Carusiddi, ed il silenzio vociante nell’eco di chi non ha più parole.
Figghioli, con gli occhi vuoti di speranza ed ancora pieni di vita.
Picciutteddi, figli di ‘sta terra: isola che sazia di luce il lutto a cui è condannata.
Con le strade macchiate, i suoi centimetri liberati e ancora da liberare.
Di vie scolpite di nomi e cognomi a colmare l’ignavia satolla di colpevole silenzio.
E madri e padri senza più le iridi a brillare ed il sangue a pulsare.
E figli e sorelle con le scarpe camminate e le mani lavorate.
E noi. Ancora affamati di tutto e sazi di niente.
A cibarci delle zolle inaridite, nell’odiosa e perenne attesa che una fine deve avere.
Aspettando che arrivi la risacca per diventare mare, l’infinito amare.
.
.
Fotografia in homepage
©Carolina Farina, Infinito Amare
.
.
Umberto Di Maggio nasce a Palermo durante le stragi di mafia degli anni ’80. Cresce nei vicoli della periferia, nel meticciato del Mediterraneo, mentre la città viveva la sua Primavera. Fugge rabbioso nel Continente per trovare la desiderata pace, la rubata dignità e la mancata normalità. Il sogno della sua terra libera, invece, lo rimette in viaggio verso Itaca. Diritti, libertà, democrazia sono per lui il pensiero plurale per quella rivoluzione che emancipi la sua gente dall’infame peso di mafie e corruzione. Le parole lo aiutano, le parole ogni giorno lo salvano. Le sbagliate che scrive, le incerte che pronuncia, le giuste che legge girando la pagina, le pagine. Quelle che interrogano e lasciano il solco, e quelle che desidera siano il seme per l’impegno civile di chi non ha più futuro perché nella lingua dei nonni non esiste o, forse, non è mai esistito.