura alla fotografia e alla saggistica, in gran parte inedita. Manca improvvisamente alla fine dell’inverno nel 2002.Pochi mesi prima si era recato presso il Museo Ettore Guatelli. Vi fotografa in bianco e nero, per la prima volta. Scatta oltre 400 immagini, torna più volte in quello spazio che trova subito affascinante e le inquadrature si allontanano fortemente da ogni equivoco e documentario: anima gli oggetti a volte rendendoli con il mosso che evoca il futurismo, compone piccole scene che trova tra gli oggetti, a volte come nel cinema surrealista di Man Ray e Fernand Léger, a volte con sintassi di potente semplicità che aveva ritrovato nei fregi antelamici dell’amato Duomo di Fidenza.
2 Raffaello Baldini nasce a Santarcangelo di Romagna il 24 novembre 1924. Baldini faceva parte del gruppo di intellettuali santarcangiolesi che nell’immediato dopoguerra diedero vita al cosiddetto «Circolo del Giudizio» (oltre a Baldini, Tonino Guerra, Gianni Fucci, Flavio Nicolini, Nino Pedretti). La poesia dialettale di Baldini («scrivo in dialetto – aveva dichiarato una volta – perché è il modo più intimo di esprimermi») aveva riscosso innumerevoli successi: le sue raccolte come «La nàiva», «Furistir» e «Ad nòta» hanno ottenuto premi e riconoscimenti. Nel 2004 aveva vinto il Premio «Dino Campana». Negli ultimi anni ad accrescere la notorietà di Baldini aveva contribuito fra gli altri l’attore Ivano Marescotti, romagnolo come Baldini, con alcune letture pubbliche di alcune delle sue più famose poesie e con la messa in scena di tre monologhi teatrali: « Zitti tutti»! (1993), «Carta canta» e «In fondo a destra». Raffaello Baldini intorno alla metà degli anni Cinquanta si era trasferito a Milano, dove ha sempre lavorato nell’ambito del giornalismo (è stato redattore di «Panorama». Nel 1967 pubblicò «Autotem», una prosa ironica e pungente che anticipava il gusto e l’ originalità delle opere successive. L’esordio poetico in dialetto romagnolo è del 1976 con la raccolta «È solitèri», cui sono seguite «La nàiva» (1985, Premio Carducci), «Furistir» (1988, Premio Viareggio), e «Ad nòta» (1995, Premio Bagutta). Nel 2000 è uscito il volume «La Nàiva. Furistir. Ciacri», che aggiunge alle poesie già edite i versi più recenti dell’ultima sezione (Premio Librex-Montale). Nel volume «Lei capisce il dialetto?», pubblicato nel 2003, sono stati raccolti una nota dello stesso poeta, alcune interviste da lui rilasciate e una ricca raccolta di interventi critici relativi alla sua produzione letteraria. L’ultima raccolta di versi di Raffaello Baldini è «Intercity».
3 Tratto dalla poesia, “Refe (La sparzéina)” di R. Baldini contenuta in, La nàivaFuristirCiacri. Versi in dialetto romagnolo, Einaudi, Torino, 200, pp. 53-56.
4 Fulvio Rosso, risiede in provincia di Savona. È fotografo professionista dal 1979, dedicandosi prevalentemente alla fotografia d’arte, pubblicitaria e di architettura. Collabora con diverse istituzioni (Soprintendenze della Regione Liguria, Conferenza Episcopale Italiana, amministrazioni) per l’inventariazione di beni, schedature di edifici d’interesse storico, cataloghi. Ha partecipato a diverse campagne di scavo archeologico sottomarino dell’Istituto Internazionale di Studi Liguri, in qualità di operatore fotografo. È stato docente di numerosi corsi di fotografia.Ha seguito la realizzazione di cataloghi di vari artisti, fra cui Bruno Munari, Luigi Veronesi, Piero Dorazio ed Emilio Scanavino. Fra le sue diverse esposizioni: La pelle dell’anima, Padiglione delle marginalità – Gervasuti Foundation – Venezia; Metafisica della Diga Foranea, Galata Museo del Mare – Genova; Biennale di Venezia 2011 – Padiglione Regione Liguria – Genova.
5 M. Turci, Prossimità vertiginose. Un taccuino, in Alberto M. Sobrero (a cura di), Il canocchiale sulle retrovie. Pietro Clemente: il mestiere dell’antropologo, Roma, CISU, 2012, pp. 235-240.
6 G. Molnar, Piccoli suicidi. Tre brevi esorcismi di uso quotidiano. “Sul finire degli anni ’70 del secolo scorso, una spedizione internazionale di pionieri s’inoltrò nel mondo degli oggetti con l’intenzione di scavare materiale e di studiarne la natura. Un membro dell’equipaggio, che più degli altri credette di individuare nell’obiettivo di questa missione il possibile soggetto della sua vocazione, si addentrò troppo nell’incognito, dove risulta tuttora disperso. E’ ancora lì che scava, tra segnali che muoiono, forme che si estinguono. Scava in svariate direzioni, perché il fondo è vasto abbastanza da non doverlo toccare sempre nello stesso punto rischiando di ripetersi. Il resto del gruppo tornò dalla spedizione con un prezioso bottino. Tra i numerosi reperti figurarono anche tre frammenti archeologici da lui scoperti e raccolti: La Trilogia dei Piccoli Suicidi. Questi pezzi, secondo stime attendibili, risalgono ai primordi della storia del Teatro d’Oggetti e costituiscono una testimonianza limpida ed elementare dell’esistenza di questo genere. Un linguaggio bizzarro dove l’oggetto non è camuffato per rappresentare ruoli o personaggi delle vicende umane, ma, accettando o cercando di eludere la sua funzione oggettiva, rappresenta se stesso con sorprendente dignità. Una nudità sconcertante. L’attore non utilizza gli oggetti per esprimersi, ma li aiuta a narrarsi” (brano tratto da “Incanti. Rassegna internazionale Teatro di Figura”).Vedi anche G. Molnar, Teatro d’oggetti. Appunti, citazioni, esercizi, Titivillus, Pisa, 2009.
7 C. Simic, Il mostro ama il suo labirinto. Taccuini, Adelphi, Milano, 2012, p. 135.
8 D. Miller, Cose che parlano di noi. Un antropologo a casa nostra, il Mulino, Bologna, 2014, pp. 186-187.
9 Ibid, p. 10-11.
10 G. Perec, L’infra-ordinario, Bollati Boringhieri, Torino 1994, pp, 11-12.
11 MISTERLiNO – Parma www.misterlino.org.
12 F. Ponge, Il partito preso delle cose, Einaudi, Torino, 1979, p.29
13 R. Baldini, La fondazione, Torino Einaudi, 2008, p. 21.
14 G. Perec, Le cose, una storia degli anni sessanta, Mondadori, Milano, 1966, pp. 31-32.
15 Il titolo è tratto dalla poesia di A. Zagajewski, Dalla vita degli oggetti, contenuta in A. Zakajewski, Dalla vita degli oggetti. Poesie 1983-2005, Adelphi, Milano, 2012. p. 106.
16 M. Merleau-Ponty, Conversazioni, SE, Milano, 2002, p.39.
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Mario Turci. Antropologo, Architetto e Museologo. Direttore del Museo Etnografico di Romagna (Santarcangelo di Romagna), del Museo Ettore Guatelli (Ozzano Taro – Parma) e della Fondazione “Culture” (Santarcangelo di Romagna – Rimini); docente di “Scenografia e allestimento museale” presso la scuola di specializzazione Beni DEA di Perugia e di “Expografia etnografica” presso la scuola di specializzazione Beni DEA di Roma-La Sapienza. E’ stato docente di “Storia delle cultura materiale” e di “Antropologia Museale” presso l’ Università di Parma. Coordinatore del Sistema Museale della Provincia di Parma.