Io, in quanto corpo trans, in quanto corpo non binario, cui né la medicina, né il diritto, né la psicoanalisi, né la psichiatria riconoscono il diritto di parlare con perizia della mia condizione, né la possibilità di produrre un discorso o una forma di conoscenza su me stesso, ho imparato come Pietro il rosso, la lingua di Freud e di Lacan, quella del patriarcato coloniale, la vostra lingua, e sono qui per rivolgermi a voi.
(Preciado, 202: 17)
Nella cultura moderna occidentale la famiglia nucleare, spesso nominata anche famiglia “tradizionale”, si presenta come composta da due genitori eterosessuali cisgender, più o meno con figl*, monogamica e riproduttiva. Questo tipo di famiglia è costruita su un legame biologico, e i due genitori si scelgono tra loro, ma ovviamente i loro figli e le loro figlie sono tali per discendenza biologica, e non per scelta. In questo schema normativo e identitario la relazione tra le persone è fortemente segnata dalla definizione biologica, tant’è che ad esempio in italiano si dice “consanguinei”, o fratelli di sangue per indicare due fratelli biologici, indicando proprio nel sangue l’elemento essenziale. Se ci si ferma solo un momento a pensare la definizione legata al sangue, come espressione scientifica ma anche come vulgata diffusa, è la stessa che è alla base del razzismo moderno, nato più o meno nello stesso periodo della famiglia moderna borghese in Europa.
Alla famiglia viene attribuito in primis il ruolo di luogo della sicurezza, della cura e del reciproco amore, ma comprende anche concetti come: il rispetto dei/delle più giovani verso i/le più anziani/e, i genitori; la necessità della comprensione reciproca e del perdono come un obbligo parentale; la riconoscenza da parte dei/delle figli/e verso i genitori. In nessuno di questi sentimenti è mai compreso, alla base, un sentimento di reciprocità, e non si intendono mai i rapporti intergenerazionali come alienabili, o addirittura annullabili.
Questa definizione rigida e codificata esclude qualsiasi altra forma “familiare”, o per meglio dire non attribuisce il nome di “famiglia” a nessun altra possibile forma di aggregazione che comprenda una micro-comunità tra persone che, attraverso diverse forme, decidono di auto-definirsi come famiglia. Battaglie civili estenuanti hanno alla fine attribuito questo termine alle famiglie composte da due persone omosessuali, attraverso un processo che è sempre al limite del rischio delle “omonormalizzazione”, ma ancora non esiste un riconoscimento vero e definitivo per le famiglie che comprendono genitori transgender o queer. Ci si potrebbe domandare perché chiamare anche queste con il nome di “famiglia” e non trovare altre forme di nomimazione. Nella società capitalista occidentale completamente basata a livello legislativo, culturale e persino economico sul concetto di “famiglia”, vorrebbe dire sugellare un’apartheid di fatto per qualsiasi altra forma di unione tra persone con i/le relativi/e figli/e, e vorrebbe dire che esiste una sola forma “naturale” di famiglia, negando che questa come le altre è sempre una condizione performata e non data in natura.
Scrive Judith Butler parlando dell’idea stessa di donna, ma a mio parere allargabile anche a quella di famiglia eteronormata: «In effetti, il diritto produce e poi nasconde la nozione di “un soggetto davanti alla legge” per invocare quella formazione discorsiva come premessa fondativa naturalizzata, che in seguito legittima la stessa egemonia regolamentativa di quella legge» (Butler, 1999, p. 21).
La FOX ha prodotto dal 2018 tre stagioni di una serie televisiva dal titolo Pose, che tratta della cultura delle Ballroom newyorkesi degli anni Ottanta: sale da ballo in cui persone LGBTQ+ si esibivano in spettacoli fatti di sfilate di moda, danza e esibizioni canore, per le quali venivano create delle vere e proprie competizioni che portavano alla vittoria di fastosi trofei. La serie trae ispirazione dal fondamentale film documentario del 1990 diretto dalla regista statunitense Jennie Livingston, Paris is burning, incentrato sulla scena della Ballroom Culture di New York nella seconda metà degli anni Ottanta.
Paris is Burning presenta alcune “Case” delle Ballroom tra cui la Casa di Xtravaganza (presieduta da Angie Xtravaganza) e la Casa di LaBeija (presieduta da Pepper LaBeija). Scrivendo di Angie Xtravaganza nel suo ruolo di House Mother, Lucas Hilderbrand nel suo saggio sul documentario scrive che viene presentata come la «madre perfetta», per la sua maternità «non definita dal genere ma da atti d’amore e di guida» (Hilderbrand, 2014, p. 62).
Nel documentario Dorian Corey, membro esperto della Ballroom, quando gli viene chiesto cosa sia una Casa afferma nell’intervista: «Sono famiglie. Si può dire così. Sono famiglie per molti ragazzi che non hanno famiglia. Ma questo è un nuovo significato di famiglia» (Paris in burning: 24’:20”).
Chi partecipava alle cosiddette Ball non erano singole persone ma gruppi, che venivano chiamati appunto “case”, seguite da un nome identificativo scelto dalla fondatrice o dal fondatore che prendeva a sua volta la nominazione di Madre. Ogni Madre della casa fondava una propria piccola collettività che venivano chiamati figli e figlie. Nella realtà Pose mostra come le case erano prima di tutto luoghi fisici di accoglienza, rifugio e aiuto per ragazz* transgender e ragazz* gay e lesbiche cacciat* dalle loro famiglie biologiche, ridott* alla fame, costrett* a prostituirsi per sopravvivere, che vivevano in strada. Il lavoro nelle Ballroom non forniva loro un reddito , ma diventava un modo concreto e potente per entrare in una comunità allargata che li capiva, li spingeva ad esprimersi e permetteva loro di performare in maniera libera la propria identità.
La Ballroom viene vista come una famiglia allargata che accoglie tutte le case, tutte le famiglie, creando una ulteriore rete di protezione intorno a queste persone rifiutate in maniera radicale e violenta dalle loro famiglie biologiche, perché considerat* “non conformi” alle regole della famiglia tradizionale.
La serie attraversa primariamente la vita di Blanca (interpretata dalla attrice transgender MJ Rodriguez), donna transgender di origini domenicane, che fonda la sua Casa Evangelista, in omaggio alla modella Linda Evangelista, ma anche con una chiara allusione mistica e religiosa, dopo essere stata a sua volta “figlia” nella Casa Aboundance, fondata dalla donna transgender Elektra (interpretata dalla attrice transgender Dominique Jackson). La Casa Evangelista nasce all’inizio quando Blanca raccoglie letteralmente per la strada Damon (interpretato dal danzatore e attore omosessuale Ryan Jamaal Swain), che vediamo nelle prime scene viene cacciato in maniera violenta da suo padre che gli dice che lo considera morto, e da sua madre che gli cita testi sacri per dirgli che è un peccatore. Damon è il primo figlio della Casa Evangelista. Già questa affiliazione iniziale si compie come una doppia scelta: da un lato Blanca sceglie di adottare Damon creando il primo nucleo della sua famiglia, e dall’altro Damon stesso sceglie Blanca come sua nuova madre. I due si chiameranno tra loro rispettivamente “madre” e “figlio” per tutta la durata della serie, e citando i loro nomi di battesimo solo quando parlano a terze persone di loro. Nel loro “lessico familiare” loro sono da subito madre e figlio.
Questa prima questione è il tema di questo mio intervento che ragione sulla natura “volontaria” dell’adesione alle famiglie transgender, gay o queer nella cultura delle Ballroom newyorkesi citate in Pose, e più in generale poi nella vita reale di queste persone in quel tempo e ancora oggi, scardinando in maniera definitiva e fattiva l’idea che la sola forma possibile di famiglia sia quella biologica. La stessa Blanca così definisce le case: «un raduno di persone che non sono benvenute a riunirsi altrove, una celebrazione di una vita che il resto del mondo non ritiene degna di essere celebrata» (POSE, 2018, “Pilot”: 35’, 21”).
Negli USA oltre la metà delle persone giovani costrette a vivere in strada sono persone rifiutate dalle proprie famiglie perché “non conformi” alle regole eterosessuali e cisgender. La maggior parte di queste persone sono o afrodiscendenti o latine, perché allo stigma familiare si unisce una doppia emarginazione del mondo esterno, che somma a quella sessuale quella razziale e di classe. La maggior parte di quest* giovan* possono solo o procurarsi da vivere con piccoli furti o spacciando sostanze, o prostituendosi, e sono quindi molto più facilmente soggett* a cadere in diverse forme di dipendenza, dalle droghe all’alcol, e a contrarre malattie mortali.
Pose racconta con una nettezza e una lucidità disarmante come quello che abbiamo appena detto è la realtà quotidiana per moltissim* giovan*, e non solo negli USA ma in tutto il mondo, e che le “famiglie” acquisite sono spesso la loro unica forma di salvezza. La famiglia raccontata da Pose è un rifugio sicuro, è una possibilità di proteggersi, anche magari all’inizio dovendo comunque fare attività illecite o prostituirsi, ma con la possibilità di proiettarsi nel futuro immediato in una dimensione diversa, in una possibile vita “normale”, cioè non segnata da una precarietà drammatica da ogni punto di vista, felice e persino di realizzazione personale.
Blanca è una madre che ha vissuto sulla sua pelle tutto quello che i/le suoi/sue figl* stanno vivendo, o potrebbero vivere quindi, la sua prima funzione è capirl* con un processo empatico, che normalmente un genitore biologico non ha perché intende i propri figli e le proprie figlie come un proprio prolungamento, come un essere che dipende da lui/lei con un forte senso di proprietà. Blanca vedrà andare via e tornare i propri figli e le proprie figlie, a volte sarà lei stessa a cacciarl*, perché la loro relazione non è “per sempre” come le famiglie tradizionali intendono i legami parentali, almeno nella teoria, ma è una continua negoziazione in cui lei cerca soluzioni per aiutarl*, e in cui loro devono continuamente stare nel progetto, aderire alla visione della casa, confrontarsi con tutt* quell* che la occupano continuando a cercare una propria posizione. La casa della Ballroom Culture chiede un posizionamento continuo, chiede a ciascun* figl* di dire dove vuole stare e come. Tant’è che i/le figli* cambiano, passano da una casa all’altra con una certa scioltezza, e al di là della concorrenza nelle esibizioni, e del gioco fatto di scontri e battaglie formali, cambiare casa vuol dire cercare altre strade, trovare una propria potenzialità, sentirsi liber* di aderire a una visione o a un’altra.
Una famiglia è un progetto, e Blanca lo sa bene perché per ogni su* figl* cerca di capire quale è il suo potenziale e con ognun* disegna con lui/lei un progetto di vita, che la comprende ma solo fino ad un certo punto. Il suo ruolo è amarl* come sono per dar loro quella fiducia che permetterà loro di compiersi come individui. Se pensiamo che nella famiglia tradizionale il solo progetto di vita immaginato per i propri figlie e le proprie figlie troppo spesso, in maniera costante fin dalla nascita, è che quest* possano a loro volta avere una famiglia uguale alla loro biologica, si capisce come la famiglia monogamica eterosessuale sia in realtà una gabbia identitaria, che non permette nessuna altra espressione di sé, se non in quello schema.
Uno dei punti essenziali per capire la figura e la storia di Blanca come madre, è la sua relazione con la maestra della New School of Dance di New York City dove vorrebbe entrare Damon, Helena St. Rogers, che è una donna come lei nera, ma di classe media e etero cisgender. Blanca fin dall’inizio difende suo figlio, lo sostiene e fa di tutto perché gli venga data una possibilità nella scuola. La maestra prima la vede con sospetto, e poi lentamente non solo la “accetta”, ma la definisce un modello di madre. Non è un caso che la sceneggiatura scelga una donna nera, seppure di classe media, perché senza dubbio come madre ha comunque conosciuto l’emarginazione e può capire gli sforzi di Blanca. Nel dialogo tra le due donne Blanca diventa solo una madre e qualsiasi altro pensiero sulla sua possibilità di essere “genitrice” in quanto persona trans sparisce completamente. La maestra serve a consolidare l’idea che una madre scelta, non biologica, abbia le stesse potenzialità educative e di cura di una madre cosiddetta “naturale”, ed è fondamentale che questo riconoscimento arrivi da una persona che è del tutto esterna al mondo LGBTQ+, e che per altro grazie a Blanca si avvicinerà a quel mondo divenendo solidale per qual che riguarda la lotta all’HIV.
Shelley M. Park, nel fondamentale saggio Queering and Querying Motherhood, scrive che la maternità «è stata spesso idealizzata come incarnazione femminile della purezza morale» (Park, 2019, p. 63) e dunque le «le madri con identità di genere queer disturbano ulteriormente gli ideali culturali della maternità mettendo in discussione la stessa dicotomia padre/madre» (ibidem), e in più «forniscono un prezioso punto di osservazione da cui interrogare le costruzioni dannose delle madri come donne asessuate che si sacrificano e praticano la monogamia eterosessuale come una questione di dovere riproduttivo» (ibidem).
«Blanca diventa sia una donna che una madre attraverso un processo di incarnazione e di continua costruzione della sua identità attraverso la performatività del genere e della maternità. La sua madre biologica l’ha rifiutata, e la sua madre adottiva, Elektra Abundance, non la sostiene quando decide di mettere su una sua casa. I possibili referenti della maternità di Blanca, uno in senso tradizionale e l’altro in senso queer, rifiutano entrambi Blanca come donna e come madre, mentre Blanca rifiuta questi modelli in favore delle sue convinzioni su cosa dovrebbe essere una madre e cosa dovrebbe implicare una famiglia. Lei costruisce la sua maternità in risposta a questi rifiuti e costruisce qualcosa di completamente diverso» (Torres Fernández, 2020, p. 160).
Blanca non “è” una madre biologica, ma performa la sua maternità con una consapevolezza, una costanza e una ferocia rispetto alla vita che l’ha da sempre emarginata, in primis contro la sua madre biologica che l’ha violentemente contrastata e isolata. Non si deve confrontare con ciò che è, ma con ciò che decide di diventare, ed è la differenza essenziale rispetto a un’idea di madre “naturale” proposta dalla cultura eteronormata e binaria. Quando lascia la casa Aboundance della sua madre Elektra, Blanca le dice: «Quando sono stata cacciata, ero una ragazzina di 17 anni che non capiva chi fosse, e sarei morta al freddo o di fame. Tu mi hai trovato, ti sei presa cura di me. Mi hai aiutato a capire. È ora che io trasmetta questa gentilezza» (Pose, Pilot: 22:20-22:34).
Nonostante Elektra sia una donna dura, che spesso la respinge e la combatte, ma che alla fine mantiene un filo che lega le due donne indissolubilmente, Blanca parla della sua “gentilezza”, perché Elektra a suo tempo l’ha scelta e salvata dalla strada, dalla violenza e della prostituzione, e cosa ancora più importante le ha dato fiducia in se stessa, e l’ha spinta a trovarsi, dicendole sempre che lei ha un gran cuore, caratteristica essenziale per essere una madre queer di una famiglia delle Ballroom.
Quando Blanca ha la notizia della morte della sua madre biologica, va al suo funerale mal vista e maltrattata da tutta la sua famiglia naturale, ma lei va alla bara e fa un monologo dove dice a sua madre che l’ha perdonata, e inizia pronunciando la frase: «Ora anche io sono una madre» (Pose: Episodio Mather’s day: 30’,45”), e dunque il perdono è ancora una volta funzionale a consolidare il suo ruolo di madre, capace di perdono perché ora sa cosa vuol dire esserlo.
Nella serie Pose lo sviluppo dei diversi personaggi declina non una possibile famiglia, ma diverse e varie costruzioni, che si aprono all’idea che ce ne potrebbero essere altre ancora. La linea di discendenza dalla “casa” non prevede l’adesione a un modello, ma al contrario, è solo un modo per inventarsi una propria idea di “famiglia”.
Per questo Pose propone anche un secondo esempio di famiglia: quello che coinvolge Angel (interpretata dalla attriice e modella transgender Indya Adrianna Moore), che per tutte le prime due serie rappresenta in maniera perfetta la figura dell’emarginata nel senso più duro e drammatico del termine. Donna transgender bellissima, che si prostituisce al molo, ma che cerca in Blanca una vera salvezza. Una figura fragile, che racconta in maniera atroce del dolore profondo della solitudine e dell’abbandono, e che vede nell’ambiente delle Ballroom una propria possibilità di realizzazione come performer. Lei incontrerà Papi (interpretato dall’attore Angel Bismark Curiel), un ragazzo latino, cacciato di casa, che spaccia, vive di espedienti e che, come lui stesso dice, ha avuto esperienze sia etero che omosessuali. La loro scelta si delinea lentamente, e lui diviene il manager di Angel che inizia la carriera di modella, e poi lentamente divengono una coppia, che si sceglie nella comune idea di poter vivere una vita “normale” dal punto di vista della stabilità e delle sicurezze. Si sposano, comprano una casa, e lavorano insieme nell’agenzia di moda di Papi.
Poi, inaspettatamente, Papi si trova un figlio piccolo, un bambino di 7 anni che gli lascia una sua ex fidanzata, dipendente dalla droga, che muore. E qui Pose affronta un tema centrale, importante: la maternità delle persone transgender. Angel si trova a dover essere la “madre” di un bambino che non ha scelto, e a non poter più essere figlia di una “casa” che fin lì l’ha protetta e salvata. In un primo momento si sente inadeguata, non riesce a trovare le coordinate per entrare nel ruolo. Ma poi si immerge nella nuova vita, e non tenta di aderire a un modello di madre “biologica” eterosessuale, ma inventa un proprio modo di essere una madre.
La coppia Papi/Angel è estremamente interessante, perché pone sul tappeto la domanda essenziale della cultura eteronormativa e binaria: cosa vuol dire essere “normali” nella genitorialità. Qui sarebbe importante porre l’antica questione filosofica e legale posta dalla contrapposizione tra giusnaturalismo e diritto privato. Per il primo esiste una “legge di natura”, che è universale e inconfutabile, che può essere vista sia come una emanazione divina o della natura in senso più generale, ma che corrisponde a uno status quo delle cose nella loro “evidenza” e quindi indiscutibile. A questo diritto naturale si affiancano, e se si vuole si sovrappongono, i diversi diritti privati, che sono quelli scritti dagli uomini, che sono legati alle contingenze, precari, mobili e sempre modificabili (Saporiti, 2010).
Rispetto alla famiglia si è molto spesso sentito parlare di “famiglia naturale”, intendendo la famiglia nucleare, formata da persone cisgender etero che possono o meno procreare. Dunque, questa ha una sorta di etichetta universale, inviolabile e indiscutibile. La visione eteronormativa coincide perfettamente con quella etnocentrica della cultura patriarcale del modernismo “occidentale”. Questa famiglia, così donata all’umanità dalla natura è la “normalità”, che non solo è un dato inconfutabile, ma la si intende anche come la meta aspirazionale di chi, per le più diverse ragioni, non rientra nel range di quella “normalità”.
La famiglia di Papi e Angel in Pose, convola a nozze con tutti i formalismi della “tradizione”, “adotta” un bambino e si sistema in maniera “borghese” in una casa, e in qualche misura inganna quella “normalità”, normalizzando se stessa sapendo perfettamente di non aver affatto aderito a quell’idea di famiglia “naturale” e universale. La famiglia di Papi e Angel è una performance, nel senso butleriano del termine: sono corpi che agiscono una propria naturalità, che non è universale, che non è normata, ma è contestuale, scelta e disegnata.
«E tuttavia non avevo alcun desiderio di diventare un uomo come gli altri. Su di me la violenza degli uomini e la loro arroganza politica non esercitavano alcuna attrattiva. Non avevo la benché minima voglia di diventare quello che i figli della borghesia bianca chiamavano essere normali o in buona salute. Cercavo solo una via di scampo una qualsiasi, per andare avanti, per sottrarmi alla parodia della differenza sessuale, per non finire in arresto, mani in alto, incastrato dai limiti della tassonomia» (Preciado, 2021, p. 25).
Note
[1] Il film fu presentato per la prima volta al Toronto International Film Festival il 13 settembre 1990, prima di essere presentato al Sundance Film Festival nel gennaio 1991. La distribuzione al grande pubblico statunitense avvenne invece a partire dal 13 marzo 1991. Nel 2016 la Biblioteca del Congresso ha inserito il film nel National Film Registry per i suoi meriti “culturali, storici ed estetici”.
[2] Nel 2021 MJ Rodriguez, è la prima persona transgender a ricevere una nomination come miglior attrice agli Emmy Awards e nel 2022 a vincere un Golden Globe.
Bibliografia
Bailey M. M., Gender/Racial Realness: Theorizing the Gender System in Ballroom Culture,in “Feminist Studies”, College Park Vol. 37, Fasc. 2, (Summer 2011): 365-386,472.
Butler, J., Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, Laterza, 1999
Green, F., J., in Feminist Mothering. The Routledge Companion to Motherhood. Lyn O’Brian Hallstein, Andrea O’Reilly, and Melinda Vandenbeld Giles, London: Routledge, 2020, pp.36-50
Heti, S., Motherhood, Henry Holt & Co, 2018
Hilderbrand, L., Paris Is Burning: A Queer Film Classic, Arsenal Pulp Press, 2014
Park, S. M., Queering and Querying Motherhood, Suny Press 2019
Preciado, P., B., Sono un mostro che vi parla, Fandango 2021
Saporiti, M., Esiste la famiglia naturale?, Mimesis 2010
Torres Fernández J., Chosen Families and feminist Mothering in the Ballroom Community: Blanca Evangelista from Pose, Raudem, Vol.8, a. 2020