1.1 Il concetto di IA: breve disamina sullo stato attuale
Quello dell’Intelligenza Artificiale è un tema che taglia trasversalmente decenni di significati diversi. Dai primi modelli di reti neurali degli anni ‘50 sino ad arrivare alla complessa modellizzazione del Deep Learning, la storia del concetto di IA è fatta di fasi ascendenti e discendenti.
Il termine stesso Intelligenza Artificiale necessita, di volta in volta, di essere contestualizzato e definito. Tra i molti modi in cui è possibile categorizzare i vari tipi di IA, vi è una suddivisione tra IA forte (o Generale) e una IA debole. La principale differenza consiste nella capacità che una IA forte ha di poter assolvere molteplici compiti, mentre quelle deboli sono progettate per una serie limitata e specifica di circostanze. Una differenza che Kaplan definisce come «whether machines can be truly intelligent or simply able to act “as if” they are intelligent» (2016, p.68).
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a delle vere e proprie svolte nel campo dell’IA. Le motivazioni le possiamo trovare in parte nel naturale processo di stratificazione della conoscenza, che ha portato a un generale avanzamento del sapere informatico. Dall’altra, vi sono motivazioni specificamente socio-tecniche, quali ad esempio l’aumento della capacità di calcolo e la diminuzione dei costi dell’hardware in grado di gestire sistemi complessi.
Sono due i sistemi di IA che prenderemo qua in considerazione: i LLM (Large Language Model) e i modelli text-to-image. I primi sono modelli linguistici creati nell’ambito dell’NLP (Naturale Language Processing). Tramite questi modelli statistici è possibile (entro certi limiti) “simulare” la scrittura e la comprensione umana. Questi sono i modelli che stanno dietro ad esempio ai chatbot diventati famosi negli ultimi anni (basti pensare alla fama che hanno guadagnato ChatGPT, Claude o Gemini).
I modelli text-to-image sono invece modelli che coniugano modelli linguistici con modelli generativi di immagini. Essi sono in grado, utilizzando dei prompt umani, di generare immagini altamente complesse, arrivando anche a emulare stili e caratteristiche specifiche di singoli autori.
1.2 IA alla prova del lavoro
Sviluppi recenti nell’Intelligenza Artificiale (IA) hanno trovato impiego in molteplici settori della vita quotidiana, andando a operare simulando capacità cognitive simili a quelle umane come il riconoscimento di immagini e il problem solving, fino a influenzare la vita sociale con applicazioni in settori come la domotica, la cybersecurity e il marketing. Tra i settori influenzati vi è sicuramente quello del lavoro. La trattazione del rapporto tra sistema-lavoro e IA è molto ampia ma quella sull’applicazione dell’IA nell’arte e nella cultura è ancora limitata, focalizzata principalmente sulle potenzialità creative delle macchine o su opinioni soggettive di artisti e professionisti del settore.
Le riflessioni di Lev Manovich (2019) possono essere un punto di riferimento per comprendere questo fenomeno. Manovich sottolinea come i primi esperimenti tra arte e IA risalgono agli anni ’60, ma negli ultimi anni, con l’espansione dei Big Data e dell’Internet of Things (IoT), l’impatto dell’IA sull’arte abbia influenzato anche gusti ed estetiche. Infatti, l’IA si manifesta sia nella produzione artistica che nella valutazione critico-estetica delle opere.
Nel campo della produzione di arte ci si chiede: l’IA appiattisce il gusto artistico o stimola una nuova creatività? Le opere generate dall’IA riflettono la dialettica tra estetica imitativa classicistica (dove l’artista si ispira ai maestri del passato) e quella rivoluzionaria, che mette in discussione le regole, l’idea stessa di perfezione e di bellezza artistica, coinvolgendo sempre il fattore umano nel processo creativo. Parallelamente, l’IA svolge un ruolo cruciale nella valutazione critico-estetica delle opere d’arte, introducendo sistemi di apprendimento automatico che analizzano dati e opere digitalizzati per individuare nuove connessioni e prospettive estetiche inesplorate.
Se un tempo erano esclusivamente “esperti umani” a influenzare e condizionare il gusto individuale dei pubblici e il lavoro di artisti e istituzioni, oggi l’accumulo di dati culturali digitalizzati permette di affiancare a queste competenze umanistiche sistemi di apprendimento e classificazione guidati da agenti intelligenti (machine Learning), i soli in grado di muoversi all’interno di una mole di dati così grande.
Come sottolinea Manovich, nell’ambito dell’IA applicata all’arte e alla cultura, l’AI viene adottata da musei e istituzioni culturali con l’obiettivo di migliorare l’esperienza dei visitatori e ampliare il pubblico di riferimento. Dunque è possibile implementare soluzioni digitali innovative, come la realtà virtuale, la computer vision e la tecnologia indossabile. Queste soluzioni offrono nuove prospettive di fruizione e coinvolgono target diversi e diversificati. Un esempio emblematico di questa nuova “digitalizzazione museale” è l’adozione di servizi digitali addizionali da parte di molti musei durante la pandemia, come l’intensificato utilizzo dei social media, la diffusione di contenuti video e l’organizzazione di tour virtuali, per adattarsi alle nuove esigenze e restrizioni. Un ulteriore campo di applicazione è l’esplorazione liberamente dei dati culturali digitali senza vincoli predefiniti. In questo modo, è possibile individuare nuove connessioni e aprire la strada a inedite prospettive estetiche. Si tratta di un approccio più sperimentale, che permette di scoprire relazioni inaspettate e di generare contenuti artistici originali.
L’IA si rivela un potente strumento anche per la gestione dei beni culturali. Archivi e depositi, vasti archivi di dati, si trasformano in terreni fertili per l’applicazione di sistemi intelligenti. Progetti innovativi come quello del Polo del ‘900 di Torino [1], che ha incaricato gli artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico di un progetto innovativo per esplorare più di 400.000 documenti digitalizzati in loro possesso: un approccio trasversale rispetto ai consueti criteri di catalogazione e fruizione degli archivi, che sviluppa un sistema di accesso aperto basato sull’Intelligenza Artificiale e sulle correlazioni semantiche.
Numerose iniziative poi esemplificano l’impatto dell’IA sul mondo dell’arte. Il MoMA di New York e Google Art & Culture Lab hanno collaborato al progetto Identifying art through machine learning [2] che ha dato la possibilità di identificare oltre 20000 opere fotografate all’interno di un dataset di circa 30000 fotografie databili sin dal 1929. La Tate Gallery di Londra ha lanciato Recognition [3], un progetto che mette in relazione fotografie contemporanee con opere d’arte secolari tramite l’IA. Questi esempi dimostrano la vastità di applicazioni dell’IA nella gestione e valorizzazione dei beni culturali. Il legame tra IA e creatività è un settore di ricerca in continua evoluzione, parte integrante dell’alfabetizzazione culturale digitale di artisti e professionisti del settore. È fondamentale evitare di considerare l’IA come un’entità monolitica, ma analizzarne le diverse espressioni nei differenti contesti. L’IA rappresenta una risorsa preziosa per ampliare i confini dell’arte e della cultura, aprendo nuove strade alla fruizione, alla valorizzazione e alla gestione dei beni culturali. Tuttavia, è necessario un approccio consapevole e critico per sfruttare appieno le potenzialità dell’IA, evitando che diventi uno strumento fine a se stesso o mero strumento di gestione burocratica.
2.1 L’utilizzo della AI prima della Biennale di Bucarest
Prima della Biennale di Bucarest, diverse iniziative hanno esplorato il ruolo dell’Intelligenza Artificiale (IA) nella curatela artistica. Una di queste è stata la mostra Act as if You Are a Curator: An AI-Generated Exhibition presso il Nasher Museum of Art, curata da ChatGPT.
Studenti e docenti del Dipartimento di Arte, Storia dell’Arte e Studi Visivi della Duke University e del Laboratorio di Ricerca sull’Arte Digitale e la Cultura Visiva hanno creato uno strumento per estrarre informazioni pubblicamente accessibili dal database della collezione del museo. Il risultato è un dataset di quasi 14.000 oggetti che: «[…] was further transformed into machine-readable data that is understandable by OpenAI’s ChatGPT platform» [4].
Sono stati sviluppati poi dal museo una serie di stimoli e di prompt somministrati a ChatGPT chiedendogli di selezionare opere d’arte per la mostra. Un processo simile è stato effettuato per la creazione dei testi di sala e per le didascalie.
Allo stesso tempo, l’Helsinki Art Museum ha utilizzato l’apprendimento automatico e l’IA per curare una mostra intitolata New Directions May Emerge [5]. Curata da Joasia Krysa, questa biennale ha coinvolto sia entità umane che non umane come collaboratori curatoriali, incluso un’entità AI creata in collaborazione con il Museo d’arte HAM Helsinki e il progetto Digital Visual Studies dell’Università di Zurigo. Questa iniziativa rifletteva su questioni cruciali della nostra epoca, come l’ambiente, i conflitti politici e gli effetti della tecnologia.
Infine, il progetto The Next Biennial Should be Curated by a Machine: Experiment AI-TNB [6] ha esplorato il rapporto tra curatela e IA, proponendo una serie di esperimenti che utilizzano tecniche di apprendimento automatico per curare mostre d’arte contemporanea su larga scala. Questo progetto ha sfidato le convenzioni della curatela tradizionale, domandandosi come l’IA possa offrire nuove prospettive sulle pratiche curatoriali convenzionali e sulla conoscenza curatoriale, aprendo così alla possibilità innovative per il futuro delle esposizioni artistiche su larga scala.
2.2 La Biennale di Bucarest e le reazioni del mondo dell’arte
La Biennale di Bucarest del 2022 ha segnato una tappa fondamentale nel dibattito sull’intelligenza artificiale e il suo impatto sul mondo curatoriale. L’evento ha infatti offerto una panoramica completa delle diverse modalità con cui l’IA può essere utilizzata per la creazione, la selezione, la comunicazione e la fruibilità di opere d’arte.
Dal titolo Everybody Deserves to Challenge Pop Culture, la mostra è stata interamente curata dall’intelligenza artificiale Jarvis, sviluppata da Spinnwerk [7]. Jarvis ha, infatti, selezionato 12 artisti da tutto il mondo in base a una serie di criteri predefiniti, tra cui l’uso innovativo dei media digitali e l’esplorazione di temi legati alla cultura pop.
La Biennale ha invitato gli artisti a riflettere su come la cultura pop influenzi le nostre vite, le nostre relazioni e la nostra identità e le opere in mostra spaziavano da installazioni interattive a videoarte, performance, esplorando diverse sfaccettature della cultura pop, come la nostalgia, il consumismo, la celebrità e la fan culture (c’è chi ha anche criticato la Biennale per essersi focalizzata troppo sulla cultura pop, a scapito di altri temi artistici più importanti).
Il lavoro di Jarvis è stato progettato in fasi. In una prima fase di generazione di brevi concetti, Jarvis è stato programmato per creare concetti formati da una o due frasi utilizzando tecniche di deep learning. Successivamente si è passati a una fase di ricerca e accumulo di conoscenza durante la quale l’intelligenza artificiale ha consultato i database di università, gallerie e musei in tutto il mondo. Durante una terza fase, quella della selezione, Jarvis ha effettuato una cernita di artisti e opere più adatte da far partecipare alla mostra basandosi sulle informazioni acquisite.
Infine Jarvis ha elaborato il concetto curatoriale: utilizzando un algoritmo sviluppato dallo studio Deraffe, è stato in grado di elaborare questo a partire da una serie di parametri e di scegliere i dodici artiste e artisti che avrebbero esposto alla Biennale di Bucarest, tra cui Cătălin Burcea, Andreea Chirică, Dejan Kaludjerović.
Se si considerano l’importanza della sensibilità umana e dell’interpretazione nell’ambito dell’arte, diversi sono i punti critici del caso della Biennale di Bucarest che evidenziano le sfide e le questioni che possono sorgere quando un’intelligenza artificiale come Jarvis è coinvolta nella curatela artistica. questa richiede una conoscenza e comprensione profonda dell’arte e la sensibilità e l’intuizione umane sono fondamentali durante la selezione degli artisti, poiché l’arte è un linguaggio soggettivo che trasmette emozioni.
Nel caso esatto di Jarvis, alcuni critici [8] pensano che l’intelligenza artificiale non sia stata in grado di cogliere la complessità e le sfumature dell’arte umana. La selezione dell’AI è stata ritenuta superficiale, non in grado di considerare molti altri validi artisti, oltre che essere definita semplice collage di opere selezionate in base a criteri algoritmici.
L’utilizzo di un algoritmo per la selezione degli artisti, poi, è stato visto da alcuni come un processo arbitrario e discriminatorio in quanto la Biennale dovrebbe essere un luogo aperto a tutte le forme d’arte, non solo a quelle che rientrano nei parametri di un algoritmo.
Sulle critiche ricevute, Razvan, CEO di Spinnwerk, l’azienda che ha sviluppato Jarvis, ha riconosciuto le perplessità espresse da alcuni critici, come la difficoltà di Jarvis di portare a termine molti dei task amministrativi che devono comunque essere completati dalla curatela umana: «[…] we do not yet have a system that implies programmatically checking with the artists if they can attend, if their paperwork can be completed, and all the other administrative aspects» [9].
3.1 Forze e debolezze di una IA nel mondo nella curatela di mostre
Come abbiamo visto l’intelligenza artificiale sta irrompendo nel mondo della curatela di mostre, aprendo nuovi scenari e interrogativi. Se da un lato le sue potenzialità appaiono rivoluzionarie, dall’altro è fondamentale valutare con attenzione i rischi e le implicazioni etiche di questa innovazione.
L’intelligenza artificiale offre la possibilità di analizzare una vastità di dati, cogliendo sfumature e connessioni che sfuggirebbero all’occhio umano. Questo può sicuramente portare a nuove prospettive e approcci inediti nella curatela di mostre, liberando tempo ed energie automatizzando compiti ripetitivi e lasciando più spazio al lavoro “creativo” del curatore.
Anche l’accessibilità e l’inclusione possono trarre notevole beneficio dall’utilizzo dell’’intelligenza artificiale. Possiamo ad esempio pensare a esperienze personalizzate e interattive, con percorsi tradotti simultaneamente nelle varie lingue native dei visitatori. La possibilità di utilizzare funzioni di traduzione automatica permetterebbe ad esempio di rendere le mostre fruibili da un pubblico più ampio, eliminando (o quantomeno riducendo) il gap linguistico che naturalmente si forma in un percorso di visita. La possibilità dell’intervento semantico non è da intendersi solo per quanto riguarda la lingua [10] ma anche per quanto riguarda il tipo di linguaggio utilizzato. Il linguaggio dell’arte, come tutti i saperi esperti, rischia spesso di avere una barriera all’entrata “esoterica” che rende la sua comprensione complessa e respingente.
Un possibile utilizzo alternativo potrebbe essere pensato come strumento di affiancamento nel processo di selezione e scoperta di nuovi artisti. Come già citato precedentemente, la possibilità di catalogare automaticamente opere d’arte può essere utilizzata, assieme a sistemi di scraping e recupero automatico di informazioni, per la creazione di database dalla portata, fino a oggi, non immaginabile.
Tuttavia, l’intelligenza artificiale presenta delle debolezze. La mancanza di una vera creatività e originalità umana può limitare la capacità di ideare mostre innovative e coinvolgenti e il suo utilizzo solleva inoltre questioni etiche relative all’interpretazione della storia e del patrimonio culturale e un’eccessiva dipendenza da questi strumenti/dispositivi di selezione potrebbe atrofizzare le capacità umane di analisi critica.
Il rischio, inoltre, è quello di ricollocare tutto il dibattito sull’IA solo nei binari della produttività, rendendo la componente creativa ed artistica un mero supporto alla capacità del curatore di produrre profitto.
Sotto questo punto di vista, Berman (1989) sottolinea come il mito dell’aumento della produttività altro non sia che uno strumento di minaccia ai lavoratori, in grado di giustificare l’alienazione sociale ed economica nelle società capitaliste.
Al contrario dell’opinione comune e della narrativa predominante che vede “l’algoritmo” come uno strumento “oggettivo”, non sono pochi gli studi che contestano questa narrativa, mostrando come il training fatto possa essere portatore di bias (Bolukbasi, et al, 2016). L’idea stessa di bias nel campo del ML trova le sue radici nelle pregresse diseguaglianze sociali (Zajko 2022).
Sicuramente l’IA rappresenta uno strumento promettente, ma il suo utilizzo richiede cautela e responsabilità. Il rischio altrimenti è quello di potenziare e diffondere in maniera incontrollata un sistema basato su bias e diseguaglianze, mascherandolo sotto l’egida falsamente neutra dell’arte. L’uso sconsiderato di una tecnologia, solo perché in grado di migliorare la nostra produttività potrebbe portare a effetti nefasti. Come sostiene Crowford «Like all technologies before it, artificial will reflect the values of its creators. So inclusivity matters — from who designs it to who sits on the company boards and which ethical perspectives are included. Otherwise, we risk constructing machine intelligence that mirrors a narrow and privileged vision of society, with its old, familiar biases and stereotypes». (Crowford 2016, p. 3).
3.2 Quale futuro ci attende?
Il futuro dell’IA nel mondo dei beni culturali, e in particolare nella curatela di mostre, si prospetta ricco di sfide e opportunità.
L’idea che l’implementazione sistemica di IA vada di pari passo con il superamento del supporto umano è però fallace. Esiste una distinzione da fare tra il concetto di Intelligenza Artificiale (fino a qua esposto) e il concetto di automazione. La possibilità che la sola IA possa prendere totalmente il posto di un curatore umano è quantomeno complessa. Infatti «[…] what the public discusses is not really AI, but automation. Automation is the imitation of repetitive tasks that do not require intelligence. In that sense, even the pessimistic view on AI as to unemployment is misplaced from the very beginning. It is not AI which is expected to make workers in some tasks redundant, but automation» (Gezgin, 2023, p. 47).
L’innovazione in materia di IA continuerà a migliorare le sue capacità di analisi, apprendimento e generazione di contenuti, aprendo nuove possibilità per la curatela di mostre. La formazione di curatori e professionisti del mondo della cultura in materia di IA sarà fondamentale per un utilizzo consapevole e responsabile di questa tecnologia. Vi è però una necessità impellente, nel mondo dell’arte così come nella società in generale: il superamento dell’approccio deterministico alla tecnologia e la necessità di coinvolgere maggiormente figure “non tecnologiche” nel campo dello sviluppo e dell’implementazione. Ampliando l’orizzonte dell’IA e considerandola un sistema sociotecnico, «[…] we are to include all participants in the process of construction in a co-creation approach. Hence, research could also shed light on the legitimization mechanisms underlying the relationship between social and artificial agents. Since technology is not any magic, the relevance of narratives in shaping current realities is a strong call for citizens—with their perceptions and beliefs—to sit at the table for the future of AI» (Sartori, Theodorou, 2022).
In definitiva, il mondo dell’arte non può permettersi di sottrarsi al dibattito attualmente in corso. Il rischio che si corre è quello di ritrovarsi “fuori dal tempo”, tagliati fuori da un mondo sempre più interdipendente. Temi come quelli esposti qua si vanno a fondere con tematiche sempre più pressanti e delicate: che rapporto esiste tra inclusività e censura? Una ipotetica mostra in grado di personalizzare la visualizzazione delle opere al suo interno, non mostrando contenuti sensibili ad un pubblico autoselezionato, è da considerarsi inclusiva o censoria? Ancora, la figura del prompt artist AI (colui che scrive il prompt utilizzato dai modelli generativi di immagini) è soggetto attivo e indipendente nel processo creativo o è un semplice esecutore materiale di un algoritmo? Come trattare i modelli utilizzati dai generatori di immagini che hanno fatto training su opere di altri artisti? Quale è il limite e la differenza concettuale tra un artista umano che si “allena” sullo stile di un altro e un modello generativo? Sono tutte domande a cui non abbiamo una risposta ma che pensiamo meritino una riflessione collettiva.
Note
[1] Si veda l’intervista di Brunella Velardi ad artisti e committenti dell’interfaccia Smart Archive Search, Archivi storici e IA in un esperimento al Polo del 900 di Torino, accessibile al LINK
[2] Approfondimento sul progetto accessibile sul sito Moma.org
[3] Approfondimento sul progetto accessibile sul sito Tate.org.uk
[4] Tratto dagli articoli sulla mostra accessibili sul sito Nasher.duke.eu
[5] Sulla mostra si veda il sito della Biennial Foundation
[6] Approfondimento sul progetto accessibile sul sito Whitney.org
[7] Si veda il sito dedicato spinnwerk
[8] Riferimento all’analisi di Giulio Lughi accessibile su agendadigitale.eu
[9] Tratto dall’articolo di Dorian Batycka accessibile su artneet.com
[10] In questo caso, facciamo riferimento non solo ai materiali informativi, ma anche a tutto il contesto del sistema-opera: la sua descrizione, la sua collocazione e in generale il suo inquadramento in un contesto socio-artistico.
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Azzurra Gasparo. Storica dell’arte con alle spalle esperienza nel settore museale (Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Museo del Tessuto di Prato e il Museo Ettore Fico di Torino) nell’ambito della mediazione e della didattica. È esperta di valorizzazione del patrimonio storico e culturale. Ha curato la mostra fotografica Siccome in collaborazione con Torino Creativa. Appassionata di fondi e di archivi, fa parte di TAB | Take Away Bibliographies, un progetto editoriale e curatoriale (Cleptocrazia, Abitare l’Archivio) dedicato alla ricerca bibliografica e all’uso delle fonti in chiave multidisciplinare e multimediale. Al momento collabora con l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire) nella creazione di un percorso interdisciplinare sull’uso del patrimonio culturale sul centenario della morte di Giacomo Matteotti.
Mario Venturella. Sociologo, etnografo e ricercatore da campo, recentemente ha effettuato incursioni nei territori del videomaking e della video-documentazione. Si è occupato di studi sul carcere, hacktivism, Nuovi Movimenti Religiosi e black metal italiano. Attualmente lavora come CTER precario presso l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (INDIRE) dove si occupa di studi sull’applicazione dell’IA al sistema scolastico, della documentazione delle best practices e della nuova programmazione dei fondi PN 21-27.