Estetica dell’impercepibile
Estetica: ciò che concerne l’apparire, il vedere, il sentire. Ciò che si dà, che si manifesta e che si esprime attraverso forma, colore, tempo e spazio. Un paesaggio, un riflesso luminoso, un ritratto, il volo di un falco. Tutto ciò risuona in noi attraverso un’emozione intensa, che sentiamo a volte come sprone, slancio, altre volte come un ripiegarsi, ai limiti del dolore, nella commozione. Un equivoco che cavalca la storia da tempo, vuole che “estetica” sia una parola indissolubilmente e necessariamente legata alla percezione sensoriale: non vi è estetica senza esperienza sensoriale, senza il mondo delle cose e della natura. È indubbio che “estetica” sia legata a “vedere”: essa nasce come conseguenza del processo di visualizzazione. Il processo di illuminazione è complesso, e la luce che concerne il mondo delle cose, la realtà oggettiva, ne è solo un aspetto. Sappiamo che nel mondo fisico, l’immagine di un oggetto è determinata dai raggi luminosi che l’occhio percepisce dopo essere stati riflessi dall’oggetto stesso. Questo però non avviene nel mondo interiore dominato anch’esso dalla luce, quella che ci permette di “vedere” in sogno o attraverso la nostra immaginazione. Nessun fenomeno fisico di rifrazione e riflessione dei raggi luminosi sembra essere implicato nel processo di illuminazione interiore. Questa semplice osservazione, che ognuno di noi può fare, è il primo passo per elaborare l’idea di un’estetica dell’impercepibile, là dove, nel mondo interiore, non esistono oggetti o cose materiali. Non esiste una “forma” come condensazione della materia, come densità corporea, percepita nella sua fissità. Non vi è separazione tra osservatore (soggetto) e osservato (oggetto) come nella realtà fisica, ma è una continua generazione che si riproduce costantemente. È una “forma” processuale.
Conseguenza di questo processo di ricreazione è che la sorgente luminosa e ciò che essa illumina sono la stessa cosa. Basta questo a sorreggere l’idea di un’”estetica dell’impercepibile” che potrà essere teorizzata solo nel momento in cui viene esperita. Mai avrei pensato che in questa esplorazione mi fossero venuti in aiuto esseri inattesi: gli alberi. Nel processo della loro crescita tra seme e fioritura si celano potenti immagini e forti emozioni.
MANIFESTO ESTETICO DELL’IMPERCEPIBILE
Il Manifesto estetico dell’impercepibile fa coincidere punti teorici con pratiche eseguibili
- costruzione dell’immagine interiore: natura della luce
umana e processo di illuminazione del pensiero - l’immagine interiore non è frutto di luce riflessa
- la sorgente della luce interiore coincide con l’immagine
interiore - dimensione, colore e profondità dell’immagine interiore
sono regolabili con la volontà - la forma dell’immagine interiore è uguale al suo contenuto
- forma metamorfica: stabilizzare l’immagine interiore
significa assumere il processo di costruzione dell’immagine
stessa - per “stabilizzare” un’immagine interiore è necessario
attivare i canali di scarico dei pensieri inattesi - le forze attive che vengono esplicate nel processo di
costruzione dell’immagine interiore sono le stesse che
sostengono la vita nell’uomo - il pensiero logico è direttamente implicato nella costruzione
dell’immagine interiore - il pensiero logico deve superare il suo limite per cogliere
l’andamento processuale e sostenerne
contemporaneamente le varie fasi - il superamento del limite del pensiero logico trasforma la
forma in intensità, la dimensione in estensione - la forma come intensità, la dimensione come estensione e
la sorgente luminosa interiore, condividono la stessa
matrice - lo splendore della matrice dissolve forma e contenuto
IL SOGNO COME ESPERIENZA COMUNE, TRA MONDO ONIRICO E REALTA’ FISICA
La mia ricerca sulle immagini interiori e sui sogni è stata ampiamente trattata nel mio libro Comune a tutti è sognare in cui vengono descritte e raccontate “esperienze” collettive sul rapporto tra mondo onirico e realtà fisica.
“Intendo contribuire alla discussione sulla ridefinizione del rapporto soggetto-moltitudine e suggerire una riflessione sul concetto di “io” relativamente a quello di “altro”, non partendo da una definizione sociologica, o strettamente filosofica, ma passando attraverso un procedimento che abbia un carattere empirico, fecondato dall’aspetto immaginativo. Si vuole vedere che cosa accada ai sogni una volta che essi vengano immessi all’interno di un contesto creato per l’occasione, un sistema di riferimento, come le persone coinvolte reagiscano, e a quali relazioni interpersonali e collettive diano vita. Da tempo m’interesso di quel territorio che ho definito come Il tempo della notte, di cui i sogni sono parte. Molto del mio lavoro precedente sui sogni è basato sul concetto di comunità di sognatori, e su quello di restituzione del sogno. Ho lavorato con comunità di vario tipo; lo staff e gli impiegati di un museo, gli artisti in residenza in Polonia, cittadini senesi, spesso persone che s’incontrano per la prima volta. Usualmente ciò avviene in luoghi dove vi è la possibilità di pernottamento, in modo che i partecipanti siano a stretto contatto per tutta la durata dell’Esperienza. La concentrazione sui sogni propri e su quelli degli altri è molto importante per rendere consapevoli i membri della comunità del legame tra le scelte, gli incontri e le coincidenze che esistono nella relazione tra sonno e veglia. Questa Esperienza mira a costituire un territorio comune, non geograficamente collocabile né definibile temporalmente, né astratto né concettuale, espressione di un disegno che si mostra fugacemente per poi ritornare a scorrere nel buio della notte. Si colgono così due aspetti importanti: da una parte indagare, utilizzare, cogliere le indicazioni implicite del sogno, attraverso un processo in cui il sogno stesso diventa materia prima per un percorso immaginativo. Dall’altra, restituire su un piano reale, fisico, concreto, la materia viva del sogno, attribuendo a esso la possibilità di evocare i legami che esistono tra le immagini sognate e la realtà.” (Fantin, 2016)
Referimenti
Fantin E., Comune a tutti è sognare, PS Guelph, Canada 2016.
Emilio Fantin pone le condizioni per un confronto dialettico tra saperi diversi. Crea spazi e situazioni in cui invita a condividere l’area non geografica del sonno e del sogno, un’area in cui si generano intense dinamiche di scambio, intendendo mostrare ciò che chiama “l’aspetto sociale dei sogni”, alla ricerca di quei legami speciali e nascosti che animano la vita di una comunità. Indaga le relazioni tra piante, animali e terra, partendo da una visione biodinamica e mette in atto processi artistici che ne manifestino il carattere estetico. Delle sue ricerche artistiche, Emilio Fantin cura in particolare l’aspetto pedagogico; pone grande attenzione al dialogo che si esprime come Arte della Conversazione e al concetto di Comunità Invisibile, dove gli aspetti poetici e evocativi del vivere sociale diventano pratica quotidiana. Dal 2005 è docente di arte contemporanea alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. È stato uno dei coordinatori del progetto Oreste e ora è promotore del progetto “Dynamica”, gruppo di studio nomade, per una ricerca sul rapporto tra i diversi saperi. Ha dato vita, assieme agli altri artisti del progetto Lu Cafausu, alla Fondazione Lac o le Mon, (San Cesario di Lecce, Puglia) per la ricerca artistica.