Assalto Delle Gole Al Cielo
Fotografare l’urlo.L’Antigone del Living Theatre per l’obiettivo di Carla Cerati
di Giada Cipollone

Materiali

Primo strato, Brecht. 1961. In una libreria di Atene, Julian Beck e Judith Malina si imbattono nel libro-modello dell’Antigone1. Sei anni dopo, per vilipendio, Judith Malina subisce un arresto e viene internata per trenta giorni: porta con sé Sofocle, appunti, saggi critici, un dizionario greco-inglese, uno greco-tedesco, i bozzetti e le micro-scene dello spettacolo brechtiano, fotografate e didascalizzate. Malina traduce fedelmente il testo dell’Antigone di Sofocle di Bertolt Brecht, con l’intenzione di portarlo in scena. Da Tebe, V secolo a.C., a Berlino, 1945: nella attualizzazione allusiva (esplicitata solo nel prologo), la tragedia conserva l’originale struttura testuale, metrica e tonale ma perde la tipica ambiguità mitologica: opacizzato e irrisolto nell’ipotesto sofocleo, il modelloantagonista di Antigone viene radicalizzato nell’opposizione non solo al re delle leggi scritte, ma al tiranno bellicista e oppressivo, che si autoproclama Stato. Il ripristino della dicotomia manichea, che distingue nettamente la rivolta militante di Antigone e il giogo repressivo di Creonte, chiarisce il messaggio di lotta, giustizia e resistenza veicolato dalla lezione brechtiana. A questo scopo, la sua drammaturgia, pur non tradendo la prosodia greca, diventa epica: il ritmo poetico delle battute si somma al corollario narrativo, che commenta le azione e, nell’intento dell’autore, scongiura la commozione empatica, inspessisce la coscienza critica, avvantaggia la fruizione consapevole e razionale

Secondo strato, Artaud. Il teatro e il suo doppio folgora il Living Theatre ancora prima della sua uscita, in traduzione, nel 19583. Un teatro non rassicurante che postula l’esorcismo del male con il male e della violenza con la violenza e trasmette il contagio come chiave esperienziale per la rinascita (Artaud, 2000: 200): l’esperimento “crudele” a partire da The Brig condiziona l’estetica teatrale di Beck e Malina, che si perfeziona nel segno artaudiano. La «folle musa» (Malina, 1967) ispira e investe anche il trattamento dell’Antigone: la parola di Brecht, tradotta e trasmessa letteralmente, dal punto di vista testuale, viene risemantizzata sul piano scenico, dove articola un significato altro.
Il dogma della responsabilità individuale, che in Brecht stigmatizza solo il simbolo del tiranno, viene sconfessato in nome di un’estensione, che drammatizza la colpa collettiva: l’anima resistente e anarchica di Antigone combatte non l’empia eccezione della tirannia, ma la norma iniqua dello Stato civile e democratico, a cui tutti partecipano. In questo senso, a risultare necessario, non è tanto l’impulso a un giudizio storico sull’altro, quanto piuttosto, il risveglio critico su di sé: il testo brechtiano deve quindi essere ferito dall’acuminato spunto di Artaud, che inquina la distanza cerebrale con l’epidemia pestilenziale4, che contamina e affligge i corpi prima e più ancora delle coscienze.

Il Living Theatre in scena nel finale dell’Antigone, teatro Durini. Milano 1967

Living Theatre. Due scene dell’Antigone al teatro Durini. A sinistra Julian Beck, a destra Judith Malina. Milano 1967

Elaborazioni sull’Antigone

Elaborazioni

Lo spettacolo debutta nel 1967 e arriva in Italia nello stesso anno. Al teatro Durini di Milano c’è anche Carla Cerati, che proprio fotografando la scena aveva esordito sette anni prima, sempre a Milano, al Manzoni, in occasione delle prove Niente per amore messo in scena da Franco Enriquez. Sono proprio le luci delle scene ad illuminare a Cerati le vie del professionismo: in uno scarto con la norma imperante, che adopera la fotografia teatrale come un puro strumento di servizio documentario, il paesaggio del teatro localizza per Cerati un orizzonte discontinuo di ricerca fotografica, dove è possibile creare, superando l’astensione narrativa a favore dell’azione interpretativa5. I corpi e le voci, che si mischiano con le vite, scena e fuori scena, diventano per l’obiettivo di Cerati dei campioni paradigmatici da sottoporre all’esame della lente fotografica, che ingrandisce il corpo dei dettagli e coglie le irregolarità fortuite dei gesti. «L’intensamente voluto e l’apparentemente casuale» (Cerati, 1991: 102): tutto reagisce inaspettatamente alla chimica invasiva dell’esperimento fotografico, che Cerati intromette nelle sostanze viventi dei teatri e delle strade, «giocando i dadi di una partita che dispone la tradizione con la finzione e l’avanguardia con la realtà» (Gallo, 1991: 8).
Teatro e vita si mescolano e si contaminano in un continuo movimento, estetico, sociale, politico: Cerati aspira alla creazione di immagini polivalenti, che non soffochino nei bordi dell’inquadratura il respiro di un solo senso possibile, ma aprano alla possibilità di elaborazioni, di storie, di ordini aperti. Trasformare una fotografia di cronaca in una scena teatrale6, e viceversa: Carla Cerati ha l’ambizione di impressionare immagini equivoche, che possano significare indiscriminatamente attimi teatrali o drammaturgie viventi, sensi stretti e significati altri.

Al teatro Durini di Milano c’è anche Carla Cerati, fotografa di scena. L’invenzione del Living, del teatro che vive, al presente, sembra interpretare la ricerca della fotografa: l’emulsione del teatro nella vita, che fonda la poetica del gruppo di Beck e Malina, si declina nella necessità militante della ribellione politica. Antigone è il passato mitico della legge punitiva, il passato prossimo della Seconda Guerra, ma anche il presente storico dell’America, in Vietnam; Antigone è la voce antica, che insegue la metrica greca, è il commento in italiano del racconto che strania l’azione, è l’urlo primigenio dell’attore7 che rompe il silenzio delle masse. Antigone è la storia, plurale e universale, che parla con la letteratura formulare e razionale di Brecht ma agisce con la ritualità figurale ed emotiva di Artaud. Il palcoscenico spoglio ospita l’ingresso degli attori in maglietta e blue-jeans, Malina è Antigone, Beck è Creonte, sul palco c’è Tebe, il pubblico è Argo. Una partitura fonica e gestuale scandisce il procedere delle storie: la narrazione si sporca di canto, lamento, rantolo, urlo; l’azione si ritma nella ripetizione di gesti, arcaico e senz’organi quello di Antigone, quasi geometrici e animali quelli di Creonte8.

Carla Cerati fotografa lo spettacolo e decide di seguire il Living, anche altrove: fotografa il Frankenstein, a Modena; Paradise Now, ad Avignone. Torna sulle foto dell’Antigone, nel 1972 e nel 1983, le elabora. Lavora su otto fotografie dell’epilogo, della scena finale: sul penultimo passo, nel buio, quando gli attori avanzano verso il pubblico, intonano un soffio, come di vento, metallico, che fischia l’ultimo canto di morte; sull’ultimo passo, quando le luci sono accese e abbagliano l’applauso ostile9 dello spettatore, che con battiti di mani che sembrano colpi di fucile, fa arretrare il corpo di Tebe, con le bocche spalancate e lo sguardo di terrore.

«Prima fase, 1972: osservando le foto di gruppo del finale dell’Antigone del “Living Theatre” resto colpita dalla molteplicità delle espressioni di volti e delle mani. Provo a isolarne qualcuno e stampo una prima serie, ma presto mi rendo conto che devo stringere di più e usare sempre lo stesso formato, che si tratti di volti o di mani. […]

Seconda fase, 1983: fotografo uno per uno i quadratini 6×6 sperimentando pellicole e sviluppi diversi. Poi stampo in formato 30×30 varie riproduzioni. Mi diverto anche a sperimentare diversi viraggi con risultati abbastanza interessanti» (Cerati, 2007: 107).

Con uno stile insolitamente asciutto, molto diverso da quello analitico dei futuri romanzi, Carla Cerati introduce le sue Elaborazioni sull’Antigone. I volti e le mani: stringere, virare, ingrandire: «ingrandimenti sgranati che paiono sindoni di anime torturate» (Lucas, 2007: 5). Le mani, solo quelle più vicine alle facce; gli occhi, soprattutto quelli spalancati di Malina che non trattengono un rivolo nero, di lacrime miste a trucchi. Anatomia del gesto, sconfortato dalla paura; fotografia di un urlo, silenziato dal terrore. Come indietreggiare, senza morire? Come reagire a un assalto totale? Cerati afferma ma non spiega la sua ossessione, longeva e quasi chirurgica, che vuole diagnosticare la perfezione dell’espressione e operare sulla possibilità di reagire a uno stato di cose che vuole minacciare, distruggere, uccidere. Dal 1967 al 1972 al 1983: scorrono gli anni manicomiali di Morire di classe, i ritratti Culturalmente impegnati, le Metamorfosi della Milano radical-chic, i Nudi e i Paesaggi italiani; escono molti romanzi, anche autobiografici, trionfali come il primo L’amore fraterno lodato dalla Ginzburg e poi liquidati come sfoghi quasi isterici da giudizi dozzinali. C’è una costante che in tutto questo tempo calcola il peso specifico della parola e della fotografia, in Cerati: ed è come un bisogno di dire, di dirsi, un impulso alla narrazione, che risarcisce il silenzio imposto e coatto della vita personale. Dopo aver superato con successo l’esame di ammissione all’Accademia di Brera, infatti, Cerati si vede costretta ad abbandonare il sogno della scultura: a 21 anni, su pressione dei familiari, decide di sposarsi e rinunciare alla carriera artistica10. La sua è una vita matrimoniale sofferta, infelice e opprimente. Ma il destino dell’arte non rimane a lungo latente e, prima con la fotografia, dopo con la scrittura, Cerati riscopre la sua necessità creativa.

Due forme d’arte, scrittura e fotografia, che rispondono a una duplice esigenza: guardare ai materiali del presente, con la fotografia, senza lasciarli semplicemente accadere, senza accontentarsi della prima visione, ma cercando nelle immagini significati non immediati, da elaborare; riconquistare i materiali del passato, con la scrittura, riabilitandoli nella loro autenticità e nella loro sofferenza, rimossa da una lunga e passiva accettazione di stato di cose sempre uguale, immutabile, minaccioso.

Materiali che si stratificano: il corpo del Living parla con il rigido verbo brechtiano, ma si muove nei paradossi di geometrie senz’organi; le mani di Cerati fotografano gli atti, i presenti, e poi tornano con i pensieri, scoprendo dittici, antinomie e nuovi significati. L’origine è Antigone, il suo pianto resiliente, il suo grido primigenio e il suo gesto, aumentato, eccessivo, ripetuto. Il suo urlo che indietreggia, ma non smette di dire: ci sono, protesto, posso dire, ritornare.

E Antigone ritorna ogni volta che lo chiede la storia11.

1 Il testo dell’Antigone viene implementato dall’inclusione, nello stesso libro, di bozzetti e fotografie di scena ad opera di Ruth Berlau. Cfr., Brecht B., Neher C., Berlau, R., Antigonemodell 1948, Gebr. Weiss, Berlino 1949 edito in italiano, senza immagini, con il titolo Come valersi non servilmente di un modello di regia, in Brecht B., Scritti teatrali, Einaudi, Torino 2001, pp. 187-201. Per un approfondimento sulla relazione, intensa e produttiva tra Brecht e la fotografia, cfr. Fiorentino F., Valentini V. (a cura di), Brecht e la fotografia, Bulzoni, Roma 2015.
2 «Per capire il senso dell’operazione compiuta da Brecht nel rifacimento dell’Antigone sofoclea, infatti, è interessante partire dal valore probante del modello e sviluppare la tesi del palesamento dell’esempio come concetto formale che assume significato politico all’interno del processo storico. Dunque “modello” come principio, elemento fisso e originario da cui partire, ma anche come gesto esemplare». Marinai E., Antigone di Sofocle di Brecht: un modello possibile di resistenza, «Turin Dams Review», 2010, p. 4.
3 Grazie all’amica e traduttrice Mary Caroline Richards, che fornisce loro un’anteprima, Beck e Malina scoprono precocemente Il teatro e il suo doppio. Cfr., Marinai E., ETS, Pisa 2014, p. 22.
4 «Si trattava di una produzione artaudiana di un testo brechtiano, che rispettava moltissimo il testo di Brecht e tentava di esprimerlo attraverso l’azione di Artaud». Valenti C., Storia del Living Theatre. Conversazioni con Judith Malina, Titivillus, Corazzano (Pi) 2008: 146.
5 «La tendenza a mettere in gioco lo statuto tradizionale dell’immagine e a utilizzare la fotografia teatrale con una funzione interpretativa anziché narrativa, si precisa negli anni Settanta, quando una rilettura dell’Antigone messa in scena nel 1967 dal Living Theatre al teatro Durini di Milano la porta a realizzare nuove stampe decontestualizzando dalle immagini precedenti una serie di espressioni mimiche facciali e di particolari di mani». Mussini M., Carla Cerati, Skira, Milano 2007: 17.
6 «Secondo me, nel momento in cui si scatta una fotografia, si compie un’elaborazione mentale della scena a cui ci si trova ad assistere: un’elaborazione che trasforma una fotografia di cronaca in una scena teatrale». Galasso A., Conversazione con Carla Cerati in Cerati C., Scena e fuori scena, Electa, Milano 1991: 14.
7 «Si può vedere questo spettro d’anima intossicato dalle sue stesse grida, altrimenti a che cosa corrisponderebbero i mantra indù, queste consonanze, queste accentuazioni misteriose, dove le nascoste forze materiali dell’anima, braccate nelle loro tane, vengono a svelare alla luce i loro segreti». Artaud A., Un’atletica affettiva, in Id., Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000: 244.
8 «Ricerca di un vocabolario del corpo, come futuro dell’espressione umana. [….] Quindi una gestualità rituale ripetuta all’infinito e arricchita da automatiche contrapposizioni: tipica tra tutte quella di Antigone rattrappita nel gesto di aggiungere terra al cadavere del fratello e Creonte […], grande uccellaccio grifagno-divinità egizia ricreato da Julian Beck». Quadri F., La protesta del Living nel segno di Antonin Artaud, «Sipario», n.252, aprile 1967: 32.
9 «I’m looking at you I see that you’re going to kill me». Cfr., Judith Malina cit. in E. Marinai, Antigone di Sofocle-Brecht per il Living Theatre, p. 182.
10 Cfr. la biografia di Carla Cerati, sul sito ufficiale http://www.carlacerati.com/biografia/ [data di ultimo accesso: 26/06/2018].
11 «Antigone è presente ogni volta che la Storia lo chiede». Marinai E., Antigone di Sofocle-Brecht per il Living Theatre, p. 33.

Bibliografia

Artaud A., Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino 2000 (1964).
Brecht B., Scritti teatrali, Einaudi, Torino 2001 (1957).
Cerati C., Scena e fuori, a cura di Francesco Gallo, Electa, Milano 1991.
Cerati C., Punto di vista, a cura di Uliano Lucas, Electa, Milano 2007.
Marinai E., Antigone di Sofocle-Brecht per il Living Theatre, ETS, Pisa 2014.
Marinai E., Antigone di Sofocle di Brecht: un modello possibile di resistenza, «Turin Dams Review», 2010.
Mussini M., Carla Cerati, Skira, Milano 2007.
Quadri F., La protesta del Living nel segno di Antonin Artaud, «Sipario», n.252, aprile 1967.
Valenti C., Storia del Living Theatre. Conversazioni con Judith Malina, Titivillus, Corazzano (Pisa) 2008.

http://www.carlacerati.com

Giada Cipollone si è laureata in Filologia moderna. Scienze della letteratura, del teatro e del cinema presso l’Università degli Studi di Pavia, dove è attualmente dottoranda di ricerca, con un progetto sulla fotografia di scena. Ricopre l’incarico di cultore della materia per l’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo. Collabora con il Centro Studi Self Media Lab.