Questo contributo prosegue la conversazione con Salvo Lombardo iniziata qualche mese fa, a proposito di Excelsior e del progetto L’esemplare capovolto.
Ci eravamo interrotti parlando delle azioni e degli eventi paralleli a Excelsior, intitolate Opacity:
“all’interno del progetto L’Esemplare Capovolto, entro cui nasce il nostro Excelsior, abbiamo immaginato una sorta di piattaforma che ingloba una serie di eventi paralleli che racchiudono diverse tipologie di azioni: in particolare un ciclo di performance di formato breve intitolate proprio Opacity, pensate come estensioni di Excelsior e basate su una stratificazione di analogie e rimandi ai suoi temi portanti costituendone, di fatto, una sorta di “negativo”. Ognuno di questi satelliti applica ai macro temi in questione lo strumento dello zoom che implica al contempo un atto penetrativo (zoom-in) e dunque, viceversa, una possibilità di distanziazione e di uscita (zoom-out). In questa dinamica la mia posizione, o forse, meglio, il mio posizionamento, è determinato, evidentemente, dal punto di vista dell’osservazione. Il processo si arricchisce di una serie di workshop che sto conducendo assieme a Viviana Gravano, Isabella Gaffè e Daria Greco, rivolti a una utenza trasversale e diversificata con l’obiettivo di attivare anche delle modalità di dialogo interculturale. E ancora installazioni video, conferenze, tavole rotonde, dibattiti proiezioni cinematografiche e pubblicazioni cartacee. L’obiettivo di questa articolazione è quello di favorire un carattere estensivo e relazionale del processo di creazione che non si esaurisce nel solo esito scenico.”
Quello che segue è un racconto per frammenti e immagini di alcune di queste azioni.
AROUND EXCELSIOR. DISCORSI DEL MATTINO
Lo spettacolo Excelsior, di Salvo Lombardo/Chiasma, in programma al Teatro Vascello a Roma il 20 e 21 ottobre 2018 nell’ambito di RomaEuropa Festival, è stato seguito da una iniziativa collaterale utile a suscitare un confronto ampio e trans-disciplinare sui temi sollevati dal progetto. Una mattinata di discussione dal titolo Around Excelsior, a cura della storica dell’arte contemporanea Viviana Gravano (Cultural Advisor del progetto Excelsior), dell’Antropologa Giulia Grechi e del performer e coreografo Salvo Lombardo.
Abbiamo immaginato la mattinata come la continuazione di una serie di confronti e incontri che hanno accompagnato tutto il processo di elaborazione teorica e creazione del progetto Excelsior di Salvo Lombardo/Chiasma, fin dalla sua prima realizzazione a Rovereto, nell’ambito del Festival OrienteOccidente. Anche in questo caso, come era già accaduto a Rovereto, dopo lo spettacolo romano all’interno del RomaEuropa Festival ci è sembrato interessante continuare a tenere aperta la conversazione.
Non abbiamo chiesto ai relatori invitati di preparare un intervento per questa giornata, ma di lasciarsi guidare da alcune parole chiave, emerse per ciascun* a partire dalla visione dello spettacolo. Noi stess* abbiamo lavorato intorno a una serie di parole chiave, una sorta di mappa concettuale che ha in qualche modo costruito delle visioni, delle urgenze, ma anche posto delle questioni che ci piace immaginare possano restare aperte. Le parole sulle quali abbiamo riflettuto sono nate a partire dalla visione attenta e dallo studio dell’oggetto originale da cui siamo partit*, il Gran Ballo Excelsior, ma allo stesso tempo sono anche il frutto della rimediazione radicalmente contemporanea che il nuovo Excelsior di Salvo Lombardo propone. Le parole sulle quali abbiamo ragionato finora insieme sono: oscurità/luce, civiltà/cultura, progresso/arretratezza, colonialismo/postcolonialismo, esotismo, nazionalismo, canone, tradizione, universalismo. Se alcune di queste sono indicate in coppia, non è per imporre uno schema né forzosamente dialogico, né dicotomico, ma solo per raccontare le trame dei nostri ragionamenti, così come si sono presentate nel corso del tempo, nell’auspicio che potessero emergere ulteriori parole, a partire dalle quali continuare a ragionare insieme. La mattinata si è articolata in tre momenti:
> CHIACCHIERE DA BAR
Nell’area del bistrot del Teatro Vascello, una piccola installazione con degli iPad, con il video di una intervista realizzata da Salvo Lombardo e Isabella Gaffè a Emanuela Torriani, danzatrice del Gran Ballo Excelsior nella sua rimessa in scena del 1967. Un primo momento di confronto con Excelsior, in quanto testo denso e stratificato di diverse ri-mediazioni.
> SPEAKER’S CORNER
Nel foyer del teatro, una piccola pedana rialzata, un megafono, alle spalle dei segni grafici che rimandano allo spettacolo (due “bandiere inventate” e una citazione di Franz Fanon). Due relatrici (Ilenia Caleo e Viviana Gravano), a turno prendono la parola per 10 minuti. Il senso di questa dinamica è duplice: da un lato si tratta di una replica ironica della modalità comizio, cioè del modo in cui poteri e contropoteri si rivolgono alla massa per portare il loro discorso; dall’altro lato si tratta di affermare il gesto del prendere la parola, da parte di un soggetto. Lo speaker’s corner come luogo nello spazio pubblico all’interno del quale chiunque può prendere la parola. “Chiunque” vuol dire il/la politic*, la persona comune, l’attivista e chiunque voglia porsi come soggetto attivo nel mondo in cui vive. Il riferimento è anche a un soggetto che in qualche modo si trova in condizione di subalternità, con scarso o nullo spazio di visibilità e accesso alla parola pubblica. Un prendere parola, dunque, che rimanda metaforicamente alle lotte de-coloniali e post-coloniali, lotte politiche, culturali, estetiche, purtroppo ancora lontano dall’essere esaurite.
> UNA TAVOLA MOLTO ROTONDA DISTURBATA
Affianco allo speaker’s corner il pubblico è stato invitato a scendere le scale che portano nella sala antistante l’ingresso nel teatro. Al centro della sala una tavola rotonda con delle sedie. Molto rotonda perchè al centro della tavola si trova una piattaforma anch’essa rotonda, rotante. Molto rotonda anche perchè la dinamica che abbiamo immaginato è tesa a un coinvolgimento molto ampio non solo de* relatrici/relatori che saranno invitat* a sedersi, ma di tutto il pubblico presente. Ogni relatore è stato invitato a portare una parola, scelta in relazione allo spettacolo Excelsior di Salvo Lombardo / Chiasma, visto insieme la sera precedente, dagli immaginari culturali/estetici che propone. Abbiamo invitato persone con un diverso background di ricerca e/o di linguaggio, proprio perchè eravamo interessat* a moltiplicare le chiavi di lettura critica dello spettacolo di Salvo Lombardo, considerandolo una vera e propria operazione. Abbiamo immaginato delle regole, anzi delle “libertà” del gioco:
Così intendiamo la costruzione del sapere, come una dinamica relazionale (conflittuale e/o collaborativa) all’interno della quale ciascun soggetto è continuamente e instancabilmente chiamato a prendere posizione. A tratti la tavola rotonda è stata interrotta da alcuni micro-momenti di disturbo, piccole incursioni caratterizzate dalla lettura di alcuni brani di Luigi Manzotti, tratti dal libretto del Gran Ballo Excelsior del 1881, centrati sui temi del “progresso” e della “civilizzazione”.
video Isabella Gaffè
Guido Abbattista
DOPPIO
Scegliere la parola ‘doppio’ significa invitare a pensare la molteplicità e il carattere problematico dell’identità e a considerarla nella sua dimensione di riflesso, di relazione, di interazione, di mobilità, di revoca in discussione. Fenomeni sociali propri dell’epoca tardo-moderna e contemporanea a forte carattere spettacolare ed espositivo di massa hanno contribuito potentemente a offrire un palcoscenico sul quale mettere le identità di tutti i partecipanti in scena e in gioco, affidandole all’incertezza di una definizione continuamente oscillante tra intenzione, programma, sistema e casualità, spontaneità, testimonianza. Luogo per eccellenza di incontro del diverso, lontano, estraneo, ma anche di riconoscimento del simile, quegli eventi spettacolari ad alta intensità di concentrazione umana hanno liberato forze contrapposte, tra la visibilità e l’invisibilità, l’atteso e l’inatteso, il disperso e il concentrato, il mobile e lo stabile, il nuovo e il familiare, l’attrattivo e il respingente, sottoponendo le diverse categorie di partecipanti a un’azione al tempo stesso straniante e riavvicinante. Dimensioni cognitive e comportamentali reattive all’insegna dell’improvvisazione e dell’imprevedibilità hanno forzato la macchina espositiva, esponendola allo sguardo di espositori ed esposti, facendone un oggetto essa stessa di esposizione e facendo di tutti i convenuti un grande unico ma variegato soggetto attivo e oggetto sia consapevole sia inconsapevole di esposizione. Eventi spettacolari ed espositivi di massa hanno funzionato come raddoppio e, ancor più, infinita moltiplicazione di sguardi, prospettive, angolature, osservazioni che hanno non solo rifratto le identità esistenti, ma anche generato o rafforzato o precisato nuove identità, facendole entrare in risonanza con un plurale che può assumere le sembianze inquietanti della massa o riaggregarsi in riconoscibile collettivo. In un’età antecedente la infinita riproducibilità e distribuzione dell’immagine catodica o digitale, quegli eventi hanno significato irruzione della fisicità, della corporeità, della materialità dell’essere umano in una proporzione infinitamente maggiore rispetto ai propri precedenti del mondo antico, generando un moltiplicarsi e complicarsi delle testimonianze oculari, del racconto scritto, iconografico, fotografico, della replica, attivando una macchina di duplicazione costantemente all’opera nel nostro mondo. Raddoppio, riflesso, specchio, rimbalzo sono usciti dal chiuso delle sociabilità elitarie per catturare quantità di folla e pretenderne la partecipazione a un gioco regolato, ma insieme senza regole e autoregolantesi, che ha definito forme nuove di rapporti intersoggettivi reticolari. Poi è arrivata la dimensione virtuale, registrabile, rivedibile. Poi è arrivata la rete. Che ha steso le sue maglie stritolando delle identità il poco che restava.
Sergia Adamo
CORNICI
Il Ballo Excelsior di Manzotti è composto da una serie di “quadri”, e dunque di cornici: segmenti distinti di narrazioni esemplari giustapposte le une alle altre in una relazione parattatica. Non è un caso che la prima di Excelsior alla Scala si tenne nel 1881 poco prima dell’apertura dell’Esposizione nazionale milanese, la prima grande esposizione italiana, una vera e propria dichiarazione d’intenti identitaria. Con il suo Ballo, Manzotti compilò una serie di “istruzioni” per l’uso, di dispositivi di fruizione dell’esposizione, fatta – come tutte le esposizioni – di padiglioni nazionali, di imperativi identitari, nazionalistici e razzisti, inscritti in una cornice che mima la costruzione architettonica e che vanno fruiti, uno dopo l’altro, appunto, costruendo quanti meno nessi possibile.
Ma di che cosa parliamo quando parliamo di cornici? Di un framework in cui esisterebbero le realtà sociali concrete, e di successivi framing che di volta in volta la inquadrerebbero, secondo Gofman. Ma anche di situazioni contraddittorie, inscrizioni in cui siamo di fronte a due traiettorie, ugualmente impraticabili, secondo Bateson. Ma in fin dei conti le cornici non sono solo importanti per ciò che contengono, ma lo sono soprattutto per quello che lasciano fuori. La cornice non mostra semplicemente la realtà, ma attiva una strategia di contenimento, producendo e rafforzando in modo selettivo ciò che verrà considerato realtà, ciò che verrà considerato vita, ciò che verrà considerato umano e ciò che invece non avrà accesso a questa prerogativa.
È proprio questa azione performativa delle cornici che l’Excelsior di Salvo Lombardo mette in scena, questo potere di mostrare escludendo, di dichiarare eludendo, su cui si fonda la costruzione nazionalistica e identitaria, imperialistica ed eteronormativa che non ha smesso di agire da quel 1881 che è più vicino di quanto vogliamo riconoscere. Non si tratta, non sarebbe possibile, di smantellare il dispositivo delle cornici in cui siamo ancora presi e prese. Si tratta però di metterlo in scena, di esibirlo, con la consapevolezza che parliamo sempre da una posizione, e che quella posizione è allo stesso tempo la norma che ci costringe e lo spazio da cui però possiamo partire per iniziare a re-immaginare il futuro.
Anna Chiara Cimoli
CONVERSAZIONE
Non paradisi, ma inferni artificiali quelli di cui parla Claire Bishop nel suo bellissimo Artificial Hells. Participatory Art and the politics of Spectatorship (2012). Lo aveva anticipato l’anno prima, partendo da presupposti diversi, Markus Miessen con The Nightmare of Participation. Crossbench Praxis as a Mode of Criticality, in cui una volta per tutte, e con grande forza catartica, venivano messe in fila le retoriche della partecipazione (buona in sé, auto-giustificata, deresponsabilizzante per altri).
Che spazio resta per la riflessione e l’azione culturale a chi magari fa altro nella vita, a chi va a vedere uno spettacolo per il piacere di farlo, a chi non ha una formazione alla critica? Miessen parla della figura del crossbench practitioner, un uninterested outsider che prende la parola non già nella “domenica della vita”, per non avere altro di più urgente da fare, ma come atto rivoluzionario di presa in mano di un “sì, però”.
Così siamo arrivati al Teatro del Vascello, la mattina dopo aver visto lo spettacolo, da esperienze di sé e del mondo molto diverse. Io, Anna, mi sento qui soprattutto – non pensavo che sarebbe successo – quella persona che a vent’anni andava a fare la fila fuori dalla Questura con i migranti che dovevano rinnovare il permesso di soggiorno, senza avere forse il quadro generale, senza avere una visione di sé dentro la società, ma retta dalla prassi, dalla compagnia, e dal freddo delle notti milanesi d’inverno. Ritrovo quel senso di palleggio fra un me che si fa più accogliente (ero andata per fare, mi trovo ad ascoltare) e un altro che si fa più respingente (che spazio ho per dire di no?).
Partecipazione, per chi come me si occupa di museologia sociale, fa rima con conversazione. La conversazione – come questa mattina nel foyer del teatro, in un circolo privilegiato di persone che hanno così tanto da dirsi, ma anche quella casuale per strada – è un atto a cui non posso più sottrarmi. Cerchiamo delle cornici che ci contengano. Leggo Rebecca Solnit quando dice che «abbiamo una storia – raramente detta, raramente ricordata – di vittorie e di trasformazioni che ci dicono che possiamo cambiare il mondo, perché lo abbiamo già fatto molte volte in passato. Remiamo in avanti guardando indietro, e raccontare questa storia aiuta altri a navigare verso il futuro. Abbiamo bisogno di una litania, un rosario, un sutra, un mantra, un canto di guerra delle nostre vittorie» (Hope is an embrace of the unknown, The Guardian, 15 luglio 2016, online).
Mi pare importante uscire dalle contrapposizioni e formare un cerchio nel parlare di noi e delle nostre sofferenze, rivendicazioni, o anche forme di cecità: il tavolo girevole, come nel ristorante cinese, su cui abbiamo potuto appoggiare le nostre parole e farle circolare e premere verso l’esterno.
Raimondo Guarino
ESOTISMO 2018
Introducendo i lettori di “Documents” alla spedizione Dakar-Djibouti del 1931, Michel Leiris tributò un iperbolico omaggio a una rappresentazione di Impressions d’Afrique di Raymond Roussel al Théâtre Antoine cui aveva assistito da ragazzo nel 1912. A Leiris sembrava che l’avventura immaginaria del testo di Roussel potesse configurare i presupposti di reciprocità della spedizione etnografica. L’ipertrofia dell’esotismo rispecchiata nell’esibizione delle singolarità occidentali gli appariva come il preludio a un rapporto di mutua e aperta conoscenza (M. Leiris, L’oeil de l’etnographe, in “Documents”, 7, 1930).
I secoli dell’assetto coloniale ci hanno addestrato alla varietà di soluzioni della relazione esotica, nella cognizione dell’estraneo come strumento del potere e del sapere, nel transfert simbolico come riscatto di radici e domini della creazione. Posso neutralizzare l’abuso che è alla radice del mio essere, pensandolo in un punto del decorso storico, in una regione delle mediazioni simboliche. Joseph Conrad, Carl Einstein, Warburg-Hopi o Artaud-Bali, l’affollato paesaggio dell’etnologia tradotta in divagazione estetica: queste identità e questi fenomeni attuano drammaturgie dell’acculturazione e della negazione, consumate in termini di spostamenti e proiezioni. La consacrazione dell’esotismo e del primitivismo usa l’assimilazione e l’imitazione della differenza come tecnica del riscatto, della conciliazione con l’escluso.
Excelsior è un’apoteosi dell’esotismo come separazione e produzione delle ombre. Risalire ai suoi gesti richiede di andare oltre il terreno dello smascheramento o dell’inversione. Il lavoro di Lombardo attiva un’indagine sulla ripetizione e la fissazione del conflitto e dell’abuso, processo che associo a un altro testo di Leiris, dedicato a William Seabrook, apparso in “Documents”, 8, nel 1931 (Le “Caput mortuum” ou la femme de l’alchimiste), in cui si fissa il ricorso all’oscuro e al primitivo come intimazione trasgressiva.
Nella maschera di Seabrook, descritta nel testo di Leiris e documentata nelle fotografie che lo illustrano, l’abuso razziale e l’appropriazione della differenza sono incorporati in una figura modellata per la trasgressione. Leiris vi scopre la negazione del volto, ma il suo commento si apre a derive senza fondo. L’esotismo si manifesta qui come piega, come taglio riaperto. In questo emblema si materializza il fantasma del mandato “tu sarai il mio corpo proibito e perduto”, che tiene vivo nello squilibrio lo scambio delle sembianze e delle figure di desiderio. Nel coltivare prototipi e fissazioni dell’esotismo non resta che convocare e testimoniare invasioni e possessioni ritmiche e posturali. Per questa via le azioni che chiamiamo performances accompagnano concretamente lo sfaldamento delle rappresentazioni collettive.
Donatella Orecchia
L’ALTRO 1881
11 gennaio 1881: la data della prima di Gran Ballo Excelsior all’Esposizione industriale di Milano ne richiama altre. La Luce e la Civiltà che vincono l’Oscurantismo nemico del Progresso sono i protagonisti di una narrazione che è espressione di un punto di vista. A ripercorrere quel 1881 alla ricerca di altri momenti, emergono altre narrazioni, altre tradizioni del moderno, altri punti di vista, altri sguardi. Altri corpi. Ne evoco alcuni.
Luglio – Ottobre del 1881: esce a puntate per il «Giornale per i Bambini» Storia di un burattino di Carlo Collodi. Una straordinaria contro-narrazione dei successi risorgimentali, realizzata con un linguaggio terremotato e niente affatto consolatorio. Protagonista il “pezzo di legno” più famoso della nostra letteratura, precipitato di alterità disumana, soggetto a travestimenti e metamorfosi (anche animali) continue, nato burattino e morto burattino (come si sa, questa prima versione si conclude con la scena di Pinocchio impiccato al ramo della Quercia grande, ucciso dal Gatto e dalla Volpe), che non crescerà mai.
9 aprile 1881: a Venezia, la compagnia di Cesare Rossi, protagonista Eleonora Duse, porta in scena la Principessa di Bagdad di Dumas fils. È il primo grande successo della giovane attrice. Il primo personaggio dei molti che caratterizzeranno il suo repertorio di lì a poco e in cui la Duse dà forma stilistica a un disagio proprio della modernità: la non appartenenza “a una società per bene”. Il suo, in questi anni, è recepito come un corpo diverso, che alcuni definiscono nevrotico, fatto di un impasto di elementi meccanici e di tratti convulsivi, di automatismi e di tensioni nervose, di repentine metamorfosi fra languori decadenti e scatti fulminei. Per dare forma scenica alla condizione dolorosa che è la condizione dell’estraneità dalle cose e dalla vita, dalle sensazioni e dagli affetti che caratterizza il soggetto nella società contemporanea e ancor più la donna e l’artista, il corpo scenico si nevrotizza, si dà a frammenti, vive di scarti stilistici, contraddice il corpo armonico. Si fa corpo isterico[1].
19 gennaio 1881: Giovanni Verga firma la prefazione al suo romanzo più famoso, I Malavoglia, edito dall’editore Treves: “studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini del progresso”.
Sono poche date, e solo italiane, che mettono in luce un movimento di idee e individuano percorsi vari di un moderno che ha assunto su di sé le contraddizioni non risolte della modernizzazione in atto.
[1] D. Orecchia, Appunti sull’immaginario dei nervi e il corpo scenico ottocentesco, in «Arabeschi», n. 1, 2013. M. A. Trasforini, Corpo isterico e sguardo medico. Storie di vita e storie di sguardi fra medici e isteriche nell’800 francese, “Aut Aut”, 187-188, 1982; M. Russo, Female Grotesque: Carnival and Theory, in «Feminist Studies/Critical Studies», a cura di T. de Laurentis, London, MacMillan, 1986.
Paolo Ruffini
LEGGE
Sono partito dalla parola Legge intesa questa nell’accezione che ne dà l’ebraismo, ovvero quell’insieme di decreti e statuti che regolano la vita di tutti i giorni dell’individuo e che si attuano in norme e comportamenti, soprattutto pratici, e costituiscono il lievito fecondo nel quale si forma il suo concetto di libertà, che tuttavia non è indipendente dalla volontà dell’Onnipotente. Anzi, proprio quella frizione tra la propria affermazione e la cornice entro cui si muove, genera uno speciale legame che porta alla realizzazione di un pensiero (di una spiritualità, se fossimo in ambito morale) e al compimento di opere. Lo stesso concetto di Legge, però, sempre nel quadro dell’ebraismo, può essere letto da una diagonale del tutto particolare, mantenendo la narrazione nel confine della relazione col portato “religioso”. Libertà e legge hanno lo stesso peso specifico se leggiamo la parola nella sfumatura della sua provenienza persiana (dat), la quale assume valenze incredibilmente differenti. Qui i margini sono mobili, il riferimento alle consuetudini restituisce identità culturali, direbbe François Jullien, che non esistono perché in continuo mutamento, assorbendo per scarto e differenze altre specifiche e altre eredità (di linguaggio e di immaginari) per contaminazione. Leggo allora la parola Legge come leggo la Meghillat Ester (o Libro di Ester), cioè come una pratica che porta con sé una ulteriore narrazione, un contenuto non rivelato ma inevitabilmente motivo di un imminente svelamento. La danza, che per consuetudine indichiamo come “contemporanea”, mostra un margine esterno che interroga il suo fondamento, si serve del codice per svelarne le convenzioni e l’inconciliabilità col presente. Accetta il patto con un dio intangibile e si emancipa, come direbbe Michael Walzer, grazie a un lavoro di pulizia dalle scorie del tecnicismo. Se non fa questo, semplicemente non è. La tradizione, in tutto ciò, è un “oggetto” sin troppo evasivo e che riproduce se stessa in un criptoesercismo arreso a una concezione eurocentrica sovranista alla ricerca sfrenata di identità.
OPACITY#1
Salvo Lombardo | Chiasma
ideazione, coreografia e regia Salvo Lombardo
performance Daria Greco, Salvo Lombardo
musiche Fabrizio Alviti
consulenza culturale Viviana Gravano
produzione Chiasma, Roma, con il sostegno di MiBAC – Ministero Beni e Attività Culturali
coproduzione Triangolo Scaleno Teatro \ Festival Teatri di Vetro, Roma
in collaborazione con Versiliadanza, Firenze; Spellbound Contemporary Ballet, Roma; ACS Abruzzo, Teramo;
“Il problema sarà sempre quello di ricondurre l’altro alla trasparenza vissuta attraverso sé:
o lo si assimila o lo si annienta”
La performance Opacity#1 fa parte di una serie di azioni concepite come appendici dello spettacolo Excelsior a cui Salvo Lombardo e il suo gruppo Chiasma hanno lavorato nel 2018 a partire da una lettura postcoloniale del Gran Ballo Excelsior. Il balletto creato nel 1881 celebrava la vittoria della Civiltà contro l’Oscurantismo che costringe i popoli «nelle tenebre del servaggio e dell’ignominia», collocandosi in un preciso disegno culturale di affermazione del concetto di identità nazionale e del suo immaginario di riferimento. Oggi, a distanza di quasi un secolo e mezzo, cosa sopravvive nelle culture contemporanee di quella idea di modernità tesa ad addomesticare tutto ciò che è altro da sé?
Opacity#1 costituisce una sorta di negativo dell’Excelsior di Salvo Lombardo o se vogliamo, uno zoom che stringe su dei dettagli dell’opera per amplificarne e stenderne i temi portanti. Partendo dalle derive dell’appropriazione culturale nella definizione di un immaginario etnocentrico occidentale, la performance interroga una serie di rappresentazioni del corpo che tendono a un appiattimento delle culture della differenza, determinando un carattere fisso, estensivo e universalistico del concetto stesso di identità e orientando con sopraffazione immaginativa ogni possibilità reale di conoscenza. Nello specifico, la performance, come tutto il progetto Opacity, fa perno su una possibile accezione del concetto di opacità come alternativa al nevrotico bisogno di definizioni, di confini identitari stabili, unitari e dunque controllabili in maniera “trasparente”. Opacity#1 è realizzato nell’ambito del progetto triennale “L’esemplare capovolto” della compagnia Chiasma.
OPACITY#2
Salvo Lombardo | Chiasma
ideazione e composizione Salvo Lombardo
con la presenza in video e in voce dei partecipanti ai workshop Around Excelsior
documentazione e montaggio video Isabella Gaffè
cura del suono e musiche Fabrizio Alviti
consulenza culturale Viviana Gravano
supporto Daria Greco
produzione Chiasma, Roma, con il sostegno di MiBAC – Ministero Beni e Attività Culturali
coproduzione Triangolo Scaleno Teatro \ Festival Teatri di Vetro, Roma
in collaborazione con Versiliadanza, Firenze; Spellbound Contemporary Ballet, Roma; ACS Abruzzo, Teramo;
Opacity #2 ricompone una camera-bottega della recente elaborazione artistica di Chiasma facendovi confluire le tracce e gli oggetti visivi, testuali, performativi generati lungo il tempo della creazione e raccolti da diversi luoghi e in diversi contesti (molti attraverso la modalità dei workshop e delle interviste). Lo spettatore è invitato a una visione prismatica, una narrazione inattesa delle matrici concettuali e corporee che stanno guidando la ricerca artistica di Lombardo e del suo gruppo Chiasma in seno al più ampio progetto L’Esemplare Capovolto, che si sviluppo a partire dalla rilettura postcoloniale del Gran Ballo Excelsior del 1881.
Gli anni del Ballo Excelsior furono cruciali per l’affermazione della cultura e dell’identità moderna europea; sono gli anni delle Esposizioni Universali dove vengono celebrate le conquiste del progresso, della rivoluzione industriale, dell’imperialismo coloniale e dell’affermazione del concetto di identità nazionale. E oggi? Qual è l’eredità culturale di quell’idea di Occidente?
Nella società contemporanea occidentale, oggi, in molti ambiti della sfera morale, politica ed estetica tutto viene rimodellato secondo il concetto di trasparenza. In questa ossessione di controllo stiamo perdendo di fatto il “diritto all’opacità”, ovvero a una possibilità di espressione identitaria che disattenda la definizione e il suo essere sempre in luce o a fuoco. Idealizziamo ciò che non conosciamo immaginando solo soggettività esemplari. Produciamo inscrizioni assolutizzanti, ci limitiamo alle descrizioni generando nuove prescrizioni. Inventiamo tradizioni per affermare un potere e secondo questa logica classifichiamo gli Altri e le Altre secondo un preciso schema di inferiorizzazione. Dal ribaltamento della classificazione e partendo dalla riflessione su concetti come bandiera, tradizione, modernità, canone, stereotipo, nazione, progresso, civiltà, luce e oscurità, Opacity#2 utilizza la decostruzione dell’immaginario per criticare l’emanazione di un sapere dominante ed etnocentrico che identifica L’Occidente come luogo esclusivo dell’enunciazione, come origine nella produzione di significato.
A cavallo tra performance e installazione il lavoro ingloba l’opera video Profanazione italiana di Isabella Gaffè e Salvo Lombardo e l’installazione Jungle soul di Salvo Lombardo.