§Graphic Realities
Del vagabondare di un orfano, e di suo padre: San Mao, figlio di Zhang Leping
di Giacomo Cacciaguerra
Zhang Leping 张乐平 (1910-1992), “Una gran confusione” (一片混乱), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

Sebbene la casa editrice in copertina reciti Shaonian ertong chubanshe 少年儿童出版社, letteralmente “Casa editrice per bambini”, accostarsi al piccolo San Mao, raccontarlo ed esplicarlo non è impresa semplice, soprattutto nel momento in cui si debba farlo sfruttando la corrente della parola. Chi davvero ha saputo trasportare questa nave al largo e farla tornare alla riva sicura, è stato solamente colui che ne ha tracciato i semplici contorni, il suo creatore, o meglio ancora, suo padre: il fumettista Zhang Leping. L’autore risparmia la matita, ne riduce l’uso all’indispensabile, con tratti minuti, appena accennati, che pure non necessitano dell’ausilio verbale; il padre di San Mao limita l’uso della parola ad una breve didascalia per pagina, lasciando che sia l’immagine ad inghiottire il lettore.

È per questo che ho scelto di partire da un’immagine, in particolare l’ultima vignetta, della raccolta Opere scelte da “Sanmao. Avventure di un piccolo eroe vagabondo” (San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集). Si tratta di una vignetta a tutta pagina, ingombrante, affollata, in cui lo sguardo si perde nella moltitudine di figure, sagome più che individui, che popolano questo incrocio caotico, come ribadisce la didascalica che la introduce: yipian hunluan 一片混论, “Una gran confusione”. Mi dedicherò con più attenzione alla presentazione di questa scena in un secondo momento, tuttavia esorterei il lettore a concentrare la propria attenzione sulla sezione centrale dell’incrocio, che corrisponde in modo quasi perfettamente preciso all’incontro tra le diagonali del rettangolo in cui l’opera è inserita: vi presento San Mao. L’eroe protagonista delle vicende fumettistiche di cui parleremo in questa sede è l’esile figura, qui vestita solo di un paio di pantaloni stracciati, che si ritrova, pensierosa e titubante, al centro del vortice cittadino. La totale dipendenza dal linguaggio visivo genera uno scompenso, una sensazione di perplessità nel lettore (se di “leggere” si possa davvero parlare in questo caso): cosa sta facendo San Mao? Perché si trova lì, immobile? A cosa sta pensando? 

Per tentare di rispondere a queste domande è necessario tornare alle origini; a quelle di San Mao, a ritroso verso suo padre Zhang Leping, e ancora fino alla nascita del concetto stesso di “fumetto”. Allora sarà possibile avvicinare nuovamente lo sguardo al centro dell’incrocio.

Un inquadramento storico si pone necessario in questa sede, a fronte dello stretto legame del fumetto in Cina con gli epocali cambiamenti che la nazione e il popolo cinesi hanno attraversato nel corso del secolo scorso.

Quando si parla di fumetto, designato oggi dal termine cinese manhua 漫画, di cui in seguito sarà necessario parlare più approfonditamente, la storiografia cinese attualmente ne divide la produzione in quattro periodi principali: il primo coincide con la nascita del fumetto d’intrattenimento, avvenuta negli anni ‘30; a questo fa seguito il fumetto propagandistico anti-giapponese, che fa la sua comparsa con l’inizio della Seconda Guerra Sino-Giapponese (1937-1945); successivamente il fumetto vede una nuova politicizzazione con lo scoppio della Guerra Civile (1945-1949); infine questa periodizzazione si ferma al fumetto di epoca Maoista, fino alla Rivoluzione culturale (1966), in cui esso diviene strumento propagandistico-educativo.

Ad aprire la strada alle forme del manhua è innanzitutto l’arte grafica, che in Cina fa la sua comparsa negli anni ‘20, in concomitanza con l’arrivo delle prime riviste (Liangyou 良友 “The Young Companion”, Shidai Huabao 時代畫報 “Modern Miscellany”). Si tratta di una novità assoluta, che a partire da radici occidentali è reinventata e fatta propria dagli artisti cinesi, i quali non soltanto ne producono esempi eccellenti, ma introducono novità stilistico-espressive che influenzeranno tutta la rappresentazione successiva. L’esempio probabilmente più illustre, certamente quello che godette di maggiore fama, è costituito da Tao Yuanqing (1893-1929), in grado di lasciarsi influenzare da tradizioni lontane, nel tempo e nello spazio. 

Tao Yuanqing (1893-1929), Cover design of Panghuang (Wandering) by Lu Xun, published by Beixin Book Company, 1926.
Tao Yuanqing, Cover design of Guxiang (Hometown) by Xu Qinwen, Published by Beixin Book Company, 1926.
Tao Yuanqing, Cover design of Fen (The Grave) by Lu Xun, published by Weiming Society, 1927.

Tra i più attivi grafici del suo tempo e tra i maggiori sostenitori dell’arte grafica, troviamo anche il padre della letteratura cinese moderna: Lu Xun (1881-1936), il quale vede nell’arte grafica un mezzo di comunicazione efficace, tanto più in una Cina, quella degli anni ‘20 e ‘30, in cui la maggioranza della popolazione è analfabeta. 

Sarà proprio Lu Xun a dare impulso all’altra modalità di rappresentazione che influenzerà profondamente il genere del manhua: la stampa xilografica (banhua 版画). Fondamentale è la pubblicazione nel 1931, da parte dello scrittore, della stampa dell’artista tedesca Käthe Kollwitz dal titolo The Sacrifice: essa rappresenta il disastro della Prima guerra mondiale e le terribili condizioni che soggiogano la popolazione; lo fa attraverso una madre che solleva il figlio, neonato, in una sorta di atto sacrificale.

Käthe Kollwitz, Das Opfer (The Sacrifice), 1922.

È in questo contesto che, intorno all’autore, nasce il Modern Woodcut Movement (xinxing banhua yundong 新兴版画运动) da cui emergeranno i principali artisti di stampa dell’epoca. Scopo principale è l’espressione individuale, ma accanto ad essa fa capolino la manifestazione di questioni politiche e sociali. La stampa conoscerà grande fortuna nell’espressione di dissenso in seguito all’Incidente di Mukden (18 settembre 1931), sia contro i giapponesi, sia nei confronti del governo del Guomindang, divenendo medium di comunicazione e di propaganda, per mezzo di immagini di forte impatto.

Hu Yichuan 胡一川 (1932-1970), To the front!, 1932.
Li Hua 李樺 (1907-1994), China Roars!, 1935.

In seguito allo scoppio della Seconda Guerra Sino-Giapponese (1937-1945) la stampa conosce, tristemente, il suo massimo splendore, con scopi celebrativi e propagandistici. In questo contesto fa la propria comparsa l’elemento verbale, attraverso slogan e didascalie che si insinuano all’interno degli elementi figurativi, come evidente in questa produzione di  Liu Xian 劉峴 (1915-1990) del 1938, in cui si celebra il primo anno di guerra sino-giapponese, incitando la popolazione a combattere l’aggressore. Il titolo, inserito al di sopra dei soldati disposti a semicerchio, recita “Consolidate l’unità, combattete l’aggressore giapponese fino alla fine” (gonggu tuanjie kangzhan daodi 鞏固团结抗戰到底).

LiuXian 劉峴 (1915-1990), Consolidate our unity, fight the Japanese aggressors to the end, 1938.

Giungiamo finalmente all’analisi del genere al centro di questo intervento: il fumetto. Esso fa la sua prima comparsa in Cina negli anni ‘20, con i primi fumetti in stile occidentale. Tuttavia, gli intellettuali dell’epoca compresero da subito la sua importanza non tanto quale mero intrattenimento, quanto quale mezzo di comunicazione e di trasmissione dei nuovi valori della Cina repubblicana. Ci troviamo infatti in una fase di grande instabilità, dovuta al recente collasso dell’impero, da un lato, e alla presenza di forze straniere occidentali, dall’altro. In tale contesto il fumetto è pertanto riformato, con lo scopo di adattarlo alle necessità del popolo cinese, per guidarlo verso la modernizzazione. Strumento fondamentale di tale riforma è lo humor: in Cina la parola youmo 幽默 venne introdotta nel 1924 dallo scrittore Lin Yutang  林語堂 (1895-1976) il quale riteneva che esso avrebbe accompagnato il pubblico cinese verso un “ridere ragionando”, dunque verso una comicità riflettuta, in grado di essere portatrice di messaggi e valori nuovi.

È dunque il concetto di humor a guidare lo sviluppo del manhua in Cina a partire dalla fine degli anni ‘20, durante i quali assoluto protagonista della scena fumettistica cinese è il pittore e pioniere dell’arte manhua Ye Qianyu 葉淺予 (1907 – 1995), il quale nel 1928 fonda la Shanghai Manhua上海漫画, tra le prime e più influenti riviste di fumetti dell’epoca. Inizialmente il fumetto si caratterizza in Cina per forme e soggetti fuori dai canoni, spesso dai toni piuttosto osé.

Ye Qianyu 葉淺予, “Unfortunate Love”, cover for Shanghai Manhua 上海漫畫, 16 June 1928.
Ye Qianyu 葉淺予, cover for Shidai Manhua 時代漫畫, Issue 2.

In seguito, saranno due gli eventi che maggiormente ne influenzeranno la produzione, provocando un allontanamento dall’intrattenimento, e un avvicinamento a temi sociali e umanitari, da un lato, e a motivi propagandistici e nazionalisti, dall’altro.

Il primo, seppur non il primo in senso cronologico, è rappresentato dai discorsi di Yan’an, nel 1942. Trattasi di un enorme convegno avvenuto nella città di Yan’an, Shaanxi, in cui Mao Zedong definisce quelli che sarebbero stati il ruolo e le modalità dell’arte e della letteratura: l’arte viene dunque posta al servizio della politica, e in particolare dell’avanzamento del socialismo; suo compito era inoltre quello di riflettere la vita della classe operaia, unica sua vera destinataria. Da tale evento scaturisce un adattamento di forme e contenuti finalizzato alla onnicomprensione popolare, con una semplificazione delle forme e una riduzione nel numero dei soggetti, evidente nel confronto tra le sottostanti stampe di Gu Yuan 古元 (1919-96), la prima antecedente al 1942, la seconda successiva.

Gu Yuan 古元, Divorce Registration, pre-1942.
Gu Yuan 古元, Divorce Registration, post-1942.

Accanto ai discorsi di Yan’an, a scuotere l’universo del manhua cinese è la già citata Guerra Sino-Giapponese, che se da un lato diviene pretesto per la creazione di fumetti propagandistici, dai toni fortemente politici e violenti, dall’altra fa germogliare una produzione di opere a sfondo sociale, umanitario, finalizzate alla rappresentazione della società, delle conseguenze della guerra sui civili, delle ingiustizie sociali e delle condizioni dei subalterni. Ciò non si limita al mondo del fumetto: è in questo contesto, infatti, che troviamo ad esempio opere pittoriche di immensa levatura, come il dipinto Images of today di Ding Cong 丁聰 (1916-2009), che con modalità fumettistiche dalle sfumature grottesche, rappresenta una satira dell’atteggiamento di politici e benestanti, i quali, grazie al conflitto, si sono ambiguamente arricchiti. L’autore, attraverso la caricatura, propone uno spaccato sociale in cui ogni personaggio è contraddistinto da simboli ben riconoscibili a un cinese medio negli anni ‘40, i quali rendono superfluo qualsiasi inserimento del mezzo verbale.

Ding Cong 丁聰 (1916-2009), Images of today, 1944.

È in queste circostanze che Zhang Leping dà vita al capolavoro che lo accompagnerà dal 1935 fino alla morte, e che segnerà un’epoca nella letteratura cinese per ragazzi: San Mao.

Prima di parlare del figlio, è imprescindibile discutere del padre che ne ha tracciato i contorni. Zhang Leping nasce il 10 novembre 1910 a Jiaxing, nella contea di Haiyan, Zhejiang, in una famiglia di sei persone. Il padre, insegnante di scuola elementare, fatica a mantenere tutti col proprio stipendio, pertanto la madre lavora saltuariamente come sarta a domicilio. È proprio la madre, che Zhang Leping perde all’età di soli nove anni, a costituire il seme da cui fiorirà il suo talento artistico. Il piccolo la accompagna nel proprio lavoro, aiutandola a disegnare e ritagliare i modelli per gli abiti che confeziona. È in questo modo che avviene il suo avvicinamento all’arte, inizialmente esercitata semplicemente servendosi della sabbia come tela e di una canna come matita (Lin Xiaogang 2020, 125). Come riportato dal figlio Zhang Weijun 张慰军, a quindici anni si reca a Shanghai, dove frequenta una scuola d’arte privata, che lascia dopo circa due anni per essere assunto in una società pubblicitaria cittadina in cui si occupa di grafica. Sarà il pioniere del manhua Ye Qianyu a raccomandarlo alla società industriale SanYou, dove si occuperà della produzione di pubblicità, illustrazioni e design, dedicandosi nel tempo libero alla preparazione dei primi fumetti. 

La prima tappa della vita artistica di Zhang Leping è costituita dal periodo che intercorre tra il 1926 e il 1937, considerato il ventennio d’oro del fumetto in Cina e culla del neonato San Mao. “Il 28 luglio 1935, sul Morning News Pictorial (Tuhua Chenbao 图画晨报), un inserto del Shanghai Morning Post, poiché Ye Qianyu, autore di ‘Mr. Wang’, si ammalò, Zhang Leping colmò la sua assenza con due tavole di San Mao. Era nato San Mao, che avrebbe aperto la strada a una nuova generazione di fumetti in Cina” (Ma Xinfang, 2020). Il figlio dell’autore, all’interno dell’intervista rilasciata a Liu Xiaofeng riporta che Leping “disegnò la figura di un bambino, con una grande testa, il naso rotondo e tre peli sul cranio: pertanto lo chiamò San Mao” (Liu Xiaofeng 2020, 94).

Zhang Leping 张乐平, San Mao.

La fase successiva del viaggio di Zhang Leping inizia in corrispondenza dello scoppio della Seconda Guerra Sino-Giapponese (1937-1945), meglio nota in Cina come Guerra di Resistenza al Giappone (kangri zhanzheng 抗日战争), durante la quale l’autore, insieme ad altri noti fumettisti dell’epoca fonda il “Corpo di Fumetti Propagandistici per la Salvezza Nazionale” (jiuwang manhua xuanchuan dui 救亡 漫画 宣传 队). Il fumetto diviene un’arma con la quale colpire e proteggere: se da una parte esso si pone come baluardo della propaganda anti-giapponese e del biasimo nei confronti di disertori e collaborazionisti, dall’altra, in un periodo di complessità nella circolazione delle informazioni, aggravata dall’analfabetismo della maggioranza della popolazione, rappresenta un tramite informativo e comunicativo alla portata di tutti. In questa fase di fumettistica militante, Zhang Leping collabora all’organizzazione di esibizioni ed esposizioni pubbliche, in cui alla produzione di fumetti si affianca quella di poster, volantini e striscioni. Nel conflitto, insieme al suo creatore, entra anche il piccolo San Mao, che abbandona le vesti di orfano pestifero per indossare la divisa. È un momento in cui Zhang Leping conferisce al suo personaggio toni drammatici e propagandistici, rendendolo esemplare agli occhi di bambini e adulti. Al contempo l’autore non manca di rappresentare i bambini quali vittime delle violenze degli invasori giapponesi, talvolta con un più basilare scopo di biasimo, talvolta con scopi di rappresentazione simbolica; i bambini, al centro del dibattito intellettuale fin dagli anni ‘20, all’interno del Movimento del Quattro Maggio (wusi yundong 五四运动) e della letteratura luxuniana, incarnavano il futuro della Cina stessa, e pertanto la loro uccisione corrispondeva alla fine dello sviluppo del paese.

Zhang Leping 张乐平, “Ah, un bambino cinese!” Kangzhan manhua (Resistance Cartoons) 1938, no. 7.
Ye Qianyu 葉淺予 (1907-95), “‘Kill the child!’ ‘Isn’t it more fun for it to starve?’”. Cover of Kangzhan manhua (Resistance Cartoons) 1938, no. 7.

Con la fine della guerra lo sguardo di Zhang Leping pare farsi più lucido: il ritorno a Shanghai lo costringe a fare i conti con le conseguenze che ne derivano. Dalla necessità di esprimere la commistione di dolore e biasimo che lacera il suo cuore,  Zhang Leping, nel 1946, dà vita ad una delle opere più importanti della sua carriera: San Mao si unisce all’esercito (San Mao congjun ji 三毛从军记). Ambientato durante il conflitto contro i giapponesi, il fumetto narra delle vicende belliche di San Mao. I toni cambiano nuovamente, abbandonando la patina drammatica e propagandistica delle produzioni degli anni precedenti per lasciare il posto a sfumature umoristiche, in cui San Mao, con una combinazione di coraggio e astuzia, si prende gioco di adulti e ufficiali militari. 

Attraverso la muta voce del piccolo orfano, Zhang Leping offre la propria visione degli avvenimenti bellici, nascondendo un malcelato biasimo dietro ad un umorismo sottile. Le vicende di San Mao, che per astuzia propria, stupidità altrui e non di rado grazie all’ausilio della fortuna, riesce ad uscire vincitore da situazioni spesso complicate, scolpiscono sul foglio la crudeltà della guerra, la violenza dell’esercito e l’ipocrisia dei media nella Cina bellica e postbellica.

Zhang Leping 张乐平, “Coraggioso e pieno di risorse” (智勇双全), San Mao cong jun ji 三毛从军记, 1946.

Dal 1947 al centro della produzione fumettistica di Zhang Leping è infine la rappresentazione degli orfani, che si stima fossero oltre due milioni in Cina a seguito della Guerra Sino-Giapponese. Inizia così l’ultima fase della produzione di Zhang Leping culminata nella pubblicazione di San Mao. Avventure di un piccolo eroe vagabondo (San Mao liulang ji 三毛流浪记), considerato ancora oggi il suo capolavoro, e di cui parleremo in seguito. La produzione di strisce umoristiche riguardanti le vicende del piccolo orfano di Shanghai continuano per tutti gli anni ‘50, durante i quali l’autore lavora presso il Liberation Daily (jiefang ribao 解放日报), quotidiano ufficiale del comitato del PCC a Shanghai. Anche Zhang Leping è coinvolto nelle persecuzioni che hanno tristemente caratterizzato Rivoluzione Culturale (1966-1976) durante la quale la sua produzione subisce una forzata battuta d’arresto: sarà solo dal 1977 che San Mao farà la sua ricomparsa. 

Il 1983 rappresenta un anno amaramente cruciale per la vita e per l’arte di Zhang Leping: l’autore si ammala infatti di Parkinson, che pur non arrestandone la produzione fumettistica, certamente la comprometterà. È in questo stesso anno che l’autore donerà al NAMOC (National Art Museum Of China, Zhongguo Meishuguan 中国美术馆) l’intera raccolta di manoscritti originali di San Mao. Avventure di un piccolo eroe vagabondo. Morirà il 27 settembre 1992. 

La sua figura artistica e umana è ben riassunta nelle parole del figlio Zhang Weijun, rilasciate in un’intervista del 2020 a Liu Xiaofeng: «Tutti chiamano mio padre ‘artista del popolo’, prima di tutto per le sue opere. Negli oltre sessant’anni di carriera artistica lo scopo principale dei suoi lavori è stato sempre quello di mettersi nei panni delle persone comuni, prestando attenzione ai loro sentimenti e ai loro pensieri» (Liu 2020, p. 99). 

Prescindendo dalla pretenziosa introduzione all’edizione di cui mi servirò, in cui l’editore tesse le lodi di San Mao e del suo creatore Zhang Leping molto più quali esemplari promotori del modello socialista che non quali narratori sociali di una Cina altrimenti senza voce, giungiamo finalmente alla presentazione del personaggio i cui tre capelli gridano con cinico umorismo le condizioni di vita dei bambini orfani nel periodo successivo alla Seconda Guerra Sino-Giapponese.

In una presentazione si comincia sempre dal nome: San Mao 三毛, “tre capelli”, espressione iperbolica, per difetto, con cui gli adulti si riferiscono solitamente ai bambini appena nati, qui utilizzata in modo letterale. Da un punto di vista estetico San Mao, in tutta la sua vita sulle pagine, mantiene sempre gli stessi connotati: «[…] ha grandi occhi, il naso rotondo, la bocca ampia, la testa calva, sulla cui sommità spuntano i tre capelli, e un’espressione incline a variare, coinvolgendo l’intera gamma delle emozioni umane. Nonostante il corpo scheletrico come un ramo, gli abiti laceri che lo lasciano seminudo, egli tuttavia si dimostra estremamente fiducioso, innocentemente dispettoso e divertente, scherza spesso, ma sa essere gentile e sensibile. …San Mao, minuto, senza scarpe, i vestiti a brandelli, restituisce una nitida fotografia dei bambini poveri nella Cina dell’epoca, giungendo a rappresentare un simbolo della miseria stessa» (Wan, Zhang 2020, 112).

Caratteristica dell’intera saga è inoltre la totale assenza di dialoghi, il che la rende dunque un caso di wordless novel (wuzi manhua 无字漫画): è solo attraverso le immagini, le azioni e i simboli grafici che viene espresso il carattere dei personaggi e l’andamento del racconto. Se da una parte ciò rappresenta uno stratagemma cui l’autore è costretto al fine di far fronte all’analfabetismo che dilagava a quel tempo in Cina, dall’altra si tratta probabilmente di un’intrinseca caratteristica di San Mao stesso, un’impossibilità di comunicare con un mondo a cui sembra non appartenere, da un punto di vista grafico ed estetico (le sembianze e le linee che ne tratteggiano la figura lo estraniano dalle vignette su cui è posato), ma soprattutto da un punto di vista etico e morale; San Mao incarna un’innocenza sconosciuta alla realtà adulta e cinica in cui si muove tentando, in ogni striscia, di (soprav)vivere. L’assenza di parlato costringe il “lettore” (se di lettore in questo caso si possa davvero parlare) a un’osservazione attenta delle situazioni in cui il personaggio si ritrova, una riflessione sull’immagine, unico mezzo di comprensione di cui chi usufruisce del fumetto dispone. Paradossalmente questo modo d’espressione porta (almeno nel caso di chi qui sta scrivendo) ad un procedere lento nella lettura, ad una minuziosa attenzione al dettaglio di ogni vignetta, ai gesti, alle espressioni facciali, che l’abituale uso della parola consente di evitare. In San Mao l’immagine, il disegno, seppur abbozzato, è narratore, elemento veramente centrale alle vicende.

Per mezzo delle parole (delle quali ho finora imbevuto la pagina) riconosco di aver tradito l’intento originario di Zhang Leping e di non aver dato fiducia alla molto più che sufficiente capacità comunicativa di San Mao. Pertanto, comincerei illustrando la prima tavola con cui il piccolo orfano si presenta in San Mao liulang ji, intitolata “Orfano e indifeso” (guku-lingding孤苦伶仃)

Zhang Leping, “Orfano e indifeso” (孤苦伶仃), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

In questa prima sequenza è rappresentata la condizione fondamentale di San Mao, l’orfanità, di cui pare prendere coscienza gradualmente, nel confronto con altre specie animali, di cui osserva, invidioso e perplesso, l’affetto dei genitori per i piccoli. È un’immagine che non può che muovere il lettore all’empatia, osservando il bambino circondato da un amore apparentemente scontato, ma che a lui è precluso.

La ricerca di un irraggiungibile affetto genitoriale è tema comune a tutto il fumetto, una ricerca maniacale, che lo costringe a gesti assurdi, con effetti di pirandelliano umorismo, come nel caso della sequenza dal titolo “Un prezzo più basso è più competitivo” (jianjia jingmai 减价竞卖).

Zhang Leping, “Un prezzo più basso è più competitivo” (减价竞卖), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

La sequenza vede un padre in estrema povertà, come denota il torso scheletrico, che compie un atto estremo: mettere in vendita i propri figli. Scopo è quello di guadagnare qualche soldo, ma soprattutto di assicurare loro un futuro in condizioni migliori. Il piccolo San Mao, animato dalla proverbiale astuzia, mette in vendita se stesso: eppure, mentre gli altri due piccoli sono venduti rispettivamente a 70.000 e 50.000 yuan, sul cartello del nostro eroe è scritto “Io costo (solo) 10.000 yuan” (wo mai yiwan yuan 我卖一万元). Il gesto di San Mao è reputabile come immorale, forse amorale, eppure è per lui quanto di necessario al fine di ottenere quell’affetto per lui ben più importante del denaro. Nell’analisi di questa scena vorrei chiamare in mio aiuto Eco, il quale, all’interno del saggio “Il mondo di Charlie Brown”, in Apocalittici e integrati, compie un’analisi dei bambini di Schulz in grado di calzare perfettamente l’esile corpo di San Mao: «I bambini di Schulz (come pure l’orfano di Zhang Leping) non sono lo strumento malizioso per contrabbandare i problemi di noi adulti; questi problemi in essi vengono vissuti secondo i modi di una psicologia infantile, e proprio per questo ci appaiono toccanti e senza speranza, come se riconoscessimo all’improvviso che i nostri mali hanno inquinato tutto, alla radice» (Eco 2005, 268).

A proposito di tale argomento, Zhang Leping prende una forte posizione nei confronti degli adulti, gridando una malcelata critica ad una società ormai cieca e insensibile, flagellata dalla negazione dell’umanità. È proprio dalla negazione, anche letterale, che sono caratterizzate le tre sequenze successive, in cui San Mao non è:

Zhang Leping, “Meno di una bambola” (不如洋娃), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “L’uomo è meno di un cane” (人不如狗), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “L’uomo non è prato né albero” (人非草木), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

Esse appartengono a tre storie diverse, eppure sono ugualmente espressione della posizione subalterna del protagonista, e con lui di tutta la nutrita comunità di orfani a Shanghai, i quali sono posti al di sotto di bambole, cani e perfino delle piante. Anche in questo caso la prospettiva infantile di cui Eco parla torna in modo prepotente a mostrarci il paradosso degli atteggiamenti adulti. In queste tre tavole il titolo è estremamente eloquente nel trasmettere la protesta dell’autore: l’espressione buru 不如 è utilizzata in cinese al fine di indicare un “non essere all’altezza di”, “non essere bravo/buono/bello quanto”, solitamente con finalità di complimento nei confronti di un’altra persona. In queste circostanze il suo uso è totalmente ribaltato, come ribaltato è il significato dell’espressione della terza tavola ren fei caomu 人非草木: questo chengyu, che letteralmente significa “l’uomo non è prato né albero”, indica il fatto che l’uomo sia intrinsecamente caratterizzato da sentimenti (differentemente dai vegetali); eppure Zhang Leping utilizza l’espressione in modo ambiguo, presentando la sequenza attraverso una sua lettura letterale, per cui “l’uomo (San Mao) non è trattato nemmeno come le piante”, critica diretta alla paradossale copertura dei tronchi per il vento, che s’infrange spietatamente contro la tremante figura di San Mao infreddolito. 

In tutto questo dolore, in mezzo all’ingiustizia e all’ipocrisia, Zhang Leping dà però spazio anche ai sogni, eloquenti in merito ai più reconditi desideri del suo personaggio. Disseminati in molteplici racconti, essi conquistano visivamente la vignetta, coincidendo, seppur solo per alcuni istanti, con la realtà stessa.

 Zhang Leping, “Sognare la mamma” (梦见母亲), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “Tiepido sogno” (梦中温暖), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

Il primo di essi fa parte del periodo da circense di San Mao, in cui è sottoposto a soprusi e disumani dolori fisici. Tuttavia, è da un dolore interiore che scaturisce il suo sogno: la visione di una donna che coccola dolcemente il figlio alla finestra, davanti a cui si addormenta, gli concede, seppur per un istante, l’inestimabile lusso di una madre, che lo consola e con le proprie lacrime pulisce le ferite sulla sua schiena. Eppure, la realtà ritorna a imperare, e le tiepide lacrime tornano ad essere gocce di pioggia che gelida lo ridesta dal sonno. 

Il desiderio dell’affetto materno di queste tavole emerge nuovamente in una ben più lunga sequenza onirica:

Zhang Leping, “Entrare in paradiso” (进入乐园), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “Estrema gioia” (十分快乐), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “Studiare e giocare” (读书游戏), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.
Zhang Leping, “Un brusco risveglio da un sogno meraviglioso” (惊醒好梦), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

San Mao è finito in carcere, e nella notte sogna, coralmente con i propri compagni di cella, di sciogliere le catene per volare fino al “Paradiso dei bambini” (Ertong leyuan 儿童乐园). Le caratteristiche di questo luogo sono rivelatrici dei desideri del piccolo: una madre innanzitutto, una doccia, vestiti puliti, un’istruzione, un pasto caldo e, comprensibilmente, un po’ di divertimento. Con questo sogno quella che Zhang Leping compie è una denuncia in merito ai diritti fondamentali di ogni bambino. Eppure, questa utopia è realizzabile solo in un sogno, infranto infine dal suono della campanella del carcere.

I più accorti fra i lettori avranno notato che ogni impresa di San Mao è destinata inesorabilmente a risolversi in modo fallimentare, ogni sogno a sbattere contro un muro invalicabile. E così il fallimento diviene la modalità con cui Zhang Leping mantiene vivo San Mao: come ricorda Eco a proposito di Superman (Eco 2005, 231-241), il successo del piccolo orfano lo condannerebbe all’ingresso nella storia e conseguentemente, prima o poi, alla morte. Pertanto, torniamo alla prima vignetta presentata in questo intervento: “Una gran confusione” (Yi pian hunluan 一片混乱).

Zhang Leping 张乐平 (1910-1992), “Una gran confusione” (一片混乱), San Mao liulang ji xuanji 三毛流浪记选集, 1978.

San Mao è di nuovo solo, al centro dell’incrocio. Intorno a lui si muove Shanghai, come un tornado: tra soprusi e proteste, c’è chi si arricchisce profumatamente, chi brinda con gioia, ma c’è anche chi è malmenato dalla polizia, chi abusato dai malfattori e, infine, chi non ce la fa più e si impiccarsi. È in questo cosmo che San Mao si è mosso fino ad ora, ed è qui che continuerà a vagabondare, per sempre.

Bibliografia

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Giacomo Cacciaguerra (1998), laureando magistrale in Lingue e civiltà dell’Asia e Africa Mediterranea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, si concentra nel suo percorso accademico e di ricerca sulla produzione culturale della Cina moderna e contemporanea, principalmente in ambito letterario e artistico. Il suo progetto di tesi, in corso di realizzazione, si propone di analizzare l’arte cinese nel Terzo Spazio, teorizzato dal filosofo Homi Bhabha, con lo scopo di studiare gli artisti cinesi figli della diaspora e in particolare i giovani artisti italiani di origine cinese. Parallelamente all’attività di studio e ricerca, l’autore trova attualmente impiego come mediatore culturale presso l’evento collaterale della Biennale Venezia 2022 Take Your Time, mostra personale dell’artista romana Francesca Leone.