Alla fine del XIX sec d.C. iniziò un processo di riscaldamento della superficie terrestre che si intensificò all’inizio del III millennio d.C.
Il mondo si divideva fra i negazionisti del cambiamento climatico di origine antropica, quali politici, industriali ed economisti (affiancati da scienziati e professori universitari corrotti), e un folto numero di scienziati che comprovavano la relazione fra le percentuali di CO2 e metano emesse e il surriscaldamento globale. Non tradendo l’economia, intesa solo come dato monetario e non come valore etico, ebbe inizio una variazione meteorologica che provocò lo scioglimento dei ghiacciai e una progressiva sovversione delle aree miti in aree tropicali, delle aree fredde in aree a clima mite, e delle aree calde in aree desertiche; le zone più vicine al mare furono investite da inondazioni. Talvolta il terreno secco non era più in grado di assorbire l’acqua e molti villaggi collassarono su se stessi. Già alcune isole dell’Oceano Pacifico (ad esempio Tuvalu), nei primi decenni del XXI secolo d.C., erano inondate per sei mesi l’anno e gli abitanti vivevano come umani-pesce, metà sott’acqua e metà fuori dall’acqua. Fu realizzato anche un documentario su quest’isola dal collettivo Flatform, documentario che non tardò a divenire un cult dell’epoca.
A questi cambiamenti prevedibili dall’intera comunità internazionale fece seguito, nei milioni di anni a seguire, un progressivo movimento della crosta terrestre che modellò la configurazione della Terra come la conosciamo oggi. La formazione attuale della Terra è di recente costituzione. In passato tale conformazione veniva definita dai geofisici Pangea Proxima, in quanto ricordava la Pangea originaria, il supercontinente che si ritiene includesse tutte le terre emerse durante il periodo Paleozoico. (AFI: /panˈʤɛa/; dal greco anticoπᾶν, forma neutra di πᾶς, “tutto”, e, Γαῖα “terra”, ossia “tutta la terra”). Circa 160 milioni di anni fa, Europa, Nord Africa e Arabia collisero, chiudendo il Mar Mediterraneo, così importante per il consolidamento dell’Impero Romano e per le rotte commerciali e migratorie del XXI secolo d.C. L’Oceano Atlantico, che divideva l’Est del Mondo con l’Ovest, si chiuse. L’America del Nord, ormai scesa verso la linea dell’equatore, si unì con l’Africa; il Sudamerica si avvolse attorno all’estremità meridionale dell’Africa, racchiudendo quello che rimase dell’Oceano Indiano e Atlantico. Mentre l’Oceano Pacifico si allargò notevolmente.
Tale riconfigurazione della terra emersa e dei mari diede luogo a un’imponente accelerazione adattiva di forme terrestri, acquatiche e volanti. Quelle dell’Homo Sapiens Sapiens – la specie che ci ha preceduto – divennero migrazioni di massa in quanto gli uomini, che non avevano ancora raggiunto l’autosufficienza alimentare, dovevano muoversi per la loro sopravvivenza. Anche l’ecosistema marino mutò notevolmente: si assistette a una vera crisi biotica, ossia a un’estinzione su larga scala causata dall’impatto delle attività antropiche. Il Volanscetus, comunemente detto Flying Whale, come lo conosciamo oggi, iniziò la sua evoluzione 300 milioni di anni fa. Da Pakicetus, la prima protobalena, artiodattilo primitivo, cominciò a vivere fra terra e acqua, per ragioni di sopravvivenza, e nel giro di un milione di anni divenne completamente acquatico. Ci vollero altri 10 milioni di anni prima che divenisse abile a solcare profondità marine notevoli. Le zampe anteriori si contrassero on pinne, quelle posteriori servirono a muoversi in acqua, finché la coda, fissa e sottile, non aumentò notevolmente di diametro, divenendo fluttuante per fare le veci delle zampe posteriori che scomparvero.
Da questa evoluzione apparve una delle specie più sorprendenti, appartenenti alla famiglia degli Odontoceti, la Sperm Whale (Physeter macrocephalus) o capodoglio. Si trattava del più grande di tutti gli Odontoceti e il più grande animale munito di denti: misurava fino a 18 metri di lunghezza. L’enorme testa, così come il ruolo centrale che ricoprì nella letteratura dell’umanità, hanno consentito a molti di descriverlo come l’archetipo della balena. Il capodoglio veniva infatti associato comunemente al Leviatano della Bibbia, il mostro marino che secondo l’Antico Testamento venne creato per volere di Dio.
Tuttavia, a partire da 250 milioni di anni fa, molte specie di animali acquatici (pesci, molluschi, cetacei) perirono in quanto la catena alimentare marina andò incontro a vere e proprie carestie. I mammiferi marini, in grado di resistere a questi lunghissimi periodi di scarsità di risorse, ridussero il loro peso e le loro dimensioni in maniera consistente, condizione che li favorì nei movimenti e incrementò le loro performance migratorie. Si dovettero aspettare tempi più recenti – circa 100 milioni di anni fa – per assistere a una mutazione del Capodoglio che, a causa della scarsità di cibo e della qualità dell’acqua, povera di minerali a causa delle numerose forme di inquinamento, arrivò a perdere più del 50 % del peso totale (ca. 35-50 tonnellate) e a raggiungere un peso medio di 10 tonnellate. Contemporaneamente iniziò un lento processo di risalita delle acque, fino a familiarizzare con il cibo reperibile a pochi metri di profondità e con l’ambiente fuori dall’acqua.
Apparve il Salticetus, comunemente detto Hopping Whale, ovvero un capodoglio in grado di fare salti lunghissimi che perfezionò in volo nella fase evolutiva successiva. L’atletismo era la risposta a necessità geografiche: raggiungere un diverso ecosistema nel minor tempo possibile e bypassare le aree marine pericolose, formate spesso da montagne di plastica, che costituivano veri e propri continenti sottomarini intrappolando gli animali. Il corpo si assottigliò moltissimo rispetto al capodoglio e le pinne pettorali si modificarono, frutto di un processo di evoluzione secolare delle ossa degli arti anteriori atrofizzati dei Pakicetus, che a livello scheletrico non erano mai scomparse ma avevano subito consistenti modifiche proporzionali. La pinna caudale divenne più veloce e scattante. Il rostro iniziò una fase di assottigliamento e affilamento per soddisfare le esigenze alimentari anche fuori dall’acqua.
Fu una decina di milioni di anni fa che iniziò a essere registrata la specie dei Volanscetus, o Flying Whale, definita così appunto per la capacità di percorrere lunghe traversate in volo. Le dimensioni si ridussero del 70% rispetto all’Hopping Whale. La struttura anatomica del Volanscetus si perfezionò per prolungare la tenuta di volo, in particolare grazie all’alleggerimento e all’ulteriore sviluppo della pinna pettorale in una vera e propria ala: omero, radio e ulna si allungarono e appiattirono, le falangi si assottigliarono e allungarono, secondo un sistema articolato, sintesi dell’anatomia di uccelli e chirotteri. La muscolatura della zona pettorale si rafforzò per sostenere il peso delle ali. L’epidermide si assottigliò e rinforzò al contempo per riuscire a mantenere lo strato di idratazione sufficiente durante il volo. I microsolchi che la percorrevano, dirigendo il flusso dell’acqua per facilitare il nuoto, iniziarono a chiudersi durante il volo per fungere da riserva d’acqua. La loro apertura poteva variare per aumentare l’aerodinamicità in assenza del piumaggio. Il rostro si assottigliò e l’osso superiore s’incurvò, permettendo di afferrare animali in volo, abilità necessaria per la caccia durante le lunghe traversate, considerata l’assenza delle zampe per cacciare a terra. I denti divennero quindi sempre più affilati per incrementare le possibilità alimentari. L’apparato digerente si rafforzò, acquisendo la capacità di digerire anche sostanze inorganiche e metabolizzarle in alimento, come per esempio le microplastiche.
Sottoposti a traumi acustici eccessivi a causa del traffico navale intensivo e degli airgun (fucili ad aria posizionati sotto il mare per rilevare la presenza di petrolio), il loro senso dell’udito e quindi le loro capacità di geo-localizzazione e comunicazione divennero assai limitate. Per sopperire a tale ipoacusia, prodotta dall’inquinamento acustico dei mari, svilupparono la vista, che si fece telescopica: la panoramica visiva si ampliò per riconoscere le prede anche a grande distanza e divenne unilaterale (ogni occhio si muoveva indipendentemente dall’altro). Gli occhi, da laterali, si posizionarono al centro della testa e aumentò lo spettro cromatico percepibile. La cute si assottigliò e rafforzò, e si assistette ad un ridimensionamento generale. Il cervello, per esempio, che nel Capodoglio era il più grande e pesante cervello esistente, si ridusse notevolmente, pur mantenendo le capacità straordinarie d’intelligenza che abbiamo scoperto solo a mille anni dalla loro estinzione. Erano infatti in grado, per un misterioso potere encefalico, di geo-localizzare tutti gli oggetti attorno a loro per migliaia di chilometri e di potersi connettere al contempo anche con i loro simili in tutto il mondo. Questo fu scoperto grazie a innovative tecnologie implementate nel tempo. Infatti, mentre 250 milioni di anni fa, per studiare e riconoscere i cetacei ci si avvaleva di tecniche come la raccolta dell’acqua o i droni per analisi cliniche, nei millenni a seguire abbiamo potuto controllare il loro stato di salute e i loro movimenti migratori tramite microchip di controllo che sono stati inseriti dentro di loro in volo.
La storia evolutiva del Volanscetus, dai suoi antenati terrestri fino alla straordinaria adattabilità al volo, è un esempio emblematico di come la vita sulla Terra risponda ai cambiamenti ambientali e alle pressioni antropiche. Attraverso trasformazioni durate milioni di anni, questa specie ha incarnato la resilienza e l’ingegno della natura di fronte a sfide climatiche, geografiche e biologiche senza precedenti. L’evoluzione della Sperm Whale a Flying Whale riflette, da un lato, la capacità delle specie di evolversi in risposta alle condizioni estreme e, dall’altro, l’impatto duraturo delle attività antropiche sul pianeta. Da un punto di vista biologico, lo studio rappresenta un invito a ripensare le interazioni tra esseri umani e natura e un monito per la salvaguardia della biodiversità e degli ecosistemi.
Nation25. Nel 2015 si registravano 51,5 milioni di persone sfollate in tutto il mondo. Se considerate come uno stato, avrebbero rappresentato la 25° nazione più popolata della terra. Lo stesso anno, ispirate da questo paese immaginario, Elena Abbiatici, Sara Alberani e Caterina Pecchioli fondano Nation25, una piattaforma partecipativa artistico-curatoriale che si occupa di temi socio-politici e ambientali con un focus particolare sui temi migratori. Nation25 mira a creare opportunità di collaborazione, incontro e scambio tra artisti, curatori, intellettuali, scienziati, attivisti e rifugiati, al fine di stimolare un ripensamento della società attuale e futura, tramite workshop, laboratori, mostre, azioni e opere d’arte. Attualmente Nation25 è attivato da Elena Abbiatici, Valeria D’Ambrosio e Caterina Pecchioli.