L’organo più esteso del nostro corpo è la pelle, che, come un museo, conserva ed espone. Non so voi, ma io non avevo mai pensato a questo paragone e quando mi è stato suggerito l’ho trovato illuminante. La lampadina si accende con l’approdo di Dance Well– Ricerca e movimento per Parkinson – in Accademia Carrara, che è diventata la casa bergamasca e lombarda del progetto nato a Bassano. Dance Well nasce per le persone con Parkinson, aprendosi poi a tutte e a tutti, in modo trasversale e intergenerazionale, con l’intento di promuovere in una dimensione artistica l’espressione libera del proprio corpo, qualunque caratteristica esso abbia. A Bergamo la pratica di Dance Well è legata al Festival Orlando, sensibile e acuto promotore di riflessioni e sperimentazioni intorno ai temi dell’identità, delle relazioni e delle rappresentazioni del corpo, attraverso un approccio aperto e inclusivo.
Cosa significa per un museo attivare simili progettualità? Quali relazioni si innescano? E al tocco di un nuovo sguardo, muta la pelle del museo?
DANCE WELL A BERGAMO
L’Accademia Carrara di Bergamo è il primo museo lombardo, fino a oggi, ad aver avviato Dance Well – Ricerca e movimento per Parkinson, un progetto di respiro internazionale che porta la danza in museo, insieme a pratiche destinate a mischiare le carte del gioco museo/pubblici. Questo contributo racconta il punto di vista del museo, di un primo incontro, dell’arrivo di Dance Well nelle sale della pinacoteca bergamasca; come in un morphing, fotografa una situazione nel suo evolversi, esprime le prime riflessioni sull’intersecarsi di saperi e contesti. Perché tali innesti sono potenziali attivatori di nuovi sguardi, visioni e pratiche.
DANCE WELL
Dance Well è un’iniziativa nata nel 2013, ispirata dall’esperienza olandese Dance for Health and Parkinson, ideata e promossa dal Comune di Bassano del Grappa attraverso il suo CSC Centro per la Scena Contemporanea. Membro dal 2010 di EDN – European Dancehouse Network, che associa le principali istituzioni della danza contemporanea, il CSC è l’unica realtà municipale sulla scena artistica europea. Anima e voce di Dance Well e dei progetti internazionali del Centro è Roberto Casarotto, un curriculum da danzatore professionista e da ricercatore e “attivista” della danza. Dal 2016 la pratica Dance Well è uscita dalla sua casa natale diffondendosi in Italia e all’estero. Dance Well è una pratica aperta a persone con Parkinson e non, accoglie giovani e anziani, danzatori e care givers, studenti e adulti, proponendosi come spazio per esprimere il proprio corpo, qualsiasi esso sia.
Le lezioni Dance Well non avvengono in sale di danza, palestre, centri specializzati o luoghi di cura e riabilitazione, ma si caratterizzano proprio per il loro svolgersi in contesti artistici, soprattutto spazi museali, che accolgono le classi accompagnando e sostenendo la pratica. Una scelta motivata dall’importanza del setting terapeutico. Le classi sono condotte da danzatori professionisti e da persone che nel proprio percorso formativo e professionale hanno indagato la relazione con il corpo, le possibilità espressive e le dinamiche dello spazio rappresentativo. Annualmente Bassano apre il corso di formazione Dance Well Teaching Course, rivolto a coloro che desiderano intraprendere il percorso di teachers. Il percorso affronta diversi aspetti, sanitari e artistici, fornendo delle linee guida e degli strumenti per lavorare insieme alle persone con Parkinson, suggerendo i mezzi per guidare le classi: riconoscere ritmi e modalità, sviluppare un immaginario per l’articolazione della proposta, generare un processo creativo che si traduce in movimento.
I partecipanti sono chiamati Dance Well dancers a sottolineare il loro impegno in un’attività considerata una pratica artistica. A Bassano, dove i partecipanti alle classi sono circa trecento, in occasione del Festival Operaestate, il gruppo di Dance well dancers si affida alla visione di artisti internazionali che dirigono il gruppo nella preparazione di una performance presentata nel programma. Questo aspetto è rilevante per la crescita artistica del danzatore e del gruppo poiché ad esibirsi non sono corpi etichettati come malati, parkinsoniani, ma veri e propri danzatori. Gli effetti positivi contagiano il gruppo, che diventa comunità. Dance Well riesce così a generare effetti di inclusione nel contesto culturale dimostrando la portata welfare culturale con ricadute in termini di rilancio sociale ed economico dei territori interessati.
ARTI VS PARKINSON
Il caso canadese di Art Hives [1], che prevede la prescrizione di visite al museo, ha fatto il giro del mondo, sorprendendo per la sua originalità, che però risiede forse più in un solido scetticismo nei confronti delle esperienze artistico-espressive ed estetiche. L’allungamento della vita media ha come contraltare il manifestarsi di malattie neurologiche degenerative, ma al tempo stesso i casi di Parkinson giovanile sono sempre più diffusi (o più facilmente diagnosticati); entrambe le evidenze comportano impatti importanti sulla qualità della vita di pazienti e care giver (e per il sistema sanitario nazionale). Il Parkinson è una malattia neurologica degenerativa cronica, definita come la malattia della mancanza di motivazione, infatti i disturbi del tono dell’umore ( depressione, ansia e apatia) sono tra i sintomi non motori più importanti e frequenti. Le caratteristiche che accomunano le malattie di Parkinson sono la lentezza nei movimenti (bradicinesia e acinesia) e la rigidità, mentre la gamma di sintomi è assai ampia e diversificata e varia da persona a persona.
Le peculiarità della sintomatologia rendono fondamentale un approccio dialogico con il paziente e i familiari al fine di personalizzare l’assetto terapeutico e trattare i sintomi [2]. Neurologi che hanno seguito e proposto Dance Well insieme ai farmaci, evidenziano l’efficacia della terapia non farmacologica e della medicina riabilitativa. La pratica Dance Well, infatti, ha trovato alleanze nella collaborazione con le strutture sanitarie che hanno contribuito allo sviluppo del progetto [3]. Gli studi che hanno esaminato gli effetti delle pratiche artistiche e della danza in particolare sulla malattia di Parkinson evidenziano una riconquistata mobilità, flessibilità, elasticità, e pongono l’accento sugli impatti a livello emozionale: il coinvolgimento, l’appartenenza a un gruppo, l’uscita dall’isolamento. Tali riscontri hanno trovato conferma nella prima scoping review dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), presentata a Helsinki nel novembre 2019. Si tratta della più grande ricerca mai effettuata sugli effetti della partecipazione culturale sulla salute [4] e sintetizza oltre tremila studi, sottolineando l’influenza dell’arte nella prevenzione e promozione della salute e nella gestione e cura delle malattie.
Lo studio individua cinque classi di interazione arte/salute (arti performative, arti visive, design e artigianato, letteratura, arte digitale e elettronica) e considera diverse modalità di intervento (la partecipazione culturale, i programmi d’arte partecipativi, i processi espressivi, l’arte terapia, gli interventi artistici nelle strutture sanitarie e l’arte su prescrizione medica). In sintesi, il report «ha ricavato da un’ampia gamma di approcci disciplinari e metodologici le evidenze del potenziale contributo delle arti nell’influenzare i determinanti della salute, nell’avere un ruolo rilevante nella promozione della salute, nel prevenire l’insorgenza di malattie mentali e il decadimento fisico legato all’invecchiamento; nel sostenere il trattamento o la gestione di malattie mentali, malattie croniche degenerative e disturbi neurologici e infine nel supportare l’assistenza di pazienti affetti da malattie acute o terminali. Sebbene alcuni Paesi abbiano compiuto dei progressi nell’attuare politiche che promuovono l’uso delle arti nell’ambito della salute e del benessere, molti non hanno esplorato le opportunità offerte della relazione tra arte e salute, mentre altri ancora hanno attuato delle politiche solo per periodi limitati di tempo.
Pertanto, alla luce della dimensione della base di evidenze raccolte, il report porta diverse considerazioni politiche all’attenzione dei membri della Regione Europea dell’OMS per favorire lo sviluppo di politiche e strategie a lungo termine che facilitino una collaborazione più organica tra il settore delle arti e quello della salute, in grado di realizzare il potenziale contributo dell’arte al miglioramento della salute globale». Un altro studio – il secondo commissionato dall’English National Ballet del Regno Unito – è stato pubblicato nel 2015 [5] ed è poi confluito nel volume di Sara Houston, ricercatrice del Dipartimento di Danza dell’Università di Roehampton (Houston, 2019). La ricerca si concentra sull’impatto qualitativo della pratica della danza nella vita delle persone con Parkinson citando anche l’esperienza di Dance Well di Bassano.
Nel Parkinson la riabilitazione fa registrare risultati efficaci in termini di neuroprotezione (mantenimento della funzionalità dei neuroni), neuroplasticità (la capacità dell’encefalo di modificarsi rispondendo agli stimoli) e neurogenesi (produzione di nuovi neuroni). E la danza si afferma come strumento riabilitativo completo grazie alle strategie che mette in campo: esercizio aerobico, immaginazione motoria, tecniche di cueing, training propriocettivo e sensitivo-motorio. Il gruppo misto, caratteristica della pratica Dance Well, include e coinvolge, permette la crescita collettiva, il sostegno reciproco. Per usare una parola di moda genera empowerment: la pratica artistica attiva l’immaginazione e i processi creativi i cui effetti positivi “a lungo rilascio” permettono l’avvio di un processo, attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza, migliorando la qualità della vita. Per questo, Dance Well – dove ormai è pratica consolidata – viene definito non progetto bensì processo di cui non è possibile prevedere la conclusione.
VISTA DA ME 1
Qualche anno fa, non era molto che lavoravo in Accademia Carrara, ho scattato una foto a un’amica e educatrice museale mentre era intenta a raccontare una pala d’altare a un gruppo di bambini seduti sul pavimento del museo. Lei era in piedi e nella staticità della foto si vede l’effetto di un mulinello, come nei video che documentano l’avvicinarsi di una tromba d’aria. Con tutto il corpo parla e aiuta il linguaggio pittorico a “dire più forte”. Nel dipinto alcune persone si coprono gli occhi per difendersi dalla luce maestosa e accecante che arriva dalla figura di Maria in cielo. Ogni tanto mando la foto alla mia amica, che è sempre un uragano, e ci ridiamo su.
VISTA DA ME 2
Nel 2017 ho partecipato al corso Le metafore della didascalia, organizzato da Fondazione Querini Stampalia [6]. Le giornate di formazione, tra teoria, confronti e pratica, a un certo punto prevedevano un’esperienza di esplorazione dello spazio. Ci siamo ritrovati, noi corsisti insieme alla brillante regista e formatrice Eleonora Moro, in uno degli spazi del museo con delle belle finestre aperte su Venezia. Ci siamo mossi come si fa quando si prende confidenza con lo spazio, preparandosi per fare teatro, abbiamo assunto pose e sguardi di chi osserva le opere in un museo. Questo esperimento breve mi era piaciuto molto ma per lungo tempo non l’ho più ricordato.
VISTA DA ALTRI
Mi sento di dire che l’Accademia Carrara ha aperto alla presenza di pratiche artistiche all’interno delle sue sale. Alle iniziative con carattere di evento si aggiungono momenti performativi e progettualità più o meno articolate, progettate per proporre ai pubblici nuove possibilità di fruizione. Narrazioni, didascalie partecipate, esplorazioni tattili, danza e movimento, letture musicate… il catalogo delle possibilità di visita, in particolar modo per gli adulti, è abbastanza ricco. Tuttavia, certi tipi di progettualità faticano a integrarsi con le proposte educativo-didattiche di routine, rimanendo nell’ambito della sorprendente e passeggera sperimentazione. Si ha il sospetto che tutto funzioni più agevolmente quando non viene chiesta la partecipazione attiva, quando, entrati in museo, si può rimanere nella propria zona di confort, facendo andare i piedi e gli occhi passivamente, affaticandosi alla ricerca delle sedute sul percorso. Non siamo abituati alla sensibilità, non siamo allenati a sentire e ci spaventa molto quando i sensi vengono punzecchiati.
Ad agosto del 2020 si è tenuta la prima classe Dance Well del museo, che inaugura un percorso destinato a trovare una sua casa stabile nelle sale della Pinacoteca [7]. Che ripercussioni avrà questo sulle dinamiche del museo? Siamo pronti a vedere? Siamo pronti ad accogliere i suggerimenti che la pratica ci indica?
Michela Negro e Simone Baldo sono i teachers che tra marzo e maggio 2021 hanno condotto le classi in Accademia Carrara; parlare con loro è come incontrare altre possibilità di lettura e godimento degli spazi e del patrimonio. Per i due danzatori lasciarsi attrarre da alcune opere e non da altre non rappresenta peccato mortale; non conoscerne da subito il titolo, l’autore o la data di realizzazione non è motivo di disagio. La percezione (i colori, i dettagli, una posa…), infatti, è la chiave con la quale aprire un proprio percorso personale di scoperta e conoscenza dell’opera e delle sue potenzialità espressive. È una pratica che Michela usa come danzatrice e che replica nel suo approccio con le classi Dance Well. L’ascolto (la disponibilità a sentire in termini corporei e temporali), dice, è il punto di partenza e la mindfulness [8] l’approccio che la guida.
Michela e Simone nelle vesti di teachers si definiscono facilitatori, mediatori di una relazione il cui impulso parte da dentro e si muove verso l’esterno, dunque una spinta non generata da un’informazione ma da un moto guidato e alimentato dai sensi dal corpo. Questo richiede una presa di coscienza (la mindfulness della quale si diceva qualche riga sopra) e una predisposizione, allenata dalla pratica, alle varianti e alle possibilità che le opere o gli oggetti suggeriscono. Questo passaggio mi ha fatto molto pensare, soprattutto in questo periodo in cui il dibattito sulla figura dell’educatore museale è acceso e il tema dell’interdisciplinarietà ancor di più. Michela e Simone parlando della loro esperienza hanno citato delle soft skills che tantissimi educatori museali riconoscerebbero come proprie.
VISTA DAL MUSEO
L’avvio di una pratica come Dance Well porta in museo delle trasformazioni. Stiamo appena varcando la soglia di questi possibili cambiamenti (come vediamo questo progetto estraneo al contesto museo? Come lo guardano le persone?) [9]. Sembra di entrare in uno degli ambienti dell’Arte cinetica e programmata che dispettosamente conducono altrove, verso un’altra percezione, disorientando per ri-orientare. Per Dance Well le sollecitazioni vengono dall’ambito medico-sanitario che si sta interrogando, proseguendo la sua ricerca sul Parkinson e i parkinsonismi, sulle opportunità offerte dal modello di cura multidisciplinare nella gestione dei sintomi, dirigendosi sulla composizione di team di esperti complementari, con l’inserimento di figure provenienti da ambito non sanitario, che possiedano le competenze per coinvolgere il paziente come attore centrale della sua stessa terapia.
Noi educatori museali ci riteniamo spesso degli avanguardisti e sventoliamo la bandiera dell’apertura e dell’elasticità mentale come se fosse il nostro dominio assoluto. Quando però entra in gioco il corpo la questione si complica e non siamo sempre pronti a farne strumento al nostro servizio. Non di solo cervello è il titolo simpatico ed eloquente che, attraverso lo sguardo pedagogico, parla di rigidità del pensiero (un sintomo comune, dunque, non solo nel Parkinson) come condizione provocata dall’assenza di corporeità, tagliata fuori da «processi di mascheramento e di elusione, tradizionali e attuali, con particolare riguardo all’ambito educativo e formativo» (Contini, Fabbri, Manuzzi, 2006).
LA PELLE È COME IL MUSEO: CONSERVA ED ESPONE
Diventare il luogo di una pratica artistica potente come Dance Well significherà accettare, accogliere, abbracciare o sostenere ciò che è, con interessanti riflessioni sulle modalità adottate dal museo per presentarsi e comunicarsi. Allo stesso tempo mi domando – e sono curiosa di scoprire il procedere del percorso – quali sollecitazioni e proposte di cambiamento Dance Well offra alle persone che incontrano il pubblico e sono impegnate nella mediazione, ai fruitori stessi. Se il tema dell’interdisciplinarietà rimane ancora indigesto, nonostante già negli anni Settanta si andasse A scuola con il corpo [10] e si gettassero le basi per un’esperienza concreta della realtà e di nuovi modelli educativi (Montessori, Decroly) ed esperienze come lo scoutismo, quello della corporeità viene appena assaggiato.
«L’eredità dualistica mente/corpo (anima/corpo, spirito/corpo) e l’incapacità di guardare al soggetto come ad un tutto unitario pesano ancora sull’immaginario culturale occidentale costituito da una separazione tra i due emisferi» (Mariani, 2020). Eppure, la Pedagogia critica ha contribuito ad affermare la corporeità come esperienza cruciale e radicale della crescita e della formazione di tutti i soggetti, riconoscendo che «La capacità di integrare il pensare e il sentire in un identico processo è condizione necessaria allo stare nel presente della relazione, laddove le sole teorie rischiano, appunto di far perdere il contatto…» (Gamelli, 2011).
Oggi il nostro corpo è tanto presente ed esposto quanto inservibile, sottostimato, emarginato. «Nella nostra società il personaggio che l’individuo rappresenta e il suo Sé sono sempre identificati: il Sé è visto come qualcosa che alberga nel corpo, in particolare nelle sue parti superiori» (Gamelli, 2011). C’è bisogno di riavvicinare mente e corpo, il corpo che abbiamo e il corpo che siamo, tracciando anche nuove rotte che nel museo possono trovare un accogliente spazio di ricongiungimento perché il museo è come la nostra stessa pelle, conserva ed espone [11]: «Compreso nella sua organicità, ma inteso anche come luogo di memoria e “corpo-archivio”, il corpo è, nei diversi media e nelle diverse forme di fruizione, un sistema organico di trasmissione e di conservazione di immagini, di conoscenze e di riattivazione trans-temporale di repertori, di comportamenti e di pratiche corporee» (Chernetich, 2019).
Note
[1] Il Canada, e Québec in particolare, possono vantare una lunga tradizione di attivismo artistico; infatti, gli alveari artistici, Art Hives, originati dall’arteterapia e dall’esperienza dell’arte terapeuta e professoressa Janis Timm-Bottos dell’Università Concordia di Montreal, sono molto diffusi sul territorio. Sovvenzionati da fondi pubblici e supportati anche da privati, gratuiti e aperti alla comunità, permettono a tutti di sperimentare i linguaggi artistici. Anche il Musée Des Beaux-Arts di Montréal (Mbam) ha il suo alveare dove i pazienti con diverse patologie possono recarsi da soli o accompagnati per visite e attività prescritte dal proprio medico di base o specialistico. Dunque, un approccio alla cura che prevede prescrizione di farmaci e di terapie non farmacologiche che trova accoglienza in un territorio già allenato all’esperienza artistica. Esiste anche un caso inglese di Arts on prescription: circa un quarto dei musei inglesi è impegnato sui temi della mindfulness e della salute mentale.
[2] Nel corso della mia ricognizione per la scrittura di questo contributo ho più volte incontrato la Medicina narrativa, ma non mi è chiaro se l’approccio sia lo stesso o vicino a quello suggerito da alcuni neurologi per la cura del Parkinson, ma mi ha molto incuriosito. La definizione è stata elaborata nel 2014 nel corso del II Congresso Internazionale: Narrative Medicine and Rare Disease, organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità con il CNMR (Centro Nazionale Malattie Rare): “Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La Medicina Narrativa (NBM) si integra con l’Evidence-Based Medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano protagoniste del processo di cura”.
[3] In particolare, il Centro per la malattia di Parkinson e i disordini del movimento – Casa di Cura Villa Margherita di Arcugnano (VI), qui il neurologo Daniele Volpe, direttore del Centro Parkinson e del Fresco Parkinson Institute di Fiesole (Firenze), ha condotto uno studio scientifico di misurazione sui suoi pazienti, alternando la pratica Dance Well a quella riabilitativa. E ancora Nicola Modugno, presidente dell’Associazione ParkinZone Onlus e Responsabile del Centro per lo Studio e la Cura della Malattia di Parkinson dell’I.R.C.C.S. Neuromed, che ha portato Dance Well a Roma, a Palazzo Spada.
[4] La ricerca è il risultato del progetto “Contesti Culturali per la Salute e il Benessere” (Cultural Contexts of Health and Wellness – CCH) dell’Ufficio Regionale Europa dell’OMS ed è disponibile in italiano al link
[5] Lo studio del 2015 è disponibile al link
[6] Il corso, in collaborazione con Università Ca’ Foscari di Venezia (Dipartimento di Management), Università Iuav di Venezia, Palazzo Grassi | Punta della Dogana, Spazio B**K, Collezione Peggy Guggenheim, è confluito nella pubblicazione M. C. Ciaccheri, A. C. Cimoli e N. Moolhuijsen, Senza titolo. Le metafore della didascalia, Nomos edizioni 2020.
[7] L’iniziativa è stata portata lo scorso anno per la prima volta a Bergamo, alla Pinacoteca Accademia Carrara, con l’organizzazione di Associazione Culturale Immaginare Orlando in partnership con Fondazione Accademia Carrara con la relazione con istituti sanitari della città e provincia e in collaborazione con il Festival Danza Estate. Un primo ciclo di classi, online in diretta streaming con Dance Well Teachers certificati, si sono svolte tra i mesi di marzo e maggio, fino ad approdare nuovamente al Festival ORLANDO. Considerata l’efficacia della pratica – recentemente riconosciuta anche dall’OMS nell’Health Evidence Network synthesis report 6.7 – e la risposta del pubblico, il progetto sarà mantenuto costante sul territorio bergamasco. Nel 2020 e fino a maggio 2021, a causa della pandemia, a Bassano e nei centri aderenti, la pratica si è spostata on line con un calendario settimanale di classi miste, aperte a tutti.
[8] Mindfulness è una parola inglese (dall’aggettivo mindful) che nella traduzione italiana significa consapevolezza. La mindfulness è diventato un approccio volto a coltivare una piena presenza all’esperienza del qui e ora. La Manchester Art Gallery, tra marzo 2018 e gennaio 2020, ha proposto al pubblico la mostra And Breathe… un lavoro collettivo di partecipazione e, dunque, consapevolezza: https://manchesterartgallery.org/exhibitions-and-events/exhibition/and-breathe/
[9] Monica Calcagno racconta del periodo in cui la Fondazione Querini Stampalia si è impegnata in un processo di riorganizzazione spinta da esigenze di sostenibilità economica. Un percorso articolato, studiato e condiviso che raramente si ha l’opportunità di vivere in queste dimensioni, ma che ben illustra la necessità di discutere e sviscerare i processi di progettazione e realizzazione per coinvolgere in maniera sempre più inclusiva i visitatori (Ciaccheri, Cimoli, Moolhuijsen, 2020).
[10] AA.VV., A scuola con il corpo, La Nuova Italia, Firenze 1974
[11] La frase è del teacher Simone Baldo.
Bibliografia
Massa R., Le tecniche e i corpi. Verso una scienza dell’educazione, Milano, Unicopli, 1986.
Contini M., Fabbri M., Manuzzi P., Non di solo cervello: educare alle connessioni mente-corpo-significati-contesti, Raffaello Cortina Editore, 2006.
Dewey J., Arte come esperienza, Palermo, Aesthetica edizioni, 2009.
Gamelli I., Pedagogia del corpo, Raffaello Cortina Editore, 2011.
Chernetich G. C., Danza e museo in osmosi. Jérôme Bel al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, in «Mimesis Journal», 8, 2, 2019.
Houston S., Dancing with Parkinson’s, Intellect Books, Bristol 2019.
Fancourt D., Finn S., What is the evidence on the role of the arts in improving health and well-being? A scoping review, WHO Regional Office for Europe (Health Evidence Network (HEN) synthesis report 67), Copenhagen 2019.
Mariani A., Riflessioni sul corpo in pedagogia: tre percorsi, in «Annali online della Didattica e della Formazione Docente» Vol. 12, n. 20/2020, pp. 7-14.
Ciaccheri M. C., Cimoli A. C., Moolhuijsen N., Senza titolo. Le metafore della didascalia, Nomos edizioni 2020.
Lucia Cecio
Sono una storica dell’arte specializzata in Museologia (Sapienza Università di Roma). Ho conseguito il diploma di master in Servizi educativi per il patrimonio artistico, dei musei storici e di arti visive (Università Cattolica del Sacro Cuore) e attualmente sono Responsabile dei Servizi Educativi presso l’Accademia Carrara di Bergamo. Sono socia fondatrice dell’Associazione culturale LopLop, specializzata in attività di educazione al patrimonio per bambini e famiglie. Il mio interesse è rivolto in particolare al coinvolgimento dei pubblici, con un’attenzione specifica alle persone fragili e con disabilità, e all’ibridazione di approcci e strumenti.