Introduzione
Nel presente contributo sono contenute alcune indicazioni in merito alla condivisione video versione social con particolare riferimento al fenomeno Musically/TikTok: la piattaforma, in partenza dedicata al lip-sync di brani e sketch comici celebri e divenuta poi, per alcuni, un altro spiraglio per raggiungere i 15 minuti di celebrità, è un caso problematico vista l’importante differenza di età tra i creatori di contenuti, poco più che bambini, e i fruitori degli stessi contenuti. L’iper-sessualizzazione dei giovani utenti ha reso necessaria l’inclusione di influencer adulti che dessero speranza a una app altrimenti spacciata, dati i numerosissimi casi di pedofilia nati sulla stessa. Le piccole coreografie spensierate che prima venivano eseguite al massimo davanti allo specchio hanno seguito l’evoluzione tecnologica, portando le movenze dallo specchio alla telecamera, aprendo a Internet la familiarità dello spazio e di gesti intimi e personali. Inoltre, la possibilità di registrare lo schermo ha fatto sì che i contenuti di pre-adolescenti e adolescenti più o meno vestiti fossero fruibili sulle più celebri piattaforme di materiale pornografico mediante scaricamento, montaggio e caricamento.
Il contenuto è ormai fuori controllo: i giovani registi vedono il proprio prodotto nelle mani di fruitori che osservano con uno sguardo interessato ad altro che al solo intrattenimento da scrolling. In un’epoca in cui la sessualità è atrofizzata da una sovra-stimolazione perlopiù visuale, anche la violenza procede sullo stesso binario e, superata la sessualizzazione di bambini, la tappa successiva starebbe invece nell’assunzione di responsabilità per l’esposizione di un video girato su una app il cui target era di bambini e adolescenti su piattaforme che ne hanno altri ben più definiti, rigorosamente senza consenso.
La condivisione video social
Le piattaforme Snapchat, Vine, Instagram, Musical.ly, Tik Tok hanno in comune la possibilità di disporre di un video a proprio piacimento, dando all’utente il potere di porsi da regista di quanto si mostra alla propria rete o, in caso di profili pubblici, alla Rete. Circa 10 anni fa, Snapchat (settembre 2011) e Vine (giugno 2012) hanno dato la possibilità di registrare, modificare e condividere in rete video di una manciata di secondi (dai 5 ai 6). A differenza delle prime piattaforme di condivisione video (la prima è stata ShareYourWorld, di Chase Norlin, nel 1997), a rendere più spensierato il tutto c’è, su molte piattaforme, una clausola che prevede l’oscuramento, sulla pagina del profilo dell’utente, del contenuto caricato dopo 24 ore. Se da un lato si hanno solo 24 ore per stupire con un contenuto che deve essere sempre più memorabile per essere incluso nelle raccolte dei più bei vines o snaps (delle clip video) e per svettare nelle classifiche interne di Tik Tok, dall’altro la consapevolezza che si è responsabili di quel contenuto per sole 24 ore fa accettare di buon grado all’utente di scegliere il filtro preferito per mostrarsi cantando la hit del momento o riprendendo gli sketch di un film cult. A meno che non si voglia sposare la causa del nonsense, i video più apprezzati comprendono quasi sempre un riferimento a prodotti commerciali: le ultime uscite discografiche, sketch di film, video virali il cui audio può essere “recitato”. Attraverso le piattaforme di condivisione video, il video stesso acquisisce sul web la possibilità di una manipolazione da poter esercitare attivamente. La differenza con la possibilità di avere un canale su YouTube, o di condurre dirette su Instagram, è che le suddette piattaforme impongono una durata ai contenuti degli utenti dove 60 secondi sono un limite; allo stesso modo degli scrittori di Twitter, imbrigliati in poco più di 100 battute, i registi di micro-video sono chiamati a dare il meglio di sé in pochi secondi – fino al 2016, gli utenti di Twitter hanno potuto misurarsi con entrambe le possibilità, poiché l’azienda californiana ha acquisito la piattaforma di registrazione video nel 2012. In pochi anni, i vine sono diventati 6 secondi utili tanto a fare informazione (Ungerleider, 2013), tanto per annunciare la tracklist dell’ultimo album dei Daft Punk (Sottek, 2013). A una sola settimana dall’acquisizione di Vine, Twitter registra un picco di contenuti pornografici proposti sottoforma di vine di 6 secondi (Lilla, 2013), attirando l’attenzione sulla facilità di reperimento degli stessi mediante appositi hashtag, #sex #porn, ma soprattutto sulla impossibilità di controllo dei contenuti caricati e condivisi fuori dalle piattaforme dedicate. A sottolineare la vulnerabilità di tali processi, nel 2013 si verifica un episodio di hacking in cui i numeri di telefono di 4.600.000 utenti di Snapchat vengono pubblicati sul sito, accessibile a tutti, snapchat.db. Nonostante i rischi, il fenomeno ha ormai preso piede e le misure rese necessarie consistono di fatto nella modifica di termini contrattuali riguardanti principalmente limiti di età (per iscriversi bisogna avere almeno 13 anni), diritti di proprietà e di utilizzo (non è possibile caricare contenuti di terzi; si ha piena responsabilità e proprietà intellettuale di quanto condiviso). Se già Twitter, tra i più “testuali” dei social network, ha potuto fare da spia nel caso di contenuti inappropriati visibili da chiunque, TikTok è stato già letto più volte come contenitore di materiale inappropriato per l’utilizzo finale dei contenuti: da alcune prospettive, anche il karaoke può diventare pedopornografico.
Altre tappe importanti della breve storia dei social di condivisione video sono ByteDance (2012), sviluppata da Zhang Yiming in seguito all’esperienza di micro-blogging per Toutiao, con circa 500 milioni di utenti soprattutto in Oriente e Musical.ly (2014), sviluppata da Alex Zhy e Luyu Yang in seguito a un precedente esperimento social con video didattici della durata limitata di 3-5 minuti, con circa 100 milioni di iscritti, soprattutto occidentali. Le due sono state fuse sotto il nome di TikTok ad agosto 2018. A cambiare è stato poco: i muser di Musical.ly e i tiktoker di TikTok hanno potuto continuare a caricare video contenenti lip-sync di canzoni e sketch e balletti coreografati per 60 secondi nella propria rete («Make every second count»). Al centro della ripresa, sempre sé stessi: al di fuori dei commenti, lo spazio per l’altro c’è perlopiù nelle sfide con altri utenti.
Pur essendo indirizzata a una fascia di età superiore ai 13 anni (la app è categorizzata come 12+ così da poter essere bloccata facilmente), la società di TikTok è stata accusata dalla Federal Trade Commission per aver raccolto illecitamente i dati degli utenti. Inoltre, precedentemente, Musical.ly non aveva raccolto il consenso per trattare i dati degli under 13. Altro dato da rilevare sta nell’esplosione delle baby star, bambini che riescono a raggiungere la celebrità grazie a questa applicazione: tra i casi più rappresentativi c’è quello di Jacob Sartorius, diventato celebrità di TikTok a poco più di 11 anni[2].
Chiarita l’età dei protagonisti di TikTok e i problemi della privacy intrinseci alla app stessa, resta il problema dell’utilizzo ultimo di quanto caricato dai tiktokers.
Dallo specchio a PornHub, oltre il voyeur
Nel descrivere i contenuti di TikTok è agevole fare riferimento al karaoke o al lip-sync, quella sorta di canto “muto” la cui mimica è sincronizzata con la musica in sottofondo. Prima della generazione Z (i nati tra il 1997 e il 2000), l’immaginario comune ha considerato il lip-sync come elemento fisso di alcuni programmi televisivi da un lato e come qualcosa da fare nell’intimità dei propri spazi, coinvolgendo al più uno specchio. Adesso che è la fotocamera degli smartphone a essere considerata specchio, per tanti aspetti diversi, balli e canzoni vengono eseguiti con analoga continuità, trascurando il fatto che quello specchio è, come per Alice, finestra su un mondo. È nella reciprocità del particolare uso della fotocamera dei tiktokers che nasce il pericolo di violenza anche in app che si propongono come gioco. Sebbene siano rintracciabili a monte le pressioni che gli utenti devono reggere – come l’adeguamento agli standard di bellezza incarnati, per esempio, da Eboys e Egirls – gli atti di violenza commessi su TikTok nascono da due tipi di interazione tra spettatori e creatori di contenuti i cui esiti vengono, quando possibile, documentati, da fonti istituzionali (Department of Justice) e non (BuzzFeed). Il primo tipo di interazione è da parte di chi è in cerca di materiale pedopornografico su TikTok: una volta passata la fase di scelta dall’immenso catalogo interno della app, si passa alla fase dell’adescamento di minorenni, commettendo il primo reato penale (Art. 609-undecies). Un’alternativa all’adescamento è utilizzare questo tipo di app come banca dati di materiale pedopornografico. Tramite la registrazione dello schermo del proprio dispositivo è possibile scaricare i contenuti dell’utente scelto per disporne a proprio piacimento. Nel caso di TikTok, molti video sono stati scaricati per essere riproposti ad altre persone attratte da bambini che giocano a fare gli adulti, assumendosi la responsabilità di cambiare contesto a quei balletti davanti allo specchio. Senza riferirsi ai giovani utenti ma solo all’attività svolta, TikTok è pronto a diventare una tag accostata ai portali di pornografia online più celebre, cui si cita PornHub a titolo esemplificativo[3]. Gli utenti che contribuiscono alla diffusione dei video su siti porno realizzano così il reato di revenge porn (Legge 19 luglio 2019, n. 69), oltre che di detenzione di materiale pedopornografico, punito anche dopo la cancellazione dei file incriminanti (Cass. Sez. III sent. n.639/010). Letteralmente “porno vendetta”, revenge porn è la locuzione che indica del materiale caricato su piattaforme di condivisione di contenuti pornografici all’insaputa della vittima. “Revenge” si riferisce al fatto che solitamente si tratta di episodi seguenti alla fine conflittuale di un rapporto. Successivamente, la definizione è stata ritenuta adatta a indicare lo stesso procedimento anche nei confronti di persone con cui non si hanno trascorsi.
Combattere contro un fenomeno del genere, sul web, è praticamente impossibile. Ciò che può cambiare è spostare l’attenzione dal proprio profilo alla home dei social, che solitamente ricordano inequivocabilmente della presenza di altre persone su Internet, alcune delle quali in grado di rendere gli scatti più ordinari un feticcio.
Note
[1] La distinzione tra bambini e adulti è ormai labile poiché agli occhi delle app tutti gli account sono consumatori. Questo fa parte del processo di “scomparsa dell’infanzia” anticipato da Neil Postman nel 1982 in The Disapperence of Childhood.
[2] Alla domanda «Che rapporto c’è con le baby star che contribuite a far esplodere, da Jacob Sartorius a Luciano Spinelli fino a Baby Ariel? Ne sentite la responsabilità?», lo staff di TikTok risponde: «Teniamo molto ai creator che hanno visto crescere la propria polarità grazie alla piattaforma. Siamo orgogliosi di aver dato loro l’opportunità di cambiare il loro percorso di vita e di avere successo al di fuori della piattaforma grazie alla loro unicità e talento. Un team dedicato è costantemente in contatto con i creator per supportarli e per imparare come continuare a migliorare la piattaforma sulla base dai loro feedback. Siamo felici quando i creator ottengono successo grazie alla piattaforma, allo stesso tempo crediamo nel valore della diversità e che ci sia più di un modo per definire il successo». Fonte consultata in data 22/12/2019.
2019, TikTok ha iniziato una campagna per innalzare l’età media degli utenti coinvolgendo celebrità tanto dal mondo televisivo (Michelle Hunziker, Fiorello) tanto da quello del web, indirizzandosi a influencer più e meno famose.
[3] L’indicizzazione di contenuti del genere può essere facilmente verificata anche solo inserendo “tiktok porn videos” sul motore di ricerca preferito.
Bibliografia
Postman N., La scomparsa dell’infanzia. Ecologia delle età della vita, Armando editore, Roma 1991.
Sitografia
BBC News, Snapchat hack affects 4.6 million users, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Broderick R., TikTok Has A Predator Problem. A Network Of Young Women Is Fighting Back, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Carroll L., Carroll’s diary for 4 July 1862, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Carson B., How a failed education startup turned into Musical.ly, the most popular app you’ve probably never heard of, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019.
Department of Justice, District of Oregon, Portland Man Pleads Guilty to Production of Child Pornography, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Federal Trade Commission, Video Social Networking App Musical.ly Aggres to Settle FTC Allegations That it Violated Children’s Privacy Law (Press release), disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Jennings R., E-girls and e-boys, explained, disponibile al link, consultato in data 23/12/2019;
Lilla M., Vine, accesso per il porno su Twitter, disponibile al link, consultato in data 23/12/2019;
Ungerleider N., Using Vine To Cover Beaking News, disponibile al link, consultato in data 22/12/2019;
Sottek T.C., Daft Punk reveals ‘Random Access Memories’ tracklist on Vine, disponibile al link, consultato in data 21/12/2019.
Ambra Benvenuto è laureata magistrale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Dopo aver frequentato un master in Counseling presso l’INPEF di Roma, si è laureata in Scienze dell’Architettura presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e ha vinto due borse di formazione presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate online e cartacee ed è autrice di saggi su filosofia, architettura, musica.