§L'educazione nel corpo. Per una somatica della relazione pedagogica
Il corpo come vettore di apprendimento e autopercezione
di Rosanna Perrone e Carmen Palumbo

«Il corpo è nello stesso tempo ciò con cui ci identifichiamo e che tuttavia diciamo di possedere, e questo progetto di decentramento continuo di gioco tra l’essere e ciò che è al di fuori, è alla base del compito di sviluppo della personalità umana che è, anzi diventa tale attraverso l’interazione e l’intersoggettività» (C. Palumbo, 2018).

Raggiungere quello che è un senso di “autoefficacia” (Bandura, 1977) risiede nel percepirsi e nell’autopercezione delle proprie potenzialità: se si è abili nel percepire le proprie reali competenze, allora sarà possibile anche sviluppare maggiori risorse in quanto ad “affordances(Gibson,1979) ossia, la capacità di poter decodificare le informazioni per poi agire in risposta alle stimolazioni ambientali. Con il Sistema Multiplo di Condivisione dell’Intersoggettività il neuroscienziato Vittorio Gallese fa riferimento allo spazio “noi-centrico” che si genera quando guardiamo un’altra persona compiere un’azione, riuscendo a percepirne le intenzioni. Questo stato di immedesimazione e di empatia porta a entrare in contatto col movimento altrui (Embodied Simulation), ciò può essere ricondotto al sistema mirror, che fa capo ai neuroni specchio (Gallese 2003). La ricerca neuroscientifica mostra che ci sono meccanismi neurali che mediano tra l’esperienza personale del corpo vissuto e la percezione sia dell’altro che del contesto. «Pensare ai processi funzionali del sistema sensori-motorio per metterli al servizio della competenza linguistica, “sfruttamento neurale” consiste nel riuso di risorse neurali, originariamente evolutesi per guidare le nostre interazioni col mondo, per servire la più recentemente evoluta competenza linguistica» (Gallese, 2013).

La vera sfida per lʼembodied cognition consiste, quindi, nel comprendere come la nostra corporeità sia implicata in aspetti che declinano il linguaggio e come faccia da connessione alle sfere pre-linguistica e linguistica. Se ne deduce che quando si riferisce al corpo in azione, esso utilizza le medesime risorse neurali di quando si osserva qualcuno compiere unʼazione (Gallese e Lakoff, 2005). Lo scopo di questa ricerca è quello di portare avanti una proposta che tenga conto di tali molteplici aspetti e che nell’esercizio fisico e nella danza si uniformano e lambiscono la sfera emotiva, comunicativa e comportamentale, poter riconoscere al corpo un ruolo cardine come mediatore nei processi cognitivi (Barsalou, 2008; Wilson, 2002) e come possa avere delle accezioni importanti applicabili e funzionali al processo di insegnamento-apprendimento e di autoapprendimento, anche in situazioni a distanza quali quelle imposte dal Covid-19.

L’intersoggettività

Il corpo ha un ruolo fondamentale, in esso risiede la fonte della nostra coscienza, dove il proprio “Sé” ha la propria base. «Il corpo si manifesta in due modi differenti, complementari e interconnessi direttamente: esso è un Leib, un corpo vivo che fa esperienza di sé e degli altri, e un Körper, l’oggetto somatico di cui il cervello è una parte costitutiva» (Gallese, 2012). La natura duale del corpo può essere compresa attraverso lo studio e l’applicazione dello stesso nei contesti educativi per comprendere come cervello e corpo cooperino nel processo di apprendimento. La simulazione incarnata nell’analisi degli aspetti del nostro rapporto con l’ambiente e nei rapporti interpersonali può essere di ausilio all’autopercezione, per poter comprendere se stessi, per poter contestualizzare le condizioni di azione e per riuscire ad apprendere.

Lo studio scientifico dell’intersoggettività e del Sé umano di Gallese ha necessitato di un approccio che mettesse in comparazione diverse componenti: lo studio dei meccanismi neurofisiologici e le reti neuro-corticali dei neuroni specchio, scoperti nei primi anni Novanta dei nel cervello dei macachi (Gallese et al. 1996, Rizzolatti et al. 1996) e il successivo dispiegamento dei meccanismi “specchio” nel cervello umano (Gallese et al. 2004, Rizzolatti et al. 2010), che suggeriscono che i neuroni specchio sono neuroni motori: non solo sono implicati nell’esecuzione dei movimenti e delle azioni esercitate dal soggetto stesso, ma si attivano alla percezione e all’osservazione di azioni compiute da altri. Si può dire che i neuroni specchio traccino le azioni altrui sulla base di rappresentazioni motorie già apprese in precedenza ma anche non apprese, e che è possibile apprendere anche osservando qualcuno compierle. Ulteriori ricerche hanno dimostrato che nel cervello umano vi è una connessione diretta tra percezione ed esecuzione dell’azione, definito appunto meccanismo specchio (Gallese 2014).

Nel complesso, queste scoperte hanno portato alla formulazione dell’ipotesi della “cognizione motoria”, che è un elemento chiave dell’emergere della cognizione sociale (Gallese 2009), ciò che accade in un qualsiasi contesto dove la relazione pedagogica può avvenire. Secondo questa ipotesi, attraverso la specifica architettura funzionale del sistema di movimento, possono realizzarsi abilità cognitive, come la rappresentazione gerarchica delle azioni di oggetti remoti, lo scoprire i comportamenti di movimento di altre persone e le aspettative delle azioni stesse; questi processi ed espressioni sono probabilmente correlati alle caratteristiche di movimento degli schemi di base, come anche la mobilità articolare o anche solo la contrazione muscolare. 

Le scoperte dei neuroni specchio e del meccanismo di simulazione incarnata sembrano evidenziare ulteriormente il fatto che il “sé” significa anche essere con gli altri, e il modello dell’intersoggettività definito da Gallese mostra che il meccanismo dei neuroni specchio rivela la dimensione soggettiva dell’esistenza e fornisce un concetto di intersoggettività basato sull’esperienza, dato dalla risonanza reciproca del comportamento sensomotorio; si può quindi comprendere direttamente il significato del comportamento posto in essere da chi ci è di fronte, rendendo possibile una ricca e diversificata esperienza intersoggettiva, migliorando così la capacità di entrare in empatia con gli altri. Tale conoscenza esperienziale personale e correlata al corpo ci consente di comprendere le azioni eseguite dagli altri e di decodificare direttamente le emozioni e le sensazioni che provano; un meccanismo funzionale comune che è alla base sia della consapevolezza corporea che delle forme base di comprensione sociale: la simulazione incorporata (embodied simulation, Gallese 2003).

Le azioni o le rappresentazioni fisiche giocano un ruolo decisivo nel processo cognitivo, e uno stato mentale o un’emozione possono essere espressi anche attraverso le possibili forme assunte dal proprio corpo: quando ciò avviene possiamo parlare di autopercezione. L’affordance fa riferimento alle capacità di un ambiente di fornire ad un soggetto percepente la possibilità di mettere in atto un comportamento motorio: è un’opportunità di azione offerta dall’ambiente stesso e la relazione tra quest’ultimo e l’organismo è funzionale alle capacità e potenzialità individuali. Quando un bambino esplora e gioca, sperimenta nuove capacità motorie e le acquisisce (Gibson, 2000), scopre nuove possibilità di apprendimento e di autoapprendimento, a seconda dell’esperienza che potrà condurre.

L’apprendimento di nuove abilità motorie consente a un bambino di acquisire nuove possibilità di azione e di essere in grado di padroneggiare al meglio le sue stesse azioni che avvengono nel mondo, di selezionarle, e in seguito per scoprirne le ripercussioni, per aumentare e rigenerare il processo di imparare a imparare. La relazione tra le capacità corporee e le proprietà fisiche dell’ambiente esiste nell’interfaccia tra il proprio io e il mondo, secondo un rapporto di reciprocità, di percezione-azione, poiché la percezione deve poter guidare l’azione, che sia adattiva ma che doni benessere. «Non percepiamo stimoli o immagini o sensazioni retiniche o anche solo cose; ciò che percepiamo sono cose che possiamo mangiare, su cui sederci o parlare» (Gibson, 1982).

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Embodied Brain

Il concetto di Embodied Cognition, teorizzato per la prima volta da  Barsalou nel 1999, è una teoria che nasce dalla concezione dell’esistenza di sistemi percettivi nei quali i concetti sono rappresentati mentalmente come simulazioni percettive, ovvero come una riattivazione dei processi senso-motori con cui le caratteristiche dei concetti sono state inizialmente acquisite. L’idea che la mente debba essere compresa nel contesto della sua relazione con un corpo fisico che interagisce con il mondo si fa sempre più influente, e supporta la tesi che l’uomo si sia evoluto mediante risorse neurali, che erano dapprima dedicate principalmente all’elaborazione percettiva e motoria e la cui attività cognitiva consisteva in gran parte nell’immediata influenza reciproca ambientale. Da qui discende che la cognizione umana, piuttosto che essere centralizzata, astratta e nitida, è in realtà distinta in moduli di codifica e decodifica periferici e che ha delle radici profonde nell’elaborazione senso-motoria.

In conclusione, si può dire che il vero luogo dell’attività cognitiva è situato nel corpo e nel contesto dell’ambiente del mondo reale, e implica in maniera intrinseca percezione e azione. La teoria della “cognizione incorporata” (Bersalou, 1999) presume che la cognizione sia essenzialmente svolta nei sistemi cerebrali sensoriali e motori: le tecniche di registrazione neurofisiologica forniscono prove dirette del coinvolgimento dei sistemi sensoriali e motori specifici durante l’esecuzione di compiti cognitivi, e tra queste tecniche ritroviamo quelle adibite al neuroimaging che utilizzano la risonanza magnetica funzionale, nonché le misurazioni dell’attività elettrica del cervello come l’elettroencefalogramma. Se la stimolazione sensoriale o motoria influenza le prestazioni, si può concludere che questa data funzione cognitiva è causalmente collegata alle rappresentazioni sensoriali-motorie. Al centro dei dibattiti passati e attuali c’è la questione relativa al rapporto tra cognizione, sensi e interazioni con l’ambiente. Tradizionalmente, si presume che la cognizione coinvolga sistemi neuro-cognitivi diversi dai sistemi cerebrali percettivi o motori e la conoscenza del codice in un formato astratto-simbolico, in cui le informazioni sensoriali-motorie specifiche della modalità originale vengono perse.

Sfidando questa visione classica, le recenti teorie della cognizione incorporata, note anche come teorie della cognizione “fondata” o “situata”, sono emerse in diverse discipline delle scienze cognitive. Le teorie dell’incarnazione, che ricevono un crescente supporto empirico da studi comportamentali e neuroscientifici, propongono stretti legami tra i sistemi cerebrali sensoriali e motori da un lato e la cognizione dall’altro. La cognizione e il pensiero si basano criticamente sul ripristino degli stati esterni (percezione) e interni (autopercezione, emozione e introspezione), nonché azioni corporee che producono simulazioni di esperienze precedenti. Queste simulazioni di precedenti esperienze senso-motorie sono spesso inconsce, ma possono essere misurate con tecniche sperimentali comportamentali o neuroscientifiche.

L’Embodied Cognition, concentrandosi sul ruolo fondamentale dell’azione e della percezione nel plasmare i processi cognitivi, è coerente con l’approccio pedagogico dell’apprendimento attraverso la pratica e fornisce una base scientifica per la definizione di strategie. In questo contesto, particolare rilevanza viene data alla Grounded Cognition di Barsalou e alla teoria di Johnson e Lakoff sulla “natura incarnata dei concetti linguistici” (Johnson & Lakoff , 1980) e gli studi sulla relazione tra gesto e pensiero. La “cognizione radicata (Francesconi & Tarozzi, 2012) suggerisce che le rappresentazioni mentali sono radicate nelle aree motorie della corteccia: quando “serve” conoscenza, «gli stati percettivi e motori acquisiti durante l’esperienza vengono riattivati ​​attraverso la simulazione» (Barsalou, 2008). Le scoperte di Lakoff e Gallese supportano questa ipotesi suggerendo che la formazione di concetti linguistici incontra le sue basi nel sistema sensomotorio (Gallese & Lakoff, 2005). 

Allo stesso modo, Johnson propone La teoria della metafora incorporata che suggerisce che i concetti astratti e le metafore concettuali si basano sull’immagine di schemi che derivano da azioni fisiche (Johnson, 1987). L’intersoggettività, il “Sé” individuale, il ruolo del corpo nei processi cognitivi e di apprendimento,  l’applicazione del linguaggio comune per una buona comunicazione e la ricezione di feedback efficaci: sono tutte delle costituenti che richiedono delle riflessioni. Le scienze neurocognitive, il cui oggetto di studio risiede proprio nell’indagare i processi che considerano lo sviluppo motorio e lo sviluppo intellettivo strettamente collegati – possono consentire l’analisi di questi concetti.  Quando parliamo di cognizione “embodied” parliamo di cognizione incarnata, dalle quale non possiamo isolare le sfere linguistica, senso-motoria e corporea.

La dimensione pre-linguistica è determinata dall’esperienza percettivo-corporea, e in questo Lakoff e Johnson hanno adottato un concetto di pensiero che si traduce addizionata al concetto di embodied (Barsalou. 2003): dimostrarono come le “metafore corporee sono di natura concettuale – mappature frame-to-frame attraverso domini concettuali -, che le “metafore linguistiche” sono riflessi superficiali di quelle mappature concettuali, e che molte di queste metafore di base derivano da correlazioni tra esperienze incarnate concomitanti (Lakoff & Johnson, 1980). La cognizione incorporata ha le sue radici nel pensiero del filosofo Maurice Merleau-Ponty che, sconfiggendo il dualismo cartesiano, reintroduce il corpo come abile soggettività che aiuta la costruzione della conoscenza (Shusterman, 2013). Secondo questo quadro, quasi tutti i processi cognitivi sono influenzati da stati fisici, strutture corporee (Wilson, 2002) e opportunità esperienziali.

Scoprire la corporeità

Immagine tratta dalla copertina del libro di Carmen Palumbo «La Danza Educativa, dimensioni formative e prospettive educative», Roma, Anicia, 2013.

Quando si discute sulle neuroscienze bisogna tenere conto anche della comprensione delle immagini motorie, e in questo lavoro è importante analizzare le funzioni comunicative del corpo e comprendere le sue accezioni linguistiche radicate nella corporeità. Scoprire la corporeità attraverso l’esercizio fisico e attività di tipo motorio-espressivo come la danza, sia nei bambini sia in età adolescenziale e adulta, consente di aumentare la conoscenza di sé e del proprio ambiente di apprendimento (Palumbo, 2013). «Le funzioni motorie sono l’esito di processi di interiorizzazione e strutturazione spazio-temporale, […] la trasformazione progressiva della corporeità e delle competenze motorie segue una linea di sviluppo che procede da una dimensione adattiva globale ad una motricità intesa come sistema organizzato» (Carboni, 2013).

Avere una piena consapevolezza del proprio corpo e della concezione spazio-temporale significa poter esercitare le proprie azioni migliorando anche le capacità cognitive, oltre che quelle di apprendimento motorio e di apprendimento cognitivo. Un bambino (o un adolescente) che è consapevolmente formato nell’utilizzo del proprio corpo, lo è anche della sua corporeità, perché conoscendo i propri bisogni e conoscendo le proprie potenzialità riesce a poter utilizzare queste nuove risorse per poter apprendere e in caso di limitazioni come quelle odierne, può essere in grado di auto-apprendere, soprattutto nelle situazioni di lezioni asincrone, così da riuscire a reclutare i mezzi necessari per poter raggiungere scopi apprenditivi e formativi. Il corpo deve essere visto non come un qualcosa di accessorio, ma come qualcosa di centrale all’interno dei processi di apprendimento, poiché un bambino vive la propria vita quotidiana mediante il movimento, molto di più di un adulto almeno nelle sue prime fasi di crescita, e deve poter sfruttare la completezza del proprio corpo consolidando il movimento con l’espressività e la comunicazione, anche di tipo non verbale (Palumbo, 2018).

Quando si parla di corporeità si parla di tutte le dimensioni esistenti di un soggetto, dalla mente al corpo, all’anima; non vi può essere apprendimento se una di queste tre dimensioni non è predisposta a poter lavorare sinergicamente con le altre due. Inoltre, «la corporeità non riguarda solo il tempo iniziale delle prime esplorazioni del bambino, riguarda l’arco di tutta la vita e così pure i processi di apprendimento sono legati a un tempo infinito, ovvero alla dimensione del life long learning» (De Anna, 2014). All’interno del contesto scolastico, la danza può presentarsi come attività motoria ideale ma soprattutto come attività educativa, dove didattica e movimento possono integrarsi in una prospettiva di una pedagogia del corpo, dove è possibile poter sperimentare nuove forme di espressione oltre che nuove risorse di esplorazione corporea.

Corpi danzanti: Bolero di Ravel. Coreografia di C. Palumbo e A. Rufino

L’educazione motoria e l’uso consapevole del corpo attraverso la danza sono uno stimolo di formazione per la presenza del corpo anche nella sua apparente assenza; è importante far acquisire quindi una competenza tesa a far emergere uno stile educativo che consideri l’individuo nelle sue doti fisiche e psichiche, risorse indispensabili da poter usufruire, specie in una situazione pandemica che ha messo a dura prova la capacità empatica e dove il contatto umano è venuto meno.

Il linguaggio definisce una dimensione comune grazie alla quale un soggetto riesce a identificarsi ma anche a comunicare; la rappresentazione di un’immagine motoria (in assenza del movimento vero) può fungere da ausilio per un’anticipazione motoria efficace ma anche per comprendere al meglio il riflesso che avrà sui comportamenti comunicativi. A questo punto perché non generare pratiche educative che prevedano esperienze corporee nuove, e che permettano il nascere di nuovi linguaggi, perché no, di linguaggi corporei? La pedagogia deve fare proprio questo: proporre combinazioni epistemologiche transdisciplinari e proporsi come pedagogia del corpo e della corporeità.

Bibliografia

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De Anna L., Pedagogia speciale. Integrazione e inclusion, Carocci, Roma 2014.
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Gallese, V., The manifold nature of interpersonal relations: The quest for a common mechanism, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B», 358 (1431), 517-528, 2003.
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Palumbo C., La Danza Educativa, dimensioni formative e prospettive educative, Anicia, Roma 2013.
Shusterman R., Body and the Arts: The Need for Somaesthetics, DIOGENS 2013.
Wilson M., Six views of embodied cognition, in «Psychonomic bulletin & review», Springer 2002.

Rosanna Perrone è attualmente una Dottoranda del Dottorato di Ricerca dell’Università di Salerno, XXXVI Ciclo – SCIENZE DEL LINGUAGGIO, DELLA SOCIETA’, DELLA POLITICA E DELL’EDUCAZIONE, Curriculum: “Corporeità didattiche, tecnologie e inclusione”, presenta una formazione pedagogico-didattica in ambito motorio e sportivo legata, in particolare, anche alla sua esperienza di tutor sportivo per il progetto del MIUR “Sport di Classe” (anno 2019/2020). È in possesso di una Laurea Triennale in “Scienze delle attività motorie, sportive e dell’educazione psicomotoria” (2017) e una Laurea Magistrale in “Scienze della Valutazione motorio-sportiva e Tecniche di Analisi e Progettazione dello Sport per Disabili” (2019), entrambe conseguite presso l’Università di Salerno. Ha successivamente perfezionato i suoi studi ottenendo il Percorso Abilitante (24 CFU) presso l’Università di Salerno e conseguendo un Master di I livello in “Inserimento, Integrazione ed Inclusione Scolastica degli alunni con disabilità” A.A. 2019/2020 “ECM05”, presso “Università ECAMPUS”. 

Carmen Palumbo è attualmente Professore Associato di Metodi e didattiche delle Attività Motorie (settore M-EDF/01) presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. È stata docente a contratto di Pedagogia e Pedagogia applicata alla danza presso l’Accademia Nazionale di danza di Roma (AND). Dal 2001 collabora alla realizzazione di attività di ricerca in ambito universitario, sviluppando le proprie linee di ricerca sullo studio della funzione didattica delle attività di movimento per favorire i processi cognitivi e inclusivi nei contesti educativi formali e informali, con particolare riferimento agli aspetti educativi e inclusivi della danza e del movimento espressivo. È autrice di numerosi articoli su riviste e testi nazionali ed internazionali sulle potenzialità educative ed inclusive della “danza”. Nel 2016 le viene conferito il PREMIO ITALIANO DI PEDAGOGIA 2016 dalla SIPED, per l’opera monografica La danza educativa: Dimensioni formative e prospettive educative (2013), Roma: Anicia.