Making Stories-The upcycling challenge: new uses for old things
“Mia madre teneva le forchette in un armadio: le aveva comprate quando il paese era allo sbando e nei negozi vendevano solo quelle. E non erano nemmeno di un materiale di qualità, ma per l’antenna andavano benissimo.” 1
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Così Vladimir Archipov inizia a descrivere l’idea che si nasconde dietro uno dei 220 “oggetti funzionali di uso quotidiano”2 raccolti all’interno del libro Design del popolo. Un’antenna fatta di forchette di alluminio, forchette tanto banali quanto indispensabili per poter guardare alcuni programmi televisivi da San Pietroburgo. E ancora cento tappi di bottiglia che diventano uno zerbino, due ruote di una bicicletta vecchia danno vita ad un’ antenna televisiva direzionabile, un mestolo da cucina in acciaio si trasforma in una paletta utile per togliere via la neve dai tombini e così tanti altri oggetti di uso quotidiano abbandonati, vecchi e rotti vengono raccolti rinascendo in qualcosa d’altro. Simboli che parlano di una tacita rivoluzione combattuta con la creatività e con la voglia d’espressione. Oggetti che impugnano la loro voce contro il limite della Perestroika attraverso l’inventiva dei loro artigiani.
Un’oppressione che sottolinea il rapporto tra l’individuo e la sua creatività, la quale risponde con forza ad una condizione necessaria. Una necessità che trasforma delle lattine di tè in una locomotiva e distrae un bambino dalla sua malattia. Intenti sinceri, quelli espressi dalle persone intervistate dall’autore, pensieri dimostrati attraverso un codice scritto da oggetti che “sono parte integrante del linguaggio, e l’uno e l’altro sono considerati vettori di relazione con l’Altro”3.
Storie brevi, semplici da capire, a tratti divertenti, spesso arrabbiate e molte rassegnate quelle raccontate nel libro. Sentimenti che innescano un processo creativo brillante che parla di privazione, di povertà e di sincerità. Quella sincerità di una mente sgombra da limitazioni consumistiche e quella verità tanto personale quanto comunitaria. Incontri fortuiti, ricercati e rocamboleschi emergono dai racconti passati delle persone, dal suono malinconico e che rivelano una condizione di disagio, nella quale poco veniva recuperato per strada poiché poco c’era da dividere tra tutti e bisognava ri-inventarlo, doveva rinascere, ciò che già esisteva doveva impregnarsi di un nuovo valore aggiunto e diventare una soluzione illuminata. Il meccanismo era semplice, bastava lasciar spazio alla creatività e le mani iniziavano a lavorare, producevano, disfacevano, intrecciavano, incastravano e costruivano arnesi dal valore immenso. Un valore non solo economico, morale, ma anche affettivo quello che nasce tra il designer e la sua creazione. Un legame che svela una profonda relazione artistica fatta di contaminazioni intangibili.
L’oggetto racconta il suo autore e l’autore diventa espressione totalizzante della sua opera. Una forma di arte -il design del popolo- che nasce da un rifiuto e non ha pretese. Un manufatto che mostra spavaldo una bellezza irrispettosa e stravagante. Viene dimenticato con il tempo in una soffitta polverosa, ma non viene buttato via, poiché racconta una storia, sostiene un ricordo, caratterizza un pensiero e diventa monito per chi lo eredita. Un disegno che tradisce gli schemi rigidi, che ricerca affannato un’idea libera, colleziona materiali disparati, rinuncia ad un’estetica ed esalta l’individualità. Un pensiero isolato che trova spazio tra le lamiere, pezzi di legno e brandelli di tessuto. Un’idea modellata tra le strade e le persone comuni, che spezza la catena di montaggio della serialità. Confessa un’ “inganno”4– il design- palesa fattezze già note, ma nasconde il suo vero intento, l’idea del suo designer, l’intento del suo ingannatore. Un processo costruttivo di nuova vita che sottrae oggetti fragili da una fine sicura. Un destino condiviso da tutte le cose abbandonate, come la cinica sorte che appartiene alla cassetta della frutta raccontata dallo scrittore Francis Ponge, “costruita in modo che alla fine dell’uso possa essere rotta senza fatica, non serve due volte” e neanche le sue caratteristiche migliori riescono ad evitarle un triste destino “ del tutto nuovo ancora, e lievemente stupito di trovarsi in posa maldestra buttato per strada senza ritorno, questo oggetto è in fin dei conti dei più simpatici”.
La stessa cassetta della frutta su cui pende una “sorte del quale non ci si deve tuttavia appesantire troppo a lungo”5 diventa oggi un contenitore di raccolta per tutti gli oggetti inutili del progetto, dal sapore contemporaneo, Making Stories–The upcycling challenge: new uses for old things promosso dall’UNIBZ (Libera Università di Bolzano). Infatti, l’oggetto inutilizzato di cui la comunità si vuole liberare, deve riuscire ad entrare in una cassetta. Una rivincita, una rivoluzione, una sfida quella che accompagna l’iniziativa intrapresa dal preside della facoltà di Scienze e Tecnologie Informatiche Abrahamsson Pekka Kalevi, dal docente della facoltà di Design e Arti Simonelli Simone e 120 studenti del primo anno, collaborando con il Tis Innovation Park e con l’Open City Museum. Un invito esteso a tutta la città, liberarsi dei polverosi oggetti accumulati nei magazzini, rotti, dimenticati o semplicemente superati. Vecchi oggetti, che schiacciati dal consumismo e dalla frenetica voglia di innovazione dal sapore industriale, trovano attraverso le giovani menti e l’utilizzo di nuove tecnologie (come le stampanti 3D) una nuova utilità. “ Se, allora, si concepisce la storia umana come storia della produzione e si considera tutto il resto come accessorio, si possono grosso modo individuare i seguenti periodi: mani, utensili, macchinari, robot”6. Questo è il nitido pensiero che accompagna la storia di produzione degli oggetti, ma nessuno prescinde dall’altro. La contaminazione del flusso delle mani, si incastra con l’utilizzo degli utensili – come è avvenuto in tutte le storie raccontate dallo scrittore Vladimir Archipov- e scivola lungo i tasti dei macchinari e delle tecnologie innovative utilizzate in Making Stories.
“Produrre significa prendere ciò che è disponibile nell’ambiente, rigirarlo per trasformarlo in un prodotto finito, applicarlo e adoperarlo”7, questo il fine ultimo. Tornare ad adoperare nuovamente -grazie a piccole protesi progettate specificatamente- un piccolo oggetto dimenticato. Protesi che “consentono di ampliare il complesso di informazioni ereditarie grazie all’acquisizione di informazioni culturali”8, contaminazioni di nuovi dati e vecchie caratteristiche che spezzano il ciclo infinito della serialità e creano a loro volta uno straordinario processo relazionale con la comunità. Un rapporto possibile che genera uno scambio, un’esperienza reale che slega le persone dai loro oggetti inutilizzati che senza padrone sono alla ricerca d’autore. Un creatore responsabile che continua a ri-inventarsi e a ri-inventare una nuova ragion d’essere a tutti i suoi artifici. “Gli oggetti e le istituzioni, l’impiego del tempo e le opere sono al contempo il risultato dei rapporti umani” sostiene il critico d’arte e scrittore Nicolas Bourriaud “perché organizzano i modelli di partecipazione sociale e regolano gli incontri tra gli uomini”9. Incontri di apprendimento e di aggregazione, riunioni di molteplici mani e molteplici frammenti in cerca d’autore.
Making Stories: The upcycling challenge: new uses for old things
Inaugurazione: 05.02.2015, ore 19.00, WunderFab (in Via Rosmini 48, Bolzano)
Luogo: WunderFab -Bolzano/ Expo Gate di Expo Milano 2015
Data: dal 05 al 13.02.2015 Bolzano – dal 09 al 13.02.2015 Milano
Collaborazione: Open City Museum – il TIS Innovation Park- Unibz (Libera Università di Bolzano)
A cura di: Prof. Abrahamsson Pekka Kalevi (preside della facoltà di Scienze e Tecnologie Informatiche)
Dott. Simone Simonelli (docente della facoltà di Design e Arti)
Coordinamento: Dott. Naomi Mastachi
www.makingstories.bz
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1 V. Archipov, Home-Made.Contemporary Russian Folk Artifacts, FUEL Publishing, 2006; trad. Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Isbn Edizioni, Milano, 2007 , pag. 151.
2 V. Archipov, Home-Made.Contemporary Russian Folk Artifacts, FUEL Publishing, 2006; trad. Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Isbn Edizioni, Milano, 2007 , pag. 7.
3 N. Bourriaud, Esthétique relationelle, N. Bourriaud e Les presses du reel, 1998 ; trad. Estetica Relazionale, Postmedia Srl, Milano, 2010, pag. 49.
4 V. Flusser, Filosofia del design, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2003, cap. 1 “Sulla parola design”, pag. 2.
5 F. Ponge, Le parti pris des choses, Éditions Gallimard, 1942 e 1945; trad. Il partito preso delle cose, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1979, pag.17.
6 V. Flusser, Filosofia del design, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2003, cap. 6 “La fabbrica”, pag. 34.
7 V. Flusser, Filosofia del design, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2003, cap. 6 “La fabbrica”, pag. 34.
8 V. Flusser, Filosofia del design, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2003, cap. 6 “La fabbrica”, pag. 35.
9 N. Bourriaud, Esthétique relationelle, N. Bourriaud e Les presses du reel, 1998 ; trad. Estetica Relazionale, Postmedia Srl, Milano, 2010, pag. 49.
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Bibliografia
Archipov, Home-Made.Contemporary Russian Folk Artifacts, FUEL Publishing, 2006; trad. Design del popolo. 220 invenzioni della Russia post-sovietica, Isbn Edizioni, Milano, 2003.
Bourriaud, Esthétique relationelle, N. Bourriaud e Les presses du reel, 1998; trad. Estetica Relazionale, Postmedia Srl, Milano, 2010
Flusser, Filosofia del design, Paravia Bruno Mondadori Editori, Milano, 2003.
Ponge, Le parti pris des choses, Éditions Gallimard, 1942 e 1945; trad. Il partito preso delle cose, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1979.
Bourriaud, Radicant: Pour une esthétique de la globalisation 2009; trad. Il radicante. Per un’estetica della globalizzazione, Postmedia Srl, Milano 2014.
Blanchot, L’Espèce humaine 1962, in L’Entretien infini, Gallimard, Paris 1969; trad. La specie umana, in L’infinito intrattenimento. Scitti sull’insensato gioco di scrivere, Einaudi, Torino 1981.
De Fusco, Storia del design, Editori Laterza, Roma-Bari, 1998.
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Roberta Riccio Interior Designer. Dopo la triennale in Interior Design presso lo IED (Istituto Europeo di Design) e un Master di I Livello nella Scuola Politecnica di Design di Milano, decide di inseguire la sua passione per l’arte contemporanea e la scrittura critica frequentando il Master di alta formazione in Curatore Museale e di Eventi Performativi presso lo IED di Roma.