«Sotto questo numero che tiene una rete e si trascina dietro una massa di pesci luna, sotto questo numero ornato di disastri, con strane stelle fra i capelli, il contagio del sogno si diffonde per quartieri e campagne».
(Aragon, 1924)
“Il numero ornato di disastri, con strane stelle fra i capelli” a cui si riferisce Louis Aragon è il 1924, un anno particolare, in cui “un’ondata di sogno” investe il mondo. “Bisogna arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo”. Questa la frase lapidaria che compare sulla copertina color arancio del primo numero della rivista La Révolution Surréaliste [1]. A cosa alluda lo accenna in tono enigmatico Aragon, dalle pagine di un’altra rivista, nata a Parigi nello stesso anno, Commerce: «Tutto ciò che di speranza ancora rimane in questo universo disperato rivolgerà verso la nostra risibile bottega i suoi ultimi sguardi deliranti: Si tratta di arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo» (Aragon,1924).
Un universo quanto mai disperato è quello che agli esordi del 2020 partorisce in piena Pandemia da COVID-19 un filo di speranza, rivolgendosi idealmente alla “risibile bottega” dei surrealisti, con un’ondata di sogni che hanno fatto presto a imporsi come una delle attività spontanee più febbrilmente condivise dall’intero pianeta infetto. Ad accorgersene, il Museum of London che in collaborazione con il Museum of Dreams della Western University of Canada, a gennaio del 2021 ha lanciato il progetto Guardians of Sleeps [2], invitando gli abitanti di Londra a raccontare i propri sogni fatti durante la Pandemia. Registrati in forma di racconti orali, sotto il consenso degli autori, i sogni sono stati acquisiti dalle collezioni permanenti del Museo, assumendo quindi lo status patrimoniale di “opera di interesse collettivo”.
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Come spiega Foteini Aravani, digital curator del Museum of London, è la prima volta che la nozione di “oggetto da museo” viene estesa ai sogni, e in particolare ai racconti orali di un’attività onirica di cui si detengono i diritti, in quanto autori.
Fino ad allora i sogni erano entrati nei musei mediati dagli artisti, attraverso la materialità di dipinti, sculture e opere d’arte visiva, oppure grazie allo sguardo classificatorio degli antropologi e clinico degli psichiatri. Con Guardians of Sleeps, per la prima volta, viene riconosciuto lo statuto estetico indipendente di questa attività umana, creativa e spontanea, e con essa l’autorialità del soggetto produttore del sogno.
Le conseguenze di questo avvenimento, come vedremo, sono importanti per più motivi. Dal punto di vista del Diritto, una qualsiasi entità è considerata “bene” se oggetto di proprietà pubblica; pertanto i sogni, poiché acquisiti da un museo, si possono considerare a tutti gli effetti “beni immateriali”, ottenendo così per la prima volta rilievo giuridico. “Si tratta di arrivare a una nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo”, sembra di sentire l’eco delle parole di Aragon.
La prima conseguenza del fatto di considerare il sogno come un bene patrimoniale è che le persone “comuni”, intendendo con questo termine chi non fa della propria creatività attività professionale, come nel caso degli artisti, vengano considerate alla stregua di autori. Sembra essere giunti alla potente emersione dal flusso della storia di ciò che Joseph Beuys aveva preconizzato quando diceva che “ogni uomo è un artista”. Si potrebbe affermare a questo punto che “ogni uomo quando sogna è un artista”. Lo ha asserito nei suoi libri lo scrittore Jorge Luis Borges, per il quale i sogni sono un’attività estetica a tutti gli effetti e rappresentano un vero e proprio genere letterario, il più antico della storia umana.
Questa tesi definita dallo stesso scrittore argentino «pericolosamente suggestiva» (Borges, 1975) si ispira a Joseph Addison, secondo il quale l’anima quando sogna: «[…] conversa con innumerevoli individui di sua creazione e si trasferisce in diecimila scene di sua immaginazione. Essa è il suo teatro, il suo attore e il suo spettatore» (Addison, 1712).
Ma se la qualità letteraria del sogno, tramite la sua riduzione narrativa (anche grazie alla psicoanalisi) è stata maggiormente esplorata, rimane ancora da indagare, da un punto di vista estetico, la qualità puramente visiva e sonora di questa produzione spontanea di immagini in movimento, ossia il carattere più marcatamente cinematografico, teatrale, performativo e relazionale.
Un sostegno alla tesi della natura artistica dell’attività onirica viene da un grande studioso della materia, Carl G. Jung che nella psicoanalisi suggerisce di affidarsi, per l’interpretazione dei sogni, a una sensibilità di tipo artistico, fondendo insieme metodo e intuizione, trattandoli non solo in modo logico e razionale, ma soprattutto come opere d’arte (Jung, 1928-1939).
Inoltre il suo concetto di “inconscio collettivo” ci viene in aiuto per precisare meglio la natura di quelli che abbiamo definito come beni immateriali, i sogni: «L’inconscio collettivo è una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall’inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all’esperienza personale e perciò non è un’acquisizione personale […] i contenuti dell’inconscio collettivo non sono mai stati nella coscienza e perciò non sono mai stati acquisiti individualmente, ma devono la loro esistenza esclusivamente all’eredità […]» (Jung, 1936).
Con il sogno ci troviamo dunque in presenza di un “bene immateriale” dalla natura decisamente insolita, nè pubblico nè privato, parte di un patrimonio comune a tutti gli uomini (e forse a tutti gli animali) e per di più, come asserisce Jung, ereditario.
Un bene collettivo che si avvicinerebbe pericolosamente (direbbe Borges) alla nozione giuridica di commons, o beni comuni, estendendola così a categorie dell’esperienza umana, finora escluse, e considerando per la prima volta il sogno alla stregua di una risorsa naturale da tramandare alle generazioni future, come l’acqua e le foreste.
È ancora una volta Jung a parlare dei sogni in termini di fenomeni naturali, a proposito degli archetipi: «La fonte principale (degli archetipi nda) sono i sogni, che hanno il vantaggio di essere prodotti involontari, spontanei, della psiche inconscia, e pertanto puri prodotti di natura, non falsificati da uno scopo conscio» (Jung, 1936).
Secondo la definizione della Commissione Rodotà (giugno 2007), per beni comuni (nella doppia accezione di beni naturalistici e culturali) si intendono «quelle cose funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonchè al libero sviluppo della persona. I beni comuni devono inoltre essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissate dalla legge».
Con la prima acquisizione pubblica alle collezioni di un museo, e la conseguente fruizione collettiva dei sogni, ci si apre a nuove, inedite prospettive.
Torniamo ora all’aspetto estetico dell’attività onirica. Se, come si è visto, la qualità letteraria e persino pittorica dei sogni è stata maggiormente osservata (molti sono i dipinti ispirati dai sogni o dagli incubi), pochi sono gli artisti che hanno indagato invece il loro aspetto relazionale.
Tra questi, l’artista italiano Emilio Fantin che fin dagli anni ’90 ha condotto un’appassionata ricerca su quelle che ha definito “comunità invisibili”, focalizzandosi su «l’aspetto sociale dei sogni» e portando alla luce quei legami invisibili che animano una comunità [3]. Comune a tutti è sognare è il titolo di un suo libro in cui condensa la ricerca portata avanti in questi anni, attraverso mostre, installazioni e workshop, dove come egli stesso spiega «[…] invita a condividere l’area non geografica del sonno e del sogno, un’area in cui si generano intense dinamiche di scambio» (Fantin, 2016).
I nessi tra sogno e realtà, gli accadimenti sincronici e l’immaginazione attiva, vengono esplorati attraverso delle comunità di sognatori, in cui per un certo periodo di tempo un insieme di individui si concentra sui sogni propri e altrui. Fantin si avvale dell’“Integratore”, un dispositivo spaziale di dimensioni ambientali che ha lo scopo di integrare stati di coscienza differenti; un labirinto composto da reti metalliche fa sì che i visitatori possano ascoltarsi tra di loro, senza vedersi. Nei progetti di Fantin non si perviene a una fruizione passiva dei sogni, tramite il mero ascolto, ma si direbbe alla loro produzione partecipata, dal momento che l’immaginario onirico viene condiviso, portandolo alla coscienza, per poi re-immetterlo nel flusso dei sogni altrui, in una contaminazione fluida tra sonno e veglia. Il suo Manifesto estetico dell’impercepibile [4] affronta inoltre da un punto di vista artistico questioni formali che riguardano le immagini interiori, la cui caratteristica sembra essere la processualità.
Nel suo più recente progetto tuttora in corso Risvegli, The Light of Darkness, il pubblico ha registrato i propri sogni su una piattaforma online dedicata [5], per poi ri-ascoltarli in una installazione sonora interattiva nella mostra Dreaming is Common to all al Logan Center for the Arts di Chicago [6].
Altro progetto artistico partecipativo che si basa sulla raccolta e l’archiviazione di sogni è Dreams’ Time Capsule dell’artista Eva Frapiccini [7], una ricerca nata nel 2011 che è confluita in un archivio audio di 2086 sogni registrati tra Europa, America Latina, Medio Oriente e Africa [8].
A partire dal 2020, dopo 10 anni dall’inizio del progetto, i sogni sono stati via via restituiti dall’artista, ri-spedendoli ai legittimi proprietari che potranno così comprenderne meglio il contenuto, alla luce del tempo trascorso. Anche Frapiccini si avvale di un dispositivo spaziale per raccogliere i sogni, una struttura gonfiabile ideata con il designer Michele Tavano per essere trasportata in valigia e prodotta dall’Arkitecturmuseet di Stoccolma.
Un archivio concepito questa volta come un atlante digitale di sogni, è One Million Dreams, degli artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico nato nel 2014 attraverso il Museum of Dreams, con lo scopo di creare un database planetario di sogni e renderlo disponibile come Open Data. I sogni raccolti sono quelli che vengono postati ogni giorno sui principali social network da persone di tutto il mondo in 29 lingue.
Come si diceva all’inizio, diversi sono stati in tutto il mondo i progetti di raccolta e di archiviazione di sogni, nati con lo scoppio della Pandemia di COVID-19; tra i primi in Italia, Radio Traum, una trasmissione radiofonica partecipata in podcast, nata nel mese di marzo del 2020 durante il primo lockdown in Europa dopo quello cinese. La forma scelta è stata quella della trasmissione radiofonica asincrona e nomadica, articolata in otto puntate, che si è avvalsa delle voci di sognatori provenienti dall’Italia e dall’estero, composizioni musicali originali e momenti di intrattenimento affidati a speaker e caratteristi (Dott.ssa Valerio, Miss Von Franz). I sogni e le composizioni musicali e canore venivano registrati dagli autori e inviati alla redazione attraverso messaggi vocali Whatsapp, raccolti tramite il passaparola e sulle pagine dedicate su Facebook e Instagram. In questo caso i sogni diventavano veri e propri monologhi radiofonici che venivano montati insieme a interludi musicali, componendo puntate tematiche.
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Per concludere, la comunità umana per la prima volta nella storia è stata sottoposta allo stesso trauma e si è relazionata in maniera inconscia, dando vita a processi di integrazione collettiva, attraverso una straordinaria fioritura di immaginario onirico dalla forte valenza estetica, ma anche sociale e storica, né privata né pubblica.
Possiamo includere i sogni tra i beni comuni immateriali da tramandare alle generazioni future, insieme ai fiumi e alle foreste, come fenomeni naturali impercepibili e partecipati della collettività sognante? È diritto delle generazioni future conoscere il passato non soltanto dalle fonti scritte, ma anche da quelle orali e da forme di narrazione, conscia e inconscia di quanto vissuto dalla comunità, per una cronaca che non teme di farsi fluida e opaca.
Non è difficile immaginare che la nuova dichiarazione dei diritti dell’uomo auspicata dai surrealisti, a un certo punto della storia avrebbe reclamato l’ammissione nel campo del Diritto del grande escluso, il regno dell’irrazionalità, di cui il sogno è il più comune, ma anche il più misterioso prodotto.
Note
[1] Rivista fondata nel dicembre del 1924 da Louis Aragon, André Breton, Pierre Naville e Benjamin Péret.
[2] Per un maggiore approfondimento si veda www.museumofdreams.org
[3] La prima installazione su questo tema è Träume del 1995, una finta parete da cui fuoriuscivano i sogni registrati di un gruppo di persone, presentata nella mostra Presente/Gegenwart alla Künstlerwerkstatt Lothringerstrasse a Monaco di Baviera nel 1996.
[4] Si veda Fantin. E, Frammenti ed esperienze sull’impercepibile, in «roots-routes magazine» anno 8, Sensory Hiatus n°27, gennaio-aprile 2018
[5] Per un maggiore approfondimento si veda www.poeticsofnonperceptible.com
[6] Emilio Fantin, Risvegli, The light of Darkness, mostra a cura di Gabi Scardi con Katherine Desjardins, in più sedi tra Chicago, Torino a Palazzo Barolo fino all’8 dicembre 2021 e Roma presso la Fondazione Baruchello da gennaio 2022.
[7] Si veda www.dtcproject.wordpress.com
[8] Per un maggiore approfondimento si veda Frapiccini E., Traces and messages: the perspective of a practitioner, in «roots-routes magazine» anno 10, Archivio è Potere n°33, maggio-agosto 2020
* immagine in copertina: Radio Traum, marzo 2020
Bibliografia
Addison J., Sui sogni, The Spectator, n. 487 (Londra, 18 settembre 1712), in J.L. Borges,
Libro di sogni, a cura di Tommaso Scarano, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 2015, pp. 94-98.
Aragon L., Une vague de rêve, Commerce, Cahier II (Parigi, autunno 1924), in Roberto Calasso, Come ordinare una biblioteca, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 2020, p. 77.
Borges J. L., Libro di sogni, a cura di Tommaso Scarano, Piccola Biblioteca Adelphi, Milano 2015, p. 19.
Fantin E., Comune a tutti è sognare, PS Guelph, Canada 2016, p.191
Jung C.G., Analisi dei sogni, (Seminario tenuto nel 1928-1930), Bollati Boringhieri, Torino 2006
Jung C.G., Gli Archetipi dell’inconscio collettivo 1934/1954, Bollati Boringhieri, Torino 2019.
Vitolo A., in C. G. Jung, Gli Archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, Torino 2019, pp.7-14.
Giusi Diana è storica dell’arte, critica, curatrice e giornalista culturale. Collabora con diverse istituzioni tra cui Fondazione Merz, Collezione Maramotti, Fondazione Fiumara d’Arte e Fondazione Orestiadi di Gibellina. Ha curato mostre al Museo Bilotti di Roma, al Museo Riso di Palermo e al Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, dove ha ideato il programma di residenze Divinazioni. Per il Museo Archeologico Salinas di Palermo, in collaborazione con la Collezione Maramotti di Reggio Emilia, ha curato la mostra Evgeny Antufiev. When art became part of the landscape. Chapter I, evento collaterale di Manifesta 12. È stata tutor in Italia della vincitrice del Max Mara Art Prize Hellen Cammock. Collabora con Il Giornale dell’Arte, The Art Newspaper, Arte Mondadori e Il Manifesto.