“è necessario sopravvivere alla violenza per raccontare la nostra storia.
è necessario raccontare la nostra storia per sopravvivere alla violenza.”
Paul B. Preciado, Orlando. Ma biographie politique, 2023
“cosa dobbiamo ricordare per contrastare l’oblio alimentato dalla cultura consumistica
e dalla nozione del tempo lineare? cosa possiamo ricordare per immergerci
in oceani di storia e potenzialità? e come?”
Alexis Pauline Gumbs, Undrowned. Lezioni di femminismo Nero dai mammiferi marini, 2023
la pelle della Storia è gelida.
pelle di marmo, di bronzo. un guscio vuoto, una pelle senza corpo o un corpo astratto, traslato, immobile, un corpo sempre cadavere, caduto eppure eretto, eroico. un corpo tutto al contrario, un corpo disumano.
potremmo pensare al corpo della Storia come un esercito di corpi statuari spesso giustamente assediati e imbrattati dalle deiezioni, dagli assalti o dai segni di altri corpi, questi sì viventi o sopravviventi [1]. i corpi morenti delle statue sono i corpi ideali del Potere: corpi immobili, che chiudono, sanciscono, celebrano, suturano, chiariscono, dileguano ogni possibile dubbio. corpi che non ammettono repliche. corpi che usano le maiuscole.
la Storia si serve dei corpi, per scriversi. è l’occhio, in primis, che conquista: “l’occhio al servizio di una ‘scoperta del mondo’” (De Certeau 2005: 59). vedere-scrivere-possedere. “scrivere è fare la storia, correggerla, educarla: economia ‘borghese’ del potere attraverso la scrittura” (15). una Scrittura disincarnata, che nasce dall’occhio eppure si rappresenta come priva di “punto di vista”, che mentre rimuove il corpo proprio, imprigiona e silenzia il corpo dell’altrx.
la Storia e il Potere hanno sempre oggettificato i corpi, li hanno plasmati, costruiti come normali o devianti, esposti, sfruttati, intossicati, addestrati, razzializzati, erotizzati, li hanno abituati [2] (Connerton 1999). la Storia e il Potere sembrano sapere tutto del corpo: “il corpo tutto impresso di storia, e la storia che devasta il corpo” (Foucault 2019: 37).
i corpi “infami” di persone ordinarie che sarebbero state destinate a passare senza lasciare traccia, se non fosse che in un certo momento della loro vita si sono scontrate con un Potere determinato ad annientarle (Foucault 2009): di questi corpi non abbiamo la possibilità di ascoltare la voce, o il grido perché l’unica voce registrata è quella del Potere che li definisce col suo sguardo affilato; l’unica traccia che resta di quei corpi non può restituirne la soggettività, ma solo l’assoggettamento (Hartman 2008).
la pelle della Storia scotta.
perché la storia della Storia in realtà è fatta di ferite, rivelazioni, traumi, scossoni, luce e buio improvvisi, fratture, discontinuità e ricorrenze. la storia della Storia è tutto un inseguimento scomposto di corpi in lotta. la storia della Storia è tutto un corpo-a-corpo. e ciascuno di questi corpi è un sistema mnemonico che assimila, rielabora, riproduce, sovverte (Connerton 1999).
vorrei che qui ci fosse la voce di questi corpi, la loro scompostezza, il loro sapere.
vorrei che a parlare qui fossero i corpi vivi, caldi anzi infuocati, quei corpi sui quali la Storia ha inciso (incide) il proprio marchio di violenza, e che nonostante questo (o proprio per questo) ci hanno consegnato lo squarcio luminoso di una domanda. corpi che costruiscono alleanze, occupano lo spazio.
corpi-soggetti.
corpi sui quali la Storia è precipitata, incistandosi in un occhio, nel diaframma, nella schiena, in un piede, generando dolore. ma anche i corpi “naturalmente sovversivi”, intelligentissimi, pieni di mente (Scheper-Hughes 2000). i corpi altri, “posseduti”, trasgressivi, che si impossessano del linguaggio, lo alterano e lo rendono incarnato (De Certeau 2005). corpi che a volte si esprimono attraverso sintomi, che sono tuttavia estrema semantica di resistenza, aspirazione di libertà [3]. corpi che pur essendo patologizzati, mai saranno docili (Preciado 2023). corpi che nell’incontro drammatico con il Potere e la Norma non si conformano. piuttosto si de-formano. corpi mostruosi (Preciado 2021). corpi marginalizzati che fanno del margine il luogo della parola ribelle e che dal margine occupano spazio, producono saperi e contronarrazioni (hooks, 2020). corpi fluidi, corpi nonconformi, che generano soggettività extra-ordinarie. corpi che proprio non ci stanno dentro le logiche binarie (Preciado 2023). corpi deliranti [4]. corpi scomodi. corpi che rivendicano il loro diritto all’opacità (Glissant 2007). corpi abitati. corpi politici. corpi unicorni [5]. corpi umidi [6]. corpi sconfinati.
corpi che r(i)esistono.
come parla questo (mio) corpo? che voce ha? che linguaggio usa? come può esprimersi? cosa di questo corpo mi parla? la trachea ostruita che mi fa soffocare negli spazi intossicati dalla colonialità (Ndikung, 2018); i capelli come strumento di “empowerment razziale” e di “coscienza politica tra le persone africane e nella diaspora Nera” (Kilomba 2021: 120) o “l’indicibile dolore del razzismo” che si sente “sulle dita”[7]; il naso che aiuta a ricordare “l’odore del colonialismo” (Duncan 2016); le gole che assaltano il cielo; lo stomaco annodato da quello che lo sguardo altrui proietta sul mio corpo [8]; la voce fuggitiva, de-linquente [9]. il respiro oltre il petto che si alza e si abbassa, come “pratica della presenza” (Gumbs 2023), come scambio continuo di sostanze con esseri umani, animali, piante; il respiro di chi è annegato e di chi è “inannegato”, perché ha continuato a respirare anche in circostanze irrespirabili [10].
scrivere con i piedi, leggere a orecchio [11]. passare di bocca in bocca la parola che libera [12].
non solo quello che sta tutto attorno al mio corpo, ma cosa il mio corpo sa di tutto quell’attorno [13] e cosa ne fa. perché non è mai possibile guardare o sapere “dal di fuori” [14]: ogni nostro sapere, sentire, ricordare è sempre incarnato.
rovesciare le domande:
cosa sa il tuo corpo del Potere?
cosa sa il tuo corpo della Storia?
cosa ha saputo disimparare il tuo corpo, e come?
cosa ricorda il tuo corpo, e come?
immagino i contributi di questo numero di roots§routes come una sorta di gesto poetico, cioè di pharmakon. come un profondo e sovversivo atto di cura esercitato dalla piccola comunità che si formerà in questo spazio transitorio (e spero carnale, nonostante tutto), in una alleanza fra corpi che parlano e corpi che sentono.
modalità di somministrazione
ricordare con il naso: durante un laboratorio con alunnx e insegnanti di quinta elementare e prima media in un centro sociale di Arezzo, nel 1979, Gianni Rodari chiede di provare a raccontare, mettendo insieme delle parole. per mettere insieme delle parole, chiede di provare a ricordare: “alla memoria bisogna dare lo stimolo giusto… Allora io dico: ricordiamo con il naso. Ricordiamo con le orecchie, con un piede… Se volete, comincio io. Come volete che ricordi? – Con un dito! –”. e così Rodari racconta e conclude: “tutte queste parole che ho tirato fuori (…) erano dentro al mio dito: perché noi ricordiamo con il corpo tutte le sensazioni che abbiamo avuto… Ecco, vediamo un po’: chi di voi sa ricordare una cosa con il naso?” (Rodari 2016: 5-6).
anni fa ho provato a replicare questo “esercizio” in un laboratorio con delle persone adulte, a Cesena, durante BIM – Borgo Indago Microfestival di cultura infantile, curato da Valentina Pagliarani nel 2016, sul tema “io sono la mia casa”, un convegno-laboratorio tra educazione e identità. ho chiesto di provare a raccontare un ricordo del/dal corpo, cercando di riabitarlo e decentrando il punto di vista: immaginando cosa avrebbe raccontato il ginocchio, il diaframma o la mano destra, regalando cioè al proprio corpo (o a una parte del corpo) la possibilità di esprimersi in prima persona, diventare soggetto. ciascunx ha scelto se esplicitare quale fosse la parte del corpo a raccontare, oppure no, se esplicitare il proprio nome e cognome, oppure no. è stato un primo esperimento, che per molto tempo è rimasto conficcato nella mia immaginazione. ma è solo uno dei tanti possibili modi di ricordare/raccontare con il corpo…
principi attivi
auscultazione del corpo.
scrittura incarnata, del/dal corpo.
coreo-grafie.
voce/suono come materia e memoria corporea.
il corpo delle immagini: immagini contatto (Didi-Huberman).
chirurgie archiviali: il corpo e l’archivio, il corpo come (contro)archivio.
possibili effetti desiderati
(dis)imparare qualcosa attraverso i corpi di altrx, persone, piante, mammiferi marini (Gumbs 2023). ma anche l’aspirazione a costruire, nominare, rendere visibili alleanze fra corpi, e la loro forza, a fare mondi in cui altri mondi siano compresi e accolti, a trovare un modo di “sentire attraverso le altrə, una sensazione per sentire le altrə sentire te. Questo è il sentire insorgente della modernità, la sua carezza ereditata, la sua parola pelle, il suo tocco lingua, il suo discorso respiro, il suo riso mano. (…) Questo è il sentire che potremmo chiamare apticalità. Apticalità, il tocco degli undercommons (…), il sentire che quello che deve arrivare è qui. Apticalità, la capacità di sentire attraverso le altrə, affinchè possano sentire attraverso te, affinché tu possa sentirlə sentire te. (…) Elaborare un modo diverso di vivere insieme alle altre, di stare con gli altri, non solo con altre persone, ma con altre cose e altri tipi di sensi” (Harney, Moten 2013: 165, 196).
Note
* Il titolo del numero è in risonanza con quello dei laboratori Memorie da sottopelle, che Mackda Ghebremariam Tesfau e Marie Moïse stanno da tempo proponendo insieme alla casa editrice Capovolte.
[1] Come avvenuto per i corpi statuari di Colombo in diverse parti del mondo, di Colston a Bristol, di Rhodes a Cape Town, di Montanelli a Milano ecc. Ma mi riferisco anche ai corpi “inannegati” di cui parla Alexis Pauline Gumbs nel suo Undrowned (2023).
[2] Scrive Connerton che le norme vengono “dimenticate” come tali solo quando sono state ben impresse come abitudini nella mente e nella vita quotidiana delle persone, diventando a tutti gli effetti “normalità”, molto più difficile da mettere in discussione: “l’abitudine è conoscere e ricordare attraverso le mani e il corpo; e mentre si sviluppa l’abitudine è il nostro corpo che ‘capisce’. [Così] ogni gruppo sociale affiderà a degli automatismi corporei valori e categorie che esso aspira a conservare. Costoro sapranno come il passato possa ben essere tenuto in mente da una memoria abituale, depositata nel corpo” (Connerton 1999: 110, 117).
[3] Ad esempio, si veda l’analisi del ruolo della medicalizzazione nello studio dell’antropologa medica Nancy Scheper-Hughes sugli attacchi di nervos dei tagliatori di canna da zucchero del Nord-Est del Brasile (Scheper-Hughes, 2000): un gruppo di lavoratori che periodicamente subivano una sorta di paralisi improvvisa degli arti inferiori, che non consentiva loro di lavorare. In genere il sintomo veniva medicalizzato e regrediva, ma puntualmente si ripresentava. Come emerso dall’analisi di un team di persone di diverse discipline (mediche, antropologiche, psicologiche, sociali), la vera causa del sintono era legata alle condizioni di lavoro vissute dal gruppo di tagliatori di canna, di quasi schiavitù, senza sindacati e senza la possibilità di far valere i propri diritti. Medicalizzare il sintomo era inutile, perché esso era segno di resistenza e ribellione a una situazione di subalternità disumana: l’unica cura era rimuovere le cause della loro subalternità. Ma si veda anche il caso della cosiddetta “sindrome da rassegnazione” nel caso di richiedenti asilo in Svezia (Grechi 2021).
[4] dal latino, uscire fuori dalla traccia segnata (lira, solco), debordare, smarginare. spesso associato nell’uso comune dell’espressione al farneticare, all’uscire dal seminato inteso come vaneggiamento, come uscita dalla ragione.
[5] “Io, Chiara Bersani, alta 98 cm, mi autoproclamo carne, muscoli e ossa dell’Unicorno. Non conoscendo il suo cuore proverò a dargli il mio respiro, miei gli occhi.” LINK.
[6] “Le lesbiche volanti sono tornate. Un manifesto poetico, l’idea di un “ionoi” transcorporeo, tattile, sensibile. Come dire noi? Immaginiamo “noi” ma in un tempo/spazio del futuro. L’acqua si alza, e frammenti di archivio arrivano diffratti da manifesti trans/femministi del passato, a ondate. L’archivio è mobile e instabile, infestato di spettri, come la nostra memoria. La fogna lesbica è la nostra infrastruttura rivoluzionaria. L’acqua pullula di sostanze tossiche e microrganismi vibranti. Nessun confine tra i nostri corpi. «essere umide è il nostro lavoro, / e noi sappiamo farlo benissimo»”. Ilenia Caleo e Martina Ruggeri, Lesbos, performance, 2024, LINK.
[7] L’artista portoghese Grada Kilomba cita l’esperienza di una giovane donna, Kathleen, che ricordava di aver provato il dolore dell’aggressione razzista (l’essere stata chiamata con la “n word”) “nelle dita”, come un dolore fisico. A questo proposito Kilomba scrive: “l’esperienza del razzismo, nel suo essere così orribile, non può essere colta con mezzi cognitivi che le assegnino un significato. Al contrario «permane non elaborata – una ‘conoscenza’ non nel senso comune del termine, ma sentita nel corpo» (…). L’agonia del razzismo è dunque espressa attraverso sensazioni corporee, spinte verso l’esterno e scritte sul corpo. Il linguaggio del trauma è in questo senso fisico e visuale, nel suo articolare l’incomprensibile effetto del dolore” (Kilomba 2021: 158).
[8] “I have been in Rome, Italy, for the last six months to research and write about Fascist Italy’s 1935 invasion and war with Ethiopia. My days are a constant struggle to shift my mind and heart into the place where my body exists: this day of this month in 2011. This is where you are, not there. (…) A shop clerk smiles in recognition: You are Ethiopian. Yes. I know that face; my father was a soldier. My grandfather was there. He was stationed in Gondar. He lived in Asmara. Do you know this village near Adua? He loved your country. He asked to be sent back. He didn’t want to return. A wink. A grin. A look back at my face, my body. He brought back photos, they add. Your women, they suggest with a smile and nod, leaving me to finish their thought. My stomach tightens. (…) No story is ever simple. Every photograph extends beyond the frame. Each eye shapes what it sees, and history bends to fit our needs” (Mengiste 2016: 183-184).
[9] Mi riferisco all’interpretazione che di questa espressione dà Michel De Certeau ne l’Invenzione del quotidiano, a proposito del racconto come venir meno dal luogo normativo, spostamento, erranza: “là dove la mappa divide, il racconto attraversa. È ‘diegesi’, termine greco che designa la narrazione: instaura un percorso e passa attraverso (‘trasgredisce’). (…) Se il delinquente esiste soltanto spostandosi, se la sua caratteristica consiste nel vivere non ai margini ma negli interstizi dei codici che elude e spiazza, se si caratterizza in base al privilegio del percorso sullo stato, allora il racconto è delinquente (…), [una] mobilità contestatrice, irrispettosa dei luoghi, volta a volta giocosa e minacciosa. (…) In materia di spazio, questa delinquenza comincia con l’iscrizione del corpo nel testo dell’ordine. L’opaco del corpo in movimento” (De Certeau 2001: 190-191)
[10] “Il loro respiro non è separato dal respiro dell’oceano, il loro respiro non è separato dal potente soffio delle balene, a loro volta braccate, a loro volta compagne. Il loro respiro non li ha resi singoli sopravvissuti. Ha creato un contesto. Il contesto dell’inannegamento. Respirare in circostanze irrespirabili è quello che facciamo ogni giorno nella morsa soffocante dell’abilismo patriarcale e razzializzante del capitalismo” (Gumbs 2023:10).
[11] Wissal Houbabi, Scrivere con i piedi, performance: LINK.
[12] “La bocca è un organo molto speciale, simbolizza il discorso e l’enunciazione. Attraverso il razzismo diventa l’organo di oppressione per eccellenza. (…) Chi può parlare? Cosa accade quando parliamo? E di cosa possiamo parlare?” (Kilomba 2021: 30-31).
[13] “Decisi perciò di assumere come punto di partenza della mia ricerca solo poche foto: quelle che ero sicuro esistessero per me. Niente a che vedere con un corpus: solamente alcuni corpi. (…) Cosa sa il mio corpo della Fotografia?” (Barthes 1980: 10).
[14] “È possibile guardare le cose dal di fuori? E se ciò è possibile di chi sono gli occhi che guardano?” (Calvino, Palomar).
Riferimenti
Barthes, La camera chiara, Einaudi, 1980.
Butler, Le alleanze dei corpi, Nottetempo, 2017.
Connerton, Come le società ricordano, Armando Editore, 1999.
Connerton, Come la modernità dimentica, Einaudi, 2010.
De Certeau, La scrittura dell’Altro, Raffaello Cortina, 2005.
De Certeau, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, 2001.
Duncan, L’odore del colonialismo, in V. Gravano e G. Grechi (a cura di), Presente imperfetto. Eredità coloniali e immaginari razziali contemporanei, Mimesis, 2016.
Fanon, Pelle nera maschere bianche, ETS, 2015.
Fassin, Quando i corpi ricordano. Esperienze e politiche dell’AIDS in Sudafrica, Argo, 2016.
Foucault, La vita degli uomini infami, Il Mulino, 2009.
Foucault, Un pensiero del corpo, Ombre Corte, 2019.
Glissant, Poetica della relazione, Quodlibet, 2007.
Grechi, Decolonizzare il museo, Mimesis, 2021.
P. Gumbs, Undrowned. Lezioni di femminismo nero dai mammiferi marini, Timeo, 2023.
Harney e F. Moten, Undercommons, Tamu e Archive Books, 2021.
Hartman, Venus in Two Acts, “Small Axe, a Caribbean Journal of Criticism”, Vol. 12, n. 2 (giugno 2008), Duke University Press.
Hartman, Perdi la madre, Tamu, 2021.
hooks, Elogio del margine, Tamu, 2020.
Mengiste, Bending History, in NKA Journal of Contemporary African Art, n. 38–39, November 2016, pp. 183-185.
Pacelli, M.F. Papi, F. Pierangeli, Attorno a questo mio corpo, Hacca, 2010.
Ponge, Appunti per una conchiglia, in Il partito preso delle cose, Einaudi, 1979.
B. Preciado, Manifesto controsessuale, Fandango, 2019.
B. Preciado, Sono un mostro che vi parla, Fandango, 2021.
B. Preciado, Dysphoria Mundi, Fandango, 2023.
S. B. Ndikung, Those who are dead are not ever gone. On the maintenance of supremacy, the ethnological museums and the intricacies of the Humboldt Forum, Archive Books, 2018.
Scheper-Hughes, Il sapere incorporato: pensare con il corpo attraverso un’antropologia medica critica, in Borofsky R., L’antropologia culturale oggi, Meltemi, 2000.